30km/h contro un ostacolo fisso determina, in meno di trenta millise-
condi, un arresto della vettura stessa in circa venti/venticinque centi-
metri. A seguito di questo impatto tutta l’energia cinetica dell’auto-
mobilista lo spinge in avanti nel senso di marcia.
Non va dimenticato che l'energia cinetica cresce con l'aumentare della
massa (ad esempio, il peso del veicolo), ma è amplificata in misura
addirittura esponenziale in proporzione alla velocità: questo significa
che quanto più veloce è il veicolo, tanto più alta è l'energia scaricata e
di conseguenza più grave il trauma per gli occupanti del veicolo.
A trenta Km/h un arresto improvviso dell’auto rende l’urto del corpo
contro le parti interne dell’auto inevitabile e ben poco possono fare le
braccia per trattenere il corpo; per quanto una persona sia robusta ed
attenta, la forza dell’urto è maggiore a 400 chilogrammetri, cioè circa
quattro volte superiore alla resistenza che le braccia possono opporre.
Infatti le lesioni che si producono in un trauma non sono attribuibili so-
lo all’impatto diretto di determinate parti del corpo contro oggetti e-
sterni, ma anche a brusche decelerazioni capaci di sollecitare così
violentemente gli organi da provocarne la rottura, anche senza che vi
sia lesione degli involucri esterni.
In Italia solamente a seguito di incidenti stradali vi sono più di 9.000
morti e 250.000 feriti e più di 20.000 invalidi permanenti ogni anno. A
questo pesante bilancio contribuiscono in maniera significativa i traumi
della colonna vertebrale.
Alcuni centri statistici statunitensi hanno individuato 38 cause più fre-
quenti di trauma vertebro-midollare. Le maggiori categorie includono:
incidenti della strada (circa il 48%); cadute (dal 10% al 20%); ferite di
arma da fuoco (15%); incidenti durante attività sportive (dal 10% al
30%) tra i quali i traumi da tuffo in meno di tre metri d’acqua (66% de-
gli incidenti sportivi); altro (3%).
In Italia si rilevano percentuali simili ad eccezione delle lesioni da ar-
ma da fuoco (6%) e degli incidenti della strada che sono responsabili
del 58% delle lesioni vertebrali.
Il danneggiamento del midollo spinale può portare a perdita della sen-
sibilità o all’incapacità di compiere movimenti in zone diverse del cor-
po a seconda dell’area nervosa interessata. Le alterazioni sensitive e
motorie possono essere temporanee, oppure il danno può rivelarsi
permanente, se c’è una lesione parziale o completa del midollo spina-
le o, nei casi più gravi, il trauma risulta letale.
Poche malattie o ferite hanno un potenziale tale da causare la morte o
effetti così devastanti sulla qualità di vita dell’individuo.
L'esito funzionale più invalidante è la paralisi permanente degli arti in-
feriori (paraplegia) e, nelle lesioni cervicali, anche di quelli superiori
(tetraplegia). Quando la lesione interessa le prime vertebre cervicali,
alla tetraplegia si associa anche la paralisi dei muscoli respiratori.
L'epidemiologia e la letteratura scientifica sostengono che ogni anno
in Italia ci sono circa 1.200 nuovi casi di lesione spinale. Ciò significa
che ogni giorno, solo nel nostro Paese, almeno tre persone diventano
para o tetraplegiche
Da questi dati statistici possiamo comprendere la gravità del proble-
ma: subire una lesione del midollo spinale in molti casi significa ri-
schiare di morire oppure, salvandosi, cambiare radicalmente la propria
vita e quella dei propri familiari
Non bisogna dimenticare che la prospettiva di vita futura per un trau-
matizzato cervicale che sopravvive alla fase acuta post-trauma rag-
giunge una media di 30 anni di sopravvivenza per soggetti d’età infe-
riore a 20 anni, mentre per un’età compresa tra 20 e 60 anni d’età si
scende ad una prospettiva di circa 16 anni, prospettiva che precipita a
circa 5 anni per persone di un’età superiore a 60 anni.
Si valuta che il 40% dei traumatizzati con deficit neurologici abbiano
danni significativi ed a volte permanenti al midollo spinale e che fino al
25% di tali deficit siano prodotti da manovre inadeguate durante la va-
lutazione, il disimpegno e il trasporto del paziente. Purtroppo parte di
tali danni deriva da inadeguati supporti e attrezzature di soccorso e da
improprie tecniche di mobilizzazione del paziente.
Appare evidente come il contributo del design, seppur in un ambito
poco praticato come quello sanitario, possa trovare ampi spazi di in-
tervento.
Ciò che da sempre caratterizza il disegno industriale, rispetto ad una
progettazione di tipo ingegneristico, è la sua attenzione preminente
per gli utenti finali del prodotto, che, nel caso specifico della sanità,
assumono la duplice valenza di utenti attivi e utenti passivi. L’obiettivo
del progetto consiste quindi nel rispondere alle esigenze psicofisiche
degli operatori, che utilizzano in maniera attiva il prodotto, e, nello
stesso tempo, dei pazienti che fruiscono in modo passivo dello stesso
bene.
Inoltre l’approccio del designer, proprio perché meno inserito nel set-
tore, risulta scevro da idee preconcette e processi mentali condiziona-
ti, egli agisce operando una sintesi tra diversi apporti, poiché, come
sostiene Tomàs Maldonado, “il disegno industriale ha il compito di
progettare la forma dei prodotti industriali e questo significa coordina-
re, integrare e articolare tutti quei fattori che, in un modo o nell’altro,
partecipano al processo costitutivo della forma del prodotto”.
Allo stesso tempo, dal punto di vista del progettista, nel campo sanita-
rio più che altrove è inoppugnabile l’influenza decisiva di fattori e di
obiettivi sociali, economici, organizzativi e persino psicologici nella
guida dei processi innovativi, nonché nella determinazione del suc-
cesso o nell’insuccesso di tali processi (Chiapponi, 1999).
Cenni di anatomia
La colonna vertebrale o rachide costituisce il supporto centrale del cor-
po, si estende dalla nuca all’apice del coccige, seguendo un andamento
non rettilineo, per una lunghezza totale compresa tra 60 e 75 cm. È co-
stituita da un complesso di 33-34 segmenti ossei sovrapposti chiamati
vertebre e caratterizzati da una forma diversa a seconda della funzione
che svolgono.
La struttura di base è costituita da un corpo cilindrico e da un arco
formato da protuberanze ossee. Tali protuberanze, chiamate p ocessi,
formano le articolazioni mobili con i corrispondenti processi delle verte-
bre adiacenti e permettono l’inserzione di numerosi muscoli e legamen-
ti.
r
La mobilità di ogni singola vertebra, rispetto agli elementi adiacenti, è
molto limitata, ma la somma di tali movimenti conferisce una notevole
mobilità alla colonna vertebrale nel suo insieme.
Tutti gli elementi hanno la capacità di interagire e adattare, istante per
istante e con sincronia, la loro tensione, lunghezza e posizione, a se-
conda delle più varie esigenze del corpo. Correre, salire le scale, sciare,
rimanere in piedi quando si scivola o tirare un calcio ad un pallone so-
no solo alcune delle azioni consentite dall’articolazione delle vertebre.
Tra una vertebra e l’altra si trovano i dischi intervertebrali, che fungono
da cuscinetti elastici per consentire alle vertebre di muoversi tra loro e
garantire l’assorbimento delle stimolazioni meccaniche che insistono
sulla colonna vertebrale; inoltre robusti fasci fibrosi, muscoli e legamen-
ti collegano stabilmente le ossa vertebrali agendo da tiranti, funi e con-
trappesi e vincolando le vertebre nella loro posizione.
La variazione del profilo delle vertebre e la diversa forma dei dischi car-
tilaginei determina il caratteristico andamento curvilineo (a doppia
>fo1. Vista anteriore, laterale e posteriore
della colonna vertebrale. È possibile osserva-
re tra una vertebra e l’altra i dischi interverte-
brali.
esse) del rachide, che contribuisce ad aumentare la stabilità dell’intera
impalcatura ossea e a distribuire meglio il peso del corpo sulle zone
inferiori.
Nella colonna vertebrale si distinguono 4 regioni nelle quali le vertebre
hanno caratteristiche simili: la regione cervicale che costituisce il collo,
la regione toracica, che arriva all'incirca a livello del torace, segue la
regione lombare che corrisponde alla parte basse della schiena e infine
la regione sacra e, che si trova all'altezza dell'osso sacro. Ogni vertebra
viene quindi identificata dalla iniziale della regione cui appartiene, se-
guita dalla posizione relativa, a partire dall’alto, espressa in numero: ad
esempio L4 rappresenta la quarta vertebra della regione lombare.
l
I movimenti di flessione, di estensione, di inclinazione laterale e di tor-
sione, sono maggiori nella regione cervicale e lombare rispetto alla re-
gione toracica. Queste differenze sono dovute sia alla forma delle ver-
tebre, sia al maggiore spessore dei dischi intervertebrali nei segmenti
cervicale e lombare, sia all’azione immobilizzante della gabbia toracica
sul segmento toracico.
L’aumento di dimensione dei corpi vertebrali, andando dall’alto verso il
basso, è determinato dall’aumento del peso creato dai successivi seg-
menti sovrapposti. La base della colonna vertebrale poggia sulle verte-
bre sacrali, che nel corso dell'evoluzione si sono saldate tra loro per
offrire una maggiore solidità.
In ogni segmento vertebrale, tra corpo ed arco si delimita un anello det-
to foro vertebrale che diventa un condotto osseo quando le vertebre
sono sovrapposte: si tratta del canale vertebrale.
All’interno di esso si trova il midollo spinale, che ne segue tutte le cur-
vature e le variazioni di diametro senza venire mai a contatto con le
superfici ossee. Il midollo è più piccolo del canale vertebrale; le menin-
gi, il liquido cerebro-spinale ed il tessuto adiposo fanno sì che esso non
venga traumatizzato dalle ossa e dai legamenti che lo circondano.
Il midollo spinale costituisce un prolungamento dell’encefalo e forma,
insieme con esso e alla rete di nervi, il sistema nervoso. La sua funzio-
ne essenziale è quella di raccogliere gli stimoli ambientali, trasmetterli
alla corteccia cerebrale e ritrasmettere le risposte elaborate a livello
centrale fino alla periferia. Le informazioni trasmesse sono di natura
sensitiva o motoria: le prime riguardano il dolore, il contatto, la pres-
sione, la temperatura, la posizione del nostro corpo e degli arti; mentre
le seconde consentono ai muscoli di contrarsi o rilassarsi nella misura
più opportuna secondo le direttive provenienti dal cervello.
. Le quattro regioni vertebrali sono
cromaticamente evidenziate.
f02
<
Inoltre a livello spinale sono localizzati anche numerosi ed importanti
elementi del sistema nervoso autonomo, che regola in modo automati-
co e non cosciente atti involontari come la frequenza del battito cardia-
co o le funzioni viscerali.
Il midollo è collegato alla periferia da 31 paia di nervi spinali che, rami-
ficandosi, ripetutamente raggiungono tutti i territori corporei, nonché da
diverse catene di gangli nervosi situate a lato dei corpi vertebrali e de-
stinati ai visceri e ai vasi sanguigni.
La colonna vertebrale costituisce quindi un sistema molto complesso, in
grado di svolgere contemporaneamente funzioni di sostegno, di artico-
lazione e di protezione del midollo spinale; si tratta di una struttura
flessibile, ma al tempo stesso resistente alle sollecitazioni a cui è sot-
toposta in condizioni normali. Tuttavia in situazioni traumatiche si rivela
estremamente fragile e la sua natura polifunzionale aggrava ulterior-
mente la situazione. La complessità della sua struttura richiede pertanto
la presenza di personale specializzato che sappia come operare in tali
situazioni e che si avvalga di supporti idonei.
>
>
f03. Sezione laterale del corpo in cui è
possibile osservare come il midollo spinale
costituisce un prolungamento dell’encefalo.
. Punto di inserimento dei nervi spinali
con il midollo contenuto nel canale vertebrale.
f04
<