Across the Border Line
Edoardo Alfredo Bracaglia – matricola 2013
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INTRODUZIONE
Mentre leggete queste righe, un complesso sistema pluricellulare è impegnato a
mantenere uno stato di quasi-equilibrio che gli permetta di trasmettere agevolmente
segnali dal centro alla periferia e dalla periferia al centro, e che consenta a un
relativamente piccolo ammasso di cellule di seguire una parola dopo l’altra per carpire,
ammesso che esista, il senso di questo discorso.
Il senso di questo discorso è il quasi-equilibrio, la tendenza all’omeostasi che allo stesso
tempo in natura comporta la sua irraggiungibilità, la contrapposizione tra caos e cosmos,
tra entropia e ordine, la dialettica di ciascun elemento e il suo acquisire senso
esclusivamente all’interno di una dinamica, di un campo, dove interagisce con altri
elementi, con l’ambiente.
Il quasi-equilibrio è lo stato al quale tende il nostro organismo, e allo stesso modo
vorremmo interpretare, almeno per un attimo, il nostro tentativo di co-costruire significato
all’interno delle relazioni con l’ambiente, con noi stessi e con gli altri individui.
Quel che avviene sulla linea di confine tra un grado accettabile di quasi-equilibrio e un
insopportabile grado di disequilibrio è, in ultima analisi, la nostra vita. A volte il confine è
più lontano, e ci sentiamo dei Lama imperturbabili capaci di affrontare qualsiasi difficoltà;
altre volte è molto vicino, e c’è bisogno di fare qualcosa per stare meglio.
Il cambiamento diventa necessario ma allo stesso tempo rischioso e, quante più forze sono
ingaggiate in una direzione, tante più ne servono per compiere un movimento senza
disgregare il sistema.
In adolescenza, il cambiamento coinvolge ogni elemento della persona: tutto, dall’aspetto
fisico alla struttura della personalità, è messo in discussione per ristabilire un quasi-
equilibrio accettabile anche in un ambiente differente, con relazioni differenti, con
dinamiche bio-fisio-psicologiche differenti.
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Da questo punto di vista il rischio psicopatologico in adolescenza è, per certi versi, un
elemento connaturato nello sviluppo e nel percorso di ciascuno, ed è perfino auspicabile
nella misura in cui la crisi adolescenziale porta a una ristrutturazione complessiva della
persona e al suo ingresso in un mondo dove le sue interazioni e le sue relazioni diventano
più efficaci. Detto questo, sarà bene mettere in chiaro che la gran parte di quello che
troverete nelle pagine che seguono si può trovare in qualsiasi manuale, o al massimo in
alcuni articoli pubblicati.
Se volete risparmiare tempo e avete già almeno un’idea delle principali teorie sulle
emozioni e delle basi della teoria della mente, potete tranquillamente tralasciare i primi
due capitoli.
Nel primo capitolo, infatti, siamo entrati in punta di piedi in un dibattito acceso e vivace tra
personaggi che hanno tutti qualcosa di molto interessante da dire: studiosi come Magda
Arnold, Joseph LeDoux, Lev Vygotskij o Charles Darwin si sono confrontati con il tema delle
emozioni da un punto di vista psicologico, e tutto quel che si può fare parlando delle loro
teorie è gustarne l’eleganza e lasciarsi guidare verso un ragionamento critico. La
competenza emotiva, la regolazione emotiva, la capacità di esprimere o di modulare le
emozioni come capisaldi di una efficace interazione con l’ambiente sono al centro della
questione, e in adolescenza rivestono un’importanza del tutto particolare.
Nel secondo capitolo ci avventuriamo in un breve viaggio nel campo della Teoria della
Mente, raccogliendo preziosi elementi dal lavoro di Peter Fonagy, di Simon Baron-Cohen,
ma anche di Vittorio Gallese, Luciano Fadiga e Giacomo Rizzolatti.
La parte originale, quella che comprende la ricerca si trova nel terzo capitolo: ne
riassumiamo qui i punti fondamentali.
Abbiamo immaginato che ci sia una relazione tra empatia, attività di mentalizzazione,
regolazione emotiva e rischio psicopatologico in adolescenza, e siamo andati a esplorare la
zona di confine, la “border line”, che separa in qualche misura uno sviluppo sereno ed
efficace (altrimenti definito “normale”) da uno sviluppo complicato e disperatamente
aggrovigliato in se stesso. Lo abbiamo fatto con alcuni strumenti:
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La scala CBCL per la misura del rischio psicopatologico in adolescenza
La scala DERS per la misura delle abilità di regolazione emotiva
Il Quoziente di Empatia secondo Baron-Cohen
La prova sull’imbarazzo per valutare mentalizzazione e, appunto, imbarazzo
La scala RTSHI per la valutazione della propensione a comportamenti a rischio o
autolesivi
La scala WAIS per la valutazione della competenza verbale
Tra tutti questi strumenti, la RTSHI ha una storia che vale la pena di raccontare: l’abbiamo
chiesta a Peter Fonagy e Ioanna Vrouva, l’abbiamo tradotta in italiano seguendo le
procedure standard, l’abbiamo sperimentata inizialmente su un gruppo pilota che non fa
parte del campione esaminato con l’intera batteria, ne abbiamo fatto la back-translation e
stiamo per portare a Londra i primi risultati di questo lavoro. Comunque vadano le cose, il
lavoro sulla RTSHI continuerà e ci impegneremo affinché diventi uno strumento a
disposizione di tutti per identificare aree estremamente critiche del comportamento dei
ragazzi e delle ragazze adolescenti.
Al termine del terzo capitolo ci sono i risultati preliminari della ricerca; è importante
sottolineare la parola preliminari e leggere a bassa voce “risultati”: il campione non è molto
numeroso (circa 60 somministrazioni) e le risorse sulle quali abbiamo potuto contare, per
quanto eccellenti, sono state piuttosto limitate soprattutto in termini di tempo.
Sempre in coda al terzo capitolo troverete una frase che tenta di individuare una relazione
tra potenziale di resilienza, mentalizzazione, empatia e regolazione emotiva. È un sassolino
gettato nello stagno, nulla di più, per mettere in gioco il nostro approccio a carte scoperte.
Chi scrive vi ringrazia per aver letto questa introduzione, e spera che la soddisfazione e
l’entusiasmo con il quale è stata scritta abbia in qualche modo contagiato il lettore.
Come ultimo sforzo, prima di decidere se leggere o no le pagine che seguono, vi chiederei
di sopportare alcune righe di ringraziamento alla mia Relatrice, Giulia Cavalli, che mi ha
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costantemente incoraggiato a osare, permettendomi di lavorare con la massima libertà e,
insieme, con la completa sicurezza che il mio lavoro sarebbe stato attentamente valutato. A
Roberta mia moglie, che è determinante e fantastica come un piccolo sole nel mio
personale quasi-equilibrio; a tutti quelli che mi stanno sostenendo in questo cammino, e
che a volte esprimono opinioni così incoraggianti che faccio fatica a capire se ci credono
davvero; ai ragazzi del muretto di Parco Alessandrini, che non leggeranno mai queste righe
ma che mi hanno insegnato molte cose e molte potranno insegnarmene ancora, se non gli
diventerò antipatico; ai Professori e soprattutto ai ragazzi del Liceo Parini e dell’Artistico
Brera, che hanno consumato tempo ed energie a fornirmi informazioni preziose:.
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1.
LA REGOLAZIONE EMOTIVA
La regolazione emotiva è l’insieme dei processi, consapevoli e inconsapevoli, interni ed
esterni, implicati nell’iniziare, nel mantenere e nel modulare l’occorrenza, l’intensità e
l’espressione delle emozioni (Cole, Dennis, Martin, 2004). Nico Frijda propone alcuni
assunti, confermati dagli studi sullo sviluppo e sulle differenze culturali, sulle caratteristiche
della regolazione emotiva (Frijda, 2009 in “La regolazione delle emozioni”, a cura di O.
Matarazzo e V. L. Zammuner, ed. Il Mulino, Bologna, 2009).
La regolazione emotiva è quindi il sistema, sempre attivo, che permette a ciascuno di noi di
esperire emozioni e di esprimerle sia a livello intrapersonale, sia a livello interpersonale; le
nostre facoltà cognitive ed emozionali sono intrecciate, da questo punto di vista, in
un’interazione comunicativa che, nella sua funzione adattiva, permette di approfondire al
contempo la qualità e la consistenza del rapporto con l’ambiente la conoscenza di sé, il
proprio senso di autoefficacia, e, non ultima, proprio la competenza nell’attività stessa di
regolazione emotiva.
Il sé è sempre capace di emozioni, nel senso che, fin dalla nascita, il primo stato psico-
biologico ad essere esperito e ad essere utilizzato per “conoscere” (a livello implicito) il
mondo circostante è proprio l’emozione (Tronick, 2009).
Vengono a far parte del processo di regolazione emotiva, dunque, almeno tre componenti,
che si declinano nello svolgersi della relazione comunicativa e nell’interazione. Un sé
capace di emozioni è indiscutibilmente il primo ingrediente di questa relazione, benché non
si debba intendere questo come un sé “evoluto” o capace di discriminare emozioni di vario
genere. Accanto al nostro primo ingrediente dovremo porre un altro-da-sé riconoscibile
come tale da parte del nostro sé e tutto intorno dovremo assicurarci di avere un ambiente
che consenta un’interazione reciproca. Devono quindi essere presenti non solo oggetti,
colori, suoni, movimenti, ma anche e soprattutto la capacità funzionale che essi vengano
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potenzialmente sottoposti a un processo di codifica finalizzato specificamente
all’interazione e a un successivo processo di decodifica, più o meno intenzionalmente teso
alla comprensione.
L’esperienza emotiva è composta da:
Componente fisiologica
Componente cognitiva
Componente comportamentale
Vissuto personale
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1.1 LE EMOZIONI
Alla voce emozione del Dizionario della Lingua Italiana Gabrielli 2007, edito da Hoepli,
troviamo: reazione emotiva, sentimento intenso accompagnato da modificazioni psichiche e
reazioni fisiologiche quali l’alterazione delle attività motorie, cardiocircolatorie, respiratorie,
ghiandolari e sim. || Turbamento, sconvolgimento dell’animo: un avvenimento che ha
destato e.; l’e. Di una visita inattesa ||.
In un tentativo di sintesi per certi versi provocatorio, ma non privo di stimoli, Dodge e
Garber (1991) propongono una definizione piuttosto efficace del nostro campo di indagine:
“l’emozione è come la pornografia: gli esperti hanno grosse difficoltà a definirla, ma noi
tutti la riconosciamo quando la vediamo!”.
Le emozioni si possono quindi definire come stati mentali e fisiologici associati a
modificazioni psicofisiologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi che siano. Le
emozioni rivestono anche una funzione eminentemente relazionale e una importante
funzione autoregolativa, caratteristiche in base alle quali si differenziano dai sentimenti e
dagli stati d’animo.
Sroufe (1995) all’interno della prospettiva evolutiva definisce l’emozione come “una
reazione soggettiva a un evento saliente, caratterizzata da modificazioni fisiologiche,
esperienziali e a livello di comportamento esplicito”.
Al di là delle definizioni, sappiamo che ciascuna emozione ha caratteristiche
multidimensionali che coinvolgono l’aspetto neurofisiologico, quello motorio-espressivo e
quello cognitivo-esperienziale, in un quadro che Reisenzein, nel 1983, definì “Sindrome
reattiva multidimensionale”; e che, secondo Izard (1977, 1991) le emozioni fondamentali
rappresentano il principale sistema motivazionale. Possiamo quindi considerare ciascuna
emozione come un processo formato da tre componenti, strettamente correlate,
interdipendenti ed essenziali:
Comportamento o risposta muscolare
Risposta vegetativa
Risposta ormonale
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Così, ad esempio, in risposta a uno stimolo che l’organismo avverte come rappresentante
un pericolo, l’emozione sarà quella della paura e la risposta comportamentale potrà essere
quella di lotta o fuga (fight or flight). Sia la lotta che la fuga, in ogni caso, implicano
l’attivazione di specifici muscoli scheletrici (compresi quelli mimici), attivazione che non
potrebbe aver luogo senza le modifiche che il Sistema Nervoso Autonomo (SNA) mette in
atto e che coinvolgono il metabolismo, la secrezione ormonale, la disponibilità di ossigeno e
l’adeguamento della perfusione vascolare.
Almeno alcune delle reazioni fisiologiche che si accompagnano alle emozioni, per giunta,
vengono ad assumere una valenza comunicativa autonoma, poiché possono venire
osservate e interpretate da altri individui, scatenando in essi reazioni immediate che
coinvolgono i neuroni mirror e reazioni emotive e comportamentali. Dal punto di vista
biologico, quindi, l’emozione è in se stessa interazione, relazione, comunicazione, nella
misura in cui rappresenta un’azione compiuta da un organismo che altera la distribuzione
di probabilità del comportamento di un altro organismo in modo adattivo per l’uno, per
l’altro o per entrambi i partecipanti alla relazione.
Le emozioni primarie, secondo la definizione di Robert Plutchik
(2002) sono otto, divise in
quattro coppie, e questa classificazione “per opposti”, benchè meno condivisa di quella di
Ekman (1993), che ne individua sei, ci può aiutare ad inquadrare il nostro campo di
indagine:
La rabbia e la paura
La tristezza e la gioia
La sorpresa e l’attesa
Il disgusto e l’accettazione
Al di là delle specifiche suddivisioni e classificazioni, il cui approfondimento avrebbe una
modesta utilità ai fini di questo lavoro, vale comunque la pena di rammentare in che modo
tali emozioni vengono esperite, codificate, trasmesse e recepite in funzione della cornice
biofisiopsicologica e comportamentale nella quale si vengono a collocare (Ekman e Friesen,
1975):
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1. Rabbia: mascella contratta, sopracciglia aggrottate, fronte aggrottata,
battito cardiaco accelerato, postura rigida, camminata veloce, tensione
muscolare, pugni chiusi, eloquio accelerato, tono di voce alto, pause
frequenti, è possibile urlare o, al contrario, tenere il broncio.
2. Paura: sopracciglia inarcate, occhi sbarrati, gambe o mani tremanti, mani
fredde, battito cardiaco accelerato, muscoli tesi, difficoltà nel parlare o nei
movimenti, è possibile urlare, voce tremante, difficoltà di salivazione.
3. Tristezza: sguardo rivolto verso il basso, sopracciglia abbassate, angoli della
bocca rivolti verso il basso, spalle curve, ripiegamento su se stessi, voce
flebile, commossa , monotona, pause numerose e lunghe, si parla
lentamente, mento tremolante, camminata lenta (ci si trascina) , movimenti
lenti in generale, astenia.
4. Gioia: volto disteso, angoli degli occhi e della bocca rivolti verso l’alto,
sorriso, energia nel parlare, voglia di fare molte cose e di ridere, sognare ad
occhi aperti, guardare gli altri negli occhi, camminare in modo rilassato,
movimenti armonici.
5. Sorpresa: occhi sbarrati, sopracciglia inarcate, sussulto. La sorpresa è
un’emozione di breve durata di solito è seguita da un’altra emozione quale
felicità , tristezza, delusione o paura.
6. Disgusto: naso arricciato, bocca con angoli rivolti all’ingiù o compressa,
fronte corrugata, desiderio di allontanarsi dallo stimolo fonte dell’emozione.
A questo proposito, è importante citare il contributo di Paul Ekman che, sulla scia di Charles
Darwin (“L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali”, 1872) ha verificato
come le sei emozioni fondamentali vengano espresse attraverso modalità simili
da tutti gli
esseri umani, in qualsiasi luogo, tempo e cultura essi vivano.
Da questo breve elenco di emozioni, possiamo facilmente notare il carattere peculiare che
assumono al livello di reazione fisiologica e comportamentale e, contemporaneamente, di
azione comunicativa, di stimolo e di feedback o, in poche parole, di elemento
caratterizzante le transazioni quotidiane, gli scambi interpersonali dai quali l’individuo
ricava la consapevolezza di essere “adeguato” ed “efficace” (Saarni, 2008).
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FUNZIONI FONDAMENTALI DELLE EMOZIONI
In primo luogo, possiamo accettare almeno provvisoriamente l’approccio secondo il quale
le emozioni si presentano quando un individuo assiste a una situazione che si mette in
qualche modo in relazione con i suoi obiettivi, che possono essere di tipo duraturo
(sopravvivenza) o transitorio (un gol della propria squadra del cuore). Questi obiettivi
possono avere un valore centrale per la propria immagine di sé (presentare una tesi di
Laurea degna di attenzione), oppure collocarsi in zone periferiche e rivestire un valore
modesto riguardo al senso di autoefficacia (aprire una scatola di fagioli). Ancora, gli
obiettivi possono essere più o meno consapevoli, più o meno complessi, socialmente
condivisi e più o meno comprensibili a chi si trova nelle vicinanze dell’individuo che prova
l’emozione. A connotare l’emozione è quindi il significato che le viene dato (Varela, 2000;
Alfieri 2010), e per questo il tempo, nel senso cronologico del termine, può trasformare
un’emozione di gioia intensa, che proviamo per esempio quando la nostra squadra segna
un gol, in un ricordo amaro, se quel gol viene annullato all’ultimo minuto della partita e
comporta l’eliminazione della nostra squadra dal torneo. Sarà impossibile ricordare la gioia
del gol senza richiamare la delusione dell’eliminazione, e l’emozione legata al ricordo sarà
quella cronologicamente più vicina all’osservatore.
In secondo luogo, le emozioni sono fenomeni ricchi di sfaccettature, che coinvolgono il
corpo nella sua interezza e che comportano cambiamenti nei campi dell’esperienza
soggettiva, del comportamento e della fisiologia centrale e periferica (Mauss et al., 2005). Il
significato soggettivo di un’emozione è, naturalmente, così strettamente legato a cosa si
intende con il termine emozione che, nell’uso quotidiano, i termini “emozione” e
“sensazione” vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile. Ma le emozioni non solo ci
fanno sentire qualcosa, ci fanno sentire anche come fare qualcosa (Frijda, 1986). Questo si
riflette anche nel linguaggio che usiamo per descrivere le emozioni: possiamo dirci
“commossi fino alle lacrime” oppure “mossi al pianto” o “congelati dal terrore”. Questi
impulsi ad agire in determinati modi (e non in altri) sono legati a modificazioni del SNA e di
quello neuroendocrino che mettono l’organismo in grado al contempo sia di anticipare la
risposta comportamentale associata (adeguando tra le altre cose il metabolismo in modo