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NewCo: Telco, la quale divenne l'azionista di riferimento di Telecom
Italia.
Con riferimento agli eventi, qui brevemente riportati, si sono
esaminati tutti gli aspetti considerati rilevanti per la Teoria della
creazione e diffusione di valore, compiendo un‟ accurata ricerca di
tutti i dati necessari per sviluppare un‟ analisi ex – post della
ricchezza creata o distrutta.
Il metodo adottato, per il raggiungere il nostro obiettivo,
riprende un lavoro svolto da Massimo Mucchetti nel libro
“Licenziare i padroni?”, nel quale propone una tabella che evidenzia
il valore che è stato creato o distrutto da dodici grandi aziende
italiane quotate in Borsa nel periodo 1986 – 2001. Lo studio da lui
affrontato, si basa sui criteri adottati nel Rapporto sulle
privatizzazioni, presentato da R&S al Parlamento nel 2000.
I primi capitoli di questa tesi sono stati dedicati alla
definizione della Teoria della creazione e diffusione del valore e dei
modi per misurare il valore. In particolare, maggiore attenzione è
stata data a quei percorsi di creazione o distruzione di ricchezza,
che si sono riscontrati nel caso specifico da noi affrontato.
Si sono evidenziati, quindi, gli effetti sulla creazione di valore
dell‟uso della leva finanziaria, analizzando la relazione tra il
rendimento e il costo del capitale. Nello specifico, si sono
identificate le leve a disposizione di un'impresa per minimizzare il
costo del capitale e per ottimizzare la struttura finanziaria, cioè il
mix tra il capitale di rischio e il capitale di debito. A tale scopo,
quindi, si è posta l'attenzione sul modello di Modigliani – Miller,
che meglio spiega gli effetti dell'indebitamento esercitati sul costo
del capitale.
Un altro percorso di creazione o distruzione di valore, che si
presenta nel caso di Telecom Italia, riguarda le ristrutturazioni
societarie. In particolare, si sono approfondite le operazioni di
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acquisizione e fusione valutando le sinergie che, da queste,
possono originarsi e le forme tecniche con le quali si possono
attuare, soffermandoci in particolar modo sul leveraged buy out,
che ha caratterizzato molte delle operazioni del Gruppo da noi
studiato. Si è fatto cenno, inoltre, al modo con il quale si può
creare valore attraverso le cessioni societarie.
Nell‟ultimo capitolo, infine, si è cercato di evidenziare le
ragioni che hanno portato alla distruzione di valore per gli azionisti
del Gruppo Telecom Italia, avendo riguardo dell‟andamento della
quotazione di Borsa e dei dati di bilancio, confrontati anche con
quelli dei maggiori competitos europei.
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Capitolo 1
La creazione del valore
1.1. Valore
Per comprendere al meglio la teoria qui esaminata è
necessario definire, in primo luogo, il valore.
Nelle scienze economiche il valore è una delle fondamentali
chiavi di lettura di un fenomeno e di un problema oggetto di studio.
Valutare significa determinare il valore di un dato oggetto,
fenomeno o comportamento. Sono stati compiuti diversi tentativi
per stabilire la definizione di valore, individuandone due tipi: il
valore di scambio e il valore d‟uso.
Il valore di scambio rappresenta la quantità di un bene che si
può ottenere in cambio di una quantità data di un altro bene. Se il
bene ottenibile è la moneta, corrisponde al prezzo. Questo ha
origine da una valutazione oggettiva e corrisponde al punto in cui
la domanda e l‟offerta sul mercato si incontrano, perfezionando lo
scambio. Le determinanti di tale valore, quindi, sono il livello
d‟intensità della domanda e dell‟offerta. In particolar modo, quando
la domanda è maggiore dell‟offerta il prezzo aumenta e viceversa.
Il valore d'uso rappresenta, invece, la capacità di un bene di
soddisfare i bisogni personali in un certo momento e in
determinate circostanze. Tale valore, in questo caso, ha origine da
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una valutazione soggettiva strettamente legata al singolo individuo
e hai bisogni da questo percepiti.
Con riferimento a queste due tipologie di valori è importante
sottolineare che il valore di scambio non può essere maggiore del
valore d‟uso, per fare in modo che il bene o servizio oggetto dello
scambio sia acquistato dal soggetto.
Il concetto di valore può essere applicato tanto ai prodotti
quanto ad una impresa. Quest‟ultima, infatti, può avere un valore
d‟uso e quindi un‟utilità per diversi soggetti, come ad esempio:
proprietari, consumatori, dipendenti, fornitori e, in generale, tutti
gli stakeholders. Il valore d‟uso dell‟impresa esprime, in particolare,
il valore economico e il vantaggio sostanziale nell‟apporto di
capitale, questo, per la relazione sopra accennata, condiziona
inevitabilmente il valore di scambio della stessa.
Nei contesti produttivi tradizionali il valore era un dato,
determinato dagli automatismi del mercato, in quanto i bisogni
erano omogenei e i prodotti molto standardizzati.
Oggi, nei nuovi contesti produttivi si sviluppano una varietà
di bisogni e di prodotti, che obbligano le imprese ad avere un
rapporto interattivo con il mercato per perseguire una produzione
con un valore d‟uso maggiore, che porti alla determinazione di un
altrettanto maggior valore di scambio.
L‟impresa cessa, quindi, di essere uno stabile meccanismo
pilotato dal mercato, che acquisisce fattori standard a prezzi dati
per trasformarli, con maggiore o minore efficienza, in prodotti
standard vendibili a prezzi dati e diventa un soggetto progettuale
che sviluppa una autonoma capacità propositiva ed innovativa, il
cui successo economico dipende dall‟efficacia con cui sa
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congegnare le proprie risposte produttive e dall‟efficienza con cui
riesce a realizzarle1.
1.2. Creazione di valore: un po’ di storia
La misurazione del valore delle imprese è un problema che
viene da lontano: da quando esiste l‟impresa capitalistica; ma da
non molto tempo ha raggiunto l‟importanza che oggi gli è
generalmente riconosciuta. Solo negli ultimi decenni, infatti, il
valore è divenuto una componente essenziale ed irrinunciabile nel
bagaglio delle conoscenze di imprenditori, manager, operatori
finanziari, professionisti; nonché degli studiosi che si occupano di
finanza, di economia d‟impresa e di altre discipline legate al mondo
aziendale2.
L‟attenzione su questo argomento si è sviluppata nel corso
degli anni ottanta, quando il mercato finanziario statunitense
cominciò a mostrare segni di crescente insoddisfazione nei
confronti dei risultati della grandi imprese. Il mondo delle pubblic
company, cioè delle società quotate in borsa a proprietà diffusa,
che rappresentano la parte più significativa e visibile del sistema
imprenditoriale americano, venne progressivamente investito da un
ondata di giudizi critici fondati essenzialmente su due ordini di
considerazioni:
la rapida e persistente perdita di competitività, che molti
settori industriali mostravano nei confronti della concorrenza
internazionale, soprattutto quella giapponese e tedesca;
1
FONTANA FEDERICO – Le risorse immateriali nella comunicazione aziendale:
problemi di valutazione e di rappresentazione nella prospettiva del valore – Torino
– Giapichelli 2001
2GUATRI LUIGI – Trattato sulla valutazione aziendale – Milano - Egea 1998
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l‟insoddisfacente livello di redditività effettivo assicurato agli
azionisti da molte imprese considerate veri e propri modelli
di eccellenza sotto il profilo delle pratiche manageriali3.
A livello accademico, questi segnali avviarono un acceso
dibattito, che condusse a mettere a fuoco importanti e pericolose
debolezze del modo di funzionare delle pubblic company e delle
modalità di allocazione del capitale operanti in quel mercato. Un
autorevole accademico come Michael Porter, incaricato dal governo
di condurre una ricerca sul tema, giunse a concludere che i
meccanismi di funzionamento del mercato americano dei capitali
rischiavano di portare le imprese statunitensi a perdere
competitività a livello internazionale.
Nello stesso tempo, il mercato si mosse energicamente,
dando vita a una serie di operazioni, cosiddette di corporate
restructuring, attraverso le quali si avviò un processo senza
precedenti, per rapidità e dimensione, di trasformazione della
struttura del sistema delle imprese e degli assetti di controllo.
Fusioni, acquisizioni, scorpori, take-over ostili, leveraged buy-out e
simili, cioè le operazioni chiamate straordinarie, divennero quasi
ordinarie, tanto grande fu il loro numero e la quantità delle
imprese che ne vennero interessate.
Questo fenomeno aveva un preciso comune denominatore:
creare valore per gli azionisti, facendo emergere il potenziale valore
che si trovava nascosto nelle imprese, non manifestatosi per diversi
motivi. La sorpresa fu che questo potenziale valore inespresso,
detto gap di valore, aveva elevate dimensioni, segno che in tante
imprese i reali meccanismi e strumenti decisionali non erano
3
DAY GEORGE S. – Strategie per i mercati: processi per la creazione del valore –
Milano – Etas Libri 1992
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indirizzati verso l‟obiettivo, che la teoria finanziaria aveva sempre
considerato un assunto scontato: creare valore per gli azionisti.
All‟origine del fenomeno vennero individuati diversi motivi:
il metodo tradizionale di misurazione delle prestazioni
d‟impresa sotto il profilo economico era di origine contabile,
che si basava su indicatori di redditività, come ROE, ROI,
utile per azione e altro, che, potevano indurre a scelte
contrarie all‟interesse dell‟azionista;
i sistemi di incentivazione del management, che spesso si
fondavano proprio su questi indicatori e quindi
amplificavano il rischio di comportamenti non orientati alla
creazione di valore;
il principale motivo guida dei comportamenti d‟impresa, che
era spesso costituito dalla ricerca della crescita, ma poteva
non essere la via migliore per conseguire livelli superiori di
redditività, ed anzi poteva costituire, come vedremo meglio,
un modo per distruggere valore, mentre strade, come la
riduzione del grado di diversificazione o il disinvestimento di
parti d‟impresa potevano rappresentare opzioni capaci di
creare valore in modo anche significativo.
L‟insieme di questi fatti diede spunto allo sviluppo e alla
messa a punto di principi di governo e strumenti di gestione
finalizzati a meglio orientare le decisioni e i comportamenti
aziendali nella prospettiva di creare valore per gli azionisti.
Oggi, l‟impegno e le capacità delle imprese di creare valore
sono, non solo particolarmente spiccate e tendenzialmente
crescenti, ma anche chiaramente affermate. Ciò è dimostrato dalla
formulazione delle mission aziendali, spesso richiamate nell‟ambito
dei documenti pubblicati da parte delle primarie pubblic
companies e dagli obiettivi strategici da queste perseguiti.
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Negli stessi bilanci d‟esercizio di Telecom Italia è spesso
dichiarato l‟intento del management di voler creare valore per gli
stakeholders. Nella relazione del Presidente Marco Tronchetti
Provera, allegata al bilancio del 2002, ad esempio, si legge: “Il
programma di rilancio industriale del Gruppo tracciato all‟inizio dello
scorso anno aveva fissato come priorità strategiche lo sviluppo delle
capacità competitive delle diverse unità di business, l‟innovazione
continua, la riduzione dei costi e il rafforzamento della struttura
finanziaria, con l‟ottica di assicurare la creazione di valore per tutti gli
stakeholder interni ed esterni”.
Il fenomeno è destinato a perdurare per effetto dei
meccanismi di selezione che regolano il funzionamento del mercato
finanziario, le cui valutazioni e scelte si fondano sempre più sulle
reali performance aziendali. Il mercato infatti premia o penalizza le
imprese a seconda della capacità che esse dimostrano nel creare
durevolmente valore per gli azionisti. Le imprese per poter
convenientemente attrarre e trattenere capitale di rischio, e quindi
per conseguire e conservare appropriate condizioni di durabilità,
non possono ignorare tale obiettivo4.
1.3. I percorsi di creazione del valore
L‟enorme e crescente interesse attorno alle finalità e ai
metodi di valutazione delle aziende, come abbiamo accennato, è
stato certamente rafforzato dalla formalizzazione della Teoria di
creazione e di diffusione del valore. Una teoria che si è soffermata
nella ricerca di legami tra le regole della finanza e le regole di
conduzione strategica e operativa dell‟impresa.
4
DONNA GIORGIO – La creazione di valore nella gestione dell’impresa – Roma –
Carocci 1999
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I due momenti organizzativi, in tema di creazione del valore,
riguardano il controllo, cioè la misura periodica della sua
grandezza; e la gestione, cioè l‟applicazione operativa di un
approccio sistematico alla ricerca di nuovo valore.
Nel primo aspetto, al quale più sensibile è la cultura
europea, la creazione di valore e la periodica misurazione del
fenomeno è vista come un modo efficace per stabilire la reale
performance dell‟impresa. Implicito in ciò è il riconoscimento che il
reddito contabile, espresso dai bilanci, enuncia in modo incompleto
tale performance.
Nell‟aspetto della gestione, lo spirito che anima la teoria in
esame è la ricerca sistematica e continua di tutte le opportunità
per accrescere valore. Tali opportunità non sono peraltro da vedere,
come a volte erroneamente accade, soltanto in alcune scelte di tipo
straordinario, quali l‟acquisto o la cessione di una partecipazione o
la sostanziale ristrutturazione delle fonti di finanziamento, ma
possono riguardare tutte le scelte rilevanti, attinenti alla gestione
operativa. La teoria e la pratica americana non hanno più dubbi: il
Value – Based Planning, cioè la pianificazione incentrata sulla
creazione di valore, è uno strumento pratico di alta efficacia. Esso è
essenziale, ad esempio, per stabilire le aree d‟affari che generano o
distruggono valore: le prime, ordinate secondo l‟intensità con cui
producono valore, sono le naturali destinatarie delle risorse
disponibili; per le seconde si pongono problemi di contenimento
dello sviluppo, di riduzione del volume d‟attività o addirittura di
cessione o liquidazione. Inoltre, affinché l‟approccio di creazione del
valore possa effettivamente entrare come componente normale del
processo di pianificazione aziendale, occorrono precise condizioni,
che secondo alcuni esperti possono così essere sintetizzate:
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occorre che si diffonda nei manager il convincimento e la
consapevolezza che la creazione di valore è il riferimento
essenziale per tutte le loro decisioni rilevanti;
dev‟essere preparata una serie di norme e di processi che
focalizzino il management su tale obiettivo;
si devono stabilire criteri di valutazione, incentivi e
riconoscimenti che incoraggino i managers ad assumere
decisioni basate sulla creazione di valore5.
Questo secondo aspetto, a differenza del primo, pone
maggiori esigenze sul piano organizzativo. Esso richiede,
innanzitutto, che da giudizi generali e complessivi, rinnovabili a
medio termine, si passi a politiche ben più limitate nello spazio e
nel tempo. A giudizi, quindi che devono accompagnare le scelte
rilevanti, che nella società e nei gruppi complessi si verificano più e
più volte all‟anno. Tali giudizi per avere significato operativo devono
scendere al livello delle divisioni e delle aree d‟affari, cui le decisioni
specifiche si riferiscono. Ciò è possibile se si dispone di una serie
adeguata di informazioni e dati per il passato; se si è in condizione
di comporre attendibili previsioni sulle grandezze essenziali, così
che possano esprimersi autonomi risultati economici ed autonomi
flussi di cassa; se si può comporre una distinta situazione
patrimoniale e seguirne nel tempo le variazioni.
Questi brevi richiami confermano che si possono distinguere
due momenti organizzativi ed applicativi, corrispondenti a fasi
successive e caratterizzate da crescenti difficoltà: la fase della
verifica del valore e quella di gestione del valore. Mentre la prima è
alla portata di qualsiasi società, la seconda esige un apparato
organizzativo adeguato e l‟accettazione di una vera cultura del
5
PELLICELLI M. – Creazione di valore e value based management – Torino –
Giapichelli 2007
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valore. La gran parte delle aziende italiane è oggi in grado di
affrontare la prima fase, mentre per la seconda si esigono tempi
più lunghi. Questa maturazione è però necessaria: la teoria del
valore è essenzialmente spirito e cultura di creazione del valore.
L‟aspetto del controllo, pur significativo, è di secondo piano, se non
marginale6.
Con riferimento ai principi che vertono sulla creazione del
valore per gli azionisti, alcuni sostengono che siano estranei, se
non addirittura in opposizione, ad altre finalità e al controllo
dell‟impresa. Questo non è sostanzialmente vero se si considerano
una serie di ragioni.
La creazione di valore, infatti è un modo per definire
sinteticamente gli obiettivi dell‟impresa, in quanto risulta:
1) razionale, per almeno due ragioni:
assegna all‟impresa una meta, che è perfettamente
connaturata con la sua esigenza, fondamentale, di
sopravvivenza e di sviluppo; non di uno sviluppo
qualsiasi ed a tutti i costi, ma di uno sviluppo secondo
linee creatrici di valore: quindi selezionate ed
indirizzate a garantire il successo anche nel lungo
periodo;
assegna priorità alla tutela dell‟interesse degli azionisti.
A quest‟ultimi spetta la parte residuale del valore
aggiunto, cioè il reddito in senso stretto (o profitto). La
residualità di questa quota, fa si che sull‟azionista
gravi il peso della gestione e che su di lui il rischio,
quindi, si riversi in massimo grado, a differenza degli
altri soggetti interessati alla vita dell‟impresa. Ciò
6
GUATRI LUIGI – La teoria di creazione del valore: una via europea – Milano –
Egea 1991
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deriva dal fatto che il rapporto dell‟azionista con la sua
quota è in realtà ben diverso dal rapporto degli altri
soggetti, in quanto egli è il titolare dell‟impresa, cioè ne
ha, in pieno senso giuridico, la proprietà. Tale concetto
è ben evidente nelle imprese personali e nelle società di
persone, in cui gli imprenditori rispondono senza
limiti; ma lo è anche nella società di capitali, salvo la
limitazione del rischio ai mezzi conferiti. Sono dunque i
concetti di titolarità (o proprietà) dell‟impresa che
fanno dell‟azionista un protagonista peculiare della vita
aziendale. Per questi motivi l‟interesse degli azionisti è
un obiettivo fondamentale e deve essere, quindi, alla
base di ogni programma, di ogni importante
investimento, di ogni politica d‟impresa. Tutto ciò
permette di porre l‟accento sull‟accrescimento del
valore del capitale (∆W), anziché sul dividendo, con
ripercussioni positive su fenomeni rilevanti per il
finanziamento dell‟impresa e per il contenimento del
costo del capitale proprio;
2) di larga accettazione, perché assicura la sopravvivenza ed il
successo a lungo termine per l‟impresa ed è quindi gradito
da tutti i suoi protagonisti diretti: oltre agli azionisti, anche
ai lavoratori ed ai managers. In particolare, da questi ultimi
tale obiettivo è più facilmente accettato rispetto al profitto,
che non di rado è visto come una negazione di politiche
razionali d‟investimento, i cui risultati maturano nel
medio/lungo termine;
3) stimolante per imprenditori e managers. Esso introduce un
trattamento diverso dei valori potenziali esistenti in impresa,
che spesso, la scarsa fantasia, atteggiamenti conservativi o
altre cause impediscono di far emergere. Induce, inoltre, alla
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ricerca accurata e continua di tutte le opportunità affinché il
valore del capitale sia esaltato;
4) infine, misurabile, caratteristica essenziale, perché è del tutto
inutile definire obiettivi non misurabili, per i quali non è
possibile verificare il loro grado di raggiungimento.
Un altro aspetto che merita di essere considerato e
dimostrato riguarda gli stakeholders. A questo proposito è nota la
tesi secondo la quale creare valore per gli azionisti significa creare
valore per tutti. Secondo alcuni studiosi, l‟evidenza empirica indica
che l‟accrescimento del valore per l‟azionista non si contrappone
agli interessi a lungo termine degli altri stakeholders. Le imprese
vincenti, infatti, creano valore per tutti: clienti, lavoro, pubblica
amministrazione e fornitori di capitale7.
I fattori chiave, individuati dalla teoria di creazione del
valore, per la valorizzazione e la valutazione del capitale aziendale,
su cui ci soffermeremo nel secondo capitolo, sono: il tasso di
profitto, la durata del profitto e il tasso di sviluppo sostenibile.
Le grandezze che entrano in gioco sono esprimibili secondo
molteplici modalità, a seconda del modello di analisi
specificatamente utilizzato.
Indipendentemente dal modo con cui sono formalmente
definiti, è necessario agire su questi indicatori ai fini della
creazione di nuovo valore.
Il che può avvenire per vie interne, attraverso:
la ricerca e il consolidamento di premianti vantaggi
competitivi nell‟ambito delle singole aree di affari in cui
l‟impresa è impegnata (modifica il tasso di profitto e la
relativa durata);
7
GUATRI LUIGI – Trattato sulla valutazione aziendale – Milano - Egea 1998
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lo sfruttamento di sinergie di tipo tecnico, tecnologico,
commerciale e finanziario tra le diverse aree di affari che
compongono il portafoglio di attività dell‟impresa (modifica il
tasso di profitto);
l‟attuazione di appropriate azioni di contenimento dei rischi,
sia nell‟ambito delle singole aree di affari, ad esempio
selezionando gli investimenti e controllando la qualità dei
processo, sia a livello complessivo, diversificando il
portafoglio di attività (modifica il premio sul rischio e quindi
il costo del capitale e, per tale via, il tasso di profitto e, a
volte, la durata)8;
ma può avvenire per vie esterne, attraverso:
la ricerca di vantaggi di tipo sinergico che possono essere
indotti dalla disponibilità di nuove risorse e potenzialità
conseguenti ad operazioni di acquisizione, di fusione e di
incorporazione (modifica il tasso di profitto);
l‟appropriazione di differenziali positivi di negoziazione tra il
valore economico del capitale e relativo valore di scambio o
conferimento nel caso di operazione di acquisizione, di
fusione e di incorporazione, beneficiando di una
rivalutazione da negoziazione, alla quale potranno
eventualmente aggiungersi i vantaggi di tipo sinergico di cui
al punto precedente;
l‟appropriazione di differenziali positivi di negoziazione tra il
valore di scambio o conferimento e valore economico del
capitale nel caso di operazione di cessione, di scissione e di
scorporazione, monetizzando il relativo plusvalore, sia che si
8
BRUSA LUIGI, ZAMPROGNA LUCIANA – Pianificazione e controllo di gestione.
Creazione di valore, cost accounting e reporting direzionale: tendenze evolutive. –
Etas 1991