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Questo spiega l’importanza della possibilità di recupero dei reflui urbani
depurati ed il loro riuso in agricoltura.
I vantaggi di questa strategia sono molteplici e vanno dall’incremento
immediato della disponibilità di acqua per le attività agricole al
miglioramento della qualità delle risorse idriche naturali, dovute alla
riduzione del carico di prelievo, ed alla salvaguardia di altri comparti
ambientali grazie alla riduzione degli sversamenti puntuali nei corpi
recettori.
La richiesta d’acqua per le coltivazioni rappresenta la maggior parte del
fabbisogno idrico: basti pensare che in Italia il 50-60% delle risorse idriche
vengono consumate in agricoltura.
Considerando che, anche se l’acqua ricopre oltre i due terzi della superficie
terrestre, appena il 2,5% delle risorse idriche planetarie è costituito da acqua
dolce che però è prevalentemente immobilizzata in ghiacciai o in falde
troppo profonde e inaccessibili e che solo l’1% dell’acqua dolce terrestre è
utilizzabile da parte dell’uomo, appare evidente l’importanza di poter
utilizzare le acque reflue depurate per l’irrigazione dei campi,
salvaguardando quelle di migliore qualità per usi prioritari, quali quelli
civili.
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1 STATO DELL’ARTE
1.1 Importanza del riuso delle acque reflue in agricoltura
L’interesse verso le pratiche volte al riutilizzo delle acque reflue è in
continuo sviluppo in tutto il mondo, tanto che l’Europa ha imposto, con l’art.
12 della Direttiva 91/271/CEE che “le acque reflue che siano state sottoposte
a trattamento devono essere riutilizzate, ogni qualvolta ciò risulti
appropriato”, in virtù anche della crescente richiesta di risorse idriche in tutti
i paesi europei.
Il riutilizzo delle acque reflue grezze per l’irrigazione in realtà è una pratica
molto diffusa e le sue origini risalgono ai tempi della civiltà greca e romana.
Tale pratica si è perpetuata fino ai giorni nostri anche grazie all’impiego di
nuove tecnologie di trattamento e all’evoluzione della legislazione al fine di
ridurre serie conseguenze per la salute pubblica e per l’ambiente.
Attualmente, nell’ambito delle problematiche di sostenibilità ambientale si
stanno studiando procedure di impiego irriguo di acque reflue urbane
depurate che permettano un risparmio delle risorse idriche convenzionali ed
una riduzione sia dell’inquinamento che dell’impatto ambientale.
I corpi idrici recettori, infatti, subiscono un continuo inquinamento,
soprattutto nella stagione estiva perché ricevono effluenti di depurazione
poco diluiti da acque meteoriche e presentano concentrazioni di inquinanti
molto elevate.
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In Italia il settore agricolo richiede ingenti quantità d’acqua per le
coltivazioni e consuma la maggior parte del fabbisogno idrico totale a
disposizione dei diversi comparti produttivi del nostro Paese.
Già nel 1980, i consumi annui di acqua sono stati valutati pari a 54 miliardi
di metri cubi e di questi il 60% sono da imputare a scopi agricoli, il 25% a
scopi industriali e solo il 15% a scopi civili.
A fronte di tali esigenze vi è un rifornimento meteorico annuo stimato di
circa 300 miliardi di metri cubi a cui però bisogna aggiungere anche
l’irregolare distribuzione areale e stagionale delle precipitazioni che
determina una situazione squilibrata e, localmente, di insufficienza ( Nurizzo
et al., 1989).
Inoltre, considerando che dei 300 miliardi di metri cubi di acqua meteorica,
circa il 40-45% rientra rapidamente nell’atmosfera per evaporazione,
un’analoga percentuale confluisce nelle acque superficiali, in gran parte
correnti, e solo il 10-15% si infiltra nel terreno andando ad alimentare le
risorse sotterranee, appare evidente l’importanza che riveste la possibilità di
aumentare la disponibilità di fonti idriche alternative per l’irrigazione.
Soprattutto nelle zone aride e semiaride, in cui la carenza stagionale di
risorse idriche convenzionali ed il loro sfruttamento non razionale rendono
problematici gli approvvigionamenti a scopo irriguo, l’uso delle acque reflue
diventa condizione indispensabile per ottenere produzioni agricole, per
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aumentarle e per svincolarle dall’andamento pluviometrico, rendendole
stabili nel tempo (Nurizzo et al., 1989).
In tali aree, la possibilità di utilizzare a scopo irriguo acque provenienti da
insediamenti civili è auspicabile, visto che , in media, il volume di acqua
sversato in fogna per ciascun abitante, si aggira sui 200 litri al giorno,
ovvero 73 mila litri all’anno pari a 7,3 milioni di m3 per un centro di
centomila abitanti.
Inoltre, un beneficio economico derivante dall’applicazione delle acque
reflue urbane depurate per uso irriguo, è rappresentato dalla presenza in esse
di azoto, fosforo e potassio.
Questi elementi possono raggiungere concentrazioni di 50 mg/L di N; 10
mg/L di P e 30 mg/L di K, il che significherebbe fornire al terreno 250, 50 e
150 Kg/ha di N, P e K rispettivamente, nel caso di un apporto irriguo di
5000 m3/ha di acqua (FAO, 1992).
Tuttavia esistono rischi di natura legislativa, igienico sanitaria e agronomica
connessi all’uso delle acque reflue urbane depurate.
Il rischio igienico è rappresentato da possibili infezioni a carico degli
operatori agricoli, dei prodotti destinati al consumo fresco irrigati con tali
acque e dell’inquinamento delle falde; il rischio sanitario e ambientale è
rappresentato da problemi di origine biochimica, per l’eventuale presenza
nei reflui di elementi o composti di natura tossica e/o nociva poco
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degradabili e quindi tendenti ad accumularsi ed a permanere nelle
componenti biotiche e abiotiche.
A ciò si aggiungono rischi di natura agronomica dovuti ad un
peggioramento delle caratteristiche del terreno di natura chimica, fisica e
microbiologica nonché a rischi di salinizzazione e di accumulo di metalli
pesanti.
Sono stati condotti, finora, numerosi studi sulla qualità delle acque reflue
depurate e sugli eventuali rischi connessi al loro utilizzo ma non esiste
ancora un regolamento unico, valido per le zone mediterranee.
Le numerose proposte, elaborate in diversi Paesi esteri su questo tema,
focalizzano gran parte dell’attenzione sui parametri di qualità
microbiologica (viste le possibili ripercussioni in termini di rischio igienico-
sanitario), fissandone i limiti in funzione del metodo irriguo adottato e delle
colture praticate (Lonigro et al., 2007).
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1.2 Caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche delle
acque reflue urbane depurate
Caratteristiche chimico-fisiche
I reflui urbani, da un punto di vista chimico, sono costituiti da una soluzione
acquosa debolmente alcalina, molto diluita, contenente sostanze organiche
ed inorganiche, solidi sospesi grandi e piccoli e dispersioni colloidali.
Le caratteristiche delle acque effluenti da depuratore con trattamento a
fanghi attivi, che è il trattamento maggiormente adottato, prescindendo dalle
variazioni dovute alle abitudini alimentari e di vita degli abitanti della zona,
sono pressoché costanti nel tempo.
I reflui urbani depurati contengono circa il 99,9% di acqua, lo 0,02-0,03% di
sostanze solide in sospensione e altre sostanze organiche e inorganiche
insolubili per la percentuale residua.
La quantità di sostanze solide può apparire minima ma, considerando
l’enorme volume di materiale trattato dagli impianti di depurazione, queste
raggiungono valori di tonnellate.
I costituenti chimici, sebbene presenti in basse concentrazioni, rivestono
notevole importanza e sono soggetti a variazioni, sia tra le diverse comunità
urbane, sia all’interno della stessa comunità, anche a brevi intervalli di
tempo.
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Le sostanze chimiche inorganiche presenti nelle acque potabili si ritrovano
anche nelle acque reflue, mentre i composti organici provengono dalle
deiezioni umane e da altri rifiuti urbani.
I composti organici presenti nelle acque reflue possono essere classificati
come azotati e non azotati.
I principali composti azotati sono urea, proteine, ammine e aminoacidi; i non
azotati comprendono carboidrati, lipidi, detergenti.
Tra questi ultimi, alcuni detergenti sintetici sono resistenti alla degradazione
microbica.
Alcune sostanze presenti nelle acque reflue sono inquinanti e possono essere
raggruppati in classi diverse a seconda della loro natura e degli effetti che
producono.
Le classi sono essenzialmente tre: materiali galleggianti, materiali in
sospensione e materiali disciolti.
I materiali galleggianti sono tutte le sostanze più leggere dell’acqua e le
sostanze insolubili come grassi, oli e schiume, che si stratificano in
superficie ed impediscono il passaggio delle radiazioni solari necessarie ai
processi di fotosintesi delle piante acquatiche.
Gli oli, in particolare, creano una barriera ostacolo per l’arieggiamento
dell’acqua, inibiscono la vita dei microrganismi acquatici e distruggono la
vegetazione.
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Sono inoltre pericolosi perché infiammabili perciò se presenti in elevate
concentrazioni possono, in determinate circostanze, essere causa di incendi.
I materiali in sospensione sono sostanze insolubili di peso uguale o
superiore a quello dell’acqua; mantenendosi in sospensione nel liquido,
rallentano l’attività dei microrganismi; nel tempo sedimentano come fango
sul fondo dei corpi recettori e creano ostacolo all’alimentazione dei pesci.
Inoltre, poiché si trovano in un ambiente povero di ossigeno, possono dare
origine a fenomeni di putrefazione.
I materiali disciolti, più numerosi dei precedenti, sono gli acidi, i sali
metallici, gli insetticidi, i cianuri e tutti i prodotti tossici che rendono
impossibile la vita acquatica e rendono l’acqua non potabile.
Le sostanze organiche disciolte e l’ammoniaca possono essere attaccate e
trasformate dai microrganismi che utilizzano l’ossigeno dell’acqua.
Anche alcuni prodotti chimici riducenti come i sedimenti e i materiali
organici consumano l’ossigeno disciolto mentre altre sostanze organiche,
come pesticidi, tensioattivi, ecc., mantengono inalterate le loro
caratteristiche, in quanto refrattarie alla degradazione biologica.
Caratteristiche microbiologiche
I reflui urbani provenienti da depuratore, dopo il processo di trattamento
tradizionale, non presentano ancora i requisiti idonei all’uso irriguo ma
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necessitano di un ulteriore fase di affinamento, mirata ad abbattere la carica
microbica.
Sotto l’aspetto igienico-sanitario, le acque di fogna contengono ingenti
quantità di microrganismi, parte dei quali sono patogeni per l’uomo e per gli
animali (batteri, virus, funghi, protozoi).
Mentre la composizione chimica dei reflui urbani di origine domestica è
all’incirca la stessa nelle varie aree urbane, con piccole differenze dovute
alle abitudini delle popolazioni, le caratteristiche microbiologiche, che
dipendono da organismi saprofiti e organismi patogeni provenienti dalla
flora intestinale, risentono molto delle condizioni di vita dei diversi
ambienti; infatti mentre i Coliformi fecali, rilasciati da ogni individuo, sono
più o meno uniformemente distribuiti nei reflui, con valori variabili tra 106 e
109/ 100 ml di liquame, i patogeni, proprio perché eliminati solo da alcuni
soggetti (malati e portatori sani) e solo in alcune ore del giorno, sono in
numero molto più basso e non uniformemente distribuiti.
Per poter comprendere le caratteristiche microbiologiche delle acque reflue
urbane, è opportuno approfondire lo studio dei microrganismi e distinguere
gli “indicatori” dai patogeni.
La ricerca di indicatori della qualità dell’acqua reflua urbana serve ad
ottenere nel più breve tempo possibile indicazioni circa l’indice di
patogenicità.
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I criteri generali che regolano la scelta di un microrganismo o di un gruppo
di microrganismi come indicatori di contaminazione fecale sono basati su:
1) contemporanea presenza o assenza dell’indicatore e del patogeno;
2) presenza dell’indicatore e del patogeno in rapporti numerici costanti;
3) paragonabilità della resistenza del patogeno e dell’indicatore alle
condizioni ambientali;
4) facilità di rilevazione dell’indicatore.
In base a questi criteri, gli indicatori di contaminazione individuati sono:
Coliformi totali, Coliformi fecali e Streptococchi fecali, a cui vanno aggiunti
i batteri eterotrofi e le spore di Clostridi solfito-riduttori.
Nell’ultima edizione delle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità si evidenzia che l’assenza di Escherichia coli e di Streptococchi fecali
non da la certezza dell’assenza di alcuni protozoi quali Cryptosporidium e
Giardia, nonché di virus enterici più resistenti alla disinfezione rispetto ai
tradizionali indicatori batterici di contaminazione fecale; pertanto si pone il
problema di individuare altri microrganismi capaci di assumere la funzione
di indicatori della presenza di Cryptosporidium, Giardia, virus enterici e di
altri eventuali patogeni.