1 INTRODUZIONE
Attualmente i cambiamenti climatici destano non poche preoccupazioni: le continue
emissioni dei gas serra (GHG) da parte dell’uomo, contribuiscono all’aumento del
Greenhouse Effect (Effetto Serra) che genera il cosiddetto “Global Warming”
(Riscaldamento Globale), determinando l’aumento della temperatura di tutte le componenti
del sistema climatico (aria, acqua e suolo) e generando cambiamenti climatici irreversibili
che si riflettono su interi ecosistemi e sull’uomo stesso (IPCC, 2014). Dal rapporto
dell’IPCC (2013), nel periodo 1880-2012, i dati combinati della temperatura superficiale
media globale di terra e oceano, mostrano un riscaldamento pari a 0.85 °C che segue di
pari passo l’incremento osservato delle emissioni dei gas antropogenici (GHG).
Le concentrazioni atmosferiche dei gas serra, anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e
protossido di azoto (N2O), sono tutte aumentate dal 1750 e nel 2011 le concentrazioni di
questi GHG erano rispettivamente di 391 ppm, 1803 ppb, e 324 ppb, e superavano i livelli
pre-industriali di circa il 40%, 150%, e 20% (IPCC, 2013).
Nel 2010, il totale di emissioni di CO2-eq è stato pari a 49 GtCO2-eq con una ripartizione
di inquinamento che vede l’AFOLU (Agriculture, Forestry and Other Land Use), che
considera emissioni di CO2 da incendi boschivi e decomposizione della sostanza organica,
al secondo posto come emissioni dirette, pari al 24% delle emissioni totali (Figura 1).
Figura 1: ripartizione in termini percentuali del peso dei vari settori riguardanti le emissioni dei Gas
Serra, relativi all’anno 2010 (fonte: IPCC, 2014).
L'aumento delle temperature ha determinato lo scioglimento dei ghiacciai, in particolare,
dei ghiacciai perenni dell'Antartide e della Groenlandia. Secondo i dati forniti dall'IPCC
2007 che ammettono una probabilità di errore pari al 10%, tra il 1971 e il 2009 ogni anno
si sarebbe verificata una riduzione dei ghiacciai di 226 miliardi di tonnellate (t). Tale
valore medio sale a 275 miliardi se si considera solamente il periodo 1993-2009, rendendo
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evidente il fatto che questo fenomeno sta peggiorando. A causa dello scioglimento dei
ghiacci e della dilatazione termica dell'acqua, tra il 1901 e il 2010 i livelli dei mari sono
aumentati di 1.7 mm ogni anno, ciò vuol dire quasi 18 centimetri in più. Questo
incremento annuo del livello dei mari sale a quota 3.2 mm se si considera solamente il
periodo 1993-2010. Secondo le stime effettuate dall'IPCC nel 2007, entro la fine del secolo
il livello dei mari potrebbe innalzarsi di 59 centimetri (Consiglio, 2014).
Altro fenomeno legato al Global Warming, è l’aumento della probabilità di eventi estremi.
Si tratta di linee temporalesche molto intense (eventi di breve durata e forte intensità) che
producono ingenti quantitativi di precipitazioni o di neve, in inverno, generando una
diminuzione della temperatura di parecchi gradi centigradi in poche ore; al contrario
invece, in estate, persistono una diminuzione sensibile delle precipitazioni medie e in
contemporanea lunghi periodi siccitosi.
L’aumento di piogge intense e di breve durata è strettamente correlato all’aumento della
temperatura terrestre: infatti un pianeta più “caldo” è potenzialmente più “umido” dal
momento che il vapore acqueo che può stare in un’atmosfera calda, prima che arrivi a
saturazione, è molto maggiore di quello che può esistere in una atmosfera fredda (la
pressione del vapore saturo cresce con la temperatura, come noto dalla termodinamica).
Attualmente, in Italia, emerge una sensibile e significativa diminuzione del numero totale
di precipitazioni, mediamente del 12 %, dal 1880 al 2013 (Cacciamani, 2013), con un
aumento di eventi difformi per quanto concerne quelli di alta e bassa intensità, con
l’aumento dei primi e la diminuzione dei secondi (Nanni et al, 2007).
Le colture da biomassa rappresentano una valida alternativa ai combustibili fossili,
permettendo di ricavare energia e mitigare i cambiamenti climatici: infatti l’utilizzazione
delle biomasse per fini energetici non contribuisce ad aumentare l’effetto serra, poiché
l’anidride carbonica (CO
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) che viene rilasciata durante il processo di conversione
energetica, è equivalente a quella assorbita durante la crescita della biomassa stessa.
Quindi se le biomasse consumate, sono rimpiazzate con altre, non vi è alcun contributo
netto all’aumento del livello di CO
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in atmosfera.
Ciò è possibile grazie a due processi che le colture da biomassa svolgono sia in maniera
diretta che indiretta. Nel primo caso parliamo della fotosintesi clorofilliana. Mediante tale
processo, le piante assorbono anidride carbonica e acqua, le quali sono trasformate,
attraverso l’apporto dell’energia solare e degli elementi nutritivi, in materiale organico
utile alla crescita delle piante. In questo modo sono fissate circa 2 x 10
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t di C all’anno,
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con un contenuto energetico equivalente a 70 miliardi di tep (tonnellate equivalenti
petrolio), circa 10 volte l’attuale fabbisogno energetico mondiale (Bartoletti, 2012).
L’alternativa ai combustibili è valida, nel momento in cui, le emissioni di CO
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per la
produzione delle colture da biomassa, non siano consistenti. Ad esempio è opinione
comune, che la produzione di biocarburanti (bioetanolo convenzionale o di prima
generazione) da colture oleaginose (colza, palma da olio) e colture zuccherine
(barbabietola da zucchero) abbia un impatto di CO
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atmosferico neutrale. Infatti secondo
alcuni sostenitori, bruciarli significherebbe semplicemente emettere nell’atmosfera
l’anidride carbonica che le piante hanno assorbito dall’atmosfera durante il loro ciclo
vitale. Ciò è falso, in quanto i bilanci energetici ed i risparmi di carbonio (C) non sono
positivi, poiché s’ignorano, forse volutamente, le emissioni di CO
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ed i costi energetici
relativi alla semina, alle fertilizzazioni, ai trattamenti, alla mietitura, alla trebbiatura, al
trasporto, alla conservazione, alla trasformazione, alla raffinazione, alla distillazione, ed
alle infrastrutture.
I bilanci diventano ancora più negativi se i biocarburanti o la materia prima per produrli
devono essere trasportati da un paese all’altro (Perrino, 2007)
La soluzione potrebbe essere l’utilizzo di bioetanolo di seconda generazione, ottenuto da
scarti e colture da biomassa no-food (A. donax, M x gigantheus ecc), separando i
componenti fermentabili della parete cellulare, quali l’emicellulosa e la cellulosa, dalla
lignina, attraverso il processo di pretrattamento che può essere acido o acquoso (steam
explosion) e idrolizzandoli per ottenere zuccheri semplici (Marrone e Arioli, 2009).
Attualmente l’idrolizzazione enzimatica, risulta essere ancora troppo esosa a causa
dell’alto costo delle cellulasi coinvolte, gli enzimi adibiti a tale operazione. Infatti quelli
più utilizzati (derivanti dall’attività fungina), oltre ad essere brevettati (e questo già ne
motiva l’elevato costo), hanno sia una bassa velocità di reazione che un’elevata instabilità.
Infatti il glucosio (prodotto di reazione) può inibire l’attività cellulasica, in particolar modo
la β-glucosidasi, rallentando la velocità di trasformazione del cellobiosio (prodotto
intermedio) in glucosio stesso (Ricci et al, 2001). Questo accade laddove l’idrolisi
enzimatica e la fermentazione avvengono separatamente (SHF, Separate Hydrolysis and
Fermentation). Invece effettuando simultaneamente le due reazioni, la produttività del
processo tende ad aumentare, poiché il glucosio viene, convertito dal microrganismo
interessato (di solito del genere Saccharomyces), continuamente in etanolo (SSF,
Simultaneous Saccharification and Fermentation,) Come alternativa, un gruppo di
scienziati danesi, ha individuato un acido denominato HSO3H, ricavato dalla lolla riso, che
corrisponde al cascame derivante dalla “sbramatura” del risone, il riso grezzo dopo la
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trebbiatura. Dalla sua combustione si ricava una grande quantità di ceneri che, contenendo
un’alta percentuale di silicato ed unendola all’acido clorosolfonico, si ottiene la
molecola HSO3H. Questo acido, proprio come farebbero le cellulasi utilizzate
dall’industria dei biocarburanti, degrada la cellulosa della biomassa trasformandola in
zuccheri semplici (glucosio). Da essi si ricava poi il bioetanolo, impiegato come
combustibile (University of Southern Denmark, 2014). L’acido HSO3H, economico,
riutilizzabile e non brevettabile, è pertanto disponibile su larga scala, così come la
cellulosa. La produzione di bioetanolo si appresta in tal modo a diventare più conveniente
ed ecologica.
Inoltre, il processo di conversione del bioetanolo di seconda generazione, consente di
utilizzare una frazione maggiore della biomassa prodotta o addirittura l’intera pianta, cosa
che si traduce immediatamente in bilanci energetici ed ambientali molto più vantaggiosi
rispetto a quelli dei biocarburanti convenzionali e derivanti da colture oleaginose e
zuccherine.
Invece, in maniera indiretta, le colture da biomassa favoriscono l’accumulo di CO
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all’interno del suolo sottoforma di sostanza organica (carbonio organico): infatti tutta la
biomassa morta si decompone ad opera di funghi e batteri fino a trasformarsi nel prodotto
ultimo che è l’humus. La sostanza organica nel suolo rappresenta la principale riserva
terrestre di carbonio (C) con 1500 miliardi di t, mentre nell’atmosfera sono presenti circa
720 miliardi di t sotto forma di CO
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e solo 560 miliardi di t si trovano nella biomassa
vegetale (Celi, 2003).
Per accumulare C organico nel suolo, sono più efficienti le colture poliennali in quanto
richiedono minori lavorazioni del terreno che sono il principale fattore di degradazione
della sostanza organica e delle conseguenti perdite di C dal suolo (Fagnano e Quaglietta,
2009)
Da Sarkhot et al, (2014) è riportato l’impatto sul pool di C nel suolo, a seguito della
presenza dell’Arundo donax L. negli ultimi 40 anni e del Cynodon dactylon L. negli ultimi
30 anni, in un sito sperimentale a Quemado in Texas. Quindi sono state valutate tutte le
frazioni di C ossia, il Carbonio Totale (TCc), Il Carbonio disponibile nel Suolo (estratto
con acqua calda HCc), Il Carbonio Organico (OCc) e il Carbonio Inorganico (ICc), per poi,
stimarle in orizzonti di suolo (ogni 10 cm) tra i 0 e i 50 cm. Per ognuno di essi, laddove era
presente l’A. donax qualsiasi tipo di C nel suolo era maggiore rispetto a suoli in cui era
presente il C. dactylon.
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