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I negoziati bilaterali tuttavia, non consentono di trarre tutti i benefici associati al coordinamento
internazionale delle politiche commerciali.
Innanzitutto i vantaggi di un accordo bilaterale possono ricadere su Paesi terzi che non hanno
contratto alcun obbligo. Per esempio, la Colombia trarrebbe vantaggio da un aumento del prezzo
mondiale del caffè, conseguenza di un eventuale accordo tra Brasile e Stati Uniti che riducesse il
dazio imposto da questi ultimi. Inoltre vi possono essere accordi che per risultare vantaggiosi
devono includere più Paesi: gli Stati Uniti vendono maggiormente sui mercati europei, l’Europa
vende di più all’Arabia Saudita, questa esporta di più in Giappone, il Giappone vende di più negli
Stati Uniti.
Il passo successivo nella liberalizzazione del commercio internazionale era quindi, la promozione di
negoziati multilaterali che includessero un certo numero di Paesi.
I negoziati multilaterali iniziarono subito dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Inizialmente,
i diplomatici delle nazioni vittoriose si attendevano di condurre le negoziazioni sotto l’egidia di
un’istituzione ( International Trade Organization, ITO), creata allo scopo, parallelamente al Fondo
Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale.
Nel 1947, stanchi di aspettare la nascita dell’ITO, un gruppo di 23 nazioni iniziò i negoziati sulla
base di un insieme provvisorio di regole che divenne famoso come l’Accordo Generale sui Dazi e
il Commercio ( General Agreement on Tariffs and Trade, GATT).
L’ITO non vide mai la luce a causa di varie opposizioni di natura politica principalmente da parte
degli Stati Uniti. Così, un accordo provvisorio fini per regolamentare il commercio internazionale
mondiale per il successivi quarantotto anni.
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1.2 Definizione obiettivi, linee guida, round
Come detto, il GATT era ufficialmente un accordo, non un’organizzazione (i Paesi che
partecipavano all’accordo erano considerati “parti contraenti”, non Paesi membri) ma di fatto il
GATT ha sempre avuto un segretario permanente a Ginevra.
Nel 1995 venne istituita l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC o WTO),
l’organizzazione formale immaginata cinquant’anni prima.
Il GATT rimane ancora in vigore e la logica fondamentale del sistema rimane la stessa.
Un modo di pensare al sistema GATT-WTO è attraverso un’analogia meccanica; è come un
ingranaggio con la funzione di spingere un oggetto molto pesante: l’economia mondiale su una
strada in salita che è il sentiero verso il libero scambio. Per arrivarci servono sia “leve”, per
spingere l’oggetto nella direzione giusta, sia “freni” per evitare che scivoli all’indietro.
Lo strumento principale di freno è il sistema di binding. Quando un dazio è fissato (bound), il Paese
che lo impone si impegna a non alzarlo in futuro. Al momento, quasi tutti i dazi imposti dai Paesi
avanzati sono fissati, così come tre quarti di quelli imposti dai Paesi in via di sviluppo. C’è un certo
margine di manovra nel processo: è possibile che un Paese aumenti un dazio se gli altri Paesi
acconsentono, anche se solitamente in cambio viene richiesta la riduzione di un altro dazio. Questo
sistema di controllo è risultato particolarmente efficace, in quanto negli untimi cinquant’anni sono
molti pochi i dazi che hanno registrato aumenti.
Oltre a fissare i dazi il sistema GATT-WTO in generale cerca di prevenire barriere non tariffarie
agli scambi. I sussidi all’export sono vietati. Unica eccezione è rappresentata dai prodotti agricoli,
di cui, Unione Europea e più di recente stati Uniti hanno sempre approfittato.
Da ricerche è emerso che gran parte del costo effettivo della protezione negli Stati Uniti deriva dalle
quote sulle importazioni. Il sistema GATT-WTO, di fatto, è piuttosto accomodante nei confronti
delle quote esistenti, nonostante lo sforzo di rimuovere tali quote trasformandole in dazi. Nuove
quote alle importazioni sono, in generale, vietate tranne nel caso in cui rappresentino misure
temporanee per fronteggiare particolari situazioni di mercato, come quote temporanee per far fronte
a un improvviso aumento delle importazioni dannoso per i produttori nazionali ( una delle
motivazioni usate dall’amministrazione Bush nel 2002 per introdurre barriere all’importazione di
acciaio negli Stati Uniti) .
La leva usata per fare ulteriori progressi in direzione del libero scambio è il processo di negoziato
commerciale (trade round), in cui un grande gruppo di Paesi si riunisce per negoziare un insieme di
riduzioni e dazi e di altre misure per liberalizzare il commercio.
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Dal 1947, sono stati organizzato otto negoziati, l’ultimo dei quali, l’Uruguay Round terminato nel
1994, ha costituito l’OMC, o WTO. L’apertura di un nuovo negoziato nel 1999 a Seattle è fallito.
Nel 2001 è iniziato a Doha nel Golfo Persico il successivo negoziato.
I primi 5 round del GATT avvennero nella forma di negoziati bilaterali “paralleli”, in cui ogni
Paese trattava contemporaneamente con una serie di altri Paesi, due a due. La Germania per
esempio, considerando l’opportunità di offrire una riduzione dei dazi che avrebbe favorito Francia
e Italia, poteva chiedere in cambio ad entrambi i Paesi concessioni reciproche dello stesso genere.
La possibilità di estendere gli accordi ad un maggior numero di Paesi, insieme alla ripresa
economica mondiale successiva alla guerra, contribuirono a una sostanziale riduzione delle barriere
tariffarie.
Il sesto accordo commerciale multilaterale, noto come Kennedy Round, fu completato nel 1967.
esso comportava una riduzione generalizzata del 50% su tutti i dazi vigenti da parte dei principali
Paesi industrializzati, eccezion fatta per alcuni specifici settori industriali, i cui dazi rimasero
immutati. In effetti, l’oggetto principale delle trattative fu proprio l’identificazione dei settori che
non sarebbero stati toccati dalla riduzione, invece che le dimensioni della riduzione stessa per i
settori non soggetti ad esenzioni particolari. Nel complesso, il Kennedy Ruond comportò una
diminuzione media dei dazi pari al 35%.
Il cosiddetto Tokyo Round delle trattative commerciali, completato nel 1979, ridusse i dazi tramite
uno schema più complesso di quello utilizzato dal Kennedy Round. Furono inoltre imposte nuove
regole, nel tentativo di contenere la proliferazione di barriere non tariffarie, quali la limitazione
volontaria delle esportazioni e gli orderly marketing agreements.
Infine nel 1994, l’ottavo Round (l’Uruguay Round) in materia di negoziati commerciali
multilaterali si concluse. Negli stati Uniti, l’approvazione di questo round di negoziati avvenne
dopo un dibattito molto teso al Congresso.
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1.3 Liberalizzazione Commerciale
L’Uruguay Round, come i precedenti negoziati GATT, ha ridotto i dazi doganali in molti Paesi del
mondo. I numeri possono sembrare impressionanti: il dazio medio imposto dai Paesi avanzati
scenderà quasi del 40%. Tuttavia, i dazi erano già abbastanza bassi. Infatti, il dazio medio scenderà
solo dal 6,3% al 3,9% e produrrà solo un modesto aumento del commercio mondiale.
Più importante della riduzione complessiva dei dazi è l’accordo di liberalizzare il commercio in 2
settori molto importanti: agricoltura e abbigliamento.
Il commercio mondiale dei prodotti agricoli è stato sempre molto distorto. Il Giappone è noto per le
restrizioni alle importazioni di riso, manzo e altri generi alimentari, i cui prezzi interni sono molto
più alti di quelli mondiali.
All’inizio dell’Uruguay Round gli Stati Uniti avevano un obiettivo ambizioso: la liberalizzazione
commerciale dei prodotti agricoli entro il 2000.
I risultati conseguiti sono invece, piuttosto modesti, anche se comunque significativi.
L’accordo ha richiesto ai Paesi esportatori di prodotti agricoli di ridurre il valore dei sussidi del 36%
e il volume delle esportazioni sussidiate del 21% in un periodo di sei anni. I Paesi che proteggono i
loro agricoltori con quote, come il Giappone, hanno dovuto sostituire le quote con dazi, che in
futuro non potranno essere aumentati.
Il commercio mondiale di tessile ed abbigliamento è stato anch’esso fortemente distorto
dall’Accordo Multifibre.
L’Uruguay Round eliminerà tale accordo nel giro di dieci anni, togliendo tutte le restrizioni
quantitative al commercio di tessile e abbigliamento (anche se alcuni dazi piuttosto elevati
continueranno a rimanere). Questa liberalizzazione è stata comunque, abbastanza radicale (se si
pensa che alcune stime suggeriscono che la protezione del settore impone ai consumatori
statunitensi un costo superiore a quello sopportato a causa di tutte le altre forme di protezionismo
nel loro insieme).
È opportuno ricordare, però, che il modo scelto per eliminare l’Accordo Multifibre è molto
rischioso: gran parte della liberalizzazione sarà posticipata verso la fine del periodo di transizione,
cioè tra il 2003 e il 2004. per questo, alcuni esperti di commercio internazionale sono preoccupati
circa la credibilità di impegni simili presi a lungo termine, e si chiedono se davvero un accordo
firmato nel 1994 possa costringere i politici a prendere misure politicamente difficili dieci anni
dopo.
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Un’altra importante misura commerciale introdotta con l’Uruguay Round è un nuovo insieme di
regole sugli appalti pubblici, cioè gli acquisti effettuati non dalle imprese, o dai consumatori privati,
ma dagli enti pubblici. Il sistema degli appalti è stato a lungo una forma di protezionismo per molti
tipi di beni, dai mezzi di trasporto, al materiale per costruzioni.
L’Uruguay round ha introdotto nuove regole che dovrebbero aprire numerosi contratti pubblici ai
prodotti importati.
1.4 Costi e Benefici
L’impatto economico dell’Uruguay Round è difficile da valutare. Se non altro, si pensi che per fare
una stima, si dovrebbe tradurre un documento immenso da un linguaggio impenetrabile (quello
legale), in un altro linguaggio altrettanto difficile (quello economico), e poi mettere tutto a computer
per modelizzare l’economia mondiale. La questione è ancora più difficile se si pensa che molte
delle misure più importanti sono posticipate, e non entrano in vigore, se non dopo quasi un decennio
dalla firma dell’accordo.
Le stime di gran lunga più citate sono quelle dello stesso WTO e dell’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), un altro organismo internazionale che riunisce
solo i Paesi più ricchi, con sede a Parigi.
Entrambe le stime suggeriscono un guadagno complessivo di oltre 200 miliardi di dollari ogni anno,
una volta che l’accordo sarà pienamente operativo; questo aumenterebbe il reddito reale mondiale
dell’1% circa.
Come sempre ci sono però, stime discordanti da entrambe le parti.
Alcuni economisti sostengono che i guadagni stimati sono esagerati, soprattutto perchè assumono
che le esportazioni e le importazioni reagiranno fortemente alla nuova liberalizzazione.
Una minoranza, probabilmente più numerosa di economisti, sostiene, invece, che queste stime sono
troppo basse, in quanto, non prendono in considerazione gli aspetti “dinamici” del commercio
mondiale.
In ogni caso, è chiaro che, verrà applicata la stessa logica della liberalizzazione commerciale: i costi
dell’Uruguay Round verranno sopportati da gruppi ben definiti, e, in generale, anche ben
organizzati, mentre gran parte dei benefici andranno alla maggior parte della popolazione.
Il progresso nel settore agricolo danneggerà direttamente i piccoli ma influenzerà gruppi di
agricoltori europei, giapponesi, e di altri Paesi, dove i prezzi agricoli sono molto più superiori ai
livelli mondiali.
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Queste perdite dovrebbero essere più che compensate da guadagni ai consumatori e ai contribuenti
di quei Paesi, ma poiché questi benefici saranno più che ampiamente diffusi tra la popolazione,
potrebbero rischiare di non essere percepiti come tali.
Analogamente, la liberalizzazione del commercio del settore tessile e abbigliamento arrecherà
danno ai lavoratori e alle imprese di quei settori; queste perdite saranno più che compensate dai
benefici (anche se forse meno visibili) per i consumatori.
Dato il forte impatto redistributivo dell’Uruguay Round, è davvero sorprendente che tale accordo
sia stato effettivamente firmato. Infatti, dopo il fallito tentativo di raggiungere l’accordo nel 1990,
molti commentatori incominciarono a pensare che l’intero processo di negoziazione commerciale
fosse perduto.
La firma dell’accordo, seppure in versione più modesta di quella proposta originariamente, è da
attribuire ad un intricato insieme di calcoli politici.
Negli Stati Uniti, i guadagni a favore degli esportatori agricoli, e quelli potenziali a favore degli
esportatori di servizi (se il GATS darà l’avvio ad una sostanziale liberalizzazione), hanno
contribuito a smorzare le lamentele del settore dell’abbigliamento.
Inoltre, alcune “concessioni” negoziate nell’ambito dell’accordo, erano una scusante per introdurre
dei cambiamenti di politica economica che prima o poi sarebbero stati necessari.
Per esempio, il costo della Politica Agricola Comune europea, pesava già molto sul deficit del
bilancio comunitario, cosicché una sua riforma sarebbe stata in ogni caso necessaria.
Tuttavia, un fattore di importante successo finale nel round fu il timore di cosa sarebbe successo se
il round fosse invece fallito. Nel 1993, le correnti protezionistiche erano molto forti negli Stati Uniti
e altrove. I negoziatori commerciali dei Paesi che avrebbero potuto rifiutare di firmare l’accordo (
come Francia, Giappone, Corea del Sud, dove le lobby agricole erano fortemente contrarie alla
liberalizzazione commerciale) temevano che il fallimento dell’accordo sarebbe stato pericoloso.
Temevano, cioè, che un mancato accordo non significasse semplicemente un rallentamento del
progresso verso il libero scambio, ma un regresso rispetto ai risultati raggiunti nei quattro decenni
precedenti.