PREMESSA
Sono circa 500 000 gli alunni con cittadinanza non italiana che frequentano la scuola
nel nostro paese. Il cambiamento è stato rapidissimo. L’incremento è stato di circa
60 000/70 000 unità all’anno, negli anni che vanno dal 96/97. A questo punto la
scuola e gli insegnanti sono costretti a porsi delle domande, e a trovare, dove è
possibile, delle risposte.
Sono tanti o sono pochi?. La risposta a questa semplice domanda, in un ambiente
come quello scolastico, determina l’acquisizione di un orientamento,che abbia come
obiettivo il coronamento di un processo per l’acquisizione di cittadinanza. La situazione
attuale, in Europa, riguardo a questo ambito è la seguente.
Se negli altri paesi citati nella tabella, appare con una certa chiarezza che la presenza
degli alunni stranieri è stata sempre stabile, nel nostro paese il fenomeno ha subito
delle forti accelerazioni, che forse, in qualche caso, ha trovato impreparata la scuola
italiana.
La presenza di alunni stranieri nella scuola italiana era di 50 000 alunni nell’anno
scolastico 1995/96, raggiungendo i numeri attuali, citati poco sopra.
All’interno di questi dati l’istituzione deve porsi ulteriori riflessioni sui percorsi da
seguire.
La tipologia delle presenze evidenzia un paesaggio scolastico all’insegna della
molteplicità delle cittadinanze: sono 191 i paesi d’origine degli alunni stranieri nella
nostra scuola. Si conferma un aumento significativo dell’incidenza delle cittadinanze
dei paesi dell’ Est europeo, Romania soprattutto, che passa, in due anni, dal 9,7% al
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12,4%, ma anche Ucraina e Moldavia. È leggermente diminuito, invece, il peso
della presenza degli alunni stranieri provenienti da Albania e Marocco.
Sempre negli ultimi due anni i bambini provenienti dall’Albania passano dal 17,7% sul
totale degli alunni stranieri al 16,3%, per i bambini provenienti dal Marocco si passa
dal 14,9% al 14%. Questi due paesi rimangono, tuttavia, al primo e al secondo
posto nella classifica delle cittadinanze più rappresentate rispettivamente con 69.374
e 59.489 alunni, la Romania è al terzo posto con 52.821 presenze.
Il totale degli alunni con cittadinanza non italiana provenienti da paesi a prevalente
tradizione islamica è circa un terzo del totale degli allievi stranieri.
È chiaro quindi che l’insegnante è costretto a interrogarsi, e a trovare delle risposte,
che in parte le potrà trovare nella formazione individuale e professionale. Se la scelta
della nostra scuola è quella della competenza interculturale, il percorso dell’insegnante
deve essere declinato attraverso competenze specifiche. e percorsi formativi; la
formazione iniziale del docente diventa un tema di primaria importanza. In un
progetto di trasformazione dell’esistente, in un mutamento di prospettiva, in senso
interculturale, gli insegnanti costituiscono la risorsa più importante. È quindi
necessario disporre di un sistema di formazione iniziale e in servizio in modo da poter
fornire ai docenti gli strumenti per arricchire una professionalità, di per sé già
complessa e in via di forte ridefinizione. Dal mio punto di vista, per chi ha voglia di
intraprendere questa strada , questo tipo di itinerario, dovrebbe essere considerato
prioritario.
A questo punto diventa fondamentale perseguire un indirizzo iniziale. A livello europeo
gli indirizzi culturali sono variegati, specialmente nei paesi con maggiore tradizione
migratoria, ma alla luce degli ultimi accadimenti, la scuola e la società si stanno
interrogando se l’integrazione, e nello specifico l’integrazione scolastica ha funzionato.
Sembra chiaro che sotto il profilo concettuale si tratta di superare il modello
etnocentrico basato sulla affermazione gerarchica e valutativa della bontà e della
validità delle diverse culture, valorizzando, invece la possibilità di far convivere e
coesistere, all’interno dei medesimi confini, patrimoni culturali, usi , convinzioni etiche
e religiose, e modelli di vita distanti, se non, talvolta, inconcilianti.
La strada da intraprendere deve essere quella del riconoscimento del “patrimonio
culturale” come diritto inalienabile di tutti gli individui e della conseguente produzione
di iniziative finalizzate al raggiungimento di un’organizzazione sociale, ai diversi livelli,
e nelle diverse articolazioni che tengano conto delle numerose diversità, esigenze e
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compatibilità culturali. È chiaro, in questo senso, che l’approccio istituzionale della
scuola e di suoi operatori deve essere inteso in senso interculturale.
Ovviamente, in questa prospettiva, sono necessarie nuove figure professionali, che,
se, da una parte hanno una funzione di mediazione interculturale, dall’altra fungono
da mediazione linguistica. Nel primo caso, il mediatore avrà il ruolo di intermediario
per la realizzazione di una più facile comprensione, stabilendo il prerequisito della
conoscenza di entrambe le culture, quella di appartenenza e quella di accoglienza. Il
ruolo preminente sarà quello del soggetto imparziale che educa a un metodo di
confronto, che non escluda il conflitto e il mantenimento della diversità. La seconda
figura, invece, dovrà essere una persona esperta della lingua del paese di provenienza
degli allievi, tenuto a operare all’interno delle mediazioni linguistiche verso la lingua
italiana e la lingua degli stranieri: interventi rivolti al mantenimento della lingua e
cultura di origine e interventi di alfabetizzazione per la nuova lingua.
A questo punto è sicuramente interessante analizzare ciò che è stato fatto in questo
ambito in alcuni contesti europei. Non solo per elencare, strategie, successi ,
insuccessi, percorsi, indirizzi culturali e quant’altro. Il dibattito sull’integrazione
scolastica dei minori stranieri è una discussione annosa, ma non noiosa, che coinvolge
i più importanti paesi europei dagli inizi degli anni 60, e che implica tematiche
profonde inciascuna societá interessata e coinvolta.
Attraverso questo percorso la Francia si è trovata a interrogarsi sul postcolonialismo e
sulle tradizioni e valori della rivoluzione, quali la laicità delle istituzioni e l’uguaglianza.
La Germania, con la grande immigrazione di lavoratori degli anni 60, provenienti,
prevalentemente dall’Europa del sud e, quindi geograficamente e culturalmente più
vicini, ha sempre rivolto maggiore attenzione più all’accoglienza temporanea, i
Gastarbeiter, piuttosto che all’integrazione. Con i successivi flussi migratori dalla
Turchia la società e la scuola si sono dovuti confrontare con una problematica
sicuramente più complessa.
Da questo punto di vista, la Gran Bretagna, con i primi grandi flussi migratori,
provenienti dalle ex colonie, all’interno della società e della scuola, ha intrapreso quasi
da subito un orientamento di tipo multiculturale. È il primo paese, molto prima degli
altri, in cui si sono sviluppati dei curricoli multiculturali.Nonostante ciò, la critica
maggiore rivolta ai processi d integrazione di questo paese, è stata quella di
concentrarsi più sulle differenza culturali, mascherando le reali discriminazioni sociali e
politiche.
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Le descrizioni parziali dei sistemi scolastici europei ci possono aiutare a comprendere
meglio come l’elaborazione di piani nazionali che riguardano la scuola rispetto a
questa tematica siano complessi., in quanto sono coinvolti atteggiamenti e tradizioni
ben radicate all’interno di queste società. Un fattore nuovo e destabilizzante all’interno
di questi processi, e che coinvolge tutto il tessuto sociale, è la diffidenza, se non
addirittura, la paura nei confronti di questi nuovi cittadini. La lettura dei percorsi
descritti successivamente, devono essere intesi come la riflessione su un dibattito in
piena evoluzione.
La migrazione è una delle sfide politiche e sociali più importanti del nostro secolo.
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1) LE RISPOSTE EDUCATIVE AL FENOMENO MIGRATORIO IN ALCUNI PAESI
EUROPEI
1.1 La società multiculturale francese e il modello assimilazionista
Gli elementi peculiari del caso francese vanno ricercati nella storia più recente di
questo paese. I processi di decolonizzazione degli anni 50 e 60 hanno rappresentato
l’occasione per le esplosioni delle contraddizioni in questo paese. Tra gli elementi più
importanti va segnalata la radicale differenziazione religiosa e culturale. Milioni di
persone giungono in Francia dalle ex colonie. Inizialmente i dati e le statistiche
sociologiche inquadravano questo fenomeno attraverso un processo, definito rotatorio,
di emigrazione, accumulo, rientro. La forte caratterizzazione di questa manifestazione
era centrata sulla temporaneità della permanenza dell’immigrato e dalla reciproca
convenienza economica tra paese ospite e paese d’origine. I primi segnali di
insofferenza, da parte degli immigrati, a causa dello scarso riconoscimento identitario,
religioso e culturale, si avvertono nel 1981, con la richiesta da parte dei “Beurs” ( i
giovani francesi figli di immigrati algerini) di maggiori spazi per l’espressione delle
proprie convinzioni religiose. Nel 1983, invece, le manifestazioni degli immigrati
vertevano contro il razzismo implicito in tante pratiche sociali, facendo emergere “una
minoranza etnica” cresciuta, sino a quel momento nell’ombra. Ne 2005, la rivolta delle
“Banlieu” fa emergere, in forme abbastanza devastanti, il fallimento della politica
migratoria.
Il rapporto Berquet
A livello di istruzione, per i bambini immigrati, il primo documento importante
riguardante l’integrazione scolastica dei figli dei lavoratori immigrati è il rapporto
Berquet che risale al 1985. In questo resoconto si sosteneva con fermezza la forte
presenza di pluralità linguistica e culturale dell’immigrazione come risorsa dello stato.
Si identificava il mutamento della soggettivitá politica degli stranieri, a cui si
riconosceva piena cittadinanza. Il diritto francese doveva riconoscere ai figli degli
immigrati il completo diritto di cittadinanza. I dati di questo rapporto che propugnano
un percorso di orientamento interculturale verranno chiusi in un cassetto, per molti
anni, nonostante fossero emerse delle indicazioni molto precise. Tra queste si
evidenzia la forte presenza di insegnanti definiti debuttanti che venivano destinati, in
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prevalenza all’insegnamento della lingua francese agli stranieri. Successivamente
critica in modo molto puntuale l’uso, che definisce “abusivo” della CLIN (classes
d’initiation) dove si scolarizzano ragazzi immigrati, con insuccesso scolastico, in
ritardo, ma le cui difficoltà non riguardano solamente l’apprendimento del francese. Si
riconoscono i successi ottenuti, in alcuni ambiti, e si evidenzia il percorso di
correzione. Le osservazioni riguardano l’inadeguatezza dei metodi, come per esempio
• lo studio della lingua francese, concepito per l’estero
• la difficoltà di assicurare l’apprendimento linguistico assieme alle conoscenze
disciplinari
• la scarsa riflessione didattica
Tornando alla critica sulle CLIN, queste classi vengono definite come ghetto, con
insegnanti specializzati, che deresponsabilizzano gli altri. La critica più corposa
riguarda la totale assenza, o per lo meno la forte riduzione delle relazioni
interculturali.
Il rapporto mette poi in forte evidenza il team della formazione degli insegnanti, in
particolare dei maestri. Si insiste sull’importanza delle zone di educazione
prioritaria (ZEP), che vanno identificate, sistematizzate, e intensificate, attraverso
l’abbattimento di strutture segreganti. Si auspica un approccio rinnovato della
didattica che punta sull’individualizzazione, oltre a aggiornamenti continui sul
cambiamento della linguistica e sui nuovi aspetti antropologici.
Per capire, in parte, ciò che è successo in Francia, si deve analizzare brevemente
quale è la struttura portante del sistema scolastico francese. La scuola di primo grado
è suddivisa in due cicli degli apprendimenti fondamentali e comprende la materna non
obbligatoria, che accoglie i bambini tra i due e i cinque anni, la scuola elementare dai
sei fino ai dieci anni, la scuola di secondo grado (College), della durata di quattro anni,
nel quale è previsto un anno di approfondimento (Sixieme), due di osservazione
(Cinquieme, e Quatrieme), e l’anno di orientamento (Troisieme), il Licèe che si
concretizza dopo tre anni , con un esame di stato finale, e quindi l’università o le
Grande ecoles. All’interno di questo percorso è evidente la relativa e diffusa immagine
dello studente straniero in situazione di insuccesso scolastico (dati del ministere de
l’education nazionale, reperes &references statistique sur le enseignement et la
formation, editino 1996 DEP Vanves). In questi rapporti, i figli dei lavoratori migranti,
terminano i loro studi nei canali formativi definiti corti.
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Nel 1970 si inizia a prevedere, in base a esperienze antecedenti, un processo di
apprendimento del francese da parte dei figli dei lavoratori migranti. La circolare n. IX
70-37 del 13 gennaio 1970 indica tre possibili alternative per l’accoglienza nelle scuole
elementari dei bambini nouveaux arrivant di età compresa tra i 7 e i 13 anni, che non
fossero in possesso dei rudimenti della lingua francese
Le classes d’initiation annuali
Le classe d’initiation trimestrali o semestrali
I cours de Rattrapage Integrè (corsi di recupero)
Attraverso questo percorso con circolare successiva n 73-383 del 25 settembre 1973, i
bambini stranieri potevano essere accolti nelle classi preparatorie, con insegnamento
e sostegno linguistico, mantenendo ove era possibile, i legami con la lingua di origine,
oppure potevano essere raggruppati nelle cosiddette classes d’adaptation fino a un
biennio.
In ogni caso queste prime esperienze aprono la strada ad altri tipi di sperimentazione
e di ricerca. Anche tra gli insegnanti inizia a diventare più pressante la richiesta di
formazione. Numerosi centri e associazioni si impegnano a diffondere documentazione
pedagogica sulla pedagogia degli immigrati, tanto che un ente (CEFISEM) si rivolge
principalmente alla formazione in servizio del personale scolastico interessato.
Un ulteriore intervento scolastico didattico è rappresentato dall’istituzione delle Zone
di educazione prioritaria (ZEP) risalente al 1981. Attraverso degli indicatori sociali,
tra i quali la percentuale di alunni immigrati presenti nelle scuole, sono state
delimitate delle aree d’utenza scolastica in difficoltà e/o a rischio. In collaborazione
con enti di varia tipologia, politica, associazionistica, vengono avviati interventi di
promozione sociale e culturale, anche fuori dalla scuola.
La scoperta della consistenza numerica dei figli dei lavoratori immigrati fra le file degli
studenti che “non riescono” troverà spiegazioni di ordine politico economico (straniero
proletario) o di tipo etno antropologico (specificità culturale degli studenti stranieri),
oltre a quella più ampiamente razzista che continua ad affermare la tesi genetico
innatista dell’insuccesso che sarebbe da correlare a insufficienze di tipo cognitivo.
Altre ricerche teorizzeranno altri tipi di difficoltà:
• Choc culturale, legato all’immigrazione stessa dovuto al passaggio tra differenti
sistemi culturali
• Handicap linguistico e relativi disturbi della personalità
• Inconciliabilità della polarità tradizione modernità; il bambino fa fatica a trovare
una spinta alla partecipazione di una società più moderna.
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Successivamente svariate ricerche condotte da diversi enti francesi che si occupano di
educazione negano qualsiasi origine nazionale dell’insuccesso scolastico. Il ministero
della pubblica istruzione, attraverso il suo istituto di ricerca (SIGES, servizio di studi
statistici del ministero), seguirà, fin dal 1972, il percorso scolastico di un campione
di 1179 studenti stranieri, entrati nel College, in quell’anno scolastico, fino al
completamento degli studi secondari. Al momento dell’uscita dei dati, nel 1984, i
risultati negano completamente la maggiore incidenza del fattore etnico rispetto a
fattori socioeconomici.
In conseguenza di queste ricerche si inizia a mettere in discussione l’approccio
assimilazionista che era stato preponderante. In questo tipo di approccio, gli aspetti di
tipo culturale si riducono a un gioco di attribuzioni di caratteristiche più o meno
valorizzate, come se essere di origine algerina o marocchina fosse una caratteristica
sociale neutra.
1.2 Verso un percorso interculturale
Il modello francese, per lo meno inizialmente, ma anche in periodi successivi ha
come idea-guida, che chi sceglie di far parte di una comunità nazionale deve
condividerne pienamente e lealmente gli ideali e le tradizione. Ci sono regole comuni
che debbono essere accettate condividendo la lingua e i valori dello Stato-nazione. Lo
Stato agisce secondo criteri universali, uguali per tutti, e non accetta che ci sia un
trattamento differenziato per gruppi che hanno una propria, specifica identità culturale
o etnica.
In questo contesto, la scuola assolve un ruolo decisivo nell'unificazione culturale di
tutti i gruppi sociali, culturali, etnici. Il curriculum stabilito dallo Stato è valido per tutti
coloro che frequentano la scuola; la scuola rimane, per eccellenza, l'istituzione che
assicura l'unità culturale del Paese attraverso la conoscenza della sua storia e della
sua tradizione culturale. È quindi attraverso la scuola che si può percorrere una strada
di tipo interculturale.
Lentamente si stanno affermando nuove teorie e nuove modalità definite a livello
generale “Approcci etnometodologici” usato da Zirotti, sociologo etnologo, uno dei
massimi ricercatori degli approcci interculturali in Francia. Si allontana decisamente
dalla posizione assimilazionista. Attraverso la sua analisi si pone l’accento sul
trattamento che l’allievo subisce dentro e durante il processo di scolarizzazione. In
definitiva, secondo Zirotti, la scuola, va osservata attraverso la sociologia
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dell’educazione e l’indagine sociologica. Il principio per la risoluzione dei problemi
scolastici dei figli immigrati sta nel comprendere e colmare la distanza tra ciò che è
posseduto dal ragazzo e ciò che, invece , gli viene richiesto dal sistema scuola. Negli
ultimi anni, sono ricorrenti esperienze di ricercazione , spesso promosse a livello
locale. Sono stati coinvolti diversi ricercatori e singoli insegnanti, oltre a intere scuole
coinvolte in progetti di accoglienza di bambini stranieri. Proprio questa strategia ha
promosso, da parte della scuola, una interpretazione diversa del compito della stessa,
al fine di fornire più strumenti per l’esercizio della cittadinanza. Molti insegnanti si
sono messi in discussione, recuperando uno dei valori fondamentali della società
francese, che è quello dell’uguaglianza, pur mantenendo e sottolineando un ulteriore
principio nazionale che è quello della laicità , attraverso il quale, rimane sempre ferrea
la distinzione tra sfera privata e sfera pubblica, e la difesa contro qualsiasi
particolarismo (religioso,culturale, etnico). In questo senso l’orientamento politico
pedagogico nel quale rientrano le tematiche interculturali è da rintracciarsi nella
“nuova cittadinanza” e nella necessità per la società francese di ricreare un patto
sociale, nel quale coinvolgere le nuove realtà culturali e religiose.
Questo nuovo tipo di lettura, definita di tipo psicoculturalista, che sottolinea lo choc
culturale, sviluppando le ricerca di Berquet egli studi di Zirotti, mette la società
francese di fronte a una nuova rilettura dell’immigrazione. Il risultato è quello di
considerare lo straniero come risorsa, valorizzando le differenze culturali.
Il percorso interculturale inizia dai primi anni 80, dopo le ricerche citate. Compaiono i
primi materiali didattici , con una scelta di contenuti cognitivi relativi ai pregiudizi,
all’emarginazione,al razzismo, alla discriminazione. L’alteritá sociale ha acquisito
progressivamente lo spessore pedagogico di un progetto educativo.
1.3 I Repertoire
Agli inizi degli anni 90 il Ministero dell’Educazione Nazionale ha commissionato al
Centro internazionale studi pedagogici (CIEP) la creazione di un repertorio di
strumenti didattici utilizzabili nelle classi che accolgono “studenti non francofoni”. La
categoria “non francofoni” costituisce una categoria interpretativa in senso
interculturale, anche se i materiali non sono necessariamente interculturali. Il percorso
verso l’intercultura rimane complesso, ma rispetto alle origini se ne inizia a parlare
con più frequenza. La direttrice del CIEP, nel 1992 sottolinea lo sforzo per un impegno
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