3
“retta da criteri di economicità, efficacia e pubblicità”,
l’istituto in parola assume un rilievo specifico poiché
oggettivamente rappresenta uno dei principali mezzi per
rendere tale attività più trasparente e quindi in grado di
coniugare le esigenze di garanzia ed efficienza, assicurandone
per questa via lo svolgimento imparziale. Sotto altro profilo,
invece, è lo statuto dei rapporti tra cittadino e P. A. (che il
processo di riforma sta faticosamente tentando di riscrivere in
chiave più democratica e partecipativa) a registrare un’
innovazione dal forte valore simbolico, trattandosi di un
istituto generalmente considerato quale strumento per
“desacralizzare”
3
l’autorità dell’amministrazione, favorendo
l’accostamento ad essa da parte del cittadino.
All’articolo 22 della L. 241/90, infatti, il legislatore
riconoscendo “a chiunque vi abbia interesse per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti” il diritto di accesso ai
documenti amministrativi , “al fine di assicurare la
3
Tale espressione è stata efficacemente adoperata da A. ROMANO TASSONE, A chi serve il diritto
il diritto d’ accesso ? ( Riflessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto d’accesso nella
legge n.241/1990 ), in Dir.Amm. ,1995, 315 e ss.
4
trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo
svolgimento imparziale”, pone nelle mani del privato, così
legittimato, un grimaldello attraverso il quale l’azione
pubblica, da sempre trincerata dietro un manto di
impermeabilità e riservatezza - espressione di una posizione
di supremazia del potere pubblico nei confronti dei cittadini e
retaggio di concezione antiche - diventa da questi ultimi
penetrabile, conoscibile, in altre parole “visibile”
4
.
In effetti, è stato ampiamente rilevato in dottrina che prima
dell’entrata in vigore della riforma, la segretezza dell’attività
amministrativa, nei suoi momenti preparatori ed istruttori,
con conoscenza della sola determinazione finale, era la regola
dell’”agere” dei pubblici poteri e l’accesso l’eccezione. Una
regola consacrata e rafforzata dal segreto d’ufficio che, nella
rigida formulazione dell’art. 15 T.U. imp. civ. dello Stato
emanato con D.P.R. n° 3 del 10/01/1957
5
, rappresentava
4
V. Cons. Stato.sez. IV, 15/01/1998 n. 14, in Cons. St., I, 1998, 2, secondo cui il diritto di accesso ai
documenti amministrativi, garantito dalla L.7 agosto 1990, n. 241 è finalizzato ad assicurare la
trasparenza dell’azione amministrativa ed a favorirne lo svolgomento imparziale per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti, così concorrendo alla visibilità del potere pubblico.
5
La norma imponeva all’impiegato di mantenere il segreto d’ufficio e non dare a chi non ne aveva
diritto, anche se non si trattava di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a procedimenti od
operazioni amministrative di qualsiasi natura delle quali fosse venuto a conoscenza a causa del suo
ufficio, quando poteva derivarne danno per l’amministrazione o per i terzi.
5
una“barriera impalpabile ma efficace nel garantire una
separazione tra amministrazione ed amministrati”
6
.
L’art. 28 della L. 241/90 invece, ha modificato l’art.15 T.U.
citato, nel senso che il segreto residua “al di fuori delle
ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di
accesso”, così ribaltando il rapporto di valore e configurando,
almeno in linea di principio, l’accesso come tendenzialmente
prevalente rispetto a generiche esigenze di segretezza
dell’amministrazione. Il segreto amministrativo dunque,
sembra perdere il carattere di assolutezza che rivestiva in
passato e operare , come eccezione all’accesso, solo in
relazione alla salvaguardia di preminenti esigenze di
conservazione dell’ordinamento (ordine pubblico, sicurezza e
difesa nazionale, tutela della riservatezza, ecc.) scolpite
in
norme legislative e regolamentari
7
6
Così, G. ARENA, La trasparenza amministrativa ed il diritto di accesso ai documenti
amministrativi in A.A.V.V. L’accesso ai documenti amministrativi, a cura di G.Arena, Bologna 1991
p.11; anteriormente all’emanazione della L.241 vi era però chi sosteneva che, essendo quello della
pubblicità un carattere essenziale dell’attività amministrativa, “ l’articolo 15 t.u. imp. civ. dello Stato,
non dovrebbe consentire un ambito di segretezza più vasta di quella strettamente indispensabile alla
tutela dell’efficienza della funzione e degli interessi dei terzi” così A. LOIODICE, voce
Informazione (diritto alla) in Enc. Dir. XXI, 1971, p.487
7
L’art.24,co.2 della l. n.241/90 (ma anche il Regolamento emanato con D.P.R. n.352/1992) individua
,infatti, i casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare: a) la
sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;b) la politica monetaria e valutaria;c)
l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;d) la riservatezza di terzi, persone,
gruppi e imprese
6
La conferma di questo nuovo assetto, inoltre, sarebbe fornita
dall’art.25, 3°co.della L. 241 che prevede espressamente un
obbligo di motivazione da parte della P. A. con riferimento al
rifiuto al differimento e alla limitazione dell’accesso, non
invece con riferimento al provvedimento di accoglimento
della richiesta di accesso : è l’eccezione, non la regola che
richiede una motivazione
8
.
Il presente lavoro, riservandosi di verificare l’effettiva
incidenza di questa svolta (che pare culturale prima che
giuridica) sull’attività amministrativa attuale, ha lo scopo di
inquadrare correttamente l’istituto del diritto di accesso e il
principio della trasparenza amministrativa, ad esso
funzionalmente collegato, alla luce delle profonde
trasformazioni in atto.
Ciò si tenterà di fare prendendo in esame, dopo la
ricostruzione del profilo storico generale, alcune tra le più
importanti problematiche connesse all’istituto che , per il loro
rilievo teorico e pratico, hanno attirato l’attenzione della
dottrina e sono state oggetto della cospicua giurisprudenza
8
Così M. CLARICH Diritto di accesso…,.cit., 437.
7
intervenuta in poco più di dieci anni di applicazione della
normativa.
2. Il lungo cammino verso la cultura dell’accesso nel quadro
normativo antecedente al 1990.
In realtà, già prima della legge sul procedimento era in atto
da diverso tempo una tendenza evolutiva che attraverso
l’attività normativa, la giurisprudenza e l’elaborazione della
dottrina, preparava in qualche modo il terreno per la svolta
segnata nell’agosto del 1990.
“De iure condendo” l’esigenza di affermare positivamente il
diritto di accesso ha radici remote e risale al periodo
costituente; la Commissione per la riorganizzazione dello
Stato, presieduta da Ugo Forti, aveva posto chiaramente il
problema dei rapporti tra cittadino e pubblica
amministrazione, ritenendo che dovessero garantirsi in una
“legge generale sull’amministrazione” sia “il diritto del
singolo a conoscere la motivazione degli atti” sia “il diritto
8
del cittadino ad avere visione e copia degli atti
amministrativi… per combattere il mal vezzo esistente
nell’amministrazione di ostacolare tale conoscenza”
9
.
La questione fu ripresa in sede politica dalla Commissione
Parlamentare per le riforme istituzionali (Commissione Bozzi)
che, seguendo altra via, nel 1985 propose - nell’ambito di un
più vasto ed incisivo riconoscimento del diritto
all’informazione- l’inserimento in Costituzione di un articolo
21 bis che riconoscesse “a tutti” il diritto di accesso ai
documenti ed agli atti amministrativi, seguendo in tal modo
l’insegnamento gianniniano che vuole il diritto di
accesso come “capitolo applicativo del diritto
all’informazione”
10
.
A partire dagli anni ’80 il diritto di accesso trova anche
numerosi riconoscimenti “de lege lata”, con riferimento però
a singole materie o settori, tra i quali (senza pretesa di
completezza) meritano di essere ricordati
11
:
9
Commissione di studi extra-parlamentari per la riforma dell’amministrazione , Relazione, vol. I,
Roma, 1946, 142.
10
M. S. GIANNINI, Diritto Amministrativo, vol. II, Milano, 1970, 959.
11
Si rinvia, comunque, per un’analisi più dettagliata a R. VILLATA, La trasparenza amministrativa
prima dell’avvento della L. 241/90, in Dir. Proc. Amm., 1987, p. 539.
9
a) l’art. 9 punto 2 della legge-quadro sul pubblico impiego
del 29 marzo 1983 n° 93 che reca, esclusivamente, una
mera indicazione di principio secondo la quale il diritto
di accesso dei cittadini agli atti della pubblica
amministrazione deve essere regolato con legge dello
Stato o, sulla base di questa, per atto amministrativo o
normativo a seconda dell’ordinamento dei singoli enti;
b) l’art. 25 della L. 27 dicembre 1985 n.816, riguardante
“Aspettative, permessi ed indennità degli amministratori
locali”, che invece reca un’enunciazione piuttosto ampia
per cui “tutti i cittadini hanno diritto di prendere visione
di tutti i provvedimenti adottati dai Comuni, Province,
Unità Sanitarie Locali, Comunità montane”; tale norma
tuttavia è resa scarsamente operativa dalla successiva
previsione secondo cui “le amministrazioni disciplinano
con proprio regolamento l’esercizio di tale diritto”, non
stabilendo però alcun termine per l’adozione dei
regolamenti attuativi;
c) significativa è la disposizione dell’art. 14, 3° comma
della L. 8 luglio 1986, n° 349 (istitutiva del Ministero
10
dell’Ambiente) che riconosce a “qualsiasi cittadino il
diritto di accedere alle informazioni sullo stato
dell’ambiente disponibili presso gli uffici della pubblica
amministrazione…in conformità della leggi vigenti”:
quest’ultimo richiamo sembrava limitare, secondo alcuni
autori
12
, il diritto all’informazione ambientale. Con
l’emanazione del D.lgs. 24 febbraio 1997 n° 39
(attuativo della direttiva 90/313/CEE), invece, tale
diritto ha conosciuto uno sviluppo che lo pone come
“nuova frontiera del diritto di accesso”
13
. Il D.lgs.
39/97 stabilisce infatti che le autorità pubbliche sono
tenute a rendere disponibili le informazioni relative
all’ambiente “a chiunque ne faccia richiesta, senza che
questi debba dimostrare il proprio interesse”;
d) l’art. 10 del D.lgs. 6 settembre 1989 n°322 recante
norme sul sistema statistico nazionale, il quale prevede
che i dati elaborati “sono patrimonio della collettività e
vengono distribuiti per fini di studio e di ricerca a
12
R.VANDELLI, L’accesso agli atti amministrativi: prospettive per gli enti locali, in Reg. e Gov.
Loc.,1988, p. 15 n.ta 16.
13
Così F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, M. T. SEMPREVIVA , op. cit., p. 32.
11
coloro che li richiedono” (1° comma), fermi restando i
divieti di cui all’art. 9 che tutela il segreto
statistico, ma estendendo espressamente il diritto di
accedere ai dati di cui al 1° co. dell’art. 10 a “enti od
organismi pubblici, persone giuridiche, società,
associazioni e singoli cittadini” (art. 10, comma 4);
e) infine va qui menzionata la L. 8 giugno 1990 n° 142
sulla riforma delle autonomie locali che, al capo III
dedicato agli istituti di partecipazione, stabilisce all’art.
7 commi 3 e 4 che “tutti gli atti dell’amministrazione
comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di
quelli riservati per espressa indicazione della legge o
per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione
del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti
l’esibizione…in quanto la loro diffusione possa
pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei
gruppi o delle imprese”; tale articolo prosegue
affermando che è assicurato “ai cittadini, singoli ed
associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi…
12
e in generale alle informazioni di cui è in possesso
l’amministrazione”.
Le disposizioni di tale legge, riprese oggi nell’art. 10 (diritto
di accesso e di informazione) del D.lgs.18 agosto 2000 n°
267
14
, pur essendo quasi coeve a quelle contenute nella L.
241/90, presentano in realtà elementi tanto di sintonia quanto
di dissonanza rispetto a questa
15
.
Chi scrive, comunque, si limita a riportare come la discrasia
tra le enunciazioni di principio in tema di legittimazione
soggettiva all’accesso abbia posto inizialmente dei problemi
di coordinamento tra le due leggi, che una parte della dottrina
risolveva nel senso della vigenza di un “doppio regime” del
diritto di accesso: uno previsto per tutte le amministrazioni
dello Stato dal capo IV della L. 241/90, l’altro previsto
specificatamente per le amministrazioni comunali e
provinciali dall’art . 7, 3° comma della L. 142/90 (oggi
dall’art. 10 d.lgs. 267/2000). Secondo la suddetta dottrina tale
ultima disposizione integra e, in caso di contrasto, prevale su
14
Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
15
Per una più compiuta analisi si rinvia a G. SCIULLO, Sintonie e dissonanze tra le L. 8/06/1990
n°142 e L. 07/08/1990 n°241: riflessioni sull’autonomia normativa locale, in Foro. Amm. 1990, II, p.
2198.
13
quella generale in quanto disciplina in termini più ampi e
quindi più favorevoli al privato, sia sotto il profilo soggettivo
che oggettivo, la stessa materia
16
.
Al fondo di tali affermazioni vi è però una visione
pluralistica
17
del diritto di accesso che deve ormai ritenersi
superata alla luce della prevalente concezione unitaria
dell’istituto.
La griglia dei principi generali di cui alla legge 241, ivi
compresa la ricorrenza della situazione legittimante ex art.22
e lo speciale rito ex art.25 l.cit. creato in tema di actio ad
exibendum, è infatti destinata, stante l’unitarietà delle
esigenze e delle problematiche nonché dei punti di
riferimento costituzionali, a regolare l’intero universo
dell’accesso amministrativo inteso come istituto unitario pur
16
La tesi è di G. ARENA, op. cit., p. 34 e seg., il quale, basandosi sulla formulazione dell’art. 23
della L. 241, riteneva che l’espressione “amministrazioni dello Stato” fosse stata adottata dal
legislatore proprio al fine di escludere dall’ambito di applicazione del diritto di accesso i poteri locali.
17
Si riteneva infatti che che esistessero tanti diritti di accesso quante fossero le fonti legittimanti : ad
es. un diritto di accesso regolato dalla L.n.241, ed uno ontologicamente diverso regolato dalla l.142/90
ovvero un accesso endoprocedimentale o partecipativo ex art.10 lett.a) della L.241/90, esecitabile da
chi partecipa al procedimento amministrativo ; e un accesso extraprocedimentale o informativo ex
art.22 della l.cit. Circa quest’ultima distinzione vedi infra § 2 cap.II.
14
nelle specifiche connotazioni di dettaglio che possono toccare
determinate articolazioni o materie
18
.
Del resto le disposizioni della L. 241/90 costituiscono, come
è stato successivamente precisato dal regolamento emanato
con D.P.R. 352 del 1992, normativa generale “applicabile a
tutte le pubbliche amministrazioni”.
Questa breve elencazione dunque è sufficiente a dar conto di
come il legislatore, anteriormente al varo della L. 241, non
abbia disdegnato sortite sintomatiche , pur se viziate da
settorialità, della necessità di imboccare la strada della
ostensibilità. Invero non è difficile scorgere in queste
affermazioni di principio già alcuni elementi che saranno
ripresi in modo più organico dalla legge 241
19
.
18
In dottrina v F. CARINGELLA op. cit., p.31; in giurisprudenza sull’unicità della tutela accordata
dall’art.25 della l. n. 241/90 alle situazioni di cui all’art. 10 e all’art. 22 della l. n. 241/90 v. Cons.
Stato, IV sez., 12 maggio 1993, n.530 in Cons. St., 1993, 611 ; e da ultimo Cons. Stato,VI sez.,22
magggio 1998 n.796, in Cons. St. , 1998, I, 984.
19
Tale ultimo assunto trova piena conferma nella parole di L. MAZZAROLLI, L’accesso ai
documenti della p.a.. Profili sostanziali, Padova, Cedam, 1998 , secondo cui “la vera novità del 1990
sta più nella trattazione organica dell’argomento accesso che nell’invenzione di qualcosa di
veramente nuovo; in quanto, ad esempio, già la L. 142/90 e il d.lgs 322/1989 sul sistema statistico
nazionale, avevano fatto della pubblicità degli atti la regola e della riservatezza sugli stessi
l’eccezione”.