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CAPITOLO 1
1.1 LE FORME DI ABUSO E MALTRATTAMENTO
Il campo dell’abuso e del maltrattamento è incredibilmente ampio e, in letteratura, si
trovano svariate classificazioni e definizioni, anche in base alla chiave di interpretazione
che può essere psicologica, giuridica, filosofica, religiosa. Si tratta, comunque, non solo
di un problema di definizione, ma anche di rappresentazione e percezione, in cui riveste
un ruolo importante la visibilità sociale che ha la violenza, con particolare riferimento a
quella sui minori. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS; 2016) il mal-
trattamento sui minori include tutti i tipi di abuso e abbandono che coinvolgono i minori
di età inferiore ai 18 anni e comprende eventi singoli, ripetuti o un modello di interazio-
ne fra genitore o caregiver/abusante e il bambino. Il maltrattamento viene perpetuato a
livello fisico, psicologico, sessuale, atteggiamento trascurante o sfruttamento e le con-
seguenze sono tali da arrecare un danno reale o potenziale per la salute e per la soprav-
vivenza del bambino, nonché per il suo sviluppo psicofisico.
Il termine “abuso” ha origine dal latino abusus, ovvero usare in maniera impropria, fare
cattivo uso e, se riferito al bambino, sarà raro che potrà subirlo in forma isolata nel cor-
so della sua vita (Alfonso, 2004). Per la letteratura scientifica in materia di maltratta-
mento minorile, però, è indispensabile avere chiara la terminologia, così come è impor-
tante chiarire quali siano le forme di abuso e maltrattamento all’infanzia socialmente
riconosciute al fine di evitare inutili sovrapposizioni (Ventimiglia, 2003):
- MALTRATTAMENTO FISICO: è stato definito dall’Organizzazione mondiale della
sanità (2006) come l’intenzionale uso della violenza fisica ai danni di un minore che
può provocare, o ha un’alta probabilità di farlo, un danno per la salute, lo sviluppo o la
dignità del bambino, attraverso azioni come aggressioni, punizioni corporali o gravi at-
tentati all’integrità fisica, che provocano lesioni fisiche a volte così gravi da poter cau-
sare la morte del bambino
- MALTRATTAMENTO PSICOLOGICO: include tutta una serie di azioni che il ge-
nitore agisce reiteratamente nei confronti del bambino: ignorare, isolare, esercitare pres-
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sioni psicologiche e ricatti affettivi, mostrare indifferenza, negare la responsività emoti-
va, rifiutare, denigrare, svalutare, disprezzare, minacciare e aggredire verbalmente (Gla-
ser, 2002; Hamarman & Bernet, 2000; Iwaniec, 1997; O’Hagan, 1995). Sono abusi psi-
cologici anche gli atteggiamenti di eccessiva o limitante iperprotezione (Glaser, 2002).
Secondo alcuni autori, come Navarre (1987) questi comportamenti maltrattanti com-
promettono la percezione individuale del sé come degno di amore, la percezione di un
mondo che non sia necessariamente ostile, la capacità di distinguere fra emozioni e bi-
sogni propri e quelli degli altri sviluppando risposte appropriate, la capacità di costruire
e mantenere relazioni adeguate. Montecchi (2005) definisce il maltrattamento psicolo-
gico come una forma di violenza invisibile: non lascia effetti visibili, ma è più insidioso
per la difficoltà nel riconoscerlo e, pertanto, può essere più duraturo, danneggiando lo
sviluppo affettivo, cognitivo, fisico e relazionale del bambino anche in modo irreversi-
bile.
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VIOLENZA ASSISTITA: è definita dalle forme di maltrattamento psicologico a cui
il bambino assiste in forma indiretta, ovvero in qualità di osservatore e ne subisce le
conseguenze (Binggeli, Hart, & Brassard, 2001). Si riferisce a tutte quelle esperienze
che il minore vive come testimone di forme di violenza su figure di riferimento o co-
munque significative per il minore stesso (De Florio, 2020). È tipica dei contesti intra-
familiari, spesso sottovalutata, ma con esiti di gravi ripercussioni sul piano emotivo,
cognitivo, fisico e relazionale del minore (Izaguirre e Cater, 2018). Anche vivere in un
contesto familiare in cui vi è conflitto di coppia, viene considerato una forma di mal-
trattamento, poiché, a prescindere dalla tipologia di violenza presente nella dinamica
della coppia, il minore che assiste è sempre e comunque coinvolto, seppur in modo
involontario, in veste di “vittima invisibile” (Summers, 2006), tanto che Herman
(2005) definisce il trauma che ne scaturisce il “dolore degli impotenti”;
-
ABUSO SESSUALE: il minore viene coinvolto intenzionalmente da un adulto in
esperienze sessuali inappropriate dal punto di vista dello sviluppo che possono com-
portare violenza esplicita o lesioni, oppure possono verificarsi senza contatto fisico e/
o essere vissute in viste di osservatori (Cismai, 2015);
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-
PATOLOGIE DELLA CURA: rappresentano le condizioni in cui i genitori o le figu-
re di accudimento del minore non provvedono in modo adeguato ai bisogni fisici e
psichici del minore in relazione al suo momento evolutivo o alle sue necessità (Mon-
tecchi, 2006). Tre sono le forme di patologia della cura:
-
discuria: cure distorte o inappropriate rispetto al momento evolutivo del bambino e
che determinano l’imposizione di eccessiva iperprotettività, di aspettative al di sopra
delle capacità del bambino che si sente sottoposto a ritmi di acquisizione precoci ri-
spetto alla sua età;
•
incuria: cure carenti o insufficienti. Può essere fisica, come ad es. insufficiente nutri-
zione, o psicologica, sotto forma di mancato rispetto da parte dei genitori dei bisogni
emotivi ed affettivi del minore. Spesso, in letteratura, incuria e trascuratezza vengono
considerati sinonimi, ma quest’ultima rappresenta una forma distinta di maltrattamen-
to all’infanzia che, peraltro, non ha avuto la giusta attenzione per molto tempo (Ionio
& Acuistapace, 2005), ma che, specie se sofferta precocemente, si rivela particolar-
mente lesiva per il successivo sviluppo (Hildyard & Wolfe, 2005);
•
ipercura: eccessiva attenzione per lo stato fisico del minore che si caratterizza per una
persistente medicalizzazione che si rivela dannosa per la salute del minore (Dettore et
al., 2008). La forma più grave di questa patologia è la sindrome di Munchausen per
procura (MSbP) che viene perpetuata sul bambino ad opera di un adulto, generalmen-
te la madre (Levin & Sheridan, 2001). Ci sono, poi, il medical shopping per procura,
l’help seeker, l’abuso chimico/farmacologico e la sindrome da indennizzo per procura
(Montecchi, 2006).
1.1.2 DONNE AUTRICI DI ABUSI e MALTRATTAMENTI: ASPETTATIVE DI
GENERE
La storia dell’uomo ci racconta che il bambino sia stato oggetto di abusi e di maltratta-
menti da sempre, ma questo fenomeno non era visto come atipico, bensì come la risul-
tanza del fatto che l’infante era considerato una proprietà dei genitori in senso generale,
e della figura materna in senso specifico, per cui la violenza era intesa come necessaria
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per mantenere la disciplina o per insegnare le buone maniere, tanto che anche a scuola
venivano applicate le stesse misure coercitive per fini pedagogici (Petrone, & Troiano,
2005). Stereotipicamente, l’abuso ed il maltrattamento sui minori è considerato un com-
portamento tipicamente maschile ed il fatto che possa essere perpetuato anche dalle
donne è una questione rimasta per molto tempo scarsamente dibattuta in letteratura sia
perché è culturalmente più difficile accettare che una donna possa abusare di un minore,
soprattutto se si tratta del proprio figlio, sia perché molte delle denunce presentate ri-
guardano gli uomini (Hislop, 2001).
Tozdan e collaboratori (2019) hanno condotto una ricerca avente come obiettivo quello
di esplorare la letteratura corrente in materia di Female Child Sex Offenders (FCSO) dal
2000 al 2019, includendo studi anche precedenti al 2000 che avessero un impatto im-
portante ed attuale su questo campo di ricerca. Un primo dato rilevante che è emerso in
relazione alla prevalenza di molestie sessuali su minori, è la fonte che vede, da una parte
i rapporti ufficiali (di Polizia o di Tribunale), dall’altra i rapporti delle vittime stesse.
L’analisi dei dati emersi, ha evidenziato come gli abusi contro i bambini commessi dalle
donne siano sottostimati, il che contribuisce a non ritenere l’abuso al femminile come
un problema di rilevanza sociale. Un altro dato importante per spiegare la natura di tale
fenomeno, sta proprio nel fatto che le vittime sono generalmente bambini e che siano
obbligati a non svelare l’abuso: le vittime, infatti, spesso hanno difficoltà a riconoscere
le loro esperienze come abusive e si sentono profondamente confuse, tanto da arrivare a
ritenerlo come parte di un comportamento normale da parte del genitore abusante che,
proprio per questa ragione, a sua volta ha difficoltà a riconoscere il proprio comporta-
mento come abusivo, specie quando si parla di abuso di natura sessuale e quando a per-
petuarlo è la stessa madre; questi individui sono stati descritti come provare ulteriore
vergogna e stigma (Courtois, 2010). Berrington e Honkatukia (2002) hanno dimostrato
che i membri di una società percepiscono e rispondono a determinati eventi a seguito
dei resoconti dei media. Studi successivi, condotti da Landor e Eisenchlas (2012), hanno
mostrato che gli autori di sesso maschile sono oggetto di pesanti critiche, mentre quelli
di sesso femminile vengono generalmente descritti in modo più comprensivo e questo
aspetto è stato affrontato da Hayes e Baker (2014) che hanno teorizzato quanto i reso-
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conti dei media così come riportati, tendano a rafforzare i tradizionali stereotipi di gene-
re e quindi a ridurre, se non addirittura a sopprimere, lo sviluppo di una consapevolezza
pubblica di abusi e maltrattamenti commessi dalle donne. Mackelprang e Becker
(2017), hanno dimostrato che questa percezione ineguale di uomini e donne che abusa-
no e maltrattano i bambini riflettano i giudizi della società.
Le donne, in realtà, possono mettere in atto diverse condotte devianti sui bambini picco-
li e adolescenti e dalle statistiche emergono dati in base ai quali le donne abusanti pre-
sentano un discreto numero di psicopatologie e un passato caratterizzato da abusi ses-
suali violenti e prolungati nel tempo (Lewis & Stanley, 2000). Studi recenti suggerisco-
no che la divulgazione di abusi sessuali perpetuati da donne sia in aumento anche se ri-
mane un fenomeno significativamente sottostimato (Dreßing et al., 2018) per cui preva-
le ancora la cultura della negazione attorno ad esse, celando i loro atti come crimini si-
lenziosi.
1.1.3 ATTACCAMENTO e COMPORTAMENTI NEI MINORI ABUSATI e
MALTRATTATI
Molti studi hanno preso in considerazione il tipo di attaccamento che emerge dall’espe-
rienza di cure altamente distorte di coloro che dovrebbero svolgere il ruolo di caregiver,
come ad esempio, O’Connor e collaboratori (2011) e Lecompte e Moss (2014), ponendo
particolare attenzione alla qualità della relazione di attaccamento in cui sono inseriti i
bambini vittime di abusi fisici o sessuali e quelli trascurati. Secondo la teoria di Bowlby,
la funzione della relazione di attaccamento è quella di aumentare la possibilità di so-
pravvivenza dei bambini (Morton & Browne, 1998). Le figure di attaccamento o care-
giver, dovrebbero, secondo la teoria dell’attaccamento, proteggere i figli dai pericolo,
divenendo per essi una “base sicura”, concetto originariamente introdotto da Mary Ain-
sworth (1967; Ainsworth et al., 1978) per poi essere ripreso e valorizzato da John Bo-
wlby (1969, 1979, 1988), il quale ritiene che fornire ai propri figli una base sicura, in-
tesa come il punto di partenza dal quale il bambino può muoversi per esplorare il mondo
circostante, rappresenti il ruolo fondamentale dei genitori al fine di permettere al bam-