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Capitolo II
Il Disturbo Motorio
2.1. Introduzione
Il disturbo motorio viene universalmente considerato il cuore del problema della
paralisi cerebrale infantile (PCI).
Nonostante esso non sia il solo problema presente e a volte neppure il più
importante, si ritiene ancora giustificato iniziare l’analisi dei disturbi presentati da questa
complessa patologia partendo dalle alterazioni subite dal movimento.
Il processo dell’osservazione-valutazione delle condotte motorie del bambino con
PCI può seguire una stessa linea procedendo secondo le due direttrici opposte: dal
particolare verso il generale o viceversa.
2.2. I moduli motori
L’analisi del repertorio motorio del bambino con PCI può iniziare con
l’osservazione e la valutazione dei moduli motori ancora presenti nella sua produzione
spontanea.
I moduli sono i singoli elementi motori preformati di cui si compone l’alfabeto
della motricità. Da soli non significano nulla (sono cioè unità semplici prive di senso), ma
combinati opportunamente assieme, come avviene per le lettere dell’alfabeto o i fonemi
del linguaggio, essi possono comporre le posture e i gesti di ogni possibile attività
motoria, cioè le parole del movimento (unità complesse dotate di senso).
L’analisi del repertorio può fornire la valutazione di:
- dati quantitativi (entità della produzione motoria);
- dati qualitativi (variabilità e forma del movimento).
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Valutazione quantitativa: i parametri quantitativi usati nella valutazione delle
abilità manipolatorie nei primi anni di vita del bambino sono:
- l’età di comparsa di una distinta competenza motoria (ad es. la presa a
pinza);
- il tempo di esecuzione di specifici compiti (ad es. infilare una perlina).
L’utilizzo di parametri quantitativi presuppone quindi una conoscenza del corso
evolutivo delle funzioni manipolatorie e delle loro variazioni individuali.
Gli strumenti abitualmente usati per la valutazione della quantità di abilità
manipolatorie acquisite dal bambino sono le scale di sviluppo.
Più difficile nei primi anni di vita è la valutazione quantitativa basata sul tempo
impiegato dal bambino per eseguire un compito di abilità manipolatoria: fino ai 3-4 anni
infatti la richiesta di svolgere un compito entro un tempo definito ha poco interesse per il
bambino, che in generale privilegia la sperimentazione delle varie soluzioni più che la
rapidità dell’esecuzione.
Nell’osservazione del comportamento del bambino, l’analisi di cosa fa il bambino
deve considerare:
Reaching – Avoiding (reazione del raggiungere, del protendere la mano “verso”, di
attrazione per, di puntamento a …. contro reazione di allontanamento da, di
evitamento di, di repulsione per). Inducono movimenti in senso opposto rispetto
all’identico obiettivo, mantenendosi sullo stesso vettore. La reazione di reaching
comprende la reazione di meraviglia, associazione a partenza visiva che consiste
nel desiderio di afferrare ed esplorare l’oggetto. Questa reazione si accentua se la
ricerca viene compiuta al di fuori del controllo visivo e diminuisce quando
subentra la vista, testimoniando l’influenza organizzativa della sensibilità toccato
dall’oggetto ed è caratterizzata da detrazione dello sguardo, che viene indirizzato
altrove, da allontanamento della mano dall’oggetto o da appoggio “farfalleggiante”
del piede, nel caso si tratti di contatto con il suolo.
Grasping – Releasing (reazione di afferramento e di abbandono). Condizionano in
modo importante la capacità di manipolare con sicurezza gli oggetti per poterli
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esplorare opportunamente. Nel valutare la reazione di afferramento del bambino
vanno distinte due competenze: il grasp organizzatore della reazione antigravitaria
in flessione e il grasp organizzatore dell’attività prassica. Il grasping prassico è la
reazione che permette l’adattamento della mano all’oggetto per la sua successiva
esplorazione: la mano si avvicina all’oggetto e si orienta, si predispone, si adatta e
si stabilizza per tutta la durata del compito. Poi, di nuovo, guidata dalla reazione di
abbandono, si apre, si libera, si distacca e si allontana.
Nella PCI queste due reazioni sono spesso in conflitto fra di loro.
Valutazione qualitativa: analogamente a quella quantitativa, la valutazione
qualitativa può essere condotta analizzando alcuni parametri durante l’osservazione del
comportamento spontaneo del bambino in attività di gioco e di autonomia, e quindi già
nel corso della prima valutazione clinica.
I parametri clinici sono i seguenti:
Fluenza: delicatezza e armonia dei movimenti delle braccia, delle mani e delle dita;
Efficienza: economia e rapidità dell’attività motoria nel completare un compito;
Adattabilità: grado di adattamento dell’attività motoria a condizioni ambientali
diverse;
Movimenti associati: presenza di movimenti sincenetici e/o speculari omo e
ipsilaterali.
Per ciascuna abilità manipolatoria, dall’epoca della sua comparsa, il bambino nel
corso dello sviluppo presenta cambiamenti qualitativi di questi parametri.
La qualità delle competenze dipende naturalmente non solo dall’età del bambino,
ma anche dall’esperienza e quindi dalla fase di apprendimento. La presenza di lesioni
della struttura nervosa, che nei casi lievi può non ritardare l’età di comparsa di una abilità,
determina sempre un’alterazione della fluenza, della efficienza, della adattabilità del
movimento, e spesso un aumento dei movimenti associati.
I criteri di valutazione qualitativa per il bambino con PCI prendono in
considerazione le modalità che il bambino utilizza per espletare le funzioni presenti (come
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fa il bambino) nel gioco spontaneo o indotto con materiale adatto per l’età e al livello di
competenze acquisito.
I parametri di valutazione proposti sono i seguenti:
- Caratteristiche spazio-temporali delle sequenze e cioè:
- le modalità di raggiungimento dell’oggetto e quindi i movimenti estrinseci
che coinvolgono la spalla, il gomito, l’avambraccio, il polso, la loro
coordinazione, e l’anticipazione e adattamento della mano alla posizione e
forma dell’oggetto;
- le modalità di afferramento, se la presa avviene con tutta la mano aperta
prima o dopo il contatto con l’oggetto, se la presa è palmo-radiale, se vi è
una presa a pinza con o senza opposizione del pollice;
- le modalità di rilasciamento dell’oggetto;
- la coordinazione digitale e cioè le caratteristiche dei movimenti intrinseci
della mano e delle dita, e la presenza di sinergie semplici, sinergie
reciproche e pattern sequenziali durante le attività di manipolazione;
- cooperazione degli art in attività bimanuali: la presenza di un uso
prevalente dell’arto dominante, l’eventuale esclusione dell’altro, la presenza
di movimenti associati;
- movimenti involontari: la presenza di competenze distoniche, ipercinetiche
e la loro interferenza con l’attività volontaria;
- integrazione percettivo-motoria: capacità di integrare le informazioni
provenienti da più canali (visivo, propriocettivo, uditivo);
- variabilità/stereotipia e fluidità/rigidità delle sequenze e libertà o povertà
del repertorio motorio disponibile;
- relazione fra controllo della postura e abilità manipolatorie: la presenza di
instabilità posturali e la loro interferenza sulla efficacia e fluidità delle
sequenze motorie.
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L’utilizzo di criteri di valutazione così approfonditi fornisce al clinico informazioni
importanti non solo per individuare la presenza e la gravità di lesioni delle strutture
nervose che sottendono le fasi di controllo ed esecuzione del comportamento motorio, ma
costituiscono in fase diagnostica una fase interpretativa essenziale per la definizione degli
obiettivi e delle priorità terapeutiche nel bambino con PCI.
2.3. Le prassie
La disprassia è un disturbo che incide nella gestione dei movimenti comunemente
utilizzati per l’attività della vita quotidiana (lavarsi, vestirsi, annodare le scarpe, usare le
posate o altri utensili, ecc.) e per compiere gesti espressivi (quelli destinati alla
comunicazione), siano essi legati all’uso di un oggetto, oppure astratti e a contenuto
simbolico.
La disprassia descrive l’incapacità o la difficoltà a compiere movimenti volontari
coordinati sequenzialmente fra loro in funzione di un definito scopo, a patto che ciò non
sia imputabile a paralisi, ad alterazioni del tono, a disturbi sensoriali, a movimenti
involontari servomotori o parassiti, a disturbi psichici, a deficit mentali o a difetti
dell’apprendimento motorio. La disprassia non definisce perciò un problema di
movimento quanto tale, ma identifica un complesso disturbo dell’organizzazione
dell’azione, connotato dall’incapacità di riprodurre movimenti intenzionali coordinati in
combinazioni e sequenze, appresi e finalizzati in funzione di un risultato. Questo disturbo
dell’organizzazione può conseguire ad errori commessi nella fase anticipatoria piuttosto
che in quella esecutiva del movimento, con dipendenza superiore al normale delle
operazioni motorie più complesse dai sistemi di regolazione dell’atto in corso d’opera
(feed-back), o derivare dall’incapacità di stabilizzare in routines le esperienze motorie più
spesso ripetute.
La disprassia è un disturbo dell’apprendimento motorio e pertanto non riguarda lo
sviluppo delle funzioni motorie primarie geneticamente programmate, ma il loro utilizzo
all’interno di nuove abilità progressivamente apprese. Per l’età evolutiva i termini
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goffaggine e maldestrezza vengono proposti come sinonimi di disprassia per descrivere le
difficoltà incontrate da taluni soggetti, per altri versi normali, nell’eseguire qualsiasi
attività manuale, specie se “fine”, anche nelle più comuni incombenze della vita
quotidiana come vestirsi, usare le posate, manipolare oggetti o giocattoli, andare in
bicicletta, scrivere o disegnare.
Per disprassia all’interno della PCI si intende la difficoltà di decidere come
compiere una certa azione (pianificazione anticipatoria) di cui sono chiari al paziente lo
scopo ed il risultato atteso. Ammesso che fosse possibile eliminare gli schemi motori
patologici ed i disturbi del tono, il bambino affetto da paralisi mostrerebbe ancora un
disturbo apparentemente motorio esprimibile come goffaggine o maldestrezza.
Se la paralisi esprime la perdita dei moduli e delle combinazioni motorie, la
disprassia esprime la compromissione delle istruzioni relative al come poter costruire
operazioni motorie attraverso i moduli rimasti, scegliendo ed aggregando fra quelli
disponibili i più adatti alla soluzione di quel definito problema.
In questo senso la perdita delle istruzioni rende tanto più grave il problema quanto
maggiore è il repertorio rimasto disponibile al paziente, come per una scatola di
costruzioni in cui a seconda del numero dei pezzi contenuti si richiedono illustrazioni
sempre più dettagliate, piani di avanzamento precisi ed ordinati e grande abilità al
costruttore.
Se la paralisi è la perdita di un certo numero di pezzi che non consente di costruire
determinate prestazioni, la disprassia è la perdita di un certo numero di istruzioni
(pianificazione) che non permette di combinare in un certo modo (sequenze e strategie) i
movimenti comunque disponibili, a fronte di un risultato idealmente previsto. Mentre la
paralisi risulta tanto più grave quanto maggiore è il numero dei pezzi mancanti,
paradossalmente per la disprassia potrebbe avvenire il contrario, essendo tanto più
complessa la pianificazione richiesta quanto più vasto è il repertorio disponibile. Non
esistono soluzioni compensatorie alla disprassia, se non quella di ridurre
“volontariamente” il repertorio rinunciando ad utilizzare una parte dei moduli, delle
combinazioni e delle sequenze possibili (semplificazione).
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Non è difficile osservare come nel corso dello sviluppo alcuni soggetti seguano
proprio questa strategia contraddicendo, attraverso un progressivo impoverimento delle
prestazioni, una prognosi inizialmente più favorevole, perché basata unicamente
sull’analisi di repertorio.
La semplificazione è una strategia di utilizzo del repertorio, compatibile con la
difficoltà di pianificazione e di controllo delle azioni, che occorre saper rispettare
nell’impostazione del trattamento rieducativo. In alcuni soggetti non è possibile operare
alcuna semplificazione di repertorio e la probabilità di successo di una certa azione resta
affidata ad un percorso per tentativi ed errori, che richiede una grande determinazione sul
piano cognitivo ed un sufficiente controllo sul piano emozionale, e perciò risulta
particolarmente difficile nei primi anni di vita.
2.4. L’apprendimento motorio
L’esatto opposto della paralisi è idealmente rappresentato dall’apprendimento
motorio, ovvero dalla capacità del soggetto di imparare e conservare condotte motorie
nuove ed alternative, utilizzabili per scopi funzionali. Indipendentemente dalla misura
della paralisi, la conservazione, l’alterazione o la perdita della capacità di apprendimento
motorio rappresenta un elemento prognostico assolutamente fondamentale.
La capacità di apprendimento motorio rappresenta la misura della modificabilità
della paralisi e decide dell’utilità o meno del trattamento fisioterapico, della sua possibile
durata e della sua misura, piuttosto che di una idonea assistenza.
La possibilità di modificare la storia naturale della paralisi è dunque funzione della
capacità di apprendere del soggetto, intendendo per apprendimento il meccanismo
geneticamente programmato destinato a far conquistare al soggetto quanto non sia stato
geneticamente previsto. Si possono imparare gesti e posture, strategie e tattiche percettive,
progetti e percorsi, ma si finisce per imparare anche il non uso o il maluso, l’inattenzione
o la negligenza, la sostituzione funzionale o il compenso, la delega o la rinuncia.
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L’acquisizione definisce poi la capacità del soggetto di selezionare e conservare
piuttosto che di sopprimere o rimuovere quanto ha appreso: molte sono le cose che un
bambino con PCI può apprendere e rendere possibili, assai meno quelle che può fare
proprie e rendere probabili. Solo un apprendimento acquisito, cioè integrato e reso stabile,
può rendere possibile una scelta. In questo senso la dimensione percettiva (attenzione e
tolleranza) e la dimensione intenzionale (soddisfazione e pulsione) si rilevano
determinanti. Se l’esperienza vissuta dal bambino è stata gratificante, le operazioni
compiute possono essere fissate nella memoria stabile, se al contrario ha comportato
troppa fatica, disagio, paura o forte delusione, verrà rimossa. Il passaggio
dall’apprendimento all’acquisizione permette di ridurre il controllo cosciente del
movimento per trasferirlo al significato dell’azione, cioè dallo strumento allo scopo. La
saturazione dell’acquisizione, più che l’incapacità assoluta di apprendere, conduce
gradualmente alla sospensione del trattamento. Se l’elemento peculiare dell’acquisizione
è la capacità di scegliere spontaneamente e consapevolmente quanto si è appreso, il
progresso rappresenta infine la capacità di scomporre per riutilizzare, di selezionare per
trasferire, di disordinare per ricostruire secondo le stesse regole ma in nuove forme, in
altri contesti e per scopi diversi quanto si è acquisito.
È nei progressi che il bambino dimostra di saper essere protagonista attivo della
propria riabilitazione e non contenitore passivo di azioni che altri considerano
terapeutiche.
2.5. Le azioni
Nella PCI la paralisi è prima di tutto un disordine concettuale dell’organizzazione
cognitiva, emotiva e relazionale, cioè un problema di azione, e solo secondariamente un
disturbo della pianificazione e dell’esecuzione del movimento.
Ogni azione, qualunque essa sia è caratterizzata dalla presenza di uno scopo. Gli
stessi movimenti possono essere eseguiti per conseguire fini diversi. La presenza di scopi