3
Ore 7.48 a.m. - dall’aeroporto di Boston, negli Stati Uniti, decolla il volo 11
dell’American Airlines, destinazione Los Angeles in California.
Ore 7.58 a.m. - sempre da Boston, parte il volo 175 dell’United Airlines, anch’esso è
diretto a Los Angeles.
Ore 8.10 a.m. - decolla dall’aeroporto di Newark, nel New Jersey, il volo 93 dell’United
Airlines, è diretto a San Francisco in California.
Ore 8.30 a.m. - da Washington, con destinazione Los Angeles, parte il volo 77
dell’American Airlines.
Ore 8.45 a.m. - il Boeing 767 dell’American Airlines (volo 11 Boston - Los Angeles), si
schianta contro la Torre Nord del World Trade Center di New York.
Ore 9.03 a.m. - il Boeing 767 dell’United Airlines (volo 175 Boston - Los Angeles), si
abbatte contro la Torre Sud del World Trade Center.
Ore 9.15 a.m. - il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, informato degli attentati,
su invito del proprio staff si rifugia in una base militare segreta. Successivamente
ordinerà l’abbattimento di qualsiasi aereo non identificato che sorvoli i cieli USA.
Ore 9.25 a.m. - La Federal Aviation Administration chiude lo spazio aereo degli Stati
Uniti; tutti gli aerei in transito sono fatti rientrare, mentre i voli intercontinentali sono
dirottati verso il Canada o il Messico.
Ore 9.45 a.m. - si schianta contro un’ala del Pentagono un Boeing 757 dell’American
Airlines; si trattava del volo77 Washington – Los Angeles.
Ore 9.45. a.m. - la Casa Bianca, il Campidoglio, tutte le Sedi governative, le Borse ed
altri obiettivi sensibili sono fatti evacuare.
4
Ore 10.07 a.m. – collassando su se stessa, con un assordante fragore, crolla la Torre Sud
del World Trade Center; era stata la seconda ad essere colpita.
Ore 10.10 a.m. circa - nella contea di Somerset, in Pennsylvania, precipita un altro
Boeing 757 dell’United Airlines, si trattava del volo 93 Newark – San Francisco.
Ore 10.29 a.m. - crolla anche la Torre Nord del WTC.
Quei tragici avvenimenti segnarono per l’umanità l’inizio di un nuovo spaventoso
conflitto che, dagli esperti di strategia militare del Pentagono, fu successivamente
definito come la “prima guerra asimmetrica mondiale”.
2
Vediamo in dettaglio gli avvenimenti.
2
Cfr. G. RIOTTA, op. cit. 70-76.
5
I
La cronaca
1.1) Il luogo
Quella mattina dell’undici settembre a New York il cielo era limpido e azzurro, a
differenza della precedente notte del 10, quando la pioggia era caduta a dirotto. In quelle
ore il cuore della città si andava riempiendo progressivamente di frettolosi pendolari e
visitatori d’ogni tipo, tra cui molti studenti e lavoratori. Tra quest’ultimi si
distinguevano indaffarati finanzieri ed operatori di borsa, funzionari, impiegati di
banche e società, manager, avvocati, rappresentanti, insegnanti, comuni operai, addetti
ai pubblici esercizi ed alle pulizie, inservienti, immigrati d’ogni specie ecc. Tutti quanti
si recavano al proprio posto di lavoro, oppure a scuola, ed affollavano, come una
gigantesca colonia di formiche sempre in movimento, le metropolitane, gli autobus, i
marciapiedi, gli ingressi dei grattacieli e gli ascensori. Per le strade numerosi taxi gialli
sfrecciavano veloci e, nonostante fosse mattina presto, cominciava a fare già caldo, di
conseguenza quasi tutti indossavano abiti estivi o leggeri.
Strana e multi etnica comunità quella newyorkese, i bianchi, che non sono più la
maggioranza, convivono con i numerosi ispanici, con i neri di Harlem, con i cinesi di
Chinatown e con arabi, pakistani, russi ed immigrati europei, in un immenso e convulso
agglomerato urbano. Nelle strade cittadine si può consumare indifferentemente sushi
giapponese, riso cinese, spaghetti o pizza italiani, hamburger o bistecche texane, in
luoghi dove la città ricca convive con i diseredati del Bronx, e dove tutti insieme
s’identificano in un unico immenso aggregato, chiamato la “Grande Mela”. Un confuso
melting pot di persone sempre indaffarate, alla ricerca disperata del successo, del sogno
americano, un crogiolo d’umanità molto spesso disumana, che troppo frequentemente
macina e calpesta i più deboli, ma dove tutti sono rappresentati ed uniti dalla stessa
bandiera a stelle e strisce.
6
L’undici settembre era anche un giorno d’elezioni per New York, di conseguenza
l’atmosfera era particolarmente elettrizzata. Gli agguerriti democratici si mostravano
veramente ansiosi di riprendere il controllo della città, che era stata guidata negli ultimi
anni dal sindaco repubblicano Rudy Giuliani, oggi però impegolato nelle tormentate
vicende del disastroso divorzio dalla moglie, l’attrice Donna Hannower. Nella
competizione elettorale al miliardario Michael Bloomberg si opponeva l’eterno secondo
Badillo, poi vi erano gli altri outsider, come l’ecologista Green, raccomandato dal “New
York Times”, il criticato intellettuale Hevesi, e l’ispanico del Bronx Ferrer,
rappresentante dei diseredati, dei neri e dei latini. Ma dopo un po’, a seguito dei tragici
eventi, tutti i seggi elettorali della città furono chiusi ed il voto rinviato.
1.2) L’attacco
Alle 8.45 locali (ora di New York, le 14.45 in Italia), un Boeing 767 della compagnia di
bandiera American Airlines, il volo numero 11, partito da Boston alle 07.48 e diretto a
Los Angeles in California, con 81 passeggeri ed 11 membri dell’equipaggio, si schiantò,
con un fragoroso boato, contro l’80° piano della Torre Nord del complesso edilizio
World Trade Center a Manhattan, le cui due torri, con i rispettivi 110 piani per 415
metri d’altezza, erano allora i grattacieli più alti di New York.
Subito dopo l’impatto, la maggior parte delle persone che si trovavano nelle vicinanze
del grattacielo pensarono, inizialmente, solo ad un terribile quanto singolare incidente.
Mentre un gigantesco incendio, causato dallo scoppio del carburante trasportato dal jet,
si sprigionava dagli ultimi piani dell’edificio con fiamme altissime, le televisioni di tutto
il mondo si precipitarono in quella zona di Manhattan per riprendere la spettacolare
diretta televisiva, e per documentare quell’eccezionale avvenimento che fu paragonato,
dalla cronaca, ad un vero e proprio “inferno di cristallo”, come dall’omonimo film.
Dopo circa venti minuti, alle 9.03, un Boeing 767 della compagnia aerea United
Airlines, il volo 175, partito alle 7.58 anch’esso da Boston e diretto ugualmente a Los
Angeles, che trasportava 56 passeggeri e nove membri d’equipaggio, esplose contro la
Torre Sud del Wtc, all’altezza del 47° piano. Indescrivibile il terrore e lo sgomento che
si diffuse tra le persone presenti, e fra quanti, allibiti, seguivano l'agghiacciante diretta
7
televisiva trasmessa dai network TV, che nel frattempo erano accorsi numerosi per
trasmettere l’“incidente” causato dall’impatto del primo aereo contro la torre gemella.
Questi due drammatici episodi, per la loro successione e la particolare singolarità, non
potevano essere definiti “incidenti”, o almeno non poteva essere credibile, per nessun
motivo, quella duplice coincidenza. Ai due aerei di linea non era consentito attraversare
quello spazio aereo sopra la città, notoriamente interdetto al traffico di tutti i voli, per
poi, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, andare a schiantarsi contro le due torri
del Wtc, in una terrificante sequenza, il primo aereo contro la Torre Nord, ed il secondo
contro la Torre Sud.
Dopo l’impatto causato dal secondo aeroplano non vi furono più dubbi per nessuno, si
trattava di uno spaventoso attentato dalle proporzioni catastrofiche e fino allora
inimmaginabili. Nella storia degli Stati Uniti non si era mai verificato, prima d’allora,
un attacco terroristico di tali dimensioni, spietatamente diretto contro il cuore
dell’America e di tutto il mondo occidentale. Subito dopo quei terrificanti avvenimenti,
quando ancora non se ne conoscevano l’esatte proporzioni ed il numero delle vittime, fu
dichiarato lo stato d’emergenza nazionale e prontamente fu informato il presidente degli
Stati Uniti George Bush che, come prima conseguenza, annullò tutti gli impegni della
giornata, per valutare attentamente la situazione ed i provvedimenti del caso.
A causa degli attacchi alle Torri, gli addetti alla sicurezza della Casa Bianca adottarono
immediatamente tutte quelle precauzioni previste per la protezione dei vertici politici
del paese, ed effettuarono gli “spostamenti” dettati dal piano d’emergenza nazionale che
viene attivato solo nei casi d’estremo pericolo. Il Presidente, da quanto risulta, in quel
momento non era a Washington, ma la sua famiglia, il vice presidente Dick Cheney e
tutto lo staff politico presidenziale furono subito trasferiti in un bunker anti-atomico.
Secondo alcune fonti,
3
il presidente Bush in quei momenti si trovava in visita alla scuola
elementare Emma Booker di Sarasota, in Florida, dove fu informato degli attacchi
terroristici condotti contro gli Stati Uniti. A seguito delle allarmanti notizie pervenute,
Bush insieme ai suoi collaboratori decisero di rientrare immediatamente alla Casa
Bianca, per adottare tutte le misure inerenti allo stato d’emergenza. Allo scopo di
3
Cfr. G. RIOTTA, op. cit. pp. 10-11, ed il sito Internet www.cnnitalia.it
8
prestargli la massima protezione i servizi di sicurezza lo accompagnarono invece nella
base aerea di Barksdale in Louisiana, sulle rive del Mississippi.
Successivamente, poiché la situazione d’emergenza nazionale si protraeva, il Capo della
Casa Bianca s’imbarcò nuovamente sull’aereo presidenziale Air Force One, rimanendo
questa volta in volo per molte ore sui cieli statunitensi, dove fu scortato a vista da alcuni
caccia F 16; in seguito Bush atterrò nella base militare di Offut nel Nebraska,
proseguendo poi verso un luogo segreto. A bordo dell’Air Force One il Presidente, col
suo staff, può compiere qualsiasi operazione di Stato e mantenere costantemente il
controllo su tutto ciò che accade nel mondo, esattamente come se fosse nello studio
ovale della Casa Bianca. Questo aereo, infatti, solo esteriormente assomiglia ai Jumbo
B-747 che possiamo vedere rullare sulle piste degli aeroporti, poiché sofisticati
componenti elettronici e di telecomunicazione, unitamente ad avanzati sistemi di difesa
costantemente aggiornati, lo differenziano da qualsiasi altro aeroplano, rendendolo una
vera e propria “fortezza volante”.
Contemporaneamente allo svolgersi di quei tragici avvenimenti, in tutto il paese, i più
importanti personaggi politici di rilievo, i funzionari di Stato ed i membri del
Congresso, furono prontamente evacuati dalle città, per essere condotti in sicuri centri di
comando strategico, al fine di evitare una possibile decapitazione del potere politico e
militare negli USA. Fu solo in tarda serata, quando parve che la situazione di massimo
pericolo fosse cessata, che il Presidente rientrò a Washington, dopo essere atterrato nella
vicina base di Andrews, nel Mariland, ed aver proseguito per la Casa Bianca in
elicottero. Alle ore 19 circa, rivolgendosi a tutti gli americani con un breve discorso
ufficiale, Bush commentò sinteticamente la tragicità dell'accaduto, dichiarando inoltre, a
conclusione dell’intervento, che l’America non si sarebbe mai piegata ai sanguinosi
attacchi terroristici, ma avrebbe saputo reagire con forza e determinazione, per vincere
una guerra che sarebbe stata lunga, difficile e sicuramente non convenzionale.
Nei giorni che seguirono non furono poche le critiche, in parte giustificate, che piovvero
addosso all’amministrazione del presidente Bush. Le numerose rimostranze provennero
non solo dalla solita opposizione politica, ma anche direttamente dai cittadini di New
York. Nella metropoli, infatti, molte persone non avevano accettato “l’ingiustificata” e
protratta lontananza del Presidente da Washington e New York, assenza che poteva
9
essere intesa come una “fuga” dai luoghi degli attentati, che rendeva intollerabile la sua
già nota distanza, fisica e morale, dalla città. Le preesistenti insofferenze si erano inoltre
maggiormente accentuate proprio durante quegli attacchi terroristici, considerati tra le
peggiori situazioni di crisi verificatesi in America dalla Seconda guerra mondiale in poi,
in piena emergenza nazionale. Quei tragici avvenimenti aprivano così, inevitabilmente,
l’ipotesi di una risposta armata americana. Molte persone, uomini politici, militari,
esperti strateghi, ma anche cittadini comuni d’ogni luogo, a causa di ciò, furono portati
a paragonare gli attentati dell'undici settembre all’attacco a sorpresa, condotto dai
giapponesi il 7 dicembre 1941, contro la base americana di Pearl Harbour. Tale cruenta
aggressione, ricordiamo, rappresentò l’episodio scatenante che fece precipitare gli Stati
Uniti nel Secondo conflitto mondiale. Impetuosi venti di guerra stavano quindi per
soffiare sull’intero pianeta, ma se una reazione militare pareva inevitabile, contro di chi
dovevano essere puntate le micidiali e spaventose armi americane?
Ritornando alla cronaca di quella triste mattina, intorno alle ore 9.30 furono evacuate la
Borsa del Nymex, il New York Mercantile Exchange ed il New York Stock Exchange,
(la Borsa Valori di Wall Street).
Alle 9.45 circa, un Boeing 757, decollato poco prima dall’aeroporto di Washington
Dulles e diretto a Los Angeles, identificato poi come il volo 77 dell’American Airlines
che trasportava 58 passeggeri e sei membri dell’equipaggio, si abbatté contro il
Pentagono a Washington, la sede del Ministero della Difesa statunitense, causando
complessivamente 189 morti e 110 feriti. Nell’impatto l’aereo riuscì a distruggere
un’ala dell’imponente edificio, conseguentemente subito evacuato insieme al personale
della Casa Bianca, al Congresso ed al Ministero del Tesoro. Contemporaneamente
anche il grattacielo Sears di Chicago, attualmente l’edificio più alto degli Stati Uniti, fu
precipitosamente sgomberato, e subito dopo lo stesso accadde per il Palazzo di Vetro
dell’ONU a New York, dove oltre settemila persone furono evacuate, infine furono
chiusi anche tutti i ponti ed i tunnel che collegavano Manhattan alla città.
Nel frattempo, da New York, le immagini diffuse dalla cronaca televisiva, trasmesse in
tutto il mondo, erano a dir poco terrificanti. I due grattacieli colpiti a morte bruciavano
come gigantesche candele, verso l’alto si levavano due dense colonne di fumo grigio
che, ricoprendo tutta Manhattan, andavano ad oscurare il limpido cielo che quel giorno
di settembre illuminava la città. Alcune persone, scampate all’impatto degli aerei e
10
rimaste intrappolate nei piani alti degli edifici, a causa dell’esplosione e dell’incendio
che avevano precluso ogni via di fuga, salivano sui tetti, nella speranza di essere tratte
in salvo dall’intervento di qualche elicottero, ma lì spesso trovavano la morte perché il
fumo denso impediva loro di respirare. Tra quelle persone, oggi ricordiamo, c’era stato
chi, per non morire bruciato vivo, si gettava nel vuoto dagli ultimi piani delle torri, in
tragiche sequenze immortalate dalle fredde immagini dei teleobiettivi. Così ad esempio
è stato documentato nel precipitare di quella coppia che si era tenuta unita per mano
dopo un ultimo abbraccio fatale, o di quell’anziano signore che a sua volta, cadendo a
testa in giù, si teneva il berretto calcato sul capo, forse in un ultimo disperato tentativo
di non perderlo, per rimanere simbolicamente attaccato alla vita, o ancora, come di quel
giovane che, per rendere probabilmente l’inevitabile morte più dignitosa, si era tuffato a
“volo d’angelo”, con le braccia aperte e la schiena dritta, emulando un ultimo tuffo,
questa volta infinito e mortale.
Migliaia di persone prese dal panico per il tremendo impatto, per l’incendio causato
dalla fuoriuscita di circa quarantamila galloni di carburante, per il fumo, gli scoppi, il
buio dovuto all’interruzione dell’energia elettrica, affollavano le scale cercando
disperatamente una via di fuga; c’era chi era rimasto intrappolato nei numerosi
ascensori dei grattacieli e chi cercava di soccorrere i numerosi feriti. Giù in strada la
gente fuggiva terrorizzata, numerose squadre di pompieri, poliziotti del New York
Police Department, ambulanze e volontari accorrevano in forze per prestare i primi
soccorsi alla popolazione, mentre i magazzinieri della Guardia Nazionale della vicina
caserma in Park Avenue South, allarmati per la dimensione della catastrofe,
cominciavano a preparare decine di ”body bags”, i sacchi destinati a contenere cadaveri
o parti di essi.
11
1.3) I crolli
Ma il peggio doveva ancora venire. Alle ore 10.07 accadde, infatti, la peggiore delle
ipotesi supposte e nello stesso tempo rifiutata dall’immaginario collettivo di tutti coloro
che erano presenti sul luogo della tragedia e da chi, collegato da ogni parte del mondo
tramite le numerose dirette televisive, assisteva al dramma, come ipnotizzato ed
impotente sul da farsi.
L’architetto italiano Renzo Piano, il famoso maestro d’arte contemporanea nel settore
della progettazione di costruzioni civili, tecnico apprezzato in tutto il mondo per le sue
competenze e sicuramente grande esperto nelle tecnologie di edificazione dei moderni
fabbricati, avendo assistito in diretta alla tragedia dichiarò, in una successiva intervista,
di essere stato in tutti quei drammatici momenti, tormentato dal seguente pensiero: “Mi
misi a calcolare il tempo di vita che restava ai due edifici. Il calore del carburante è
mostruoso. Sapevo che non avrebbero resistito. Contavo i minuti, non venivano giù e
pensai, forse sbaglio…”.
4
L’architetto Renzo Piano non si sbagliava affatto e, negli
istanti in cui il timore di un possibile crollo, comune nei pensieri di tante persone, si
faceva sempre più ossessivo, con un assordante fragore, avvolta in un immenso
polverone, la Torre Sud del World Trade Center (che si distingueva dalla gemella per la
mancanza sulla cima della gigantesca antenna televisiva), implodendo su se stessa
veniva giù, sgretolandosi in milioni di metri cubi di polvere, vetro, acciaio e cemento.
La sua mole seppelliva sotto le macerie migliaia di vittime innocenti, uomini, donne e
bambini, la cui unica colpa era stata quella di trovarsi in quel preciso momento proprio
lì, nel luogo dell'attentato. Tutte quelle povere persone furono inesorabilmente travolte
ed uccise, insieme a centinaia di pompieri e volontari accorsi nel frattempo per prestare
i primi soccorsi.
Agli occhi del mondo si presentava una scena apocalittica, ben degna di essere
rappresentata in un girone dell’inferno dantesco. Un’immensa nuvola di fumo, polvere e
schegge, si diffondevano per tutta “downtown”, invadendo strade ed isolati, penetrando
nelle hall degli alberghi, nei negozi, nei bar, fino ai pianterreni degli edifici circostanti,
per poi diffondersi sempre più su, verso i piani alti. Enormi cumuli di macerie e detriti
sovrastavano l’area su cui si erigeva fino a poco prima la Torre Sud del Wtc che, per la
cronaca, era stata la seconda ad essere colpita. A Manhattan tutto in quel momento si
4
Cfr. G. RIOTTA, op. cit., p.7
12
era fermato. I telefoni pubblici ed i cellulari avevano smesso improvvisamente di
comunicare tra loro, l’elettricità era stata interrotta, si erano fermate le scuole, gli uffici,
le Borse, le banche, gli autobus, le linee metropolitane, i negozi, ecc. Il cuore di New
York, da quel fatidico momento, aveva smesso di pulsare.
La Federal Aviation Administration, l’autorità che gestisce il traffico aereo degli Stati
Uniti, per tenere sotto stretto controllo tutti i voli che operavano sui cieli americani, a
quel punto decise di chiudere tutti gli aeroporti statunitensi, con la conseguenza che i
voli transatlantici da e per gli USA, nonché tutti i voli nazionali, furono fatti rientrare o
dirottati sul Canada o in Messico. Contemporaneamente, dati gli eventi, il presidente
Bush ordinava l’abbattimento di qualsiasi aereo non identificato, o velivolo
commerciale che non avesse risposto agli ordini delle torri di controllo, anche nel caso
si fosse trattato di un volo di linea.
Nel frattempo, poco dopo le 10, mentre l’ala del Pentagono colpita dal jet
dell’American Airlines crollava rovinosamente al suolo, il volo 93 dell’United Airlines,
che trasportava 45 persone, precipitava nella contea di Somerset in Pennsylvania, nelle
campagne a sud est di Pittsburgh. Quel Boeing 757 era partito alle 8.10 dall’aeroporto
di Newark, nel New Jersey, per San Francisco, ma anch’esso invece fu dirottato, con
probabile obiettivo la Casa Bianca. La causa della caduta dell’aeromobile poteva essere
attribuita ad una possibile rivolta dei passeggeri a bordo, oppure un'altra supposizione,
seppur poco attendibile e fermamente smentita dalle autorità militari, ma da non
escludere completamente, ipotizzava che l’aereo fosse stato abbattuto da jet militari, che
erano stati messi in stato d’allerta per la circostanza.
Alle 10.29 anche la Torre Nord, la prima ad essere colpita, seguendo la stessa sorte della
torre gemella, collassava crollando al suolo, cancellando così tutte le speranze e le attese
di chi ancora si era illuso che potesse verificarsi un miracolo, e di chi aveva intrappolato
al suo interno qualche parente o persona cara. Si ripeteva così, come in un tragico
playback, il terrificante spettacolo accaduto solo mezz’ora prima, in uno spaventoso
scenario di morte e distruzione.
13
Intorno alle 10.30 si diffuse inoltre la voce che un’autobomba era esplosa davanti al
Dipartimento di Stato a Washington, ma tale circostanza non fu mai ben chiarita, forse
perché ritenuta un episodio di secondaria importanza,
5
rispetto a tutto il resto.
Circa due ore dopo, in un’atmosfera spettrale, l’incubo dei crolli si ripeteva. Oltre alle
due torri ed agli edifici più bassi del World Trade Center, rimasti schiacciati dalla
caduta dei due giganti, anche un altro grattacielo, situato nelle immediate vicinanze del
Wtc, si abbatteva fragorosamente al suolo, come se tutte quelle costruzioni si trovassero
collegate tra loro in un infernale gioco del domino.
1.4) La dinamica del crollo
Quando le torri furono ideate,
6
per l’ardito progetto avveniristico e le loro imponenti
dimensioni, particolari attenzioni furono dedicate ai problemi relativi alle sollecitazioni
statiche e dinamiche, alle forze di compressione, trazione e taglio che diversamente
agivano lungo le varie sezioni della struttura; furono calcolate condizioni
meteorologiche estreme, compresi uragani, terremoti ed incendi, ai quali gli edifici
potevano resistere per 90-120 minuti, ma non era certamente stata prevista l’esplosione
dovuta all’impatto di un aereo carico di 40.000 galloni di carburante.
In un primo momento, nonostante la devastante forza d’urto, la struttura perimetrale
tubolare in acciaio delle torri riuscì ad assorbire il tremendo impatto, impedendone il
crollo immediato. Così fu resa possibile una parziale evacuazione dei grattacieli, anche
se purtroppo per i piani superiori non ci fu nulla da fare, a causa dell’interruzione di tutti
i collegamenti tra un settore e l’altro degli edifici. Alle persone presenti nei piani alti fu
quindi preclusa ogni via di fuga, compresi i tetti, divenuti a loro volta irraggiungibili,
per il denso fumo e gli scoppi, perfino dai numerosi elicotteri intervenuti. Attendibili
conclusioni stabilirono in seguito che non fu l’impatto in sé a causare la caduta delle
torri, anche se ne provocò seri danni strutturali, ma fu il fortissimo calore dell’incendio
che, portando gli elementi della costruzione a temperature estremamente alte, causò la
perdita di rigidità e di resistenza dei materiali.
5
Cfr. G. RIOTTA, op. cit. p.132 ed inoltre il sito Internet www.twintowersday.com
6
www.pernondimenticare.it/
14
Ancora oggi non è chiaro quale elemento strutturale possa aver portato al collasso della
costruzione, se hanno ceduto i pilastri perimetrali in acciaio, le travi orizzontali o il
nucleo centrale. Semplificando potremo affermare che con molta probabilità si sono
deformate, a causa del calore intenso, le travature reticolari dei solai ed i loro perni di
connessione, in altre parole tutto quel sistema strutturale che connette i pilastri esterni
con il nucleo interno dello scheletro, di conseguenza le lastre di cemento dei solai sono
crollate l’una sull’altra con un effetto “domino”, facendo così precipitare a terra l’intera
torre. Le Twin Tower sono quindi crollate implodendo su se stesse, danneggiando
pertanto, in modo rilevante, solo un ristretto numero di edifici circostanti.
1.5) I precedenti
Il complesso del World Trade Center era già stato in precedenza preso di mira dai
terroristi.
7
La mattina del 6 febbraio 1993 un furgone giallo Econoline Ford, della
società di autonoleggio Ryder, esplose fragorosamente nei garage sotterranei del Wtc,
causando la perdita di sei vite umane ed il ferimento di altre 1042 persone, più di quante
non ce ne fossero mai state in qualsiasi altro attentato della storia degli Stati Uniti. Le
due torri oscillarono pericolosamente a causa del tremendo spostamento d’aria, ma
fortunatamente non vi furono seri danni alle strutture portanti.
Di quel tragico attentato fu accusato il kuwaitiano Ramzi Yousef, conosciuto come
“Rashid”, terrorista particolarmente spietato, buon esperto di esplosivi ed in qualche
modo collegato ad Osama bin Laden, come fu accertato dalle successive indagini.
Secondo i servizi segreti pachistani, i due si conobbero nell’estate del 1991 a Peshawar,
nel Pakistan nord occidentale, (città di confine dove era solito che i militanti delle varie
fazioni girassero per strada armati fino ai denti con fucili d’assalto AK 47, bombe a
mano e quant’altro), durante un incontro organizzato da Abdurajak Abubakar Janjalani,
il fondatore del gruppo terroristico filippino Abu Sayyaf.
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7
Cfr. S. REEVE, I nuovi sciacalli, RCS Libri, 2001, pp.7-30.
8
Ibidem, pp.192-193.