2.2 L’ideologia, la poetica, la storia
Da un punto di vista ideologico, se posso permettermi il lusso del termine, sono sicuramente
anarchico. Uno che pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio e
attribuisce agli altri, con fiducia, le sue stesse capacità. Credo che l’esperienza libertaria possa
diventare concreta in piccole isole felici. Ma è molto difficile perché la specializzazione maledetta
porta gli uomini a considerare se stessi delle macchine con una determinata e specificata funzione.
1
La scelta di Faber di prendere spunto dai Vangeli Apocrifi, oltre ad avere una motivazione di tipo
estetico,
2
risponde ad un’esigenza poetica e ideologica ben precisa che ha la sua origine nell’animo
anarchico dello stesso autore: “I Vangeli apocrifi sono una lettura bellissima *…+. Ci sono molti
punti di contatto con l’ideologia anarchica”.
3
Il tema religioso offre a De André la possibilità di
trattare molti altri argomenti in linea con il suo spirito libertario e conferisce all’album un
significato polisemico.
Per capire le scelte che stanno alla base della concezione de La buona novella è necessario
ripercorrere le tappe più importanti che hanno contribuito alla crescita culturale e ideologica di De
André. L’anarchismo del cantautore genovese ha origini pressoché ataviche, è lui stesso a rivelarlo:
Come mai si diventa libertari? O hai frequentato un ambiente libertario, cosa che ho fatto fin dai
diciotto anni, o altrimenti perché hai un impulso a pensare che il mondo debba essere giusto, che
tutti debbano avere come minimo le stesse condizioni di opportunità per potersi esprimere ed
evolvere. Mi ricordo del mio atteggiamento nei confronti della microsocietà in cui vivevo in
campagna, quando avevo quattro anni. Ero sempre dai contadini, assimilavo molto più da loro che
dai miei genitori, ero in mezzo alle bestie, volevo bene sia ai contadini sia alle bestie, ci stavo bene,
li sentivo parte di me, più veri. Il discorso poi si è evoluto quando ho cominciato a chiacchierare con
persone che erano dichiaratamente di fede anarchica.
4
La coscienza politica di Fabrizio si consolidò nel 1954, quando ricevette in regalo dal padre due 78
giri di Georges Brassens. L’incontro con le canzoni del maitre à penser transalpino fu decisivo non
soltanto, come è più facile pensare, dal punto di vista artistico
5
ma anche dal punto di vista
ideologico.
1
Fabrizio De André, «Tv Sorrisi e Canzoni», 17 gennaio 1999. (… che sei volato in cielo su una stella)
http://www.fondazionedeandre.it/img/le_rassegne_stampa/1990_1999/file_2182.pdf
2
“Non trovo nulla di più etico, e potenzialmente più estetico d’un disco sui Vangeli”. (Fabrizio De André cit. in CESARE
G. ROMANA, Smisurate preghiere, cit., p. 31).
3
Fabrizio De André cit. in R . STORTI, I vangeli di Fabrizio De André, cit., p. 28.
4
Fabrizio De André in un’intervista a Luciano Lanza, 1993, (Gli anarchici, i poeti & gli altri), riportata nel supplemento
alla rivista anarchica “A”, anno 30 n. 262, «L’altro Fabrizio», marzo 2000.
http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/deandre/16.htm
5
Numerose sono le canzoni che De André traduce dal canzoniere di Brassens: Delitto di paese (1965) da L’Assassinat,
Il gorilla (1969) da Le Gorille, Nell’ acqua della chiara fontana (1969) da Dans l’eau de la claire fontaine, Marcia
Riguardo a questa folgorante scoperta De André dichiara:
*…+Brassens era anche lui un libertario, le sue canzoni scavavano nel sociale. Brassens non è stato
solo un maestro dal punto di vista didattico, per quello che può essere la tecnica per fare una
canzone, è stato anche un maestro di pensiero e di vita. Mi ha insegnato per esempio a lasciare
correre i ladri di mele, come diceva lui. Mi ha insegnato che in fin dei conti la ragionevolezza e la
convivenza sociale autentica si trovano di più in quella parte umiliata ed emarginata della nostra
società che non tra i potenti.
6
È attraverso le canzoni di Brassens che il giovane De André cominciò ad avere una coscienza civile
e politica grazie alla quale scelse di avvicinarsi ai derelitti umani che popolavano i bassifondi di
Genova. Decise così di allontanarsi dalle sue origini borghesi (la sua famiglia era una delle più
agiate di Genova) e di inoltrarsi “lungo le calate dei vecchi moli”,
7
dove avrebbe imparato il
penetrante senso di solidarietà che animava quei vicoli. Il volersi staccare dai valori piccolo-
borghesi per condividere la vita con chi era spesso vittima di quegli stessi valori ha molto a che
fare con la poetica di Brassens. Asserisce De André:
Egli [Brassens] rappresentava il superamento di valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai borghesi
certe forme di rispetto ai quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la
musica. Per me è come leggere Socrate: ti insegna come comportarsi o al minimo, come non
comportarsi.
8
L’influenza di Georges Brassens spinse Fabrizio ad approfondire la ricerca politica. Questa sete di
conoscenza lo portò ben presto a preferire ai testi scolastici i libri di autori anarchici come Michail
Bakunin, Errico Malatesta e Max Stirner. Nel 1957 Faber, appena diciassettenne, si iscrisse alla
Federazione anarchica di Carrara. Come afferma Enrico Deregibus, ormai è chiaro che la scelta
anarchica “lo accompagnerà fedele per tutta la vita, perfettamente coerente alla sua vena
libertaria e alla sua predilezione per quello che il marxismo chiama sottoproletariato.”
9
Nel 1959 si
diplomò al liceo classico Colombo di Genova e nello stesso anno lesse L’unico e la sua proprietà di
Max Stirner, pubblicato per la prima volta nel 1845. Questa lettura contribuì alla formazione
politica e culturale di Fabrizio che qui ebbe a leggere:
nunziale (1970) da La Marche nuptial, Le passanti (1974) da Le Passantes, Morire per delle idee (1974) da Mourir pour
des idées. Inoltre Umberto Fiori definisce il “supporto musicale” adottato da Fabrizio nella sua prima produzione “un
misto di Georges Brassens, folk e musica classica”, (Umberto Fiori, “La canzone è un testo cantato”. Parole e musica in
De André, in R. GIUFFRIDA e B. BIGONI ( a cura di), Fabrizio De André. Accordi Eretici, cit., p. 148).
6
Fabrizio De André in un’intervista a Luciano Lanza, 1993, (Gli anarchici, i poeti & gli altri), riportata nel supplemento
alla rivista anarchica “A”, anno 30 n. 262, «L’altro Fabrizio», marzo 2000.
http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/deandre/16.htm
7
La città vecchia (1965).
8
Fabrizio De André cit. in L. VIVA, Vita di Fabrizio De André, cit., p. 187.
9
E. DEREGIBUS, Traccia bibliografica, in R. BERTONCELLI (a cura di), Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De
André, cit., p. 44.
“La libertà esiste solo nel regno dei sogni!” invece l’originalità, vale a dire l’essenza e la sostanza di
me stesso, costituisce l’individualità unica. Sono libero da ciò di cui mi sono liberato, padrone di ciò
che ho in mio “potere” e di ciò che “posso”. “Mio” lo sono sempre in qualunque momento e
circostanza, se so mantenere il possesso di me stesso e non rinunciarvi in favore di altri. Essere
libero è una cosa che non posso veramente “volere”, perché la libertà non posso farla, non posso
crearla; posso solo desiderarla, aspirare ad essa che rimane un ideale un fantasma. A ogni
momento la realtà scava solchi profondi nella mia carne. Ma “mio” rimango.
10
Le parole qui sopra citate avranno un eco nel pensiero di Fabrizio che a proposito dell’anarco-
individualismo afferma:
Il più possibile si vive da soli, meglio si vive: prima di tutto non si fa del male a nessuno; in secondo
luogo difficilmente te ne fanno. Quello che veramente mi fa paura, sono le aggregazioni, le
associazioni: è al loro interno che nascono i germi della violenza, perché le aggregazioni si danno
delle regole, per rispettare le quali creano le polizie*…+. A partire dalla bocciofila, tanto per dire, per
passare al Lions Club e arrivare fino allo stato. Questo ho sempre pensato.
11
Un altro incontro che contribuì a formare la personalità di De André è quello con il già citato poeta
Riccardo Mannerini. Fabrizio e Mannerini si conobbero nel 1959 e per alcuni anni condivisero un
monolocale. Questa amicizia, al di là del sodalizio artistico,
12
rappresentò un punto di svolta nella
crescita del cantautore genovese:
Mannerini mi ha insegnato che essere intelligenti non significa tanto accumulare nozioni, quanto
selezionarle una volta accumulate, cercando di separare quelle utili da quelle disutili. Questa
capacità di analisi, di osservazione, praticamente l’ho imparata da lui. Mi ha anche influenzato a
livello politico, rafforzando delle idee che già avevo. Sicuramente è stata una delle figure più
importanti della mia vita.
13
De André era uomo di cultura, era curioso e studioso e questo desiderio di conoscenza lo portò a
confrontarsi e a solidarizzare con persone che influenzarono un terreno già fertile di idee. Ma
nonostante i numerosi incontri formativi il pensiero di Faber resta personalissimo. Egli intende
l’anarchia come una categoria dello spirito che travalica il mero senso politico: “Anarchico non è
un catechismo o un decalogo, tanto meno un dogma, ma è uno stato d’animo, una categoria dello
spirito.”
14
Romano Giuffrida e Bruno Bigoni spiegano in questo modo le caratteristiche del pensiero
anarchico deandreiano:
10
Max Stirner cit. in L. VIVA, Vita di Fabrizio De André, cit., pp. 66-67.
11
Fabrizio De André cit. in P. GHEZZI, Il vangelo secondo De André, cit., p. 39.
12
Cfr. alla pag. 28 di questa tesi. Inoltre i due collaborarono alla stesura dei testi del disco d’esordio Senza orario senza
bandiera (1968) dei New Trolls, un gruppo genovese.
13
Fabrizio De André cit. in L. VIVA, Vita di Fabrizio De André, cit., pp. 67.
14
Fabrizio De André cit. in CESARE G. ROMANA, Amico fragile. Fabrizio De André, Milano, Sperling & Kupfer, 2002, p.
60.
Da un lato in quel suo soddisfare esigenze private riecheggia il già citato Stirner: “Io per me sono
tutto e tutto ciò che faccio lo compio per amor mio”; dall’altro, meno prevedibilmente fa la sua
comparsa una ventata di anarchismo Tolstojano che si concretizza in quel rendersi “utile alla
collettività”*…+.Lev Tolstoj, l’anarchico cristiano, avrebbe riconosciuto in De André quella coscienza
religiosa capace di vera arte*…+.
15
Quindi si può asserire che per Faber l’anarchia è una sorta di filosofia di vita, un instancabile lavoro
su se stesso prima che sugli altri, una ricerca esistenziale “dove la libertà diventa una méta
inesauribile più cercata che posseduta, che rinvia ad una dimensione di tipo religioso”.
16
La buona
novella è l’espressione più alta e rappresentativa di questo pensiero. La poetica di Faber, così
come si manifesta in questo album, è intrisa di un’anarchia bonaria prima che eversiva, un
sentimento libertario affine all’immagine di Gesù delineata dal cantautore. Parlando de La buona
novella De André dice: “È un Vangelo concreto. Cristo non appare mai, ma c’è sempre: è il filosofo
anarchico, il profeta dell’amore che dalle quinte determina tutto.”
17
È in questo senso che per
quanto concerne la poetica di De André, e più specificatamente de La buona novella, si può
parlare di anarco-cristianesimo che si precisa nel desiderio di attualizzare il messaggio di Cristo, un
messaggio che secondo l’autore è accostabile all’anarchismo:
Non c’è molta distanza tra certo anarchismo e certo misticismo. L’anarchismo affonda le sue radici
nel cristianesimo, visto che il Cristo filosofo è stato il più grande anarchico di tutti i tempi insieme a
Socrate.
18
Non bisogna dimenticare che La buona novella uscì nel 1970. Il tema religioso apparve
provocatorio e anacronistico ai contemporanei. De André spiega così quell’incomprensione:
Ma quando scrissi La buona novella eravamo in piena rivolta studentesca e ai meno attenti, vale a
dire la maggioranza dei fruitori della musica popolare, il disco apparve anacronistico. Ma cosa
andava predicando Gesù di Nazareth se non l’abolizione delle classi sociali, dell’autoritarismo, in
nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali? È un po’ come se io mi fossi rivolto ai miei
coetanei che si battevano contro smisurati abusi di potere e di autorità e avessi detto loro guardate
che lo stesso tipo di lotta l’ha già sostenuta un grande rivoluzionario 1969 anni fa e tutti sappiamo
come è andata a finire. Perché a parer mio (di allora come di oggi) la lotta contro l’autorità, il
potere e i suoi abusi, va combattuta ogni giorno individualmente: certo ci sono momenti e casi
eccezionali in cui è meglio lottare insieme, ma questo insieme deve essere una somma di
individualità, non un branco di pecore che lotta in nome di un’ideologia astratta e che si ponga
come obbiettivo quello di rimpiazzare attraverso l’imposizione dei suoi dogmi lo stesso potere
contro cui lotta, nella logica di “leva il culo tu che ce lo metto io”.
19
15
R. GIUFFRIDA e B. BIGONI, Canzoni corsare, in R. GIUFFRIDA e B. BIGONI ( a cura di), Fabrizio De André. Accordi
Eretici, cit., pp. 40-41.
16
Franca Canero Medici cit. in P. GHEZZI, Il vangelo secondo De André, cit., p. 36.
17
Fabrizio De André cit. in CESARE G. ROMANA, Smisurate preghiere, cit., p. 31.
18
Fabrizio De André conferenza stampa Anime Salve, 1997, cit. in P. GHEZZI, Il vangelo secondo De André, cit., p. 162.
19
Fabrizio De André, «La Repubblica», 14 marzo 1999, in Dentro Faber, cit., Vol. 6, “Il sacro”, p. 15.
La buona novella è un’opera dal forte messaggio politico e che, attraverso l’uso dell’allegoria, si
lega profondamente al contesto storico in cui venne realizzata. Il paragonare tra le rivendicazioni
più giuste dei movimenti sessantottini e il messaggio rivoluzionario di Cristo non fu capito dai più
che ritennero il disco avulso dal pressante realismo richiesto dagli eventi dell’epoca. Con questo
album, De André voleva porre addirittura un’alternativa anarco-individualista (“la lotta contro
l’autorità *…+ va combattuta individualmente”) alla modalità di lotta dei movimenti sessantottini
che proprio in quel periodo si stava radicalizzando assumendo connotati violenti che avrebbero
portato alla stagione degli anni di piombo. Come abbiamo accennato, nella nota al disco Roberto
Dané parla del metodo fabulatorio basato sul processo di illusione-disillusione-sfiducia con il
quale vengono narrate le vicende de La buona novella:
Tutti morimmo a stento è un quieto dolore che finisce male, della rivolta non ci sono più neppure le
radici, rimangono due invocazioni e un atto di accusa che sembra una preghiera. Solo la morte ha
ragioni per vivere: ha la coscienza di essere stata chiamata. La buona novella è il grado più alto di
questa illusione-disillusione-sfiducia. Ne è l’emblema addirittura. Comincia con una favola, una
leggenda: un “c’era una volta” che fa presagire lieto fine e felicità *…+. E De André segue questo
itinerario: alla favola sembra crederci, la porta avanti come se dovesse concludersi a lieto fine,
termina persino il primo tempo con l’odore della felicità. E poi distrugge con forza e decisione tutto
ciò che ha costruito*…+.
20
A mio avviso, il processo narrativo di cui parla Dané ha molto a che fare con il periodo storico in
cui venne inciso l’album. Consideriamo che la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) precede
di poco meno di un anno la pubblicazione de La buona novella. Questo tragico evento darà il via al
periodo della strategia della tensione e delle stragi del terrorismo rosso e nero che
caratterizzeranno più di un decennio della storia italiana. La strage di Piazza Fontana rappresentò
la fine di un’illusione, fu l’emblema della sconfitta di una generazione di giovani che faceva del
pacifismo e dell’antimilitarismo la sua forza. È in questo senso che per Faber la metafora della
sconfitta di Gesù pacifista e rivoluzionario rappresenta la sconfitta di migliaia di giovani e di un
intero periodo storico. In un certo senso Gesù è il doppio di quei giovani, è l’eroe sconfitto che per
il cantautore muore due volte: la prima sulla croce, la seconda quando il suo messaggio d’amore
viene imprigionato nella dimensione istituzionale della religione. De André racconta così il suo
contraddittorio punto di vista sul ’68:
Il ’68 io l’ho vissuto a contatto con questi gruppi di estrema sinistra, partecipando al tentativo di
rinnovamento; non li ho seguiti, perché di solito un artista, indipendentemente dall’ideologia, è un
coniglio individualista. Mai avrei fatto la lotta armata, ma condividevo quasi tutti quelli che oggi
vengono chiamati gli eccessi sessantottini, anche perché li avevo promossi, attraverso le mie
20
Roberto Dané nella nota (contenuta sul retro di copertina) di presentazione a La buona novella.
canzoni [...]. Volevamo diminuire la distanza tra il potere e la società. Abbiamo ottenuto diverse
vittorie *…+. Ma il ’68 è stato una rivolta spontanea, e il fatto che non sia riuscita forse è un bene, se
è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione è che, una volta preso il potere, i rivoluzionari
cessano di essere tali per diventare amministratori.
21
Quindi De André da un lato fraternizza con i contestatori constatando le conquiste di quella
stagione di rinnovamento ma dall’altro ammette il fallimento ontologico di tutte le rivoluzioni.
Un altro aspetto fondamentale che lega l’album agli eventi che lo circondano risiede nel modo in
cui Faber intende la figura di Cristo: un umanissimo rivoluzionario anarchico. Uno degli aspetti
peculiari del ‘68 italiano è il ruolo attivo che ebbero i giovani cattolici nella protesta. Il rapporto
tra anarchia e religione, che costituisce la matrice ideologica de La buona novella, animava le ansie
di rinnovamento del mondo cattolico post-conciliare caratterizzato da
un alto livello di spirito utopico (la “speranza” la fede nel “regno” che verrà) uniti da una forte
carica di egualitarismo, con venature anche di giacobinismo e forse di anarchia. La cultura cattolica
non ha mai nutrito grande tenerezza per lo stato moderno. Proprio quello stato moderno che
veniva contestato nelle assemblee del ’68 nelle quali, appunto, i cattolici portavano molta utopia,
poche mediazioni e una certa dose di ingenuità politica. Vi portavano anche quella inveterata
abitudine al soggettivismo che invece scarseggiava nella cultura marxista.
22
Rivedere la figura di Gesù in chiave rivoluzionaria è una trasposizione concettuale che negli anni
sessanta stava alla base della cosiddetta “teologia della liberazione”. La teologia della liberazione
nasce come movimento spontaneo nell’alveo delle comunità cristiane di base, quelle che portano
avanti l’aspetto più importante del messaggio di Cristo, ovvero quello di riscatto della gente più
povera per una condizione sociale umana e dignitosa. Questo movimento teologale è scaturito
dalla novità del Concilio giovanneo che oltre all’innovazione liturgica invitava ad una riflessione,
che si sarebbe rafforzata proprio nel ’68, sul “cristianesimo profetico, sul privilegiamento del
carisma rispetto alla gerarchia, sull’umanizzazione estrema del verbo.”
23
Queste tematiche
suscitarono ansie di rinnovamento negli ambienti ecclesiali periferici e al tempo stesso resistenze
preservanti della Chiesa istituzionale. Nel periodo delle lotte studentesche si creò nel mondo
cattolico una frattura tra le gerarchie nobili del clero e i parroci giovani e aperti a nuove idee che
volevano riportare il messaggio di Gesù alle sue origini e si battevano per far si che la Chiesa
ritornasse ad essere la Chiesa dei poveri. Per comprendere meglio questa tensione morale e
21
Fabrizio De André in un’intervista a R. Cappelli, «Mucchio selvaggio», settembre 1992 (Cantico per i diversi), in
Dentro Faber, cit., Vol. 7, “L’anarchia”, p. 9.
22
Filippo Gentiloni cit. in G. CRAINZ, Il paese mancato, cit., p. 313.
23
G. CRAINZ, Il paese mancato, cit., p. 182.
politica è interessante leggere un estratto di un articolo del 1968 di Fernando Vittorino Johannes
dedicato all’inquietudine religiosa di quegli anni:
Nulla è ancora stato detto della Parola, se non lo dice Martin Luther King, con la sua parola e con il
suo sangue; nulla è detto se non passa attraverso il “carisma” di tanti e tanti nomi che forse ci
scandalizzano, ma sono nomi presenti tra i guerriglieri, tra i preti sospesi a divinis, tra gli studenti
caricati dalla polizia, tra gli operai che assaltano e occupano la fabbrica. Alcuni li conosco: non
hanno la mia fede nel Risorto dai morti, ma come me credono che la Resurrezione sta nel rialzare il
capo a ogni uomo che non ha più speranza, che si adagia, che accetta *…+. L’impazienza di fronte a
ogni forma di repressione, di autoritarismo, di possessione, di soffocamento, di strumentalizzazione
è forse il “carisma” che oggi lo Spirito sta diffondendo in noi.
24
È chiaro che le posizioni di quel segmento del mondo cattolico erano in linea con l’idea di un
Cristo libertario espressa da De André ne La buona novella. Anzi, sotto quest’ottica l’album risulta
essere una sorta di manifesto della teologia della liberazione. A questo proposito sono illuminanti
le parole di Don Andrea Gallo:
Secondo me Fabrizio è a pieno titolo un evangelista. Che cosa è un’evangelista? È il portatore di una
profonda coscienza. Non solo: rendeva gli altri consapevoli della propria energia vitale, umana. Ne
La buona novella c’è il sigillo autorevole di una coscienza. E anche un’occasione irripetibile per la
canzone di diventare il più penetrante strumento artistico della cultura popolare e universale. Io,
dopo il concilio, glielo dissi (e lui ne era contento …): “Tu ormai fai parte dei teorici della
liberazione”.
25
Il fatto che La buona novella sia carica di riflessioni di tipo teologico è dimostrato anche
dall’interesse della Chiesa e dei teologi che invitarono De André ai loro dibattiti:
Ma io che ne sapevo, di teologia? Rifiutai gli inviti, perché non avrei saputo che cosa rispondere ai
loro dotti quesiti, del tipo: lei, caro De André, che cosa ne pensa della transustanziazione? No, non
era davvero pane per i miei denti, ero solo un autore di canzoni.
26
Anche se De André continuerà per tutta la sua vita a sentirsi “solo” un cantautore è certo che con
La buona novella egli ha saputo incrociare, attraverso un’acuta coscienza storica, “un bisogno di
spiritualità che le chiese cristiane ufficiali faticavano ad intercettare.”
27
24
Fernando Vittorino Johannes cit. in G. CRAINZ, Il paese mancato, cit., pp. 182-183.
25
Don Andrea Gallo cit. in R. STORTI, I vangeli di Fabrizio De André, cit., p. 145.
26
Fabrizio De André cit. in M. ANDRISANI, Fabrizio De André e La buona novella, cit., p. 64.
27
Brunetto Salvarani cit. in R. STORTI, I vangeli di Fabrizio De André, cit., p. 164.