1.3. I primi teorici della traduzione
La scienza della traduzione è un'interdisciplina che contiene elementi delle scienze sociali e
umanistiche, e che si occupa in modo sistematico dello studio della teoria, della descrizione e
delle applicazioni pratiche della traduzione e dell'interpretazione (o interpretariato) . Prima di
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arrivare alla nascita dei Translation Studies, è necessario volgere il nostro sguardo verso il
passato e ai primi teorici che hanno posto le basi per la nascita di una vera e propria scienza .
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Uno dei primi a esporre una teoria della traduzione fu l’umanista francese Etienne Dolet che
fu condannato per una traduzione “sbagliata” dei dialoghi di Platone . Nel 1540 pubblicò un
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saggio sui principi della traduzione con La manière de bien traduire d’une langue en autre, in
cui parla di cinque fasi che il traduttore dovrebbe seguire:
1. comprendere completamente il senso ed il significato dell’autore originale;
2. avere una conoscenza perfetta sia della lingua di partenza che di quella di arrivo;
3. evitare di rendere parola per parola;
4. usare espressioni di uso comune;
5. scegliere e ordinare le parole nel modo giusto per ottenere il giusto tono .
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Chapman, un grande traduttore di Omero, riprese il pensiero di Dolet e parlò del ruolo del
traduttore sia in Seven Books of the Iliad che nell’ Epistle to the Reader. Per Chapman le fasi
da rispettare sono:
Cfr. Osimo B., op. cit., p. 10.
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Cfr. Bassnett S., op. cit., pp. 1-2.
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Cfr. Id., pp. 79-80.
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Cfr. Ibidem.
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1. evitare di rendere il testo parola per parola;
2. provare a raggiungere lo “spirito” dell’originale;
3. evitare traduzioni troppo libere basandosi sullo studio di altre versioni .
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Quando parla di “spirito” riprende la dottrina platonica dell’ispirazione divina. Questo poteva
essere ricreato attraverso una “trasmigrazione” del testo originale .
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Nel XVI secolo il traduttore francese Edmon Cary, vive il periodo delicato in cui un traduttore
poteva essere giustiziato per aver reso una frase del testo in un modo piuttosto che in un altro.
Infatti molte traduzioni venivano considerati degli adattamenti. E’ il periodo in cui i traduttori
però preferiscono essere fedeli non alle singole parole ma al significato delle opere tradotte.
La traduzione nel periodo rinascimentale assunse un ruolo significativo che plasmava la vita
intellettuale dell’epoca ed il traduttore era visto come un vero e proprio rivoluzionario
piuttosto che il servitore di un testo. E’ stata un’epoca di innovazione stabilendo un rapporto
tra passato e presente e tra lingue e traduzioni diverse che si stavano frantumando e separando
sotto la spinta del nazionalismo e dei conflitti religiosi .
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Nel XVII secolo ci furono cambiamenti radicali nel ruolo della traduzione . Gli scrittori
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prendevano a modello i grandi del passato considerando l’imitation un metodo d’istruzione.
John Denham afferma, a tal proposito, che bisogna aggiungere al momento della traduzione
uno spirito nuovo, come dice nella prefazione alla sua traduzione The Destruction of Troy
(1656) . Scrittore e autore sono sullo stesso piano per Deman, seppur in contesti sociali e
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temporali diversi . Il compito centrale del traduttore è quello di cogliere il nucleo essenziale
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e riprodurlo in LA.
Cfr. Id., p. 80.
30
Cfr. Ibidem.
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Cfr. Id., p. 81.
32
Cfr. Id., p. 84.
33
Cfr. Id., p. 85.
34
Cfr. Id., p. 84 e Ibidem.
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C’era invece chi traduceva non per mettere al corrente il lettore di ciò che l’autore di partenza
volesse dire, ma per far conoscere il proprio modo di scrivere . E’ il caso del poeta e saggista
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inglese, ritenuto uno dei più significativi del suo tempo, Abraham Cowley, che ammette di
aver tradotto aggiungendo e togliendo a proprio piacimento, rifiutando il concetto di
imitation . Il modello suggerito è quello della traduzione molto libera, poiché la traduzione
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letterale risulta essere ostica per la distanza linguistica e cronologica tra la cultura di partenza
e cultura d’arrivo. Inoltre, spiega che elementi come il metro, la musicalità ed il ritmo,
specialmente per quanto riguarda la poesia, potrebbero essere inappropriati se si opta per la
traduzione letterale . Quest’ultima provocherebbe una grave perdita di quelli che sono gli
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elementi che rendono grande un autore.
Il critico letterario Dryden, considerato il vero teorico della traduzione del Seicento inglese ,
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si distanzia da Cowley per prediligere un approccio alla traduzione che sa di ricreazione
dell’originale. Egli nelle Epistole di Ovidio (1680) parla di tre tipi di traduzione:
1. metafrasi: l’autore è reso parola per parola e riga per riga;
2. parafrasi: traduzione “secondo il senso” proposta da Cicerone;
3. imitazione: il traduttore preferisce allontanarsi dal testo originale .
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Secondo Dryden il miglior tipo di traduzione è il secondo da lui proposto. Lo scrittore inglese
parte da un punto di vista strettamente morale e si concentra sui doveri etici che un traduttore
ha nei confronti dei lettori. L’ideale che anima la classificazione di Dryden è la volontà di
chiarire l’essenza del testo, e permettere al più ampio pubblico possibile di accedere a quel
testo. Si tratta di una volontà condivisa tra tutti gli uomini di quel tempo: per questo motivo, i
testi venivano ritradotti nei secoli, modificandone la lingua, secondo gli usi delle epoche in
Cfr. Id., p. 86.
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Cfr. Morini M., op. cit., pp. 39.
37
Cfr. Bassnett S., op. cit., p. 85.
38
Cfr. Ibidem.
39
Cfr. Id., p. 86.
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cui si ritraducono . E’ lui che suggerisce la metafora del traduttore-pittore ritrattista secondo
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cui il pittore esegue un ritratto facendo attenzione a renderlo somigliante all’originale,
metafora ripresa poi dallo scrittore e storico Alexander Fraser Tytler .
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Dryden può essere considerato come il sostenitore della via di mezzo, idea che trova seguito
anche in Alexander Pope il quale pone l’accento sull’importanza della lettura del testo di
partenza per individuarne i dettagli, specialmente riguardo lo stile . Con la traduzione della
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Iliade, si è parlato di lui come lo scrittore di uno dei primi saggi di critica della traduzione. Il
traduttore, per Pope ha un dovere morale nei confronti del lettore che è quello di chiarire e
rendere comprensibile un testo . Tale posizione fu sostenuta dal Dottor Johnson che ritiene le
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aggiunte tramite traduzione utili se il testo ha da guadagnare a livello formale a patto che
nulla venga tolto .
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Nel XVIII secolo, si pone il problema del dovere morale del traduttore nei confronti dei
lettori . L’immagine del traduttore come pittore era molto diffusa in questo secolo, ma subì
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dei cambiamenti quando la ricerca sulla codifica ed il processo della creazione letterario
progredirono . Goethe (1749-1832) propone tre generi di traduzione che secondo lui ogni
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letteratura attraversa:
1. primo periodo: la Bibbia di Lutero è l’esempio grazie al quale conosciamo l’estero dalla
nostra prospettiva attraverso una prosa che neutralizza le particolarità e riduce
l’entusiasmo poetico;
2. secondo periodo: Wieland e la tradizione francese sono gli esempi attraverso cui vi è
l’appropriazione attraverso la sostituzione e la riproduzione: il traduttore assorbe il
significato di un’opera straniera ma la riproduce con i propri termini. Questo
procedimento rispecchia le cosiddette traduzioni belle infedeli;
Cfr. Ibidem e Id., p. 87.
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Cfr. Id., p. 89.
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Cfr. Id., p. 87.
43
Cfr. Ibidem e Id., p. 88.
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Cfr. Id., p. 88.
45
Cfr. Id., p. 87.
46
Cfr. Id., p. 88.
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3. terzo periodo: l’opera di V oss è l’esempio del periodo considerato il più elevato dei tre
che cerca di creare un’identità perfetta tra testo di partenza e testo d’arrivo. La
traduzione non vuole contrapporsi all’originale, ma collocarsi al suo posto, porsi nel suo
stesso luogo. Essa riproduce i diversi dialetti, le particolarità del ritmo, della metrica e
della prosa e permette di gustare ed assaporare l’opera nella sua piena originalità .
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Goethe propone così un nuovo concetto di originalità correndo il rischio di avvicinarsi alla
teoria dell’intraducibilità . Nel dibattito romantico sulla natura della traduzione molti
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traduttori e grandi scrittori romantici mostrano un atteggiamento ambiguo.
Con August Schlegel, l’atto del parlare e dello scrivere è già di per sé una traduzione poiché
decodificare ed interpretare i messaggi ricevuti fa parte della natura della comunicazione. Egli
affermava che bisognava mantenere la forma dell’originale . Con Friedrich Schlegel, la
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traduzione era considerata una categoria di pensiero piuttosto che un’attività collegata solo al
linguaggio e alla letteratura .
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Ci fu in questo periodo una riscoperta dei grandi uomini del passato e un grande numero di
traduzioni di opere tanto da influenzare notevolmente le lingue d’arrivo . Erano attive
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soprattutto due tendenze: quella che esaltava la traduzione come una categoria di pensiero e
vedeva il traduttore come un genio creativo in contatto col genio del testo originale; quella
che considerava la traduzione come un mezzo per far conoscere sia il testo che il traduttore .
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Questa visione creativa, era data dall’affermazione dell’individualismo e dalla teoria della
distinzione fra fantasia e immaginazione fatta da Coleridge, che pone l’accento sul potere
creativo e organico dell’immaginazione e che richiama la teoria del teorico tedesco August
Wilhem Schlegel .
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Cfr. Id., p. 90.
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Cfr. Id., p. 92.
49
Cfr. Id., p. 93.
50
Cfr. Ibidem.
51
Cfr. Id., p. 87.
52
Cfr. Ibidem.
53
Cfr. Id., p. 92.
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Teorici inglesi e tedeschi sollevano così il problema della traduzione chiedendosi se essa sia
un’attività meccanica o creativa. Per il teorico tedesco, ogni atto comunicativo, sia scritto che
orale, è inteso come atto traduttivo e la traduzione, tenendo conto dell’originale, deve
riportare anche il contenuto acquistando così la capacità di essere “poetica” . Novalis, poeta,
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teologo, filosofo e scrittore tedesco, nel 1798 nei suoi frammenti aforistici parla di tre tipi di
traduzioni:
•
traduzione grammaticale che richiede solo capacità discorsiva;
•
traduzione modificante per cui occorre il più grande spirito poetico e grazie a questo
spirito il traduttore riesce a riscrivere il testo dell’autore originario. L’unico rischio è
quello di cadere nella parodia e di incappare nelle traduzioni “belle infedeli”;
•
traduzione mitica che rappresenta il più puro carattere dell’opera d’arte e fornisce
direttamente l’ideale della stessa. Viene vista come un ideale utopico a cui si tende ma
che non si raggiunge mai completamente .
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Con il post-romanticismo, la figura del filologo Frierich Schleiermacher assume una grande
importanza, perché pone l’accento sull’opposizione tra senso e lettera . Nel testo della
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conferenza letta il 24 giugno 1813 all’Accademia Reale delle Scienze di Berlino, Sui diversi
metodi di tradurre, Friedrich Schleiermacher parla di due cammini che il traduttore può
intraprendere, o meglio, far intraprendere. E’, quindi, al traduttore che rimane la scelta tra il
lasciare lo scrittore il più tranquillo possibile e far sì che sia il lettore ad andargli incontro, o,
al contrario, lasciare il lettore il più sereno possibile e far sì che sia lo scrittore a dirigersi
verso il mondo linguistico di questi . Lasciare il più possibile in pace il lettore corrisponde
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alla traduzione del senso: il traduttore coglie il senso di ogni frase e lo riformula nel modo per
Cfr. Ibidem.
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Cfr. Catalano G., La nascita del concetto moderno di traduzione: le nazioni europee fra enciclopedismo e
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epoca romantica, Roma, Armando, 2001, p. 155.
Cfr. Bassnett S., op. cit., p. 95.
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Cfr. Ibidem.
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