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Introduzione
Questo lavoro indaga il tema della depressione, nel tentativo di far dialogare una
dimensione intrapsichica della depressione, che abbiamo individuato nella
visione psicodinamica, con una fenomenologica, connessa al vissuto
dell’individuo depresso, ed ancora con altre due prospettive che si occupano
degli elementi sociali e culturali: quella sociologica e quella etnopsichiatrica.
Consapevoli che si tratta di una scelta che non esaurisce la complessità della
tematica, abbiamo provato comunque ad approcciarci alla molteplicità di cui
parla Morin nella teoria della complessità, la quale rimanda alla <<necessità di
tenere in considerazione, quando ci si occupa della condizione umana in tutta la
sua sofferenza e profondità, numerose verità, in luogo della verità unica
sostenuta dalle prospettive più tradizionali>> (Stallone & Avara, 2001, p. 34).
Prima di approfondire il contenuto dei singoli capitoli vorremmo fare una
digressione sul titolo del presente elaborato, il quale riprende la nota poesia di
Eugenio Montale presente nella raccolta “Ossi di Seppia” (2007).
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
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era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
La prima strofa della poesia ricorda molti casi clinici esaminati: sono
interessanti le affinità di immagini, forme del male di vivere che esprimono un
senso di impossibilità, di blocco, di ripiegamento in se stessi, di
devitalizzazione.
Binswanger riporta in un suo caso: <<La malata paragona i melanconici,
defraudati della capacità di comunicare, d’intuire e di amare, al “letto di un
torrente in secca”, a un “binario su cui non passa nulla”>> (1977, p. 54).
Heidegger parla della poesia come fonte di conoscenza, di svelamento,
attraverso il linguaggio (2007).
Ci riferiamo anche al fatto che, come fa notare Borgna (2011), il termine
malinconia, sebbene all’inizio abbia avuto un significato medico-scientifico,
successivamente, <<soprattutto in Francia in testi tardo-medievali>> (p.146) ne
abbia assunto un altro poetico, mantenendo con il tempo questa duplice valenza.
Egli infatti utilizza lo stesso termine malinconia per indicare sia uno stato
d’animo, una Stimmung, che accompagna la sensibilità degli artisti, sia una
condizione patologica (2011). Per quanto, nonostante questa comunanza di
base, consideri le due condizioni come distinte. Queste riflessioni le troviamo
all’interno del secondo capitolo.
Ma andiamo con ordine. La prima parte del lavoro, nella prospettiva
psicodinamica, approfondisce la posizione di Blatt sulla depressione, partendo
dalla sue teorizzazioni sullo sviluppo della personalità. Egli, rifacendosi ad
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autori come Freud ed Erikson, parla di due polarità che portano allo sviluppo
della personalità: una anaclitica, orientata verso le relazioni interpersonali, e
l’altra introiettiva, orientata verso la definizione di sé. Queste polarità sono tra
di loro interconnesse e interdipendenti per quanto egli consideri che una tende a
prevalere sull’altra, contraddistinguendosi per specifici stili di attaccamento,
meccanismi di difesa e processi di pensiero.
La patologia nasce quando, in una prospettiva dimensionale, questa
predominanza diventa eccessiva.
Per quanto riguarda la depressione egli utilizza il DEQ (Depressive Experiences
Questionnaire) che permette, attraverso la sua composizione trifattoriale, di
valutare le esperienze di vita che si possono associare all’insorgenza della
depressione, oltre che le descrizioni cliniche di depressione anaclitica e
depressione introiettiva. La prima è caratterizzata da senso di solitudine e paura
dell’abbandono, la seconda da ipercriticismo e senso di fallimento.
La visione di Blatt viene poi confrontata, come anche lui stesso fa in
“Experiences of Depression”, con quella di altri autori che lo hanno preceduto.
Infine vengono esaminati due nuclei psicodinamici della depressione: il lutto,
inteso come lutto patologico, e la colpa, connessi alle polarità di cui parla Blatt.
Il lutto viene trattato non solo come perdita di un oggetto reale ma anche e
soprattutto come una perdita dell’oggetto interiorizzato, e quindi di una parte di
sé. <<Scrive Freud che il melancolico sa “chi” ha perso, ma non “cosa” ha perso
con lui […] non gli è chiara la natura stessa di ciò che ha perduto>>
(Stanghellini, 2009, p. 272).
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E questo duplice rapporto di perdita dell’altro e perdita di sé viene espresso
anche da Grinberg (1990) quando parla di depressione primaria, intesa come
separazione dalla madre sia come oggetto altro, che come parte di sé.
Dopo aver confrontato la depressione e l’ansia, negli elementi comuni e nelle
differenze, abbiamo analizzato i processi difensivi della personalità depressiva:
introiezione, rivolgimento contro il Sé e idealizzazione.
L’altro nucleo psicodinamico che approfondiamo è la colpa, distinta da Freud
(1930) dal rimorso in quanto il senso di colpa opera ad un livello inconscio e
non conscio come nel rimorso.
Secondo Winnicott il senso di colpa permette di superare l’ambivalenza tra
amore e odio, e quindi secondo la Klein, permette il passaggio alla posizione
depressiva. A sua volta la fase depressiva viene superata dagli atti riparativi.
In seguito ci concentriamo sul rapporto tra narcisismo e depressione,
considerando la depressione anche come legata al crollo narcisistico che deriva
dal confronto del soggetto con aspirazioni troppo elevate (Grinberg, 1990), e
guardando al rapporto tra senso di colpa e vergogna.
Nella seconda parte dell’elaborato ci soffermiamo su una prospettiva
fenomenologica della depressione.
In primo luogo sottolineiamo che autori come Stanghellini (2006) introducono
la categoria della mancanza di sentimento per valutare una condizione di
depressione, ponendo la mancanza di sentimento in alternativa alla tristezza,
utilizzata invece nel DSM.
La tristezza infatti è un sentimento comune che esprime sofferenza, la mancanza
di sentimento, piuttosto, contraddistingue la depressione in quanto si lega a stati
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di depersonalizzazione, e comporta una mancanza di sofferenza, della quale il
soggetto si rammarica e si incolpa.
Ci rifacciamo inoltre alla descrizione di Stanghellini sulla personalità depressiva
premorbosa del typus melancholicus, che riprende Tellenbach e Kraus. Le
caratteristiche del typus melancholicus esaminate dall’autore sono:
l’ordinatezza, la coscienziosità, l’ ipernomia-eteronomia e l’intolleranza
dell’ambivalenza.
Il contributo centrale della prospettiva fenomenologica riguarda il vissuto del
tempo e del corpo nella depressione. Entrambi subiscono delle alterazioni.
Per quanto concerne il tempo, le tre dimensioni temporali cambiano il loro
rapporto reciproco: il passato tende a dominare il presente, carico di vissuti
persecutori e colpevolizzanti. Il futuro diviene precluso, insieme alla possibilità
del soggetto di evolversi, di cambiare, di aprirsi al nuovo. Tanto che l’unica
speranza che può sopravvivere, nei casi più gravi, è quella della morte.
E anche il corpo subisce un collasso su se stesso, rinchiudendosi in forme
autistiche. Domina il silenzio, lo sguardo perde la sua connotazione relazionale,
e si spegne. Il corpo si annulla, subisce uno stato di depersonalizzazione, fino
alle forme più gravi descritte da Cotard.
Infine, l’ultimo capitolo, si apre con una premessa che distingue vari tipi di
depressione. Borgna (2010) infatti parla di depressione esistenziale, di
depressione reattiva ed endogena. Queste ultime forme sono di tipo patologico,
mentre la prima è una condizione che ritroviamo espressa ad esempio dagli
artisti e dai letterati.
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Con il DSM-IV queste distinzioni vengono meno. Quello che affrontiamo è il
passaggio quindi ad una concezione della depressione sempre più diffusa e
confusa con la sofferenza, e sempre più curata farmacologicamente. Una cura
che però perde le sue potenzialità di guarigione, in quanto è sganciata dai
sistemi di senso, e che tende così a cronicizzarsi insieme alla depressione.
L’analisi del sociologo Alain Ehrenberg (2010) ci aiuta poi a capire la
depressione attraverso i cambiamenti che vive la società occidentale dopo gli
anni ’60: prima dominava la norma e l’eventuale senso di colpa per la sua
violazione. Successivamente le norme vengono meno, e con loro il carattere
costrittivo e punitivo, ma anche quello di orientamento e riferimento. Il soggetto
è lasciato solo con se stesso ed è responsabile del suo destino.
Un ulteriore aspetto analizzato è il rapporto tra universalità e culturalità nella
depressione. Lalli (2008), pur riconoscendo l’importanza della cultura, si fa
portatore di una posizione che guarda alla depressione come universale. Mentre
Coppo (2005) ritiene che la contrapposizione tra natura e cultura nella
depressione sia un falso problema poiché non distingue la sofferenza umana dal
disturbo depressivo. Se la sofferenza infatti è universale, le forme che essa
prende, insieme ai suoi sistemi di cura, sono culturalmente determinate.
Abbiamo così esplorato alcuni repertori altri della sofferenza, in particolar modo
sulla questione della morte, del lutto, visto non tanto come esperienza
individuale, bensì come collettiva.
Ritorniamo poi ad uno sguardo sulla cultura occidentale e ad alcune sue
peculiarità, tra loro interconnesse: il consumismo, il desiderio illimitato e
l’illusione dell’autonomia.
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Nell’ultima parte, infine, affrontiamo le nuove forme in cui si manifesta la
depressione in quanto non più legata ai nuclei della colpa e della vergogna. Gli
stessi strumenti di intervento risultano essere peculiari: l’ascolto, la relazione
autentica, il tempo.
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CAPOTOLO I. LA DEPRESSIONE IN UNA PROSPETTIVA
PSICODINAMICA
1. Sidney Blatt, dall’organizzazione di personalità alla psicopatologia
Sidney Blatt è uno dei più illustri studiosi che si è dedicato all’approfondimento
della depressione.
Per capire la sua concezione della depressione bisogna partire dalla sua visione
della formazione della personalità.
Per Blatt la personalità si organizza e si sviluppa grazie all’interazione di due
polarità, due processi evolutivi: uno orientato verso le relazioni interpersonali,
affinché esse siano mature e soddisfacenti, di intimità e reciprocità. Blatt chiama
questa polarità analitica. L’altra è invece orientata alla definizione di sé, alla
formazione di un’identità differenziata, integrata, realistica e prende il nome di
polarità introiettiva.
Queste due polarità vengono considerate in continuità con quelle esaminate da
Freud, una vicina al versante introiettivo, come spinta egoistica alla felicità, al
soddisfacimento pulsionale, regolata dal principio di piacere. L’altra come
tendenza altruistica che porta all’unione dei membri di una comunità, regolata
invece dal principio di realtà, e corrisponde al versante anaclitico di Blatt (Blatt,
2006; Freud, 1915) .
Queste due linee di sviluppo non sono del tutto indipendenti, una relativa
indipendenza è mantenuta fino al periodo dell’adolescenza, ma con l’adolescenza
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si viene a formare l’identità della persona, attraverso il gioco dialettico tra le due
polarità, che si integrano e arricchiscono reciprocamente.
Identità che non è pura individualità, come il mito della cultura occidentale
dell’autonomia potrebbe far pensare, e qui rimandiamo ad Ehrenberg (2010),
nell’ultimo capitolo.
Piuttosto, <<un senso di sé progressivamente differenziato, integrato e maturo
emerge da una rete di relazioni interpersonali costruttive e, allo stesso tempo, lo
sviluppo continuativo di relazioni interpersonali via via più mature dipende dallo
sviluppo di una identità e di una definizione di sé maggiormente differenziata ed
integrata>> (Blatt, 2006, p. 747).
Questa visione rivisita il modello epigenetico di Erikson, ed ha delle affinità
anche con le teorizzazioni di altri autori, come Gilligan e Surrey, che parlano del
Sé relazionale.
<<Diventa così possibile partecipare in modo completo ad un relazione
apprezzando l’unicità del contributo individuale, così come arricchirsi attraverso
le relazioni senza perdere la propria individualità>> (pp. 746-747).
Sebbene la funzionalità di una personalità dipenda dal grado di equilibrio tra le
due polarità, secondo Blatt vi è sempre, anche in condizioni di normalità, il
prevalere di una polarità sull’altra. Questa prevalenza dà luogo a delle
organizzazioni di personalità, o stili di carattere, uno anaclitico e l’altro
introiettivo, caratterizzati da specifici processi di pensiero, stili di attaccamento e
meccanismi di difesa (ibidem) .