6
Verrà esaminato il caso “Siemens”, in relazione al quale il
Tribunale di Milano ha considerato applicabile la normativa sulla
responsabilità amministrativa degli enti, anche alle società straniere
che hanno operato in Italia tramite un’associazione temporanea
d’impresa con altre imprese nazionali, in virtù del principio
dell’obbligatorietà della legge italiana.
Si prenderà in esame anche una pronuncia della Suprema Corte,
con la quale veniva precisato che l’impresa individuale non può
essere soggetta al d.lgs. 231/01.
Verrà affrontata, inoltre, la pronuncia relativa all’applicazione
della normativa in capo ai gruppi di società (possibilità non
contemplata nel d.lgs. 231/01), con la quale, il Tribunale di Milano ha
preso in considerazione il concetto di “interesse di gruppo” ha
applicato la normativa anche alla holding, in caso di reato posto in
essere da una società facente parte del gruppo.
Nella terza parte, infine, procederemo ad analizzare gli aspetti
generali e le posizioni dottrinali in merito al concetto di interesse e di
vantaggio in virtù, anche, delle pronunce giurisprudenziali che hanno
trattato tali questioni. Ad esempio, prenderemo in considerazione
una decisione del Tribunale di Pordenone che considerava i concetti
di interesse e vantaggio non come sinonimi, ma come due concetti
differenti.
Ma anche, una pronuncia della Suprema Corte con la quale non
veniva condivisa la definizione di endiadi che una parte della dottrina,
invece, attribuiva al concetto d’interesse e di vantaggio.
Come anche una sentenza del Tribunale di Milano, con la quale si
precisava che il concetto di interesse andava valutato ex ante,
mentre quello relativo al vantaggio ex post.
7
Nella terza parte verranno esaminate, inoltre, le diverse nozioni
di profitto rinvenibili nel testo del decreto e i vari orientamenti
giurisprudenziali che hanno riguardato tale aspetto.
8
CAPITOLO PRIMO
CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE DEL PRINCIPIO
“SOCIETAS DELINQUERE NON POTEST” E DESCRIZIONE
DEL D.LGS. 231/01
SOMMARIO: 1. Dalla teoria finzionistica di Savigny all’art. 27 della
Costituzione. – 2. Descrizione del d.lgs 231/01. – 3. Principi generali e
caratteristiche del d.lgs. 231/01. – 4. Struttura e natura della responsabilità. – 5. I
soggetti interessati.‐ 6. Criteri oggettivi e soggettivi d'imputazione. – 7. (Segue) I
modelli organizzativi e di gestione – 8. Il sistema sanzionatorio – 9. (Segue) La
pubblicazione della sentenza e la confisca – 10. Catalogo dei reati presupposto
1. Dalla teoria finzionistica di Savigny all’art. 27 della
Costituzione
Il principio “societas delinquere non potest” (ovvero l’idea in
base alla quale la persona giuridica non poteva essere ritenuta
penalmente colpevole), ha rappresentato la base del pensiero
dominante nella cultura penalistica degli ultimi due secoli,
nonostante alcune autorevoli eccezioni
1
; i motivi alla base di questo
1
Una responsabilità penale degli enti era ammessa da DE MARSICO, La difesa sociale contro
le nuove forme di delitto collettivo, in Riv.pen., 1920, p.201 s. in nota a DE SIMONE, I profili
sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la “parte generale” e la
9
convincimento erano, all’inizio, più di carattere politico‐ideologico
che tecnico‐giuridico.
2
A negare la responsabilità penale delle persone giuridiche era,
dal punto di vista logico‐concettuale, la teoria finzionistica
(Fiktionstheorie) elaborata da Friedrich Carl Von Savigny nella prima
metà del XIX secolo, secondo la quale le persone giuridiche sarebbero
entità inanimate, mere astrazioni non percepibili con i sensi e la loro
esistenza sarebbe solo “fittizia”
3
.
L’idea della finzione partiva dalla constatazione che persona o
soggetto, secondo i dati dell’esperienza, poteva essere solo l’uomo.
La premessa che stava alla base di tale convincimento era
rappresentata, quindi, dal principio giusnaturalistico secondo cui:
ogni diritto soggettivo esiste in virtù della libertà morale insita in ogni
individuo.
La teoria della finzione affermava tale principio ma
riconosceva, per la prima volta, una soggettività giuridica anche alla
persona giuridica con gli evidenti limiti rappresentati dal fatto che,
però, veniva considerata incapace di intendere e di volere, priva di
coscienza morale.
Quindi, senza la volontà dello Stato, senza un atto di
riconoscimento del legislatore, non vi sarebbero persone giuridiche
considerate come soggetti di diritto. Del resto tale riconoscimento
veniva accordato solo per “scopi leciti”, mentre <<Quando (…) esse
“parte speciale” del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in GARUTI (a cura di), Responsabilità degli
enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Padova, 2002, pp. 73 ss.
2
BRICOLA, Il costo del principio <<Societas delinquere non potest>> nell’attuale dimensione
del fenomeno societario, Scritti di diritto penale, [a cura di Canestrari‐Melchionda], vol. II,
tomo II, Milano, 1997, pp. 2997 ss.
3
Cfr. DE MAGLIE, “L’etica e il mercato”. La responsabilità penale delle società, Milano, 2002,
p. 305; BRICOLA, Il costo del principio <<Societas delinquere non potest>> nell’attuale
dimensione del fenomeno societario, cit., p. 2080
10
commettono un reato, cessano in quel momento di essere persone
giuridiche, e non possono quindi neppure essere sottoposte, come
tali, ad una pena>>
4
.
Un’ulteriore obiezione al riconoscimento di una responsabilità
penale in capo alle persone giuridiche era rappresentata dal
“principio di umanità”, che considerava il diritto penale plasmato a
misura d’uomo. Con tale principio si sottolineava la visione
antropomorfica ed individualistica del diritto penale, in quanto tutti i
concetti e le categorie penalistiche (azione, colpevolezza, dolo, colpa,
imputabilità, pericolosità criminale) venivano elaborati avendo come
unico punto di riferimento la persona fisica e non quella giuridica.
Quindi, secondo tale visione le persone giuridiche non
rientrerebbero tra gli obiettivi del legislatore penale; questo veniva
dimostrato dalla presenza nel nostro codice penale dell’art. 197 in cui
viene prevista per le persone giuridiche solo un’obbligazione civile
sussidiaria, escludendo di tal che una soggettività giuridico‐penale:
<<E’ evidente che se la persona giuridica potesse essere soggetto
attivo di reati, non sarebbe stata sancita (…) una particolare
obbligazione di garanzia per l’ipotesi di insolvibilità dell’individuo che
viene condannato; (…) tale obbligazione è stabilita proprio per quei
reati la cui responsabilità potrebbe farsi risalire all’ente collettivo>>
5
.
La situazione si è venuta ad aggravare con l’entrata in vigore
della Costituzione e, nello specifico, con l’art. 27 comma 1, che
sancisce il principio di personalità della responsabilità penale. Tale
norma veniva considerata tradizionalmente come una conferma,
4
In nota a DE SIMONE, Societas delinquere et puniri, cit., p.74
5
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2000, p.599.
11
anche a livello costituzionale, del dogma “societas delinquere non
potest”.
Secondo tale principio, l’irresponsabilità penale delle persone
giuridiche deriverebbe dal carattere personale della responsabilità
penale, considerato sia nella sua accezione minima che in quella
estensiva.
In effetti, la previsione di una responsabilità diretta in capo agli
enti determinerebbe una violazione di tale principio già nella sua
accezione minima (come divieto di responsabilità penale per fatto
altrui), in quanto non vi sarebbe coincidenza tra l’autore del reato e il
destinatario della sanzione penale.
Il principio “societas delinquere non potest” verrebbe rafforzato,
inoltre, dalla “costituzionalizzazione” del principio nulla poena sine
culpa (avvenuto con la sentenza della Corte Costituzionale 364/1988)
che non permetterebbe di prevedere una <<volontà colpevole>>
della società.
6
Con la teoria della realtà (chiamata anche teoria organica),
tematizzata in Germania da Von Gierke, veniva precisato, invece, che
le persone fisiche non costituirebbero l’unica realtà esistente in
quanto: <<le persone giuridiche – come le persone fisiche – hanno
una volontà ed una potestà di valore connaturata alla loro struttura
di enti collettivi: cioè una volontà collettiva che esprimono e
realizzano per mezzo dei loro “organi”>>
7
.
Attraverso la teoria dell’immedesimazione organica sono state
superate le critiche che poggiavano sulla violazione del principio di
personalità della responsabilità penale (nella sua accezione minima),
6
BRICOLA, Il costo del principio <<Societas delinquere non potest>> nell’attuale dimensione
del fenomeno societario, pp. 2080 ss.
7
DE MAGLIE, “L’etica e il mercato”. La responsabilità penale delle società, cit., pp. 308 ss.
12
in quanto, verrebbe assicurata la corrispondenza tra autore
dell’illecito e destinatario delle conseguenze giuridiche; inoltre, non
solo gli effetti civili degli atti compiuti dall’organo si imputerebbero
direttamente alla societas, ma anche le conseguenze del reato, sia
penali che amministrative.
Ulteriori dubbi su una responsabilità penale in capo agli enti,
però, deriverebbero ancora una volta dall’art.27, nel suo terzo
comma, nel quale viene sancito il “finalismo rieducativo” della pena.
Tale finalismo costituirebbe un argine insormontabile perché,
sempre secondo la pregiudiziale antropomorfica, l’ente sarebbe (in
quanto persona collettiva e non persona fisica) insensibile alla pena.
La finalità sia affittiva e sia rieducativa della pena
richiederebbe, concettualmente e praticamente, una personalità
sulla quale incidere.
In effetti, per molto tempo un problema è stato
rappresentato da ciò che la dottrina tedesca definisce come,
“Strafempfindlichkeit” del soggetto destinatario della sanzione, cioè
la sua personale sensibilità alla pena.
Si riteneva che alla persona giuridica si potessero applicare tutta
una serie di misure, ma non la sanzione penale; questa chiusura
partiva da un vizio logico: cioè quello di parlare di sanzioni e pensare
solo alla pena detentiva. Una volta esclusa, ragionevolmente,
l’applicazione all’ente della pena detentiva si aprirebbe la possibilità
di un arsenale di sanzioni – pecuniarie ed interdittive – grazie alle
quali la “Strafempfindlichkeit” della società a certe condizioni
sussisterebbe.
8
8
Su questi aspetti, v. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri potest: la fine tardiva di un
dogma, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2002, pp. 573 ss.; cfr. anche
PALIERO, La Responsabilità penale della persona giuridica nell’ordinamento italiano: profili
13
Sempre in relazione al profilo dell’insensibilità della pena,
bisogna ricordare “il paradigma economista di Posner”, secondo il
quale le persone giuridiche sarebbero dei massimizzatori di profitti
ed utili che commetterebbero un reato solo qualora ne derivasse un
certo guadagno per l’impresa. Quindi secondo Posner, le uniche
sanzioni in grado di scoraggiare la persona giuridica dal compiere il
comportamento criminoso e in grado di avere quindi un effetto
deterrente sarebbero le sanzioni pecuniarie.
9
L’impostazione di Posner è stata criticata negli anni ‘80 da
Coffee, che ha elaborato la teoria dell’effetto trappola della
deterrenza, cd. “deterrence trap”.
Secondo Coffee, il paradigma degli economisti risulterebbe
efficace se applicato alla persona fisica mentre il suo effetto
deterrente diminuirebbe decisamente, qualora i destinatari fossero le
persone giuridiche. Coffee arriva a questa conclusione perché
nell’elaborazione del suo paradigma, Posner non avrebbe inserito tra
i criteri i individuazione della pena, quello relativo ai limiti
patrimoniali dell’impresa, considerato necessario per avere una
sanzione pecuniaria effettiva e per evitare di cadere nella deterrente
trap
10
.
sistematici, in Aa.Vv.,”Societas puniri potest”, Atti del Convegno organizzato dalla Facoltà
di giurisprudenza e dal Dipartimento di dir. comparato e penale dell’Università di Firenze
(15‐16 marzo 2002) a cura di PALAZZO, Padova, 2003, p. 22
9
La sanzione monetaria, oltre a svolgere il classico effetto deterrente, sarebbe in grado di
indurre la persona giuridica a predisporre tutti gli accorgimenti ed i meccanismi
organizzativi necessari ad impedire la commissione di un nuovo reato. Così DE MAGLIE,
“L’etica e il mercato”, cit., p.41
10
Cfr. ancora DE MAGLIE, “L’etica e il mercato”, cit., p.42‐43
14
2. Descrizione del d.lgs. 231/01
L’entrata in vigore del d.lgs. 231/01 ha costituito una svolta
epocale nell’intero panorama normativo italiano; in effetti, è stata
introdotta nell’ordinamento giuridico italiano, la “responsabilità
amministrativa degli enti” in relazione a tutti quei reati (cd.
presupposto), commessi da soggetti determinati nell’interesse o a
vantaggio dell’ente.
11
Il d.lgs. 231/01, che prevede la responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche e delle società, delle associazioni e degli enti
anche privi di personalità giuridica, è stato adottato in attuazione
della legge delega 29 settembre 2000, n.300, legge che ha
ratificatouna serie di atti internazionali
12
finalizzati alla tutela degli
interessi finanziari della Comunità Europea e alla lotta alla
corruzione.
13
L’art.11 della legge delega 300/2000 ha suggerito al legislatore
delegato di utilizzare il termine ente, anziché persona giuridica,
11
Anche se si parla di responsabilità diretta delle persone giuridiche – seppure
amministrativa – già in alcune leggi nazionali: ad esempio, l’art 19 legge 10 ottobre 1990
n. 287, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato; l’art. 31 legge 6
agosto 1990 n. 223, avente ad oggetto la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato; l’art. 11 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, in tema di diritto penale tributario; l’art.
189 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, cioè il Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria.
12
Con la legge‐delega 300/2000 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.250 del 25 ottobre
2000 S.O.), il Parlamento, ratificava e dava esecuzione ad una serie di atti internazionali
elaborati in base all’articolo K. 3 del Trattato dell’Unione Europea e nello specifico:
Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (Bruxelles 26
luglio 1995); Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti
funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri (Bruxelles 26 maggio 1997);
Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni
economiche internazionali (Parigi 17 dicembre 1997).
13
Sul punto v., SPAGNOLO, Il d.lgs. 8 giugno 2001 n.231: cenni storici e principi fondamentali
in Aa. Vv., La responsabilità da reato degli enti collettivi, Atti del Convegno di Bari 26‐27
maggio 2006, a cura di Spagnolo, Bari 2007, p. 8 ss.; cfr. anche DE SIMONE, Societas
delinquere et puniri potest, cit., p. 66 ss.
15
perché questo, essendo riferibile esclusivamente a soggetti dotati di
personalità giuridica, avrebbe dovuto, come si legge nella Relazione
al d.lgs. <<essere dilatato troppo al di là della sua capacità semantica,
al fine di poter ricomprendere anche gli enti che tale requisito non
hanno>>.
14
L’introduzione di tale forma di responsabilità in capo agli enti
oltre che imposta da obblighi comunitari, rispondeva ad un’esigenza
diffusa, quella di contrastare l’incremento della criminalità del
“colletto bianco” e lo sviluppo della criminalità del profitto.
Infatti, è pacifico che le più importanti e pericolose
manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura
complessa ed organizzata e, già nella Relazione della Commissione
Grosso sul Progetto preliminare di riforma del codice penale, l’ente
veniva inteso << quale autonomo dentro d’interessi e di rapporti
giuridici (…) punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice
di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o
comunque nell’interesse dell’ente>>.
15
Il decreto si discosta, però, dalla legge delega per alcuni
profili: nel decreto la responsabilità amministrativa si estende anche
in caso di delitto tentato, ipotesi non prevista dalla legge delega n.
300/2000 che realizzerebbe, secondo una parte della dottrina, un
eccesso di delega,
16
e soprattutto è stato introdotto un meccanismo
di esclusione della responsabilità rappresentato dall’adozione e
attuazione dei modelli organizzativi e di gestione, completamente
assente nella legge‐delega.
14
Relazione illustrativa, cit., p.436
15
Relazione Conclusiva della Commissione Grosso, in
www.giustizia.it/studierapporti/riformacp/comm‐grosso3.htm
16
Cfr., SPAGNOLO, Il d.lgs. 8 giugno 2001 n.231: cenni storici e principi fondamentali, cit.,
pp.10 ss.