6
(DAN!) di presa in carico dell’autismo, che, nel suo acronimo “Defeat Autism, Now!”, indica
la speranza di una lotta non vana.
Nel secondo capitolo vengono presentati i principali approcci utilizzati per il trattamento
dell’autismo. In particolare si è soffermata l’attenzione sull’approccio psicodinamico (con
riferimento alla psicoanalisi); l’approccio sistemico-relazionale; l’approccio cognitivo-
mentalista (ed in particolare la teoria della mente); l’approccio organicista (in cui in
particolare si sono individuati il metodo neuro-motorio-sensoriale di organizzazione
neurologica di C. H. Delicato, il Training uditivo di G. Bérard e di A. Tomatis, e la Terapia di
scambio e di sviluppo – T.E.D.); l’approccio etologico (e in particolare l’Holding Therapy, il
Sistema A.E.R.C. e il Floor-time di Greenspan); l’approccio cognitivo-comportamentale
(Portage, T.E.A.C.C.H, A.B.A.); sono stati infine presentati sommariamente altri approcci
presenti nel panorama riabilitativo italiano, ovvero la Musicoterapica, la Psicomotricità, la Pet
Therapy, l’approccio Logopedico e l’Ergoterapia.
Un’attenzione maggiore è stata rivolta all’approccio cognitivo-comportamentale, ed in
particolare al Sistema T.E.A.C.C.H. e all’A.B.A..
Quest’ultimo è stato ulteriormente approfondito all’interno del terzo capitolo. L’A.B.A.
(Analisi Comportamentale Applicata), è una delle più recenti metodiche di trattamento
all’autismo, e si sta rivelando una delle più complete ed esaustive. Numerosi studi ne hanno
confermato, e continuano a confermarne, la validità scientifica. Dopo un breve inquadramento
dei principi teorici alla base del metodo (il comportamentismo), sono presentate le principali
tecniche (di rinforzo e di punizione) per l’insegnamento e la gestione dei comportamenti.
Un’attenzione particolare è riservata alla gestione dei comportamenti problema, ovvero quei
comportamenti dannosi per il soggetto o per chi gli sta intorno, e all’insegnamento del
comportamento verbale (verbal behavior). Infine sono presentate alcune indicazioni pratiche
7
di gestione delle sedute di terapia “uno ad uno” con metodo A.B.A., facendo riferimento ai
principali target e programmi di lavoro previsti dal curriculum di insegnamento.
Nell’ultimo capitolo viene illustrata un’esperienza personale maturata nell’arco di due anni
come terapista A.B.A. con un soggetto affetto da autismo. Dopo aver indicato le
caratteristiche principali del bambino, con riferimento al suo Profilo Dinamico Funzionale e al
suo percorso riabilitativo (logopedia e trattamento intensivo A.B.A.), viene approfondita
l’esperienza di integrazione scolastica del soggetto. L’intervento scolastico è esaminato sia
con riferimento alle dinamiche relazionali tra i componenti del team di lavoro (insegnanti
curriculari, Educatore professionale, figura-ombra/esperto A.B.A., supervisor A.B.A.), della
scuola con la famiglia e del bambino con il gruppo classe, sia con riferimento alle strategie
utilizzate per il raggiungimento degli obiettivi preposti. In ultima analisi vengono presentati i
risultati raggiunti al termine dell’anno scolastico.
8
CAPITOLO PRIMO
DISTURBI GENERALIZZATI DELLO SVILUPPO
9
Affrontare l’analisi delle caratteristiche cliniche e diagnostiche dei “Disturbi Pervasivi dello
Sviluppo” non è cosa semplice, pertanto si ritiene utile ed opportuno definire brevemente i
termini “disabilità” e “handicap”.
L’OMS definisce la disabilità come una “qualsiasi restrizione o carenza (conseguente ad una
menomazione) delle capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti normali per
un essere umano.”
1
L’International Classification of Impairement and Handicaps (ICIDH) precisa che la disabilità
è da definire come “uno scostamento, per eccesso o per difetto, nella realizzazione dei
compiti e nella espressione dei comportamenti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atteso,
può avere carattere transitorio o permanente ed essere reversibile o irreversibile, progressivo
o regressivo, può insorgere come conseguenza diretta di una menomazione o come reazione
di un soggetto, specialmente da un punto di vista psicologico, ad una menomazione fisica,
sensoriale o di altra natura.”
2
L’handicap è definito dall’OMS come “una condizione di svantaggio vissuta da una
determinata persona in conseguenza di una menomazione o di una disabilità che limita o
impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona in
relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali. […] L’handicap rappresenta pertanto la
socializzazione di una menomazione o di una disabilità e come tale riflette le conseguenze –
culturali, sociali, economiche ed ambientali – che per l’individuo derivano dalla presenza
della menomazione e della disabilità.”
3
L’ICIDH definisce l’handicap come una “condizione di svantaggio conseguente a
menomazione e/o disabilità che limita o impedisce l'adempimento del ruolo normale da parte
1
S. SORESI, Psicologia dell’handicap e della riabilitazione, il Mulino, Bologna 1998, p. 26
2
ibidem, p. 27
3
ibidem, p. 38
10
di un soggetto in relazione all'età, sesso, fattori socio-culturali”.
4
L’handicap quindi risulta essere un fenomeno sociale che va valutato in relazione alla
situazione culturale in senso lato e all’ambiente sociale in cui vive il soggetto.
5
In letteratura è possibile individuare diverse categorie legate ai disturbi psichiatrici. In
particolare, la categoria dei “Disturbi Generalizzati dello Sviluppo” comprende condizioni
psichiatriche in cui le facoltà sociali attese, lo sviluppo del linguaggio e le modalità di
comportamento non evolvono in modo appropriato o si perdono nell’infanzia. In generale
colpiscono multiple aree dello sviluppo, si manifestano precocemente e causano una
disfunzione persistente.
I Disturbi Generalizzati dello Sviluppo sono caratterizzati da compromissione grave e
generalizzata in diverse aree dello sviluppo (capacità di interazione sociale reciproca, capacità
di comunicazione, o presenza di comportamenti, interessi e attività stereotipate). Le
compromissioni qualitative che definiscono queste condizioni sono nettamente anomale
rispetto al livello di sviluppo o all'età mentale del soggetto.
Sebbene termini come "psicosi" o "schizofrenia infantile" siano stati usati in passato in
riferimento ai soggetti affetti da queste condizioni, vi sono considerevoli prove a favore
dell'opinione che i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo siano diversi dalla schizofrenia (per
quanto un soggetto con un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo possa occasionalmente
sviluppare in seguito una schizofrenia).
6
4
S. SORESI, op. cit., p. 38
5
Cfr. M. ZANOBINI, M.C. USAI, Psicologia dell’handicap e della riabilitazione, Franco Angeli, Milano 1997,
p. 16
6
Cfr. V. ANDREOLI, G. B. CASSANO, R. ROSSI, DSM – IV – TR: Manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali: text revision, Masson, Milano 2002, p. 54
11
1.1. La classificazione del DSM-IV
Attualmente le classificazioni diagnostiche maggiormente utilizzate in psichiatria sono quella
americana del DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), quella
dell’ICD 10 (International Classification of Disease), curata dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità, e quella francese CFTMEA (Classification française des troubles mentaux de
l'enfant et de l'adolescent), sviluppata dal Centre A. Binet.
Il DSM è una classificazione diagnostica e statistica, curata dall’American Psychiatric
Association e giunta alla sua quarta edizione. Oltre a trattare i disturbi mentali dell’adulto, ha
una parte dedicata a quelli che insorgono nell’infanzia e nell’adolescenza.
7
Ci si riferirà qui in particolare alla classificazione americana del DSM IV, in cui, nella
categoria nosografica dei “Disturbi Generalizzati dello Sviluppo”, vengono incluse le seguenti
suddivisioni (psicosi d’infanzia):
− Autismo;
− Sindrome di Asperger;
− Sindrome di Rett;
− Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia;
− Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (PDD-NOS);
Per una maggiore chiarezza, si riporteranno nel seguito alcuni stralci del DSM IV.
1.1.1. L’autismo
L’autismo può essere considerato un disordine dello sviluppo, nella maggior parte dei casi
associato a cause generiche, avente un decorso particolarmente variabile che si
7
Cfr. P. CRISPIANI, Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Junior, Bergamo 2002, p. 22
12
caratterizzerebbe, per lo più, per la presenza di:
difficoltà a carico delle prestazioni sociali non verbali;
inadeguatezza a proposito delle abilità linguistico-comunicative;
gamme limitate di repertori comportamentali associate sovente, tra l’altro, a rigidità e
ripetitività;
8
Le caratteristiche diagnostiche fondamentali del Disturbo Autistico sono la presenza di
sviluppo anomalo dell’interazione sociale e della comunicazione, una notevole ristrettezza del
repertorio di attività e di interessi. Le manifestazioni del disturbo variano ampiamente a
seconda del livello di sviluppo e dell’età anagrafica del soggetto.
Il Disturbo Autistico viene talvolta riportato come “autismo infantile precoce”, “autismo
infantile”, o “autismo di Kanner".
La compromissione dell’interazione sociale reciproca è macroscopica e perdurante. Possono
esservi:
− compromissione notevole nell’uso di diversi comportamenti non verbali (per esempio,
sguardo diretto, espressione del viso, posture corporee, gestualità) che regolano
l’interazione sociale e la comunicazione;
− incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo, che può
assumere diverse forme a seconda dell’età;
− mancanza di tentativi spontanei di condividere gioie, interessi o obiettivi con altre persone
(per esempio, non mostrare, portare, o richiamare l’attenzione su oggetti);
− mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per esempio, non partecipare attivamente a
semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o coinvolgere altri in attività solo come
strumenti o aiutanti “meccanici”);
8
Cfr. L. NOTA, S. SORESI, Presentazione all’edizione italiana, in L. NOTA, S. SORESI (a cura di), Intervento
precoce per bambini con autismo. Un manuale per genitori e figli, Junior, Bergamo 2005, pp. 7-8
13
− compromissione della consapevolezza che il soggetto ha degli altri: i soggetti con questo
disturbo possono essere incuranti degli altri bambini (inclusi i fratelli), possono non avere
idea dei bisogni degli altri o non accorgersi del malessere di un’altra persona.
9
Anche la compromissione della comunicazione è marcata e perdurante e riduce le capacità
verbali e non verbali. Può esservi ritardo, o totale mancanza, dello sviluppo del linguaggio
parlato, o uso stereotipato o ripetitivo del linguaggio o linguaggio eccentrico. Quando il
linguaggio si sviluppa, l’altezza, l’intonazione, la velocità, il ritmo, la sottolineatura possono
essere anomali.
I soggetti con Disturbo Autistico hanno modalità di comportamento, interessi, e attività
ristretti, ripetitivi, e stereotipati. Vi è spesso un asservimento ad inutili abitudini o rituali,
oppure un’insistenza irragionevole nel seguire certe routine.
Il disordine, per rientrare nella definizione di autismo, deve manifestarsi con ritardi o
funzionamento anomalo nelle seguenti aree prima dei 3 anni di età: interazione sociale,
linguaggio usato per l’interazione sociale o gioco simbolico o di immaginazione. Nella
maggior parte dei casi, non vi sono periodi di sviluppo chiaramente normali, sebbene in circa
il 20% dei casi i genitori riferiscano uno sviluppo relativamente normale per 1 o 2 anni. In
questi casi i genitori possono riferire che il bambino aveva acquisito alcune parole per poi
averle perse, o che sembrava essersi fermato dal punto di vista dello sviluppo. Se vi è un
periodo di sviluppo normale, questo non si estende oltre i 3 anni di età. Le manifestazioni del
disturbo durante l’infanzia sono sottili e difficili da definire rispetto a quelle che si osservano
dopo i 2 anni di età.
Per quanto riguarda la funzionalità intellettiva è stato osservato che, a causa delle loro
difficoltà ad apprendere ed integrare gli input esterni di ogni genere, spesso il QI di questi
soggetti è nel range del ritardo mentale:
9
Cfr. V. ANDREOLI, G. B. CASSANO, R. ROSSI, op. cit, pp. 86-89
14
− Il 40% ha QI sotto il 50;
− Il 30% ha QI tra 50 e 70;
− Il 30% ha QI più di 70.
Il rischio per l’Autismo aumenta con il diminuire del QI. Circa il 20% dei bambini autistici ha
normale intelligenza non verbale. Il punteggio del QI tende a riflettere problemi con le
capacità di sequenza verbale e di astrazione, suggerendo l’importanza di difetti nelle funzioni
correlate al linguaggio.
10
I dati relativi all’incidenza del disturbo autistico sono sconcertanti: il numero di bambini nati
o che sviluppano una sindrome autistica (ASD) sembra corrispondere circa a 1 su 166 nati
(variabile secondo le fonti ed i criteri diagnostici) e, per motivi sconosciuti, colpisce quattro
volte più i maschi delle femmine (anche se quest’ultime hanno poi sintomi più gravi).
Gli studi di follow-up disponibili indicano che solo una piccola percentuale di soggetti con
questo disturbo riesce, nell’età adulta, a vivere e a lavorare in modo indipendente. In circa un
terzo dei casi, è possibile un certo grado di indipendenza parziale. I soggetti adulti affetti da
Disturbo Autistico con funzionamento più elevato continuano tipicamente a mostrare
problemi nell’interazione sociale e nella comunicazione, oltre a una notevole ristrettezza di
interessi e attività.
Il DSM-IV indica che, affinché il disturbo possa rientrare nella classificazione di autismo,
devono essere verificati un certo numero di deficit individuati come “criteri” negli ambiti di:
“compromissione qualitativa dell’interazione sociale”, “compromissione qualitativa della
comunicazione”, “modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e
stereotipati”. Deve inoltre essere presente ritardo o funzionamento anomalo in almeno una
delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: interazione sociale, linguaggio usato
10
Cfr. D. COHEN, F. VOLKMAR, Autismo e Disturbi generalizzati dello sviluppo. Diagnosi e assessment,
Vannini, Brescia 2004, pp. 85-90
15
nella comunicazione sociale, gioco simbolico o di immaginazione. Infine, per definizione,
l’anomalia non deve essere attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo
dell’Infanzia.
Nell’autismo sono stati identificati anche punti di forza cognitivi. Questi possono consistere in
interessi molto forti, nelle abilità della memoria meccanica, e in buoni processi visuo-spaziali.
Spesso però tali abilità restano poco funzionali.
11
I gruppi di criteri e gli algoritmi diagnostici del DSM-IV e dell’ICD-10 sono identici.
Nell’ ICD-10, in particolare, l’autismo è compreso nei disturbi psichiatrici, tra le Sindromi da
alterazione globale dello sviluppo psicologico, unitamente alle sindromi di Rett, di Asperger,
disintegrativa dell’infanzia, di alterazione globale dello sviluppo, ecc. In tale classificazione,
si assume la definizione di “autismo infantile”.
12
1.1.2. Sindrome di Asperger
Le caratteristiche principali della Sindrome o Disturbo di Asperger sono una grave e
perdurante compromissione dell’interazione sociale e lo sviluppo di modalità di
comportamento, interessi, ed attività ristretti e ripetitivi. L’anomalia deve causare una
compromissione clinicamente significativa nell’area sociale, lavorativa, o in altre aree
importanti del funzionamento.
Contrariamente al Disturbo Autistico non vi sono ritardi o devianze clinicamente significativi
nell’acquisizione del linguaggio, sebbene aspetti più sottili della comunicazione sociale (per
esempio, il tipico va e vieni della conversazione) possano essere alterati. Inoltre, durante i
primi 3 anni di vita non vi sono ritardi clinicamente significativi nello sviluppo cognitivo così
11
Cfr. E. SCHOPLER, Autismo in famiglia. Manuale di sopravvivenza per genitori, Erickson, Trento 2005, p.
33
12
Cfr. P. CRISPIANI, op. cit., p. 22
16
come si manifesta nella normale curiosità riguardo all’ambiente o nell’acquisizione delle
capacità di apprendimento e nel comportamento adattivo appropriati all’età (tranne che
nell’interazione sociale).
La diagnosi di Sindrome di Asperger non può essere fatta se sono soddisfatti i criteri per un
altro specifico Disturbo Pervasivo dello Sviluppo o per la Schizofrenia.
L’alterazione dell’interazione sociale reciproca è grossolana e costante. Sebbene il deficit
sociale nel Disturbo di Asperger sia grave e venga definito come nel disturbo autistico, la
mancanza di reciprocità viene più clinicamente manifestata attraverso un approccio sociale
agli altri eccentrico e unilaterale (per esempio, insistendo su un argomento di conversazione
senza tener conto delle reazioni degli altri) piuttosto che attraverso l’indifferenza sociale ed
emotiva.
Questo disturbo, diagnosticato molto più frequentemente nei maschi che nelle femmine
(almeno cinque volte tanto), è continuo e dura per tutta la vita.
Nei bambini di età scolare le buone capacità verbali possono in qualche misura mascherare la
gravità della disfunzione sociale del bambino e possono anche ingannare coloro che se ne
occupano. I più grandi possono essere interessati all’amicizia, ma sono privi della
comprensione delle convenzioni dell’interazione sociale e possono avere relazioni con
individui molto più grandi o più piccoli di loro.
13
La prognosi sembra significativamente migliore di quella del Disturbo Autistico, poiché gli
studi di follow-up sostengono che da adulti molti soggetti sono in grado di ottenere impieghi
remunerativi e di provvedere all’autosufficienza.
La diagnosi di Disturbo di Asperger viene effettuata sulla base dei seguenti criteri:
“compromissione qualitativa nell’interazione sociale”, “modalità di comportamento, interessi,
e attività ristretti ripetitivi e stereotipati”, “compromissione clinicamente significativa
13
Cfr. T. ATTWOOD, Guida alla sindrome di Asperger. Diagnosi e caratteristiche evolutive , Erickson, Trento
2001, pp.18- 24
17
dell’area sociale, lavorativa o di altre aree”.
Il disturbo di Asperger non risulta essere caratterizzato da un particolare ritardo del linguaggio
clinicamente significativo (per es., all’età di 2 anni sono usate parole singole, all’età di 3 anni
sono usate frasi comunicative), né di un ritardo clinicamente significativo dello sviluppo
cognitivo o dello sviluppo di capacità di autoaccudimento, del comportamento adattivo
(tranne che dell’interazione sociale) e della curiosità per l’ambiente nella fanciullezza.
14
1.1.3. Sindrome di Rett
La caratteristica fondamentale della Sindrome o Disturbo di Rett è lo sviluppo di deficit
specifici multipli successivamente ad un periodo di funzionamento normale dopo la nascita. I
soggetti hanno un periodo prenatale e perinatale apparentemente normale. Tra i 5 e i 48 mesi
di età la crescita del cranio rallenta, vi è una perdita di capacità manuali finalistiche, con
successivo sviluppo di caratteristici movimenti stereotipati delle mani che somigliano al
torcersi o lavarsi le mani. L’interesse per l’ambiente sociale diminuisce nei primi anni dopo
l’esordio del disturbo. Insorgono problemi nella coordinazione dell’andatura o dei movimenti
del tronco, nella ricezione e nell’espressione del linguaggio.
Il Disturbo di Rett è tipicamente associato al Ritardo Mentale Grave o Gravissimo; sembra
che sia molto meno comune del Disturbo Autistico, ed è stato riportato solo nelle femmine.
15
Ha il proprio esordio prima dei 4 anni, di solito nel primo o nel secondo anno di vita. Permane
per tutta la vita e la perdita delle capacità di prestazione è generalmente persistente e
progressiva.
Affinché si possa parlare di Disturbo di Rett, nel DSM-IV si individua, dopo un iniziale
14
Cfr. C. VIO, T. DE MEO, D. MASCHIETTO, Intervento cognitivo nei disturbi autistici e di Asperger. Schede
per il trattamento, Erickson, Trento 2004, pp. 23-31
15
Cfr. U. FRITH, L’autismo. Spiegazione di un enigma, Laterza, Bari 1996, pp. 67-68
18
periodo di sviluppo normale, l’esordio dei seguenti deficit:
− rallentamento della crescita del cranio tra i 5 e i 48 mesi;
− perdita di capacità manuali finalistiche acquisite in precedenza tra i 5 e i 30 mesi con
successivo sviluppo di movimenti stereotipati delle mani (per es., torcersi o lavarsi le
mani);
− perdita precoce dell’interesse sociale lungo il decorso (sebbene l’interazione sociale si
sviluppi spesso in seguito);
− insorgenza di andatura o movimenti del tronco scarsamente coordinati;
− sviluppo della ricezione e dell’espressione del linguaggio gravemente compromesso con
grave ritardo psicomotorio.
16
1.1.4. Disturbo disintegrativo dell’infanzia
La manifestazione fondamentale del Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia è una marcata
regressione in diverse aree del funzionamento dopo un periodo di almeno 2 anni di sviluppo
apparentemente normale.
Uno sviluppo apparentemente normale è rispecchiato da una comunicazione verbale e non
verbale, relazioni sociali, gioco e comportamento adattivo adeguati all’età. Dopo i primi 2
anni di vita (ma prima dei 10 anni) il bambino va incontro ad una perdita clinicamente
significativa di capacità di prestazioni acquisite in precedenza in almeno due delle seguenti
aree: espressione o ricezione del linguaggio, capacità sociali o comportamento adattivo,
controllo della defecazione o della minzione, gioco o capacità motorie. Più frequentemente le
capacità vengono perdute in quasi tutte le aree.
I soggetti con questo disturbo mostrano i deficit sociali e di comunicazione e le caratteristiche
16
Cfr. V. ANDREOLI, G. B. CASSANO, R. ROSSI, op. cit., pp. 92-93
19
comportamentali che solitamente si osservano nel Disturbo Autistico.
Questa condizione viene denominata anche sindrome di Heller, “demenza infantile” o
“psicosi disintegrativi”.
I dati epidemiologici sono limitati; il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia sembra essere
molto raro e molto meno comune del Disturbo Autistico, sebbene sia verosimilmente sotto-
diagnosticato. Dati recenti indicano che la condizione è più comune tra i maschi.
Nella maggior parte dei casi l’esordio è tra i 3 e i 4 anni, e può essere insidioso o improvviso.
I segni premonitori possono includere aumentati livelli di attività, irritabilità e ansia, seguiti
da una perdita del linguaggio e delle altre capacità di prestazione. In questo periodo il
bambino può anche perdere interesse verso l’ambiente circostante.
Questo disturbo presenta un decorso continuo e, nella maggior parte dei casi, permane per
tutta la vita.
Il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia è di solito associato al Ritardo Mentale Grave.
Affinché si possa parlare di Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, è necessario riscontare,
dopo uno sviluppo apparentemente normale per almeno i primi 2 anni dopo la nascita, una
perdita clinicamente significativa di capacità di prestazione già acquisite in precedenza (prima
dei 10 anni) in almeno due delle seguenti aree:
− espressione o ricezione del linguaggio;
− capacità sociali o comportamento adattivo;
− controllo della defecazione o della minzione;
− gioco.
17
Nel DSM-IV è inoltre presente la categoria del “Disturbo generalizzato dello sviluppo non
altrimenti specificato” (DGSNAS).
17
Cfr. V. ANDREOLI, G. B. CASSANO, R. ROSSI, op. cit., pp. 93-100