2principe di cui si erano serviti i grandi filosofi politici della modernità, da Hobbes a Locke, da
Rousseau a Kant: l’idea del contratto sociale, portata ad un più alto livello di astrazione.
Secondo Veca, questa idea centrale si specifica nel modo seguente: dobbiamo dimostrare che i
principi di giustizia sono quelli che sarebbero esito di scelta collettiva, in una opportuna situazione
iniziale di scelta.
Rawls definisce questa situazione, che in ogni momento si può attuare, come posizione originaria,
vincolata dal cosiddetto velo di ignoranza. Si tratta, dunque, di una condizione ipotetica in cui gli
agenti sociali, incaricati di stringere il patto sociale, prescindono da vantaggi e svantaggi che
potrebbero loro derivarne e, dato che ognuno possiede le stesse informazioni e motivazioni, la
posizione originaria è una situazione di scelta, e non di negoziazione, tra una pluralità di individui
distinti .
Secondo Rawls, questa condizione ipotetica di partenza deve inoltre sottostare, per poter essere la
situazione ideale di scelta fra le parti, ai vincoli del velo di ignoranza, e ciò permetterebbe di
“
trovare un punto di vista che si distanzi dagli aspetti particolari nel quadro di fondo
onnicomprensivo, che non sia distorto da tali aspetti, e a partire dal quale si possa raggiungere un
accordo equo fra le persone considerate libere ed uguali” [Rawls, 1994, p. 38].
Gli attori, così incaricati di stendere il principio del patto sociale, dovrebbero porsi nella
situazione in cui essi ignorano: le loro capacità naturali, i propri piani di vita, la generazione a cui
appartengono, qualunque elemento, quindi, che potrebbe indirizzare verso scelte che favoriscano
posizioni individuali e “la scelta che le parti operano fra i principi disponibili per il diritto dei popoli
avviene sotto la guida degli interessi fondamentali propri delle società democratiche, interessi
espressi dai principi di giustizia liberali per una società democratica” [Rawls, 2001, p.42]. In un
contesto internazionale, come popoli ragionevoli ignoreranno “per esempio, l’estensione del
territorio o l’entità della popolazione o la forza relativa del popolo di cui rappresentano gli interessi
fondamentali. Anche se sono a conoscenza del sussistere di condizioni ragionevolmente favorevoli
che rendono possibile una democrazia costituzionale – sanno infatti rappresentare società liberali –
ignorano l’entità delle risorse naturali o il loro livello di sviluppo economico, né possiedono altre
informazioni analoghe“ [Rawls, 2001a, p. 42] .
In questo modo, nessun gruppo potrà trarre vantaggio da una propria situazione rispetto ad un altro:
“le persone ragionevoli considerano irragionevole usare il potere politico, qualora ne fossero
detentrici per reprimere altre dottrine che sono ragionevoli pur essendo diverse dalla loro (…) ogni
società contiene anche numerose dottrine irragionevoli” [Rawls, 2001a, p. 21]
3 Lo stesso Rawls, poi, sottolinea come “la distinzione tra ragionevole e razionale risale (…) a
Kant: la troviamo espressa nella distinzione tra imperativo categorico e imperativo ipotetico della
Fondazione e dei suoi altri scritti. Il primo imperativo rappresenta la ragione pratica pura, il
secondo rappresenta la ragione pratica empirica” [Rawls,1994, p. 319].
Egli definisce, quindi, ragionevolezza (che pone in relazione con l’imperativo categorico), come
capacità di proporre ed agire in coerenza con termini di cooperazione equi; la razionalità (posta in
correlazione con l’imperativo ipotetico di Kant), invece è definita come una capacità di agire in
conformità ad un insieme di priorità disciplinate da un’onnicomprensiva concezione del bene.
3
In altri termini, l’imperativo morale kantiano è categorico proprio perché prescinde da scopi o
desideri particolari. Al contrario, un imperativo è ipotetico quando ci indirizza a fare certe mosse in
vista di certi fini specifici.
Kant afferma che: “L’imperativo ipotetico dice (…) soltanto che l’azione sarebbe buona per
qualche scopo possibile o reale; se essa è rappresentata come buona in sé, quindi come necessaria
per una volontà in se stessa conforme alla ragione, come suo principio, l’imperativo è categorico”.
4
Rawls, infatti, sostiene: “per sapere che una persona è razionale non abbiamo bisogno di conoscere i
suoi fini, ma solo di sapere che li perseguirà in modo intelligente; quando sappiamo che alcune
persone sono ragionevoli nei confronti degli altri sappiamo invece che sono disposte a regolare la
propria condotta secondo un principio a partire dal quale esse e gli altri possono ragionare in
comune. La disposizione ad essere ragionevoli né deriva dal razionale né gli si contrappone, ma è
incompatibile con l’egoismo perché è associata alla disposizione ad agire moralmente”
[Rawls,1994, p. 319, nota 1], prosegue affermando “ con imperativo categorico Kant
3
Cfr. Stefanelli, S. Recensione di J. Rawls, Saggi. Dalla giustizia come equità al liberalismo politico, 2001
(Url:http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/archivio/filearchiviati/recensioni/N5_AIII_2001).
4
Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, tr. it., Laterza, Roma-Bari 1980, p. 61.
intende un principio di condotta che si applica a una persona in virtù della sua natura di essere
razionale libero e eguale”[Rawls,1984, p. 217].
Secondo Rawls, però, in Kant le persone razionali mancano della “predisposizione alla personalità
morale”, e cioè , “in questo caso, quella particolare forma di sensibilità morale che sottende la
capacità di essere ragionevole. L’agente puramente razionale di Kant ha solo le predisposizioni
all’umanità e all’animalità (…); comprende il significato della legge morale, il suo contenuto
concettuale, ma essa gli rimane indifferente: per lui è soltanto un’idea curiosa” [Rawls,1994, p. 320,
nota 3].
4 La teoria di Rawls descrive, dunque, gli agenti che operano le loro scelte nella posizione
originaria come individui dotati di autonomia decisionale e utilizza il pensiero kantiano come punto
di appoggio per una teoria politica che egli vuole più articolata e sensibile alle differenze.
Il punto di riferimento è sempre il consenso, che si determina dal volere particolare dell’individuo,
sia nella dimensione dell’autonomia razionale, ma anche in quella della piena autonomia. A questo
proposito dobbiamo ricordare come, per Rawls, l’autonomia razionale costituisca solo un aspetto
della libertà e quindi è diversa dalla piena autonomia, in quanto gli individui autonomi solo
razionalmente sono da considerarsi solo personaggi artificiali che si trovano in una posizione
originaria, anch’essa artificio espositivo. Rawls ammonisce: “artificiale va inteso come nell’antico
senso di artificio della ragione. Tale è, infatti, la posizione originaria.”[Rawls,1984, p. 78].
Appare, a questo punto, evidente che avere un piano di vita razionale è fondamentale per poter
definire il bene, punto di riferimento principale, e per formulare giudizi di valore. Si è, infatti,
soddisfatti quando i nostri piani si concretizzano e quando le aspirazioni più importanti riescono a
realizzarsi.
Un piano di vita, dunque, può considerarsi razionale “ se, e solo se, (1) è uno dei piani non
contraddittori con i principi di scelta razionale quando questi vengono applicati a tutti gli elementi
caratteristici attinenti alla sua situazione, e (2) se è il piano, tra quanti soddisfano questa condizione,
che la persona sceglierebbe con completa razionalità deliberativa, vale a dire, con totale
consapevolezza dei fatti pertinenti e dopo un’accurata considerazione delle conseguenze” [Rawls,
1984, p. 337].
Sarà poi attraverso i legami associati che gli individui acquisiscono il senso dell’utilità delle loro
azioni, riducendo le possibilità d’insuccesso e quindi raggiungono la realizzazione dei propri
desideri, sentendosi valorizzati dall’apprezzamento altrui.
Ciò è possibile per ciascuno di noi, una società bene-ordinata, infatti, deve soddisfare in pieno le
esigenze di ogni individuo, a condizione però, che si accetti la concezione normativa, occorre, in
altri termini, affermare il nostro senso di giustizia. Solo agendo in modo giusto potremo “esprimere
la nostra natura di libere persone morali” [Rawls, 1984, p. 465].
Lo scopo, dunque, della concezione di giustizia come equità sarà quello di far sì che tutti gli
individui possano godere delle stesse opportunità per il soddisfacimento dei loro desideri, ma deve
oltremodo far sì che si realizzi un accordo, di cui ci si possa ragionevolmente fidare, qualora i
giudizi di giustizia di ognuno siano differenti o addirittura contrastanti.
Ma come lo stesso autore afferma: “perché un onesto tentativo di ragionare non dovrebbe
portarci ad un ragionevole accordo?” [Rawls,1994, p. 62]. Non sorprende che una società sia
contraddistinta dal pluralismo, piuttosto “può sembrare sorprendente che ci siano anche molte
5dottrine comprensive ragionevoli, perché noi amiamo pensare che la ragione porti alla verità e che
la verità sia una“ [Rawls,1994, p. 69]. In questo caso, è fondamentale dimostrare come il consenso
sia possibile, garantendo sempre i diritti e le libertà fondamentali alle parti implicate nel contratto.
Comprendiamo, perciò, il perché Rawls dedichi una particolare attenzione, fin dalle prime pagine di
Political Liberalism, alla descrizione delle condizioni pluralistiche, con le quali ogni teoria politica
è chiamata a misurarsi. “Una società democratica moderna non è caratterizzata soltanto da un
pluralismo di dottrine religiose, filosofiche e morali comprensive, ma da un pluralismo di dottrine
comprensive incompatibili e tuttavia ragionevoli. Nessuna di queste dottrine è universalmente
accettata dai cittadini; né c’è d’attendersi che in un futuro prevedibile una di esse, oppure qualche
altra dottrina ragionevole, sia mai affermata da tutti i cittadini, o da quasi tutti. Il liberalismo
politico assume che, ai fini della politica, una pluralità di dottrine comprensive ragionevoli ma
incompatibili sia il risultato normale dell’esercizio della ragione umana entro le libere istituzioni di
un regime democratico costituzionale.” [Rawls,1994, pp. 5,6].
Ponendosi come scopo, quindi, il raggiungimento della cooperazione sociale, Rawls ne identifica
gli elementi essenziali: è guidata da regole e procedure pubblicamente riconosciute, presuppone un
vantaggio razionale, ma soprattutto si basa su termini equi, cioè che ogni partecipante possa
ragionevolmente accettare, a patto che tutti gli altri li accettino allo stesso modo.
L’idea di cooperazione, dunque, è strettamente connessa a quella di reciprocità. Si tratta di una
idea che dall’autore è intesa come intermedia tra quella di imparzialità, che è altruistica
(imparzialità è essere mossi dal bene generale) e quella di vantaggio reciproco, quindi una relazione
tra cittadini liberi ed eguali di una società bene ordinata e che cercano di riconoscere dei principi
che favoriscano il più possibile il loro sistema di fini. Come afferma Rawls: “se non ci rendiamo
conto che le nostre imprese sono tenute in considerazione dagli altri, è difficile, se non impossibile,
continuare a credere che i nostri fini sono meritevoli. Per questo motivo le parti accetterebbero il
dovere naturale del rispetto reciproco, che chiede loro di trattarsi reciprocamente con civiltà, di
essere pronte a spiegare i motivi delle loro azioni, specialmente nel caso in cui le pretese altrui ne
vengano sopraffatte.” [Rawls,1984, pp. 157,158].
Secondo l’autore, una concezione della giustizia dovrebbe essere caratterizzata dal riconoscimento
pubblico del reciproco rispetto degli individui, che nasce sostanzialmente dal rispetto di sé, egli
afferma : “si può anche assumere che quelli che rispettano se stessi tendono più facilmente a
rispettarsi reciprocamente.” [Rawls,1984, p. 158]. E’ per questo motivo che nella posizione
originaria le parti scarterebbero quei principi che potrebbero indebolire il rispetto di sé, preferendo
la giustizia come equità che maggiormente lo sostiene e lo favorisce.