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Una volta approfondita la parte biografica passerò alla “traduzione” (si tratta di un
lavoro riassuntivo e di decrittazione delle proposizioni donatoniane più funzionali del
testo) del libro “Questo” tracciandone i punti salienti e concludendo il capitolo con
delle considerazioni personali.
L’approfondimento riguarderà l’intera esposizione dell’indeterminazione donatoniana
commentata e arricchita di esempi e chiarificazioni. Nel libro si affrontano le
tematiche inerenti all’atto creativo e alla sua materializzazione nell’opera.
L’Antecedente essendo intuizione artistica e insondabile deve essere manipolato per
divenire opera d’arte, e così è stato sempre fatto nella musica tonale.
Ora però l’autore cercherà di praticare un’intrusione del caso dall’intuizione artistica
primordiale. Il secondo momento creativo riguarda il Conseguente che si produce
nell’attività formatrice del compositore effettuando un gioco di rispecchiamenti con
l’Antecedente per poter sviluppare tecnicamente l’idea iniziale (il musicista che crea).
Questo è l’errore che Donatoni intende rettificare: l’errore dell’io che domina la
materia sonora.
Dall’affermazione che l’Antecedente essendo un pura intuizione artistica è qualcosa
che è fuori dalla manipolazione dell’io si passa a scoprire che è impossibile rendere
tale automatismo intuitivo, scevro dall’azione dell’io, poiché ogni azione fatta dal
compositore verrà a modificare l’Antecedente creando un Nuovo Antecedente (errore
che è il sintomo della determinazione dell’io).
L’opera deve poter affermare la musica come momento di adesione alla sconfitta
permanente dell’io sulla materia dice il maestro veronese. L’unico modo è “creare”
un evento accidentale che diviene un altro Antecedente (Antecedente Impersonale)
logicamente senza l’opera dell’io.
Donatoni spiega che siccome non può occultare l’Antecedente (inconoscibile) allora
bisogna occultare la corrispondenza tra Antecedente e Conseguente.
Così facendo il Conseguente verrà sviluppato secondo le tecniche formali insite nella
natura del materiale sonoro che lo porteranno a suscitare un evento accidentale, come
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vedremo esemplificato nello scorcio di analisi di “Etwas ruhiger im Ausdruck” nella
nona proposizione del capitolo “Commento progressivo alle dieci proposizioni”.
In pratica l’autore cerca di utilizzare la tecnica compositiva in maniera “negativa” per
fuggire da una finalità (prefiggersi una finalità o una sintesi formale è un modus
operandi del vecchio compositore occidentale e quindi del soggetto operante). Tutta
l’operazione di rettifica dell’errore si dimostrerà vana poiché incontra la chimera di
una correzione finale e definitiva che diviene frustrata dall’irraggiungibilità
dell’errore iniziale.
In questo momento della spiegazione l’autore ci propone, continuando a redigere il
fallimentare tentativo, di effettuare un’altra scelta che riguarda l’assenza di un
giudizio di valore su ogni applicazione del metodo compositivo nella
sperimentazione, riuscendo così a rendere equiparabili tutte le soluzioni compositive.
Senza giudizio l’io non ha lo spazio per scegliere e per creare una gerarchia di valori.
Immettendo poi il caso nel processo compositivo entriamo nel campo non del
necessario ma del contingente. Si può così registrare un comportamento della materia
in creazione non una previsione tecnica.
Secondo il compositore questa operazione di svalorizzazione delle tecniche
compositive insieme al lento abbandono delle opinioni sull’opera, restituiscono al
soggetto che interpreta e al compositore che si è spersonalizzato dall’opera, le proprie
immagini/aspettative che fanno parte dell’Antecedente (interpretazioni soggettive).
Quindi ogni tentativo di operare con ciò che proviene dall’Antecedente incontra
difficoltà e di conseguenza se l’indeterminazione ha bisogno di interagire con
l’automatismo dell’Antecedente (giudicato da Donatoni neutro senza soggetto
operante) risulta impossibile farlo per via di questa imprendibilità concettuale dello
stesso.
Concludendo la mia “traduzione” di “Questo” ricorderò l’esemplificazione della
prassi appena descritta nell’opera “Etwas ruhiger im Ausdruck” e brevemente ci
soffermeremo sulla trasposizione della tecnica di indeterminazione effettuata su
alcune parti verbali di “Questo".
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Infatti Donatoni vuole mostrarci come l’indeterminazione sia versatile e si cimenta in
questa operazione indeterministica del testo divulgativo (nelle intenzioni del libro
c’era l’idea di voler spiegare una prassi), per farci notare come riesce a utilizzare le
stesse tecniche anche sulle parole.
La conclusione sarà affidata a un’ipotesi di lettura.
La speculazione sul linguaggio sarà connessa a una parte della teoria del linguaggio
di Wittgenstein e la speculazione più ontologica sarà comparata con tre grandi
filosofi: Heidegger, Levinàs e Derrida.
In definitiva questo studio vuole investigare prima dal punto di vista esegetico e
descrittivo con l’analisi di “Questo” e poi dal punto di vista linguistico e ontologico il
concetto di alterità da cui l’indeterminazione ha preso il via, ricordando che “Questo”
è l’unico esperimento indeterministico effettuato su un testo verbale scritto da un
musicista dell’epoca e l’unico testamento di sperimentazioni artistiche poi mai più
recuperate da nessuna scuola e da nessun musicista di pari importanza.
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Constatazioni sull’estetica del primo Novecento
La musica del Novecento è il prodotto storico di intense sperimentazioni, è
essa stessa una sperimentazione in divenire poiché si oppone all’esperienza tonale
plurisecolare senza consolidare un sistema nuovo. Sperimentare è un modo di
comporre che presuppone la conoscenza della tradizione musicologica e compositiva
finalizzata al superamento dei parametri conosciuti attraverso una serie di
esperimenti. L’esperimento che poi diverrà opera è un prodotto culturale, figlio di
un’esigenza contemporanea creativa e di un intenso scambio sinestetico tra gli artisti
che operano in ambiti più disparati.
Questo atteggiamento che ha sempre caratterizzato il cambiamento epocale di
movimenti culturali, nel Novecento ha subito un’accelerazione inaspettata
ripercuotendosi in una rinuncia a essere condiviso.
Di come si possa comporre così ermeticamente e autarchicamente, esempio lampante
nelle maggiori scuole del Novecento, rinunciando e rifiutando il giudizio e il gusto
dell’uditorio, fino allora comune a tutto il mondo musicale proverò a darne una
sintetica motivazione per poter descrivere la cultura musicale in cui Donatoni è
cresciuto e si è formato. Breve perché ormai a circa un secolo di distanza dai primi
scritti e le prime composizione di Schönberg è ormai trascorso il tempo storicamente
utile a focalizzare e quindi a completare il quadro.
Il significato teorico e sensibile della tonalità venne minato molto prima delle idee di
Schönberg. L’utilizzo sempre più libero del cromatismo, la disinvolta interpolazione
di scale esotiche, la disgregazione formale della musica classica come le
innumerevoli ridefinizioni personalistiche della sonata, dell’opera, del quartetto sono
i segni che nel tempo si manifestano quando dallo stile di una scuola di artisti si passa
alla parodia di esso, alla riformulazione espressiva e critica, alla ricerca di una novità,
di nuove sfide intellettuali.
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Nella storia dell’arte l’affermazione di una tecnica, di una scuola, di uno stile
vengono sorpassati quando vengono concettualizzati in una teoria della forma.
Dietro a un libro di analisi formale c’è la storia della didattica, di come sono stati
trasmessi il gusto estetico e la forma che lo confeziona. L’imitazione come prassi
d’apprendimento, con cui tutti i giovani scrittori di musica sono cresciuti, dimostra
che la diffusione didattica di un’opera ne sancisce contemporaneamente, la
percezione teorica di cui si servirà il critico musicale per sviscerarne i misteri e
quindi la relativa codificazione teorica e storica insieme alla fine del nascondimento
speculativo che l’artista operando originalmente ha donato al mondo.
In poche parole, la copia che se ne fa dell’opera attraverso l’esercizio didattico e la
diffusione della partitura certifica la fine dell’attualità della stessa opera.
L’autocoscienza è il segno del sorpasso che abbiamo descritto.
“Nella musica tardoromantica si ha la definitiva mitologizzazione dell’Io che, misticamente, si
unisce al Tutto e celebra i propri fasti «nell’opera d’arte come religione » ”
1
Brahms ci offre l’esempio di come utilizzare la tecnica compositiva classica,
facendocela ascoltare come un gioiello espressivo a sé stante, nelle forme ancora
legate al passato ma sostanzialmente esemplari del processo intellettuale
dell’autocoscienza storica.
Il suo neoclassicismo, appunto etimologicamente, è nuovo, è una rilettura della forma
quando la forma era ancora praticata e poco concettualizzata. Quando si consacra una
forma, la stessa viene sintetizzata quando si è conclusa, e ogni rivisitazione artistica
di quella forma sarebbe un’emulazione acritica e fuori dal tempo se non fosse
rivisitata come una citazione o una parodia.
Ma prima ancora di questa presa di coscienza abbiamo delle tracce importanti da
ricordare e che testimoniano la classicità prima della fase discendente di fine
ottocento.
1
Pierfrancesco Ferrero, “Su Questo di Franco Donatoni” , Lo spettatore Musicale Ottobre/Novembre 1970
9
Possiamo ricordare gli ultimi quartetti di Beethoven che rappresentano il seme della
disgregazione formale classica, e quindi una proposta, una traccia delle possibili
direzioni future della musica classica occidentale, anche se allora, quando venivano
ascoltati dai suoi contemporanei e da una piccola cerchia di musicisti, erano poco più
che un’ombrosa traccia poco chiara ed enigmatica.
Il concetto di sintesi, l’imperativo categorico dei più grandi maestri, perse i suoi
parametri classici di realizzazione. La scuola formale beethoveniana è stata decrittata
e raccontata abbondantemente, ma ciò che mi interessa appuntare come una prova
lampante del processo compositivo del musicista, è ricordare come l’idea di sintesi
nella scelta della cellula tematica veniva escogitata.
Beethoven utilizzava un metodo di ricerca del tema e delle sue più qualificate
variabili certificato in molti quaderni di appunti davvero sofisticato. Nella scelta della
cellula fondamentale dell’opera concepiva dei parametri di intervento.
Riempiva quaderni di formule che non erano altro che le possibili combinazioni di
una cellula sonora prescelta.
Ricorda Nottebohm che:
“i quaderni di appunti, nei quali ci si mostra in forma fluida e quasi in movimento ciò che nel pezzo
si presenta come qualcosa di fisso e di immutabile, ci dicono parecchie cose a proposito della
genesi, dell’invenzione, della configurazione formale e via dicendo”
1
Questo lavoro intellettuale era il fondamento della sua musica. La sintesi e la forma
sono palesi e la critica del tempo insieme agli allievi del maestro hanno proseguito un
dialogo tra testo musicale e interpretazione che ancora oggi non ci lascia molti dubbi.
Di questa scoperta molti musicologi e filosofi ne sono rimasti talmente affascinati da
rimanerne quasi succubi rispetto alla libertà critica con cui avrebbero dovuto
verificare la tecnica dei maestri futuri.
Subito dopo la musica beethoveniana infatti, si assiste a una emendazione della
tecnica compositiva e alla proposta di nuovi contributi est-europei.
1
Gustav Nottebohm, “Ein Skizzenbuch von Beethoven aus dem Jahre”, 1802, Lipsia, 1865
10
Berlioz, Liszt, Chopin hanno contribuito a modificare la storia delle forme musicali e
hanno subito il conformismo critico dell’epoca in cui se un’opera non assomigliava
alla forma classica coniata da Beethoven era automaticamente malriuscita.
Infatti la musica a programma fu tempestata di stroncature. Tra i più autorevoli
critici, Hanslick discordava profondamente con l’innovazione narratologica e
simbolica:
“Nella musica c’è senso e logica, « ma musicali »: essa è una lingua che noi parliamo,
comprendiamo, ma che non siamo in grado di tradurre”
1
Infatti l’ouverture del Re Lear di Berlioz era considerata fosca e non attinente
all’argomento trattato.
Solo Schumann, nella sua celebre recensione sulla Symphonie fantastique, fu
l’eccezione, intuendo che nonostante l’apparente mancanza di forma si poteva
riscontrare un certo ordine che non sapeva spiegare. Dall’utilizzo dell’idea di forma si
può concepire come i parametri del giudizio estetico sono per lui provvisori; l’opera
del maestro francese non è completamente apprezzata da Schumann ma comunque
recepita come un componimento originale.
Oggi invece la musica a programma rappresenta il segno di un cambiamento e il
sintomo del dubbio, di un ripensamento dei parametri compositivi più acclarati
perché immortalati dalla penna dal genio, vero e proprio divulgatore e consacratore di
forme.
In effetti il programma che accompagnava l’opera di molti musicisti dell’ottocento
diffuse la propria funzionalità anche tra Cajkovskij, Saint-Sens, Strauss. E ancora per
molti musicologi, risultò una giustificazione narratologica o metaforica di scelte
compositive insolite, che quindi potevano denotare una carenza di idee e di
speculazione teorica.
1
Eduard Hanslick, “Il bello musicale”, tratto da “Romanticismo e musica”, Antologia e saggio introduttivo di Giovanni
Guanti, EDT, 1981, p. 302
11
In realtà dopo gli esempi di musicisti sopra citati, non ultimo la scrittura pittorica di
molte composizione per pianoforte di Debussy, la musica a programma ci appare
come una reazione corale ma poco cosciente delle sue conquiste storiche, rispetto alla
concezione della musica strumentale culminata con l’opera beethoveniana;
l’organizzazione del suono fine a se stessa nella quale tutti i risvolti semantici erano
pura percezione psicologica e quindi soggettiva.
Debussy dimostrò, dopo la lunga querelle, che ci si poteva liberare delle pastoie
letterarie riformulando il lungo lavoro deduttivo della “musica assoluta” pur
conservando la principale acquisizione formale della musica a programma, ossia la
non-ricorsività e la libertà “rapsodica”.
Schönberg e Stravinskij ancora oggi, dopo le recensioni adorniane, sono i simboli di
due dimostrazioni contrastanti di fare arte.
Il primo ha imbastito una lotta al nichilismo formale volendo rifondare una nuova
scala di valori con la dodecafonia: rappresentando un individualismo mai rassegnato
alla fine della musica, che attraverso una speculazione critica efficace (la sua
bibliografia è ancora oggi una fonte inesauribile di idee) ha sperato di annientare
l’esasperante artigianato musicale che con Wagner ha toccato i limiti sensibili della
musica come significato.
Bisogna per completezza ricordare che lo stesso Adorno, dopo averne recensito
favorevolmente le idee, fece dell’esperienza dodecafonica soprattutto quella
proseguita nelle opere degli adepti un’esperienza fallimentare: non basta rinnovare un
sistema nella sua totalità per ritrovare le dimensioni dell’arte, così facendo anche
questa promessa teorica entrerebbe nel processo di invecchiamento e di conseguenza
nella sua feticizzazione.
Il secondo ha manipolato ed esasperato le forme, producendosi a sperimentazioni
extratonali giocose e esotiche, presentandoci la ricca tradizione della musica
occidentale smembrata ed esibita come in un museo, ma non solo.
12
Rimarrà secondo gli scritti adorniani l’interprete dell’alienazione stessa, colui che ha
preferito personalizzare la tonalità e decontestualizzarla, eliminando l’idea di tonalità
come elemento storico emendabile.
“Schönberg cerca nell’inconscio una struttura universale, ma non ancora formata. Stravinskij al
contrario indaga la memoria per liberarne i caratteri archetipi e lasciare che attraverso di essi il
soggetto si definisca e lasci trasparire le sue pulsioni e i suoi sentimenti; non tuttavia, sentimenti
allo stato nascente, che rinviano al concetto di « forma in formazione » , ma sentimenti archiviati e
classificati; maschere. Per l’uno il soggetto si costruisce grazie all’autenticità della sensazione,
all’essenza che sta al di là delle sue forme convenzionali; per l’altro, invece è proprio nella forma, o
nelle forme, che questa sensazione si esprime nella sua essenza.”1
In molti lavori di Stravinskij si nota la sapiente penna di un elzeviro citazionista.
Pulcinella, per esempio, è per l’orecchio dell’esperto musicologo ma anche per quello
più ingenuo e istintivo dello studente, l’esempio di un discorso metamusicale, di una
rivisitazione. Una rivisitazione storica ricca di significati proprio perché è una
grandiosa perifrasi e una polisemica rilettura che decostruisce il passato, gli dona
l’ironia, la mistificazione, il gioco.
Lo stesso compositore sosteneva che la sua composizione era come cercare di
riparare vecchie navi, mentre gli altri si interessavano a nuove strade da percorrere.
Da questa coscienza della contemporaneità si poteva tracciare una mappa più
dettagliata della musica.
Questa consapevolezza storica si differenzia dall’altra altrettanto significativa di una
generazione di musicisti “nuovi” cioè creatori in toto (asistematici, atonali) delle loro
opere e quindi inventori di un nuovo ascolto e di un pubblico ristrettissimo rispetto
alle folle ottocentesche.
Anche se i due compositori hanno sperimentato, in alcuni lavori, l’uno gli strumenti
dell’altro rimangono due esempi antitetici della storia della musica.
1
Philippe Albèra, “Il mito e l’inconscio”, tratto da Enciclopedia della Musica, Vol. I, Einaudi, 2001, p. 64
13
Non si può negare che le aspirazioni di Schönberg siano state più entusiasmanti
perché la formazione di un nuovo sistema organizzativo dei suoni, come era
dichiarato nei suoi scritti, avrebbe permesso di riformare un terreno comune, a tutti i
compositori futuri, su cui ricostruire una tradizione.
La storiografia ci insegna che il genio musicale è padrone della forma, nel senso che
la sua opera divenendo l’esempio migliore di un sistema formale immortala nella
storia un periodo culturale e quindi influisce didatticamente sulle generazioni di
critici e musicisti a venire.
L’estetica musicale, personificata nei filosofi e negli scrittori, è stata costruttrice e
interprete dei cambiamenti formali e filosofici dall’ottocento a oggi.
L’opera di Hanslick per esempio ha plasmato la critica e la didattica della musica di
quel tempo; ha specialmente codificato il gusto e con esso ha descritto la pratica
compositiva formale.
La tecnica musicale non è più un mezzo espressivo ma si identifica totalmente con la
musica. Per questo la visione sentimentale della musica romantica è ridefinita come
asemanticità del suono. Essendo pura forma, la pura musica esercita una reazione
sentimentale sugli ascoltatori ma è un effetto secondario poiché è intraducibile nel
linguaggio ordinario. Il sistema tonale già con Hanslick non è più un sistema naturale
bensì un prodotto storico, figlio dei tempi e quindi soggetto al decadimento.
Adorno invece focalizza la sua critica sull’aspetto economico della musica e su come
questo aspetto deformi la composizione radicalmente.
La musica colta ha perso il suo pubblico e il musicista si aliena da un mondo
sconvolto dalla mercificazione di ogni produzione intellettuale che banalizza e
diffonde dei criteri semplicistici, dei manuali di decodificazione per tutta la massa
che deve comprendere e usufruire del genio artistico perché ne ha democraticamente
diritto a goderne e a consumarne.
Citando Donatoni:
“Nel comporre odierno vi sono ragioni che l’udito non conosce, poiché esso ha ragioni (storiche)
nelle quali il compositore non si riconosce. Le sue ragioni non sono quelle di comporre per l’udito ,
14
ma di comporre un udito che, indifferente alla discriminazione storica dei materiali , sappia cogliere
le ragioni del comporre, che ascolti non il suono ma la musica, senza ricattare la seconda a
vantaggio del primo.”
1
Rifiutare il concetto classico di opera d’arte è per l’artista l’unico modo di parlare, di
essere libero e di non inglobarsi nella funzionalità produttiva del mercato.
Anzi il filosofo specifica che più la musica è inautentica e più è vicina alla società
proprio perché la libertà del genio musicale è dialetticamente più complessa. Quindi
il ruolo dell’artista è quello di essere antitetico al gusto della società in cui vive
perché realizza, con la sua indipendenza, un valore estetico opposto ai consumatori
del mercato musicale. La musica espropriata del grande pubblico ottocentesco è
denuncia per la comunità.
La coscienza dell’impossibilità per la musica contemporanea di venir decodificata
secondo i vecchi criteri tonali del passato diventa con Adorno una consacrazione di
una nuova estetica che si dimostrerà asistematica per via del personalismo
compositivo che produrrà, e non avrà più nessun aggancio con la parte del mondo più
popolosa che aderisce più o meno inconsciamente alla realtà del mercato e alla
diminuzione dell’uomo a mero consumatore. In un saggio il maestro veneto enumera
le principali differenze tra opera (prodotto) finalizzata al consumo e opera d’arte.
“E’ ormai arcinoto a tutti quali siano gli attributi essenziali di un qualsiasi prodotto industriale:
a) la sua esistenza non è garantita dalla matrice ma dalla sua riproducibilità in serie;
b) la sua finzione è il consumo, perciò il grado della sua utilità quantitativamente
misurabile;
c) il consumo è garantito dalla produzione dei bisogni che ne attuano l’utilità;
d) la produzione del bisogno non considera l’uomo come fine ma come mezzo necessario al
consumo;
e) mentre la vita della matrice potrebbe anche essere illimitata, quella del prodotto è tanto
più effimera quanto più grande è la produzione dei nuovi bisogni che lo rendono
inutilizzabile;
1
Franco Donatoni, “Il Sigaro di Armando”, Spirali Edizioni, 1982, p. 91