5
nell’aggettivo British). Non si può parlare di Englishness riguardo a
Burgess, quantomeno stando alle delimitazioni che pone la Marzola,
secondo la quale,
almeno fino agli anni Settanta i discorsi sulla Englishness escludono […] ogni
riferimento alla Britishness, ovvero ad un’identità’ assai più composita e conflittuale
che tiene conto della effettiva eterogeneità dei territori del Regno Unito: Inghilterra,
Galles, Scozia e Irlanda
3
,
dove gli anni Settanta sono il periodo che accentua e porta a termine la
disgregazione dell’Impero coloniale e che impone alla cultura britannica la
convivenza con “la multietnia degli immigrati dalle ex-colonie e, di
conseguenza, per una sorta di riflesso culturalmente analogico, anche con
le proprie differenze”
4
. Lo conferma N. Davies:
The Empire had evaporated with amazing speed. […] The impact of the Empire
on perception of Britishness, however, was enormous. […] In some people it
encouraged feelings of xenophobia and superiority […].There cannot be the slightest
doubt that empire was a major component in British people’s sense of their own
identity, that it helped to integrate the United Kingdom, and to distinguish it in the eyes
of its own citizens from other European countries.
5
Burgess, che aveva vissuto dal 1943 al ’46 a Gibilterra e dal ’54 al
’59 in Malesia e Borneo, precorre dunque i tempi, e lo stesso farà quando
anni dopo, mentre i suoi connazionali saranno impegnati a scoprire la
Britishness, allargherà i suoi orizzonti di appartenenza, come ebbe modo di
dichiarare in un’intervista con A .S. Byatt, sentendosi “more European than
British”
6
. Iniziò negli anni Sessanta, come nella migliore delle tradizioni,
una sorta di Grand Tour che lo portò a vivere tra l’altro a Malta, Roma,
3
A. Marzola, Englishness, Carocci, Roma, 1999, p. 33.
4
Ibid.
5
N. Davies, The Isles – A history, McMillan, London, 1999, p. 911.
6
In Guardian Conversations, ICA Video, 1988.
6
Zurigo e Monaco, evitando il più possibile l’Inghilterra, dove però, come
aveva promesso, tornò per morire, per una volta sentendosi inglese
7
.
Spirito dinamico, Burgess non poteva sopportare la dullness
dell’Inghilterra, dove “tutto viene ricondotto a una questione di classe
(mentre in Francia la Rivoluzione ha spazzato via questo genere di
pregiudizi due secoli fa)”
8
, ma dove in realtà il conflitto vero è assente
9
.
Quello che Burgess cerca è qualcosa di più esotico, primitivo e, perché no,
peccaminoso, di ciò che trova in Inghilterra
10
, della quale constata la morte
spirituale. La confluenza di culture, e quindi una totale apertura, è, a suo
avviso, l’unico elemento che può ancora provocare un conflitto positivo e
creativo, generatore di energia costruttiva. Burgess guardò sempre con
orrore al livellamento culturale derivante dalla forte dipendenza economica
e politica dagli Stati Uniti che, dal dopoguerra in poi, minacciava l’identità
culturale europea e ovviamente, in primo luogo, inglese. L’introduzione del
medium caldo televisivo
11
favorisce oltre alla divulgazione della cultura di
massa, lo spegnimento delle capacità critiche individuali, e il conseguente
appiattimento. Come osserva Fforde:
I grandi successi della Gran Bretagna moderna nell’ambito economico, politico,
bellico e internazionale hanno promosso un orgoglioso conservatorismo e una
mancanza di ricettività al nuovo, nonché un atteggiamento di ostilità nei confronti della
modernizzazione e dell’adattamento.
12
7
“Nobody lives in England. We leave that to Americans and other foreigners. Englishmen go back to
England to die”. Cit. da S. Coale, Anthony Burgess, Frederick Ungar, New York, 1981, p. 16.
8
Intervista di P. Assouline, “Burgess, io la bocca della verità”, in Epoca, num. 1972, 24/07/1988.
9
Tuttavia Burgess nel 1976 ‘fuggirà’ dalla sua casa di Bracciano alla volta di Monaco spaventato dalla
situazione politica italiana, in un periodo in cui, in effetti, di conflitti ve n’erano in abbondanza.
10
Significativamente G. Aggeler intitola un capitolo “In Quest for a Darker Culture”, in The Artist as
Novelist, University of Alabama Press, 1979.
11
Per la distinzione tra media caldi e freddi e per un’analisi dei media si veda l’opera fondamentale di M.
McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano, 1964.
12
M. Fforde, Storia della Gran Bretagna: 1832-1992, Laterza, Bari, 1994, p. 307.
7
Se, dunque, per tutti gli anni Cinquanta vi è un forte sentimento
antiamericano e ostile alla massificazione culturale imposta dai media, in
linea con la tradizione antiindustriale inglese e col mito della Rural
England, negli anni Sessanta, gli anni della liberalizzazione dei costumi, la
situazione si rovescia e “la Englishness viene rappresentata attraverso i
simboli esibiti di questa ritrovata libertà , sulla scia di un’adesione più
convinta al modello di vita statunitense”
13
. Burgess in questi anni viaggia di
frequente negli Stati Uniti tenendo spesso lezioni e si accorge con orrore
della visione completamente utilitaristica che gli studenti avevano della
letteratura e della concezione unicamente politica dell’arte in genere, dove
la dimensione estetica di un’opera veniva considerata quantomeno
irrilevante, addirittura reazionaria se fine a se stessa, (non a caso sono gli
anni della pop-art e dei Beatles). Agli occhi di un intellettuale europeo
appariva con clamorosa chiarezza come gli americani si stessero
distaccando dalla loro stessa tradizione. In una lettera a G. Aggeler del
1972 Burgess ebbe modo di scrivere a proposito degli studenti statunitensi:
They’re good and sincere, aspirant and very different from their parents. They
do question everything. But it worries me that they lack basic equipment. They haven’t
read very widely. […] A man like Benjamin Franklin, a great American, may become
an unintelligible figure to modern Americans. This is very frightening.
14
Burgess insomma, risulta sempre e comunque in controtendenza
rispetto alle dominanti culturali del suo Paese; certo il suo carattere
polemico, la sua provocatorietà e animosità irlandese, lo costringono a
viaggiare costantemente sull’orlo della contraddizione. Ammette il primato
dell’Inghilterra nella letteratura, derivante secondo lui, sulle basi
dell’assunto che i romanzi riguardano innanzitutto l’uomo, dal suo
13
A. Marzola, op. cit., p. 204.
14
G. Aggeler, op. cit., 1979, pp. 26-27.
8
pragmatismo, dalla sua non teoreticità
15
; elogia le “traditional British liberal
virtues of the enquiring mind, tolerant, skeptical, humanistic, dedicated to
truth, beauty and justice”
16
, (virtù che non gli era riuscito di importare nelle
colonie), e denuncia nel contempo la mancanza di geni in Inghilterra,
“Paese non artistico, [che] non si interessa all’arte”
17
, e l’inferiorità
letteraria inglese rispetto ad altre nazioni europee, prime fra tutte la Francia
e l’Italia:
Da voi, quando si scrive, si pensa. Da noi, quando si scrive, si ha un
atteggiamento sociale.
18
E, per alcuni versi, anche rispetto agli Stati Uniti:
The British were, I considered, stuffy and desperately conservative. They did not
want experimental fiction and they hated ideas. I began more and more to look to
America.
19
Anche per quanto riguarda la visione religiosa, Burgess si rivela un
inglese atipico; l’argomento, tuttavia, è di tale rilevanza che verrà trattato a
parte.
15
In Guardian Conversations.ICA Video, 1988.
16
A Kind of Failure, BBC Enterprises, 1981.
17
Intervista di P. Assouline citata, p. 89.
18
Ibid.
19
You’ve Had Your Time, p. 60.
9
0.2 Anthony Burgess tra modernismo e postmodernismo: una
vita spesa in lotta con le parole
L’inizio della carriera di scrittore per Burgess avviene negli anni
Cinquanta, allorché in Inghilterra la scena letteraria è dominata dalla
generazione degli Angry Young Men, quel gruppo eterogeneo di scrittori
del dopoguerra che pongono al centro delle loro opere un nuovo tipo di
eroe, proveniente dalle classi medio-basse, che aspira, talvolta con
successo, all’ascesa sociale e all’integrazione
20
. Burgess, che pure ha un
background sociale di quel tipo, dimostra nei suoi romanzi una rabbia ben
più profonda e duratura, che non si estingue affatto con il raggiungimento
di uno status migliore, come troppo spesso avviene per gli altri scrittori
della sua generazione. E’ A. A. De Vitis a osservare che già R. Ennis
21
, il
protagonista del suo primo romanzo A Vision of Battlements (1949), è un
precursore di molti anti-eroi, a cominciare da quelli di Kingsley Amis e
Graham Greene
22
, ma ciò che differenzia Burgess dagli Angry Young Men è
senz’altro la forte carica pessimistica che mai lo abbandona e che, anzi, è
uno delle caratteristiche principali della sua produzione.
Burgess fu un lettore instancabile durante tutta la sua vita. Allo
Xaverian College di Manchester cominciò con la lettura dei classici latini e
greci e continuò fino al modernismo inglese. Nello stesso college cattolico
avvenne l’incontro con le opere del cattolico Joyce. Joyce divenne un
20
Per una storia della letteratura inglese del dopoguerra si veda: P. Swinden, The English Novel of
History and Society, Mac Millan, London, 1984 e M. Green, The English Novel in the Twentieth Century:
The Doom of Empire, Routledge Kegan Paul, London, 1984.
21
Burgess sosterrà nella prima parte della sua autobiografia molti anni dopo di non essersi mai accorto
che R. Ennis è “Sinner” scritto al contrario, finchè nel 1969 T. Stumpf durante una lezione negli Stati
Uniti non glielo fece notare. Cfr. Little Wilson and Big God, p. 364.
22
Cfr. A. A. De Vitis, Anthony Burgess, Twayne, new York, 1972, p. 29.
10
modello, forse il modello fondamentale, della narrativa di Burgess
23
, che lo
considerò sempre un maestro. Ciò che più di tutto lo affascinava era il suo
uso rivoluzionario del linguaggio, vera e propria musica in prosa.
Anything in fact to give the impression of a musicalization of prose. I saw that
that was what Joyce had really been trying to do in Finnegans Wake – clotting words
into chords, presenting several stories simultaneously in an effect of counterpoint. I was
not trying to emulate Finnegans Wake – which had closed gates rather than opened
them – but I felt that Ulysses had still plenty to teach to a musician who was turning to
fiction.
24
La passione di Burgess per la musica era un retaggio familiare ed
egli stesso decise di iscriversi al corso di letteratura inglese solo perché era
stato scartato da quello di musica. Non abbandonò mai questa passione e,
di pari passo con la carriera di scrittore, compose moltissimo, in
particolare sinfonie per pianoforte, essendo egli stesso un abile pianista
25
.
La sensibilità musicale di cui era dotato gli permise di cogliere meglio di
altri le sfumature di tono e le tecniche musicali che Joyce, anch’egli
musicista, padroneggiava
26
:
solo Joyce aveva visto una connessione tra musica e letteratura […] diceva
sempre che se si leggesse con gli orecchi il suo Finnegans Wake tutto sarebbe stato
chiaro.
27
23
A Joyce Burgess ha dedicato numerosi saggi e articoli, oltre che i due libri Here Comes Everybody,
Rejoyce e Joysprick, e A Shorter Finnegan’s Wake, una versione riveduta del romanzo di Joyce.
24
Little Wilson and Big God, p. 363.
25
Tanto che più volte si dispiacque per non aver seguito la carriera musicale tenendo la scrittura come
hobby e non viceversa: “The appreciation of my [musical] work disturbs me into worrying whether I was
wrong in turning to literature and taming an old ambition into a diversion like knitting. I am receiving
musical encouragement too late”. Citato da P. Phillips, ”The Music of Anthony Burgess”, in Anthony
Burgess Newsletter, Issue 1, July 1999, p.10.
26
Un musical intitolato Blooms of Dublin, basato sullo Ulysses, rimane ad esemplificare chiaramente la
stretta interdipendenza che Burgess avvertiva tra letteratura (in particolare joyciana naturalmente) e
musica. Per un’analisi approfondita si veda l’opera di P. Phillips citata.
27
Citato da G. Ricci, Così liberi perché cattolici, in Avvenire, 07/07/1988.
11
Non stupisce dunque che egli mettesse al primo posto, tra le capacità
dello scrittore,
quella facoltà straordinaria e fondamentale che consiste nel disporre le parole in
nuovi, sorprendenti stilemi che, miracolosamente, riflettono qualche impensata, e fino
ad allora non mai intraveduta, verità sulla vita
28
,
in cui ‘stilemi’ è la libera traduzione di R. Mainardi dell’inglese
patterns
29
, vocabolo preso in prestito direttamente dalla terminologia
musicale. Se è vero che ogni fase del pensiero ha un suo linguaggio
particolare, allora è il linguaggio stesso che, con chiaro riferimento allo
stream of consciousness, deve rivelare e descrivere “the movements and
actions of a man’s mind”
30
. Nello stesso tempo, però,
language is not for Burgess merely a medium in which thoughts are expressed
but a preordained structure which, like climate and diet, determines our thoughts.
31
Burgess dimostra dunque di aver assimilato la lezione dei modernisti
e di Joyce in particolare ed è ben consapevole delle possibilità offerte dal
romanzo polifonico
32
. Da Joyce prese e sviluppò inoltre gli schemi
narrativi della fuga e del contrappunto, la tecnica di spostare “fragments
from the episode and placing them at the beginning, to make a kind of
prelude to the fugue”
33
nonché l’abbondante uso nel testo di termini
28
A. Burgess, Shakespeare, [1970], nella trad. di R. Mainardi, Rusconi, Milano, 1981, p. 46.
29
Cfr. S. Coale, op. cit., p. 135.
30
Ibid.
31
T. Stumpf, “The Dependent Mind: A Survey of the Novels of Anthony Burgess”, in Anthony Burgess
Newsletter, Issue 3, December 2000, p. 9.
32
Nonostante Bakhtin avesse introdotto il concetto di polifonia nel suo primo lavoro Problems of
Dostojevsky’s Art pubblicato in Russia già nel 1929, le sue tesi non furono conosciute all’estero almeno
fino al ’63, quando l’opera venne pubblicata in un’edizione ampliata anche in Europa. Cfr. D. Lodge,
Modern Critic Theory: A Reader, Longman, London, 1988.
33
Joysprick, Andre Deutsch, London, 1973, p. 83.
12
stranieri e termini invece completamente inventati, desueti e improbabili
34
,
che spesso confondono il lettore e che troppo spesso vennero interpretati
dai critici come segno di pura erudizione in mostra. Non si può negare che
Burgess fosse uomo estremamente colto, e certo talvolta non riusciva a
resistere alla tentazione dello showing off, appesantendo di conseguenza il
testo, ma più spesso l’origine di tali assalti verbali è piuttosto da
rintracciarsi nella fantasia vulcanica e “dittatoriale”
35
, per usare un
aggettivo caro alla lirica moderna, che egli apprezzava
36
, e che ha come
obiettivi principali lo straniamento del lettore e (spesso) l’effetto comico-
grottesco. Significativa è a tal riguardo la predilezione tra gli scrittori
contemporanei per Vladimir Nabokov:
Of living novelists, Vladimir Nabokov is a good example of an obsessive to
whom the word is both sound and more (or less) than sound
37
.
Talvolta, dunque, il linguaggio perde la sua funzione comunicativa e
richiama l’attenzione su di esso. In Nabokov, di cui scrisse che “lacking a
country, he clings to a language”
38
e, come nota S. Coale, avrebbe potuto
alludere a se stesso, Burgess ritrova e spesso prende a prestito diversi
elementi: l’uso del grottesco e del black humor, la provocatorietà elegante,
il disinvolto europeismo lessicale e l’amore per la lingua in sé. In chiusura
a Joysprick, Burgess scrisse che, in ultima analisi, ciò che rese l’autore
34
L’apice lo raggiunse notoriamente in A Clockwork Orange, per la cui analisi si rimanda al primo
capitolo. Per il resto, un esempio spassoso basterà per tutti: “Shitabed, scoundrel, slapsauce druggel,
jobbernol gnatsnapper, codshead looby, turdgut!”, in The End of The World News, Penguin, London,
1972, p. 160.
35
Si veda in proposito H. Friederich, La struttura della lirica moderna, Garzanti, Milano, 1971.
36
Burgess scrisse in giovinezza numerose poesie, non raggiungendo però mai notevoli risultati. Mai
nascose l’influenza che Gerard Manley Hopkins esercitò su di lui. Rimangono a testimonianza della sua
familiarità in particolare con i simbolisti francesi la chiusura di The Wanting Seed, dove Beatrice-Joanna
cita i versi di una poesia di Valéry, e, specie nella trilogia di Enderby, un gusto tutto baudeleiriano per il
ripugnante.
37
Joysprick, p. 16.
38
Citato da S. Coale, op. cit., p. 138.
13
irlandese così grande e geniale nel suo uso del linguaggio fu senza dubbio
l’infinito amore per la sua lingua; egli stesso ammise sempre di esserne
innamorato:
I am still a child of cold England, but only in the sense that I love its language
and its literature.
39
Se nella tecnica e nella forma molto di Burgess è da ricondurre al
modernismo, non altrettanto si può dire della costruzione e dello sviluppo
dei plot. Da questo punto di vista i suoi romanzi si ricollegano alla
tradizione inglese ottocentesca, alla quale Burgess si sentiva molto legato
(gli piaceva vantarsi di non appartenere ad alcun tipo di avanguardia), in
particolar modo a Dickens e Thackeray. La costruzione dei personaggi,
seppur tesa costantemente a dar loro un senso di realismo a tutto tondo, non
vuole e non può raggiungere la profondità psicologica di Joyce o della
Woolf, forse anche perché, come osserva la Carpi, nel Novecento c’è la
“consapevolezza della propria tardività, e dell’impossibilità di dire
alcunché di nuovo, in quanto tutto è già stato detto”
40
. La scrittura, è per lo
scrittore postmoderno tanto necessaria quanto generatrice di ansia
profonda: “The anxiety involved is intolerable”
41
. Burgess è ben conscio
della difficoltà di apportare elementi nuovi e soffre, come ogni scrittore suo
contemporaneo, dell’ossessione del difficile rapporto con la tradizione:
No post-Joycean novelist can learn anything from him except a certain eccentric
scrupulosity in the handling of language, usually interpreted as clumsiness. His literary
experiments were meant for himself alone: he drained all the possibilities of formal
ingenuity.
42
39
You’ve Had Your Time, p. 386.
40
D. Carpi, L’ansia della scrittura, Liguori, Napoli, 1995, p. 10.
41
Intervista di J. Cullinan, in G. Aggeler, Critical Essays on Anthony Burgess, C. K. Hall & Co., Boston,
1986, p.55.
42
You’ve Had Your Time, p. 98.
14
Scrive ancora la Carpi a proposito della trilogia di Enderby
43
:
Uno dei mezzi che l’autore contemporaneo ha per combattere contro i suoi
predecessori è anche quello di falsificare la storia, dando espressione a una nuova forma
letteraria […] Il peso della tradizione può essere annullato operando creativamente sulla
tradizione stessa, proiettandosi perciò nel passato in modo attivo e falsificante e
esorcizzando in tal modo il peso dell’influenza.
44
Burgess fa massiccio uso di questo mezzo, recide il cordone
ombelicale con i grandi del passato dedicando loro tempo e studio, ma
soprattutto rivisitando i loro capolavori, come è stato già notato per Joyce e
Hopkins, e riscrivendo le loro biografie, rivedute e romanzate: prime fra
tutti quelle di Shakespeare e Marlowe. Lo stesso Shakespeare rimane per
Burgess punto fermo e fonte di ispirazione. Come tanti, molto si sofferma
su Shakespeare, cercando di rappresentare anche l’individuo, oltre che il
genio:
Shakespeare […] è noi stessi. Will, ordinaria, sofferente umanità, accesa da
moderate ambizioni, assillata dal denaro, insidiata dal desiderio, fin troppo mortale.
Sulla schiena gli fu appeso a mo’ di gobba un miracoloso talento.
45
Anche in lui Burgess vide la magia del linguaggio. Come osserva A.
A. De Vitis, in Nothing Like the Sun (1964), il romanzo di Burgess
incentrato sulla vita amorosa del poeta, “Shakespeare, a “word-boy”, is
shown weaving the web of language to produce designs of wonder”
46
(corsivo mio). Tuttavia, in un certo senso, cercare di capire quali aspetti
della poetica di Shakespeare abbiano influito direttamente su Burgess è
43
Enderby, caricatura del poeta romantico, compone soltanto in bagno riscrivendo The Wreck of the
Deutschland di Hopkins e si esprime solo con imbarazzanti rumori fisici. Cfr. G. Aggeler, op. cit., 1979,
p. 80-81.
44
D. Carpi, op. cit., p. 172. Così, al termine di The End of the World News (1982), di cui parlerò più
approfonditamente nella seconda parte, la storia viene di fatto lasciata sulla terra e le uniche opere salvate
sono due videocassette divulgative e assai poco realistiche sulla vita di Trotzky e Freud.
45
Shakespeare, p. 317.
46
A. A. De Vitis, op. cit., p. 165.
15
impresa inutile: se è lecito affermare che tutti gli scrittori inglesi sono figli
di Shakespeare, tanto più lo si può dire di Burgess che, giocando come suo
solito con i nomi, interpretava il suo vero cognome “Wilson” come “Will’s
son”
47
.
Il ri-uso del passato e delle sue forme, spesso in forma parodica o satirica a
partire dagli anni Sessanta è sintomatico di un periodo di angoscia e disagio
che vede il tramonto definitivo dell’Impero britannico e, con esso, delle sue
certezze. La storia stessa viene sottoposta allo strumento del dubbio,
sospettata di essere un’enorme assurda finzione
48
; la parodia diviene allora
uno dei mezzi più efficaci per manipolare il passato e i suoi testi
“rendendoli familiari attraverso strutture narrative, la cui auto-riflessività e
meta-narratività però li smentiscono”
49
. Lo scrittore cerca rifugio nel testo
(o meglio, nell’intricato labirinto intertestuale), e ne ri-esce come narratore
invadente, nel senso che “ridiventa personaggio, riacquista un corpo oltre
che una voce”
50
, e questa voce
compare qua e là celata nell’impersonalità della terza persona, in un recupero
apparente dell’onniscienza, anche se solo per negarsi e perdersi nella polifonia
dell’insieme.
51
Il romanzo, sempre più fiction, va sempre più verso una dimensione
autoreferenziale e autoironica, dove è il testo che conta, con le sue strutture,
le sue divagazioni e le sue contaminazioni. Ma è un narratore che non è più
portavoce della verità: non è affidabile, è tormentato dai dubbi, si
contraddice. Burgess, a proposito di Earthly Powers (1980), uno dei suoi
ultimi romanzi, ha ammesso:
47
S. Coale, op. cit., p. 161.
48
Cfr. M. Billi, Il testo riflesso, Liguori, Napoli, 1993, p. 116.
49
Ibid.
50
P. Splendore, Il ritorno del narratore, Pratiche, Parma, 1991, p. 30.
51
Ibid., p. 34.
16
The book is full of errors. They’re not mine, they’re the errors of the narrator.
You must distrust the narrator. […] [it is] not quite a realistic novel, it came quite closer
to the, how should I put it, the novel as text.
52
L’ironia pungente, l’ossessione della forma, l’enfasi sulla figura del
narratore, il ruolo dell’intellettuale, la rivisitazione del passato, la
contaminazione dei generi, l’indagine psicologica spesso scarsa dei
personaggi, veri anti-eroi persi nel labirinto degli universi possibili, sono
tutti elementi che distaccano Burgess dal Modernismo e dimostrano la sua
appartenenza all’estetica post-moderna
53
. Si può, come è stato fatto
54
,
anche dire che egli abbia aiutato il passaggio della letteratura da quel solco
neo-realista in cui si trovava negli anni Cinquanta alla riscoperta del
fantastico e della distopia, se si pensa che del ’61 sono The Wanting Seed e
A Clockwork Orange. E’ proprio il ’61 che rappresenta lo spartiacque per
Burgess
55
. Tornato in patria per una diagnosi di tumore al cervello, poi
rivelatasi erronea, che gli lasciava soltanto un anno di vita, iniziò a scrivere
furiosamente producendo cinque romanzi nell’arco di soli dodici mesi
56
,
dando inizio così alla sua carriera di scrittore a tempo pieno. Burgess non
era tanto mosso dalla volontà di lasciare traccia di sé e di rendersi
romanticamente immortale nella scrittura, quanto molto più grettamente
dalla preoccupazione di lasciare di che vivere alla sua prima moglie. Ecco
come racconta, con l’ironia che lo contraddistingue, il momento in cui la
moglie gli comunica la prognosi dei medici e decide, un po’ controvoglia,
come impiegare i suoi ultimi mesi:
52
Guardian Conversations, ICA Video, 1988.
53
Per l’approccio alla dimensione post-moderna ho utilizzato in particolare: B. McHale, Postmodernist
Fiction, [1987], Routledge, London, 1996.
54
Cfr. D. Lodge, “The Making of Anthony Burgess”, in The Practice of Writing, Secker & Warburg,
London, 1996.
55
Non a caso con il 1961 termina la prima parte della sua autobiografia.
56
Oltre ai già menzionati A Clockwork Orange e The Wanting Seed, scrisse altri tre romanzi: Devil of a
State, The Worm and the Ring, e One Hand Clapping.
17
‘What they told me at the hospital was that you have an inoperable cerebral
tumor. […] They give you, at the most, a year to live.’
[…]
‘So you have to prepare for a widow’s existence.’
‘It looks like it.’
‘You’ll need money.’ I had a whole year, a long time. In that year I had to earn for my
prospective widow. No one would give me a job. (‘How long do you propose staying
with us’’ – ‘A year, you see, I’m going to die at the end of it.’ – ‘No future in it, old
boy.’). I would have to turn myself into a professional writer. Work for the night is
coming, the night in which God and little Wilson, now Burgess, would confront each
other, if either existed. I sighed and put paper in the typewriter. ‘I’d better start,’ I said.
And I did.
57
E non si fermò più. Nonostante la sua prolificità, stabilizzatasi poi su
livelli meno frenetici, facesse storcere la bocca a diversi critici
58
e andasse
talvolta a discapito della qualità, si difese sempre attaccando:
This is where my anger comes in. It seems to me wrong that one should have
had so much writing in order to make a living, and not a very good living at that
59
.
D’altra parte, in questo riteneva di avere un illustre modello: “Shakespeare
sapeva che far denaro è ottima cosa, e non vedeva niente di male nell’alto
interesse, purchè non dovesse pagarlo lui”
60
.
Lamentandosi come suo solito, Burgess comunica ai lettori quanto
sia cambiata la condizione dell’intellettuale (e la sua estrazione sociale),
alle prese con le case editrici, i diritti d’autore e le tasse piuttosto che con i
salotti culturali. Di conseguenza, nonostante l’etimologia sia la stessa,
Burgess non fu, e non si sentì mai, tanto artista quanto artigiano, metodico
e attento nel difficile e stancante tentativo di conciliare letteratura alta e
mercato.
57
Little Wilson and Big God, pp. 447-448.
58
Tanto che fu costretto a far uscire sotto lo pseudonimo di Joseph Kell diversi romanzi: I già citati Devil
of a State (1961), The Worm and the Ring (1961), One Hand Clapping (1961), e Inside Mr. Enderby
(1963). Cfr. A proposito S. Coale, op. cit., p.15.
59
Nella premessa a J. Brewer, op. cit., p. V.
60
Shakespeare, p. 164.
18
I wish I could live easier; I wish I didn’t have the sense of responsibility to the
arts. More than anything I wish I didn’t have the prospect of having to write certain
novels, which must be written because nobody else will write them. I wish I were freer,
I like freedom; and I think I would have been much happier living as a colonial officer
writing the odd novel in my spare time. Then I would have been happier than as a sort
of professional man of letters, making a living out of words.
61
E’ il mercato stesso ad essere differente: è enormemente più ampio
ma esige prodotti facili da comprendere e di veloce consumo, nonché
economici. La televisione cambia i ritmi della vita delle persone e la
serialità è la forma che più si adatta alla società del tardo capitalismo,
mentre la letteratura è svilita dai paperback, la cultura reificata
62
. Di
conseguenza i romanzi devono essere brevi e semplici, non ambigui,
affinché possano all’occorrenza venire portati in televisione. Del resto,
Aggeler ricorda che il sistema fiscale inglese negli anni Sessanta tassava i
proventi della vendita di un libro come se fossero un semplice reddito
annuale, non tenendo conto che ci potevano essere più anni di lavoro alle
spalle, il che spiega la netta predilezione da parte degli scrittore per le
forme brevi
63
. Da Burgess, il quale sapeva che un vero scrittore deve
misurarsi con romanzi lunghi e corposi
64
, tutto ciò venne percepito come
negativo e contribuì ad aumentare la sua già forte carica aggressiva e
pessimista in quella chiave ironica e satirica, di cui i suoi romanzi sono
intrisi.
61
Intervista di J. Cullinan citata, p. 53.
62
Cfr. F. Jameson, Postmodernism, or the Cultural Logic of Late Capitalism, Verso, London, 1991.
63
G. Aggeler, op. cit., 1979, p. 15.
64
“The great novels of the past – Don Quixote, Tom Jones, War and Peace, for example – have all been
very long, and it is only in great length that novelists can fulfil their blasphemous urge to rival God”.
Citato da A. A. De Vitis, op. cit., p. 20.