suddivisione in base al contenuto, come segue:
- Film prodotti dall’Ente per la colonizzazione del Delta Padano:
14 titoli (estremi cronologici: 1952-1962)
61 scatole: 27 positivi da proiezione, 6 negativi scena e colonna, 28 copie
lavoro;
- Altre produzioni italiane:
2 titoli (1951 e 1975)
4 scatole: positivi da proiezione;
- Documentari didattici:
10 titoli (estremi cronologici: 195?-1960)
10 scatole: positivi da proiezione;
- Materiali di lavorazione vari:
(estremi cronologici: 1953-1983; produzione Ente per la colonizzazione del
Delta Padano fino al 1965, dal 1966 al 1976 Ente Delta Padano-Ente di
sviluppo, dal 1977 ERSA)
32 scatole, contenenti elementi diversi; molto spesso le uniche informazioni
si riducono all’indicazione del luogo e/o della data di ripresa.
Per un elenco di consistenza dettagliato si rimanda alle schede catalografiche
in appendice 2.
1.1 Le fonti
Parlando di materiali d’archivio, generalmente, si tende a distinguere tra
materiale filmico e non-filmico. Con il primo termine ci si riferisce, secondo il
primo articolo dello statuto FIAF (Fédération Internationale des Archives du
Film), a “qualsiasi registrazione di immagini in movimento, con o senza
accompagnamento sonoro, qualunque ne sia il supporto: pellicola
cinematografica, videocassetta, videodisco, od ogni altro processo conosciuto o
2
da inventare”.2
Le fonti non-filmiche si collocano su un livello differente, poiché costituite da
tutto l’insieme di informazioni reperibili in spazi diversi, ma contigui, a quello
cinematografico. Per restare nell’ambito delle fonti primarie, rientrano in
questa categoria soggetti, sceneggiature, foto di scena, visti di censura,
manifesti e programmi di sala, ma non solo. Altri elementi fondamentali
possono essere rintracciati negli atti d’archivio o nelle recensioni sulle riviste
d’epoca; anche le memorie, scritte e orali, forniscono spesso un aiuto
importante.3
Una varietà di documenti, dunque, che permette di arricchire la ricerca laddove
si sia in possesso del film, e garantire, nel caso in cui quest’ultimo sia andato
perduto, la sua passata esistenza.
Si tratta comunque, soprattutto per quanto riguarda la seconda tipologia, di
materiale in molti casi di difficile reperimento. La stesse definizioni di
materiale non-filmico o extra-filmico “tradiscono la forma mentis del cinefilo,
per il quale la centralità del film rispetto ai materiali cartacei è indubbia”. 4
I motivi di questo atteggiamento si possono rintracciare in parte nella politica
d’emergenza che ha caratterizzato i primi decenni di attività delle cineteche:
In particolare i fondi documentari cartacei non venivano considerati parte
integrante e fondamentale del patrimonio della storia del cinema del
nostro paese e pertanto solo raramente e parzialmente recuperati e fatti
oggetto di tutela.5
Per molti anni nessun cenno è stato fatto dei materiali cartacei conservati negli
2 Traduzione nostra. Lo statuto, versione aggiornata del primo, redatto a Parigi nel 1938, è
disponibile sul sito web della FIAF: <http://www.fiafnet.org/pdf/fr/fiaf_status.pdf> [Data di
accesso: 20/03/2010].
3 Cfr. Paolo Caneppele, Metodologia della ricerca storiografica sul cinema in ambito locale,
in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, Torino, Einaudi, 5 voll.: vol.
V, Teorie, strumenti, memorie, 2001, pp. 293-317.
4 P. Caneppele, Le fonti della storiografia cinematografica: tipologia e problematiche, in L.
Devoti (a cura di), op. cit., p. 214.
5 Letizia Cortini, L’importanza dei fondi cartacei e del loro trattamento negli archivi
cinematografici, in Cinema in archivio, Roma, Il centro di ricerca, 2002, p. 126.
3
archivi dei registi, nei magazzini delle società di produzione o negli archivi di
enti e fondazioni che si sono occupati in qualche modo di cinema.
Ma la necessità di salvaguardare i film a discapito delle altre fonti, non è la sola
causa di questa rimozione:
Il problema forse ha avuto a che vedere con la mentalità, diffusa
soprattutto nell’organizzazione di mostre ed eventi culturali in genere,
secondo la quale è importante recuperare, conservare, valorizzare
un’opera, in questo caso filmica, in quanto prodotto finito, senza
considerare pienamente l’importanza delle fonti che documentano le fasi
di realizzazione del prodotto ultimato, ovvero dei suoi contesti e dei suoi
legami con altra documentazione.6
Questa mancanza ha dunque portato, non solo a porre in secondo piano i
materiali cartacei, ma anche ad escluderli da qualsiasi tipo di studio
approfondito sui loro caratteri complessi, sulla loro provenienza, natura e
utilità.
In realtà ci si sta sempre più rendendo conto che il film non può essere l’unica
fonte in cui rintracciare dati anagrafici, tecnici e di contenuto del film stesso.
Se la missione culturale di una cineteca è la preservazione del materiale
audiovisivo, perché ne possa usufruire un pubblico, specializzato e non,
riteniamo che gli stessi principi possano valere anche per il corredo cartaceo
che gravita intorno ad un film, ai suoi realizzatori, al processo produttivo e di
fruizione.
In quest’ottica è stata condotta una ricerca presso l’Archivio storico della
Regione Emilia-Romagna, che conserva, fra i vari fondi, quello dell’ex ERSA,
al fine di ricostruire le vicende dei materiali che ci sono pervenuti.
I documenti reperiti riguardano varie fasi della vita dei film: delibere, contratti
e bilanci rendono conto del momento della progettazione produttiva; un
soggetto può costituire un’utile testimonianza di quella creativa. Delle fasi di
6 L. Cortini, op. cit., pp. 126-127.
4
realizzazione e edizione, rimane traccia nelle fatture emesse dai laboratori. Le
bolle di spedizione delle pellicole, o i programmi delle proiezioni, aiutano a
fasi un’idea della diffusione che questi film hanno avuto.7
I verbali delle riunioni, le carte riservate dei funzionari o le relazioni periodiche
dell’Ufficio stampa permettono infine di delineare, come ideale complemento,
le caratteristiche dell’attività educativa, documentativa e di propaganda svolta
dall’Ente per mezzo del cinema.
Con due avvertenze: innanzitutto, a causa della mancata conservazione di
diversi documenti, la ricostruzione sarà necessariamente parziale; in secondo
luogo, va sempre ricordato che “le fonti archivistiche utilizzabili per scrivere la
storia del cinema offrono sempre il punto di vista delle amministrazioni che le
producono”.8
Dagli archivi dell’ex Ministero dello spettacolo proviene un’altra fonte non-
filmica fondamentale: i visti di censura, ovvero i nulla osta alla
commercializzazione dei film, rilasciati, dal dopoguerra fino al 1962,
dall’Ufficio centrale per la cinematografia istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri. Da essi si ricavano dati preziosi: titolo e credits, che
nella copia esaminata potrebbero essere inesatti o incompleti; caratteristiche
tecniche come il formato e il metraggio originali; una breve sinossi con cui
confrontare il contenuto del film di cui si dispone. Riportano inoltre due date
molto importanti: la prima indica il momento in cui il nulla osta è stato
concesso, la seconda è quella della richiesta della copia del visto necessaria per
la distribuzione delle singole copie.
Infine, alcune informazioni utili sono emerse dall’esame del fondo fotografico
dell’IBC, mentre nella biblioteca “Renzo Renzi” di Bologna, che conserva il
7 Si fa riferimento alla suddivisione in cinque fasi proposta in Ansano Giannarelli, I
documenti cartacei nel processo produttivo filmico, in Cinema in archivio, cit., pp. 101-
122.
8 P. Caneppele, Le fonti della storiografia cinematografica: tipologia e problematiche, cit., p.
219.
5
carteggio privato del regista, è stato possibile trovare una sceneggiatura e altri
dati interessanti per quanto riguarda uno dei film che la sua casa di produzione
realizzò in collaborazione con l’Ente Delta Padano.
1.2 Note sulla catalogazione
La catalogazione rappresenta il punto d’arrivo dell’esame dei materiali di un
archivio, permette la consultazione delle informazioni ad essi relative e ne
consente la facile reperibilità. Permette inoltre di disporre di dati chiari e
ordinati per la gestione di eventuali prestiti e l’inserimento di nuove
acquisizioni, o per stabilire le priorità in vista della duplicazione o del restauro.
Il manuale FIAF per la gestione degli archivi del film la definisce come
un’attività comprendente:
La raccolta, la valutazione e la classificazione sistematica delle
informazioni sui film conservati dagli archivi. Si tratta di un obiettivo allo
stesso tempo vitale e complesso, dal quale dipende in tutto il buon
funzionamento degli archivi. Provvisti di dati completi e ordinati, gli
archivi sono in grado di conservare o di utilizzare efficacemente le loro
collezioni.9
Il lavoro sul fondo si è dunque concluso con la compilazione delle schede
catalografiche, nelle quali confluiscono le informazioni tratte sia dalle pellicole
che dal materiale cartaceo presi in esame.
Ciascuna scheda, secondo quanto prescritto dalle regole FIAF,10 è suddivisa in
tre parti principali:
9 Eileen Bowser, John Kuiper (a cura di), Manuel des archives du film, Bruxelles, FIAF,
1980, p. 45, traduzione nostra.
10 FIAF Cataloguing Commission, Film Cataloguing, New York, Burt Franklin & Co., 1979,
trad. it. in Il documento audiovisivo: tecniche e metodi per la catalogazione, Roma,
Archivio del Movimento operaio e democratico, 1995, pp. 121 e sgg.
6
- Area del titolo e delle formulazioni di responsabilità;
- Area della descrizione fisica;
- Area delle note.
Per quanto riguarda la prima, si è stabilito di usare il titolo originale, se
reperibile; altrimenti è stato usato quello dell’edizione del film.
Le formulazioni di responsabilità seguono il titolo, e comprendono: credits;
luogo, casa e anno di produzione; distribuzione.
Si indicheranno infine lunghezza e formato originali, qualora sia stato possibile
dedurli dai visti.
I vari dati devono essere separati fra loro dalla punteggiatura prescritta; le
informazioni dubbie sono poste fra parentesi quadre.
La prima parte della scheda, dunque, è caratterizzata dalla seguente struttura:
Titolo / Formulazioni di responsabilità. – Luogo di produzione : Casa di
produzione, Anno di produzione ; Distribuzione. – Lunghezza originale
(Formato originale).
Se l’area del titolo può identificarsi con il “film-opera”, inteso come archetipo
al quale ricondurre versioni e varianti,11 l’area della descrizione fisica riporta le
informazioni relative a ciascuna copia visionata.
Comprende le seguenti voci:
- Elemento: positivo o negativo, scena o colonna, invertibile;
- Numero di rulli: il fondo è composto quasi esclusivamente di film da un rullo;
- Lunghezza: il metraggio della copia;
- Formato: nel nostro caso 16 o 35mm;
- Supporto: safety o nitrato;
- Altre specifiche tecniche: b/n o colore, tipo di colonna sonora (se presente);
11 Cfr. Michele Canosa, Immagini e materia. Questioni di restauro cinematografico, in
“Cinema & Cinema”, 63 (1992), p. 39.
7
- Numero d’inventario: attribuito al momento dell’ingresso nell’Archivio film
(assente nel caso delle pellicole in nitrato, conservate a parte).
Nell’area delle note verranno riportate, se disponibili, le informazioni relative
ai nulla osta: numero identificativo, date di concessione e di rilascio del
duplicato, descrizione del plot.
Soprattutto, in quest’area sarà curata l’elaborazione degli accessi per soggetto,
mediante l’inserimento di termini descrittori. In particolare, trattandosi in molti
casi di documentari, verranno indicati i luoghi e le persone ripresi.
Riteniamo che sia un aspetto rilevante, perché permette non solo di arricchire
la descrizione del film, ma anche di rendere maggiormente fruibile la sua
registrazione catalografica. In questo modo le schede saranno aperte alla
consultazione da parte di un’utenza non necessariamente specializzata, che
imposta la ricerca a partire dal riconoscimento del valore delle pellicole in
quanto fonti di documentazione storica, culturale e sociale, e per la quale la
conoscenza del contenuto del film risulta altrettanto importante dei dati relativi
al titolo o al nome del regista.
8
2. Il contesto storico
Le lotte per tentare di rompere il monopolio agrario esistente da decenni nella
zona del Delta Padano iniziarono negli anni immediatamente successivi alla
Liberazione.
I dati relativi alla distribuzione della proprietà terriera nel 1946 ci offrono un
quadro davvero impressionante dell’intensità della concentrazione fondiaria:
solo nel ferrarese le grandi proprietà, quelle di estensione maggiore di cento
ettari, erano circa il settantacinque per cento della superficie agraria provinciale
ed appartenevano ad appena il cinque per cento del totale dei proprietari.
Analizzando nel dettaglio i dati relativi alla distribuzione della proprietà nei
comuni che furono in seguito oggetto della legge di riforma, si possono
ricavare alcuni casi eclatanti, come quello di Jolanda di Savoia e Mesola: un
solo proprietario, infatti, possedeva 6618 ettari di terreno nel primo comune e
7885 nel secondo, pari rispettivamente al sessantatré ed al settantatré per cento
circa dell’intera superficie comunale.1
In tutta Italia il regime fondiario prevalente era quello del latifondo, un sistema
di conduzione delle terre estremamente arretrato.
Le proprietà, molto vaste, erano sottoposte ad agricoltura estensiva. A causa di
tali caratteristiche, il lavoro era richiesto solo in alcuni periodi dell’anno; il
proprietario era assenteista e poco attento all’amministrazione dei suoi terreni,
che generalmente affidava a terze persone.
Era la vastità stessa della proprietà che ostacolava il miglioramento: il
proprietario aveva troppa terra e pochi capitali; egli non si sentiva portato
a profonde trasformazioni che, oltre ad essere di incerto risultato
economico, comportavano rischi grandissimi.
Refrattario al progresso tecnico il proprietario preferiva perciò mantenere
la proprietà nelle condizioni originarie che, date le dimensioni, gli
1 Davide Guarnieri, Riforma agraria: le assegnazioni e gli aspetti politico-sindacali, in
Franco Cazzola (a cura di), Riforma agraria: da braccianti a coltivatori diretti, Atti del
convegno (Ferrara, 22 febbraio 2003), Ferrara, s.e., 2005, p. 31.
9
assicurava, comunque, un reddito certo e non limitato. Chiare le impronte
feudali nel latifondo [...].2
In più, la struttura socio-economica dell’agricoltura nel Delta era caratterizzata
da un altro elemento, dovuto allo sviluppo peculiare della zona, avviato a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento. All’epoca infatti erano iniziate le
grandi opere di bonifica, rese possibili da cospicui investimenti, statali e
privati. La richiesta di manodopera determinò un boom demografico che si
protrasse fino agli inizi del XX secolo. Conclusi i lavori di bonifica, però, i
braccianti rimasero disoccupati.3
Le condizioni di vita delle masse bracciantili nel dopoguerra non erano molto
diverse da quelle di cinquant’anni prima. Secondo la Commissione
Parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione, nell’annata agraria 1947-1948,
si raggiungeva in queste zone il più basso reddito annuo familiare di tutto il
Nord Italia.4
Si prospettavano due vie d’uscita per tentare di risolvere, almeno in parte, il
problema: l’emigrazione, oppure “il passaggio dell’esuberante mano d’opera
agricola in altri settori produttivi, in particolare a quello industriale”. 5
Il censimento della popolazione del 1951 fornì un quadro ancora più preciso:
su 138.000 persone impiegate nel settore dell’agricoltura, oltre il settanta per
cento erano braccianti. La miseria raggiungeva livelli tali che era “quasi simile
la indigenza di coloro che non lavorano e quella di coloro, e sono la stragrande
maggioranza, che risultano sottoccupati e lavorano saltuariamente”.6 Ovunque
2 Giuseppe Guerrieri et al., Istituzioni di economia e politica agraria, Bologna, Edagricole,
1995, p. 372.
3 Luigi Govoni, Il Delta del Po: dall’emergenza allo sviluppo, in Giordano Marchiani (a cura
di), C’era una volta il Delta, Bologna, Europrom, 1990, p. 34.
4 Paolo Albertario, Elementi per il raffronto fra l’occupazione e il reddito di famiglie di
braccianti agricoli dell’Italia Settentrionale e dell’Italia Meridionale, in La
disoccupazione in Italia, Atti della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla
disoccupazione, Roma, Abete, 17 voll.: vol. II, tomo 3, Relazioni dei gruppi di lavoro,
1953, pp. 63-71.
5 Gruppo di lavoro per i problemi dell’occupazione e della disoccupazione connessi con
l’agricoltura, in La disoccupazione in Italia, cit., p. 25.
6 Giuliana Nenni, Maria Nicotra, Aspetti della miseria nel Delta Padano, in Atti della
Commissione parlamentare di inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla,
10
era diffuso l’acquisto di merce a credito, mancavano servizi igienici, acqua
potabile ed energia elettrica; i terreni e le strade perennemente impantanati
rendevano faticosi gli spostamenti.
A Comacchio, le case sono malsane e costruite con criteri irrazionali. Il
suolo è umidissimo ed in quasi tutte le case il pavimento è sotto il piano
stradale [...]. Il 95% delle abitazioni è senza latrina; tutte le acque di
rifiuto scolano nei cortili [...]. Una percentuale notevole delle abitazioni è
ad un solo piano, alto non più di tre metri e con finestre minuscole [...].
Sono rare le famiglie dei braccianti che abbiano più di un vano [...];
alcune frazioni sono addirittura sfornite di energia elettrica [...]. La più
grave sciagura della zona è la mancanza di acqua potabile.7
Si aggiunga a ciò l’analfabetismo, le cui cause venivano così riassunte dal
direttore didattico di Mesola:
Miserrime condizioni economiche, che non permettono di sostenere le
spese necessarie al mantenimento scolastico; necessità di avviare al
lavoro i figli prima dei 14 anni; distanza eccessiva dalle abitazioni alla
scuola; atavica indifferenza per quanto riguarda l’istruzione ed in genere
il miglioramento della cultura dei figli.8
Altissima era la mortalità infantile; rachitismo, tifo, tubercolosi avevano una
diffusione endemica, soprattutto a causa dell’alimentazione, incentrata quasi
esclusivamente su pane, riso, polenta e pesce. La situazione venne
ulteriormente aggravata dall’alluvione del novembre 1951.
Tutti questi problemi erano strettamente correlati, tanto da far concludere la
delegazione parlamentare che sarebbe stato impossibile “separare
schematicamente un suggerimento d’ordine igienico-ambientale da un altro di
Roma, Arti Grafiche SICCA, 13 voll.: vol. VII, Indagine delle delegazioni parlamentari.
La miseria in alcune zone depresse, 1953, p. 65.
7 Ibid., p. 67.
8 Ibid., p. 72.
11
carattere etico-sociale e viceversa”.9
Gli interventi improrogabili avrebbero dunque riguardato la bonifica delle
terre, l’incremento dell’edilizia popolare, l’istituzione di scuole tecniche e
professionali, l’adeguamento dell’assistenza medico-ospedaliera.
2.1 La Legge Stralcio
L’immediato dopoguerra fu un periodo di forti tensioni sociali. Una delle cause
preponderanti era la richiesta di una riforma agraria; al Sud i contadini
occupavano i terreni demaniali, al Nord si susseguirono frequenti scioperi di
braccianti. Spesso con esiti drammatici: l’episodio più noto e tragico è
senz’altro quello di Melissa, in Calabria, dove la Celere di Scelba aprì il fuoco
sui manifestanti, uccidendo tre persone. Ma anche nel Polesine si sostennero
scontri durissimi, e a Trecenta un bracciante cadde sotto i colpi della polizia.10
In fondo, anche se le idee su come si dovesse attuare erano tante, divergenti e
spesso confuse, la riforma agraria era prevista dall’articolo 44 della recente
Costituzione repubblicana:
Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi
rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera
privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone
agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del
latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la
media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone
montane.11
Ma una riforma agraria vera e propria in Italia non avvenne mai, se intesa
come intervento strutturale di modifica dei tipi aziendali, dei contratti, del
9 G. Nenni, M. Nicotra, op. cit., p. 73.
10 Guido Crainz, I braccianti padani, in Gloria Chianese et al., Italia 1945-50. Conflitti e
trasformazioni sociali, Milano, Franco Angeli, 1985, p. 248.
11 Costituzione della Repubblica Italiana, parte I, titolo III, art. 44. Disponibile su <http://ww
w.governo.it/Governo/Costituzione/1_titolo3.html> [Data di accesso: 20/03/2010].
12
lavoro agricolo.
Quella che il governo De Gasperi attuò con l’emanazione della Legge Sila e
della Legge Stralcio fu infatti una riforma fondiaria, basata sulla ridistribuzione
delle terre. “I provvedimenti di riforma fondiaria” si legge in un articolo che
analizza a qualche anno di distanza la situazione, “intesero, pertanto, alleviare
il grave problema esistente. Alleviare, ma non risolvere”.12
La prima, L. 12 maggio 1950, n. 230, riguardava soltanto l’altopiano silano e i
territori ionici; con la L. 21 ottobre 1950, n. 841, voluta da Segni, furono
interessati anche Delta Padano, Maremma toscana e laziale, Fucino, Campania,
Puglia, Lucania, Calabria e Sardegna. In Sicilia fu emanata una legge speciale
regionale.
La stessa definizione di Legge Stralcio è indicativa del carattere di emergenza
di tali provvedimenti: venne così denominata poiché prevedeva la possibilità di
intervento solo su determinate aree territoriali del Paese. Era cioè considerata
un’anticipazione – stralcio, appunto – di una più generale legge che di fatto non
vide mai la luce.
In ogni caso, la L. 841/50 è stata quella a maggiore operatività. Essa prevedeva
l’esecuzione della riforma fondiaria in tre fasi: espropriazione della terra,
miglioramento della stessa e assegnazione ai braccianti, assistenza alla nuova
proprietà contadina.
Per l’attuazione di tali indirizzi furono istituiti dallo Stato gli enti di riforma:
Ente Delta Padano, Ente Maremma tosco-laziale, Ente Fucino, Ente Puglia e
Lucania, Sezione Opera Nazionale Combattenti (territori del Volturno e del
Sele), Opera Sila, Ente Sardegna, Ente Fiumendosa, Ente Sicilia.13
Non mancarono le polemiche. Le sinistre si opposero nettamente in sede di
approvazione, sostenendo che le nuove leggi avrebbero soltanto comportato
nuovi problemi, anziché risolvere quelli preesistenti. Innanzitutto, la grande
proprietà fondiaria non sarebbe stata intaccata, contravvenendo in partenza al
principio costituzionale; in secondo luogo, appariva chiara la volontà di
12 La riforma fondiaria nel Delta Padano, in “La Voce del Delta”, 4 (1958).
13 G. Guerrieri et al., op. cit., pp. 372-373.
13
indebolire, tramite il sistema delle assegnazioni, la coesione dei movimenti
contadini.14 Va ricordato che gli enti di riforma, per usare le parole dello storico
Paul Ginsborg, furono fin dall’inizio “solide nicchie di potere democristiano”.15
In un articolo apparso sul settimanale “La Nuova Scintilla”, organo della
Federazione ferrarese del PCI, Giuseppe Caleffi si dichiarò contrario all’idea
stessa di riforma fondiaria, contestando soprattutto il risultato finale al quale si
sarebbe giunti applicando la volontà del Parlamento:
Il governo, attraverso l’Ente Delta Padano [...] vorrebbe sulla poca terra
che andrebbe ad espropriare, fare la colonizzazione determinando la
rottura dell’azienda organizzata – dove esiste – e assegnando le terre ai
pochi contadini a danno delle grandi masse dei senza terra.16
2.2 L’Ente per la colonizzazione del Delta Padano
La Legge Stralcio, come accennato, prevedeva la costituzione di diversi enti,
che si configuravano come organismi giuridici di diritto pubblico, ed erano
sottoposti alla vigilanza del Ministero dell’Agricoltura e delle foreste. I primi,
istituiti rispettivamente ex D.P.R. 7 febbraio 1951, nn. 66 e 69, furono l’Ente
per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e l’Ente per la
colonizzazione del Delta Padano.
Quest’ultimo operava in un territorio compreso tra le province di Venezia,
Rovigo, Ferrara e Ravenna, con funzioni volte all’espropriazione dei latifondi,
ad interventi di bonifica e trasformazione fondiaria. Si occupava inoltre
dell’assegnazione dei terreni e della realizzazione di opere strutturali, per
assicurare la viabilità e l’irrigazione.
Innanzitutto, vennero espropriate le distese latifondistiche superiori a
settecentocinquanta ettari lavorabili, consentendone il frazionamento in aree
14 La Legge ‘stralcio’, “La Nuova Scintilla”, 11 ottobre 1951.
15 Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino,
Einaudi, 1989, p. 177.
16 Giuseppe Caleffi, Il movimento popolare per la terra si batterà per una larga applicazione
della Legge Stralcio, “La Nuova Scintilla”, 17 settembre 1951.
14