3
famigliarità con Orazio, che rappresentò evidentemente uno dei
principali punti di riferimento della sua opera.
Nel 1766 viaggiò molto attraverso la penisola, recandosi dapprima
ai bagni di Lucca, poi a Roma e a Napoli.
L'esperienza di questo viaggio diede occasione per la composizione
dei poemetti “I bagni di Lucca”, “L'Appennino” e “Napoli”
pubblicati nella città toscana nel 1780.
Stabilitosi a Milano, da dove si allontanò solo negli ultimi anni
della sua vita per fare ritorno nella città natale, Colpani entrò in
relazione con gli ambienti dell'Accademia dei Pugni, stringendo
rapporti di amicizia in particolare con Pietro Verri, Cesare Beccaria
e Paolo Frisi.
Di questi rapporti è testimonianza in particolare la sua
collaborazione alla rivista "Il Caffè", alla quale contribuì con il
"Dialogo dei morti"
2
, articolo sotto forma di dialogo lucianesco, che
presenta tutti i temi fondamentali dell'opera letteraria di Colpani.
Negli anni compresi tra il 1766 e il 1780 il Colpani compose i
poemetti che rappresentano la parte più interessante della sua
produzione, tutta volta ad un tentativo di rinnovare la tradizione
poetica italiana, facendone il veicolo di una brillante e piacevole
divulgazione di temi e motivi della filosofia illuministica.
A questo modello di poesia didascalica resta sostanzialmente legata
l'immagine del letterato Colpani, che riecheggia in fondo i gusti e le
idee dei salotti alla moda nella Milano dei lumi, come quello della
2
G. COLPANI, Dialogo dei morti, in "Il Caffè", Milano, Feltrinelli 1960
4
contessa Bianca della Somaglia Uggeri, di cui fu assiduo
frequentatore.
Alla filosofia, dalle origini agli ultimi sviluppi, dedicherà infatti un
omonimo poemetto dedicato alla principessa Maria Beatrice d'Este,
arciduchessa d'Austria.
3
La dedica del poemetto all'arciduchessa d'Austria gli vale la nomina
a cavaliere da parte dello zio Francesco III, duca di Modena.
Il Colpani fece omologare il titolo di cavaliere con diploma del 20
giugno 1779.
L'attività letteraria valse al Colpani altri riconoscimenti da parte di
Caterina II, imperatrice di Russia, dal ministro austriaco conte di
Firmian e dal re Vittorio Amedeo III di Sardegna.
Egli fu inoltre membro di molte accademie nazionali ed
internazionali.
Il legame con il gruppo del "Caffè" è confermato dalla polemica con
il Parini, che è l'altro motivo per il quale egli viene ancora
ricordato nei manuali di storia letteraria.
Come è noto infatti i membri dell'Accademia dei Pugni riservarono
un'accoglienza fredda sia al "Mattino" sia al "Mezzogiorno", e lo
stesso Verri espresse le proprie riserve in un famoso articolo
intitolato "Sul ridicolo"
4
.
Il Colpani ebbe modo di polemizzare con il Parini nel poemetto "Il
Commercio"
5
, dedicato a Pietro Verri, scritto nel 1769, ed anche in
3
G. COLPANI, La filosofia, Brescia 1776
4
P. VERRI, Sul ridicolo, in "Il Caffè", Feltrinelli, 1960, pag. 392-396
5
G. COLPANI, I l Commercio, Milano 1766
5
un altro poemetto, "La Toletta"
6
, nel quale l'autore bresciano elogia
il lusso, visto come anima del commercio, come esaltazione delle
libere aspirazioni dell'uomo, ovviamente mitigate dalla ragione
illuminata, in perfetta sintonia con le aspirazioni economiche e
culturali delle nuove classi sociali in ascesa.
Nei suoi versi Colpani celebra in particolare i gusti e le mode di
quella società settecentesca colpita dalla satira dell'autore del
"Giorno" per la sua frivolezza e per la mancanza di solidi principi
morali.
Con il poemetto didascalico "L'Emilia o l'educazione delle donne"
7
,
Colpani prende parte ad un altro interessante dibattito, quello
sull'educazione femminile, che aveva avuto avvio dal "Trattato
sull'educazione delle fanciulle", pubblicato nel 1687 da Fenelon.
Particolarmente significative, per conoscere le relazioni culturali e i
riferimenti letterari di cui si nutrì l'opera poetica del Colpani, sono
le epistole in versi inviate a personaggi illustri del tempo come
Voltaire, Beccaria, Verri, Lami, Savioli, Duranti e Arici.
I versi composti negli ultimi anni segnano un ripiegamento verso
una stanca poesia d'occasione, che ripropone solo una facile vena di
verseggiatore, ma non presenta più traccia delle ispirazioni di
rinnovamento letterario che avevano animato la sua opera negli anni
più fecondi.
6
G. COLPANI, La Toletta, Milano, 1767
7
G. COLPANI, L'Emilia o l'educazione delle donne, in "Sciolti del cav. Colpani", Lucca 1780
6
Morì a Brescia il 21 maggio 1822, ormai sordo e cieco, lasciando
quasi tutti i suoi beni alla Veneranda Congrega della Carità
Apostolica.
7
IL DIALOGO DEI MORTI
8
Il Dialogo dei morti è il solo contributo del Colpani apparso nelle
pagine della rivista “Il Caffè”, dove figura nel foglio XX del primo
tomo.
In esso Colpani sottolinea uno degli aspetti fondamentali della
battaglia illuminista, la ricerca di una poesia che deve diventare
strumento di divulgazione delle nuove idee scientifiche e
filosofiche, quindi strumento indispensabile per l'attuazione delle
riforme.
I protagonisti degli otto dialoghi, di ispirazione lucianesca, sono
noti personaggi storici, soprattutto greci (Omero, Pitagora,
Mitridate, Platone, Diogene, Corinna, Elena) e romani (Catone,
Seneca, Petronio, Augusto, Orazio), mentre in due dialoghi
compaiono anche personaggi storici dell'età moderna come Carlo V
e suo figlio Don Giovanni d'Austria, Carlo XII di Svezia e la
contessa di Konigsmark.
Il dialogo tra Omero e Pitagora è senza dubbio il più significativo,
in quanto rappresenta un vero e proprio manifesto della poetica di
Colpani.
L'autore dà voce, attraverso lo Scienziato e il Poeta, all'annosa
contrapposizione, tipicamente illuminista, tra l'Utile e il Bello,
esponendo un'opinione ormai consolidata, ovvero l'inutilità sociale
della poesia.
Viene assegnata così una preminenza alle "cose", condizione
necessaria per la riforma e lo sviluppo della società.
9
Colpani anticipa uno dei temi principali dei suoi poemetti
didascalici, la poesia che diventa strumento, utile e piacevole, per
divulgare le nuove idee.
La poesia "appare sempre più vacuo esercizio di armonia dei suoni,
incapace di legittimare la sua presenza in una società in rapida
trasformazione".
8
Per questo motivo Pitagora afferma che compito centrale della
cultura è la ricerca della verità e non la volontà di ottenere un vuoto
ed effimero piacere come quello procurato dalla poesia:
La soave armonia dei versi lusinga l'orecchio, e la vivacità loro
agita l'immaginazione; ma il piacere di conoscere il vero penetra, e
si trattiene e spazia nella più pura parte dell'intelletto, al quale,
nato per la verità, nulla più grato riesce, che il discoprirla.
9
Pitagora riconosce che alle origini la poesia era stata "d'alcun
vantaggio produttrice", come dimostrava proprio il grande esempio
8
R.RIPERT, L'Utile contro il Bello: la polemica antipariniana di Giuseppe Colpani, in "Rassegna
della Letteratura italiana", gen.-apr. 1987 fascicolo I pag. 84
9
G.COLPANI, Dialogo dei morti, op. cit. pag.160
10
di Omero, ma l'arte poetica era ormai degenerata per cui i versi:
ammolliscono l'animo dei giovani, e men atti li rendono ai più
severi studi, e più gravi.
10
In pratica attraverso le parole di Pitagora, Colpani critica la
tradizione letteraria italiana dominata dalla moda dei versi
improvvisati e dei sonetti d'occasione.
Viene così proposto per le giovani generazioni un nuovo modello di
rinnovamento degli studi.
I geometrici studi formano la mente nostra, e l'avvezzano a
sviluppare in se stessa, e a svolgere i principi della scienza, e a
dedurne con certo ordine i suoi giudizi.
E perciò dovrebbono i giovani siffatti studi premettere per
fondamento e base d'ogn'altro
11
Il richiamo al pensiero geometrico riconduce chiaramente al
programma dell'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert.
Proprio quest'ultimo, il filosofo matematico, aveva esposto nel suo
“Discorso preliminare” un quadro organico del sapere in tutti i suoi
reciproci rapporti, chiarendo che ogni aspetto della cultura e
dell'arte avrebbe dovuto rinnovarsi radicalmente, fondandosi non
10
G. COLPANI, Ibidem, pag. 161
11
Ibidem, pag. 160
11
più sull'autorità o sulla tradizione, ma sul metodo sperimentale
affermatosi con le scienze naturali .
Questa concezione rivoluzionaria portava gli enciclopedisti a
rifiutare la costruzione di sistemi filosofici, come erano stati
elaborati nel secolo precedente, e a perseguire un modello di ricerca
positiva sperimentale, mirante ad estendere a tutti i campi possibili
del sapere, e in particolare al campo più specifico dell'attività
umana, i risultati già ottenuti nello studio del mondo fisico.
Traspare evidente qui il clima intellettuale nel quale Colpani si era
formato, un clima caratterizzato dalla diffusione dell'ideale
enciclopedico nella cultura italiana ed europea.
Il secondo dialogo si svolge tra Mitridate e Catone l'Uticense e
presenta un altro tema centrale della poetica colpaniana: la critica
verso l'imperialismo romano.
Il dialogo si svolge tra due suicidi, vittime entrambi della violenza
generata dalla Patria, Mitridate e Catone l'Uticense.
È Mitridate, il comandante greco, a lanciare una vera e propria
invettiva nei confronti di Roma violenta e sanguinaria, facendosi
portavoce di un pensiero che rilegge in chiave critica e negativa le
conquiste e i fasti della storia romana:
E tutta sentì e riconobbe la terra l'ingiustizia e la violenza delle
armi vostre.
I fondatori della vostra repubblica diedero a lei principio colle
rapine e col sangue; e questo spirito, né posteri loro trasfuso,
12
l'Italia prima, e poi tutte devastò le straniere provincie: ed ora con
aperta violenza, ora con simulati pretesti, e con apparente colore di
protezione, spogliati furono i popoli della natia libertà.
12
Il filone anti-romano percorreva tutto il Settecento ed era un
particolare approccio della storiografia illuminista nei confronti
della storia dell'Impero.
Si sviluppò allora un dibattito critico sull'attendibilità della
ricostruzione della storia di Roma, che rifiutava la supina
accettazione della storiografia tradizionale.
Alla storia romana, da Machiavelli a Montesquieu, era sempre
stato attribuito un valore epocale, simbolo di virtù, grandezza e
decadenza.
Il Settecento, secolo "senza Roma", rifiutò invece generalmente
l'idealizzazione di Roma e dei Romani ed espresse per lo più un
giudizio negativo sull'Impero.
Di questo rifiuto abbiamo esempi insigni nella cultura italiana:
Algarotti, Alessandro Verri, Mengotti, Delfico
13
.
Colpani riprende qui, e riproporrà più volte nel corso della sua
opera poetica, quel rifiuto dell'imperialismo romano che, come
abbiamo visto, era molto diffuso nella cultura illuminista.
In tal senso Mitridate distrugge anche il mito del presunto eroismo
dei Romani.
12
G.COLPANI, Dialogo dei morti, op. cit. pag.161
13
DELFICO MELCHIORRE, (Leognano 1744- Teramo 1835), uno dei maggiori esponenti del
sensismo tardosettecentesco italiano. Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della
medesima (1806)
13
A Catone, che gli ricordava "l'incorrotta virtù" di questi ultimi,
Mitridate ribatte che quelle virtù erano dovute soprattutto alla
rozzezza e alla povertà delle loro origini.
E' evidente che qui Colpani è del tutto insensibile al mito di una
semplicità primitiva così vivo in tanti aspetti del pensiero
illuministico.
Tutta l'attenzione e l’interesse sono rivolti ad una civiltà colta e
raffinata come quella del suo tempo.
Secondo il letterato bresciano la civiltà ingentilisce i consumi e
allontana l’uomo dalla barbarie.
Il rigido costume di quegli antichi cittadini di Roma io l'attribuirei
anzi alla condizione de' tempi loro, che a grandezza d'animo, e a
determinata virtù.
Come potevano essi quelle delizie apprezzare, che non avean
gustate, ed esser avidi di quelle ricchezze, che non conoscevano?
14
Attraverso un serrato dialogo tra Corinna ed Elena, Colpani affronta
l'eterno confronto tra ingegno e bellezza e introduce così un altro
dei motivi ricorrenti della sua poesia.
Elena, ricordando che la sua bellezza aveva sconvolto l'Asia e
l'Europa, afferma che le sue vittorie, i suoi meriti sono ben
superiori rispetto a quelli raggiunti da colei che aveva gareggiato
con Pindaro.
14
Ibidem, pag. 161
14
Colpani sembra però dare a Corinna maggior autorevolezza, non a
caso riaffermando l'assoluta importanza dell'ingegno, della ragione
umana:
Corinna: Inutile è adunque il dono dell'ingegno, anzi dell'animo,
che a noi, del pari agli uomini, fecer gli Dei: e paghe d'esser quai
simulacri vagheggiate, la miglior parte di noi lasceremo incolta, e
negletta?
15
In questo dialogo viene ribadito un altro tema caro al Colpani:
l'educazione e l'istruzione delle donne.
L'idea di riforma dell'educazione femminile era già nata agli inizi
del secolo, stimolata dall'opera di Fénelon “Traité de l'éducation
des filles” (1688).
Anche in Italia diversi autori avevano dato il proprio contributo alla
discussione, da Algarotti a Zanotti, da Baretti a Soresi.
Lo stesso Colpani dedicherà all'argomento un poemetto “L'Emilia o
l'educazione delle donne”.
Meno interessante è il successivo dialogo nel quale Platone e
Diogene esprimono la contrapposizione rispettivamente fra la gloria
e la virtù.
Il tentativo di riproporre un esempio di letteratura moraleggiante
appare però assai fragile.
In conclusione Platone accusa Diogene di aver rifiutato il lusso non
per amore della virtù, ma per una sorta di orgoglio o di superbia,
15
che di fatto lo avevano indotto a cercare la gloria apparentemente
disprezzata.
E' un apologo che evidentemente colpisce tutti coloro che nel
Settecento proclamavano il rifiuto della civiltà, esaltavano il mito
del selvaggio, predicavano un ritorno alla semplicità dei costumi
tipico dello stato di natura.
Platone: Ma tu fosti del fasto nemico, per un fasto maggiore, e la
gloria sprezzasti per aver gloria d'averla sprezzata.
16
Nel successivo dialogo Seneca accusa Petronio di avere “col pravo
esempio colla sordida adulazione” corrotto “i buoni semi” che egli
stesso aveva “sparsi e coltivati”” nell'anima di Nerone, provocando
la subitanea trasformazione di un principe, dapprima giusto e
virtuoso, in un tiranno sanguinario.
Ma Petronio respinge il rilievo di Seneca, ed anzi ritorce l'accusa
contro di lui: molto preferibile alla frugalità della virtù la moderata
filosofia di un virtuoso epicureo, adottata appunto da Petronio.
Seneca, infatti, aveva biasimato il lusso e i piaceri della filosofia
senza adottare però la tanto vantata frugalità, ed anzi continuando a
praticare “i lauti conviti e la più splendida magnificenza”.
Insomma la “vantata severità” dello stoico non era che “vanità e
impostura”.
15
Ibidem, pag.162
16
Ibidem, pag.162
16
Anzi proprio i precetti della “squallida filosofia del portico”
avevano favorito in Nerone la tendenza alle “infami dissolutezze”
che avevano caratterizzato il suo regno.
Anche qui Colpani, esprimendo il suo fastidio per lo stoicismo,
intende evidentemente criticare quelle correnti di pensiero,
piuttosto diffuse nella cultura del Settecento, che condannavano il
lusso e la corruzione della società contemporanea e vagheggiavano
un ritorno alla frugalità e alla virtù delle origini.
I dialoghi successivi fra Carlo V e Don Giovanni d'Austria e tra
Augusto ed Orazio, vertono entrambi sul tema del potere, che
affrontano per altro in una prospettiva profondamente diversa.
Il primo dialogo esprime una severa condanna di Filippo II, definito
“crudele e sospettoso”, “un indegno successore di Carlo V”, che
“rinchiuso nel suo gabinetto, si pasce dei vani e immaginari progetti
d'una falsa politica”.
Don Giovanni, nell'informare Carlo delle tristi vicende delle
Fiandre, critica la sua decisione di lasciare il trono, giacché
“debbono i regnanti il proprio riposo alla salvezza de' sudditi”, ed
esprime, in contraddizione alla politica della forza e
dell'intolleranza, la vera immagine della monarchia: “Colla
clemenza e colla umanità si vincono i popoli, non colle stragi e col
sangue”.
E' evidente che Colpani esprime qui i principi di umanità e
tolleranza diffusi nella cultura settecentesca, e dà la propria
adesione alla politica dell'assolutismo illuminato.