“MAKING DREAMS COME TRUE”™. IL BUSINESS PLAN DI UN’IMPRESA INTERNAZIONALE DALL’INTANGIBILE AL TANGIBILE.
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“MAKING DREAMS COME TRUE”™. IL BUSINESS PLAN DI UN’IMPRESA INTERNAZIONALE DALL’INTANGIBILE AL TANGIBILE.
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CAPITOLO 1
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE DI SERVIZI
Al giorno d’oggi il settore dei servizi rappresenta più dei due terzi dell’attività economica delle
nazioni più sviluppate a livello mondiale. Ma mentre l’internazionalizzazione delle aziende manifattu-
riere è oggetto di ricerca da oltre 50 anni, un’attività di ricerca comparabile avente come oggetto
l’internazionalizzazione dei servizi ha iniziato a emergere verso la metà degli anni ’80 (Knight, 1999).
Così senza alcun riguardo verso la posizione dominante dell’industria dei servizi nel business mondia-
le, la ricerca in questo settore paga un notevole ritardo verso il settore manifatturiero e non riflette,
come detto, la sua posizione a livello mondiale (Javalgi, 2003; Samiee, 1999; Lovelock, 1999).
Non esiste una classificazione chiara e precisa per quanto riguarda il settore dei servizi, Na-
chum (1999) ha fatto notare come la ragione principale di questo gap tra ricerca nel settore manifat-
turiero e ricerca nel settore dei servizi sia da attribuire alla maggiore differenza derivante
dall’eterogeneità esistente all’interno del settore dei servizi piuttosto che alla differenza tra servizi e
manifattura.
Per questo viene spesso usato nella letteratura, ed io mi sono avvalso di questa definizione, il
termine di “servizi professionali” per indicare servizi che spaziano dalla Ricerca&Sviluppo,
all’ingegneria, ai servizi legali, ai servizi finanziari, all’intermediazione, alla consulenza, ai servizi sani-
tari, educativi, di marketing, etc.
Intangibilità, inseparabilità, eterogeneità e non conservabilità sono le caratteristiche più im-
portanti che distinguono i servizi dai beni, ma esistono altri tratti distintivi che permettono di catalo-
gare i servizi professionali, ovvero: l’avere un alto livello di impegno da parte delle persone deputate
alla fornitura; il richiedere un alto livello di interazione, spesso face-to-face; l’elevato numero di volte
in cui le persone interagiscono e l’alto livello di discrezione, la maggior parte del valore aggiunto in-
fatti emerge dal front office; le strategie sono più guidate dai processi che dai prodotti e, infine, pos-
siedono un alto grado di customizzazione.
Inoltre i servizi professionali presentano un volume di clienti basso, misurato dal numero pro-
cessato da ogni singola unità al giorno. Nessun servizio è uguale all’altro, perciò la standardizzazione
è molto difficile da ottenere.
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In base a questi parametri i servizi di intermediazione e di assistenza al controllo aziendale (at-
traverso la fornitura di incentives) offerti da Golden Moments, fanno rientrare l’azienda a pieno tito-
lo all’interno di questa categoria.
La letteratura identifica tre drivers principali che hanno spinto le aziende operanti nel settore
dei servizi ad internazionalizzarsi. Il principale driver riguarda gli accordi commerciali multilaterali
che sono stati stipulati dalle diverse nazioni sotto l’egida del W.T.O. Il secondo viene identificato nei
trend di sviluppo che caratterizzano l’Information and Communication Technology e, infine, il terzo
riguarda l’aumento della presenza di networks a livello globale.
Il primo driver è comune a tutti i settori; gli accordi commerciali multilaterali hanno introdotto
importanti deregolamentazioni sia per quanto riguarda l’ingresso di beni e servizi di provenienza e-
stera, sia per quanto riguarda gli investimenti diretti all’estero. In particolare il GATS (General Agre-
ement on Trade in Services) o l’EU Services Directive hanno spinto verso l’internazionalizzazione dei
servizi e si ritiene abbiano dato il là a questo processo (Javalgi, 2003). La mobilità della forza lavoro
ha inoltre permesso l’export di capacità e competenze da un paese all’altro, favorendo così Lo scam-
bio di conoscenze e l’apprendimento.
Il secondo driver è, come detto nell’introduzione, di importanza vitale poiché ha permesso al
business in generale di ridurre le distanze geografiche esistenti tra i diversi paesi, aumentando così le
possibilità di ingresso in un nuovo mercato, garantendo un maggior controllo sulle proprie filiali
all’estero, riducendo la distanza tra impresa e cliente, il tutto, e non guasta, facendo risparmiare
tempo e denaro (come la legge di Moore insegna). Toivonen (2004) afferma che la crescente impor-
tanza dell’ICT porta a un incremento nell’uso di servizi, definiti professionali, in special modo ha ac-
cresciuto il modo di lavorare in consultazione reciproca. In aggiunta l’ICT sta portando a una maggio-
re professionalità dei servizi a causa della loro maggiore specializzazione.
Il terzo e ultimo, infine, è particolarmente significativo per il settore dei servizi, la creazione di
network globali favorisce lo scambio di informazioni e competenze per cui vengono facilitate anche
tutte (o quasi) le attività di supporto e di servizio. Basti pensare alla facilità con cui è possibile acqui-
stare un biglietto aereo di una qualsiasi compagnia del mondo attraverso un’unica piattaforma on-
line. Lo sviluppo di network globali, inoltre, pone maggior enfasi sui servizi restringendo le strategie
delle imprese clienti e rendendo più confusi i confini dei servizi professionali stessi (Toivonen, 2004).
Parallelamente ai driver visti in precedenza, anche le forze di domanda e offerta a livello
d’impresa contribuiscono a spingere verso l’internazionalizzazione. Le ragioni, dal punto di vista
dell’impresa, per entrare in un mercato straniero sono molteplici, ma spesso, purtroppo, non si fa
un’attenta ed adeguata valutazione dei pro e dei contro l’ingresso stesso. La ragione principale è,
senza dubbio, quella di poter ampliare la propria dimensione allargando il proprio bacino di clienti
all’estero, ma i risultati non sono così semplici se prima non si hanno ben chiare le possibili barriere
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all’entrata e il tipo di “disturbo” che può creare la psychic distance già citata in precedenza.
L’ingresso in mercati che presentano elevate barriere all’entrata, causate da una notevole psychic di-
stance, può rivelarsi non solo scadente, ma addirittura controproducente.
Un’altra valida ragione, valida è il caso di dirlo soprattutto per le imprese operanti nel settore
dei servizi, è quella di dover seguire il cliente nelle sue “avventure” all’estero (“Se il produttore di-
venta globale, i suoi fornitori di servizi devono seguirlo”) (Vandermerwe & Chadwick, 1989); più il cli-
ente è importante più le aziende si vedranno costrette a internazionalizzare sia in virtù delle relazioni
che intercorrono tra i due soggetti, sia perché le aziende non vogliono perdere la loro principale fon-
te di guadagno. Seguire il cliente, comunque, implica tutta l’analisi di cui sopra, ovvero bisogna stu-
diare attentamente legislazione, etica di business, comportamenti d’acquisto e altri fattori che carat-
terizzano il paese ospitante. Dietro a tutto ciò è presente una crescente richiesta verso una combina-
zione di servizi one-stop, e l’incremento della focalizzazione sulle attività core da parte delle imprese
manifatturiere porta a una maggiore esternalizzazione di servizi particolarmente professionali (è il
caso degli incentive aziendali).
Le strategie d’ingresso che si fondano su forze demand-driven possono essere descritte come
reattive, mentre le strategie basate su forze supply-driven vengono definite proattive (Bagchi-Sen &
Kuechler, 2000). Oggi sempre più aziende che forniscono servizi professionali vanno alla ricerca pro-
attivamente di nuovi mercati, esplorano cioè nuove opportunità prima, o in vece, dei loro clienti;
strategie proattive di esplorazione per l’internazionalizzazione dei servizi professionali sembrano su-
perare quelle reattive nel lungo termine (Roberts, 1999). Roberts inoltre afferma che come le impre-
se stanno diventando più internazionali, così le forze supply-driven stanno assumendo relativamente
più importanza. Orava intelligentemente aggiunge: “Ricercare ed seguire non si escludono a vicenda,
anche se le aziende accompagnano i clienti nei mercati stranieri questo non necessariamente intral-
cia la possibilità di acquisire nuovi clienti in quel mercato.
Una volta stabilito il perché le aziende di servizi si internazionalizzano è necessario porsi
un’altra domanda ovvero come quest’ultime possono entrare in un mercato straniero.
Chiaramente non esiste una risposta univoca a questo genere di domanda, la letteratura ha
cercato finora di fornire delle delucidazioni a riguardo fornendo due alternative: la prima è di scuola
anglosassone e ha la sua espressione nell’eclectic paradigm di Dunning, un modello per spiegare gli
investimenti diretti all’estero; la seconda è di scuola scandinava e afferma il concetto della path de-
pendancy ovvero l’internazionalizzazione passo dopo passo, in una prospettiva di progressivo ap-
prendimento dall’esperienza precedente (altresì detto sentiero evolutivo).
La path dependancy è un modello proprio della scuola di Uppsala e spiega come un’impresa si
espande nel mercato internazionale e quale sentiero evolutivo affronta, mettendo inoltre in luce
l’importanza dell’esperienza nel mercato (experiential knowledge).
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Market Knowledge
Il sentiero evolutivo (IP model) può essere riassunto dal seguente grafico:
Figura 1 IP Model adattamento da F. Ciabuschi
I punti chiave di questo modello sono rappresentati innanzitutto dallo sviluppo incrementale:
gli investimenti devono essere lenti e incrementali, in modo tale da poter accumulare l’esperienza
necessaria per potersi adattare al mercato e dotarsi delle competenze necessarie per fare nuovi inve-
stimenti, si parla quindi di establishment chain. Il secondo punto è rappresentato ancora una volta
dalla psychic distance, non avendo l’impresa ancora l’esperienza necessaria per capire quale sia il
paese giusto per internazionalizzarsi, l’incertezza fa in modo che l’impresa entri dapprima in paesi più
simili al suo (psychically near).
L’eclectic paradigm, invece, pone l’enfasi sull’internazionalizzazione “all-at-once” delle impre-
se di servizi attraverso gli investimenti diretti all’estero, nelle loro diverse forme. Vandermerwe e
Chadwick infatti affermano che non tutte le tipologie di servizi possono essere esportate; la prima e
più importante caratteristica dei servizi, vale a dire l’inseparabilità, fa si che sia impossibile fornire un
servizio adeguato senza una presenza fisica nel mercato straniero. Quindi l’export non può essere
una via praticabile per molti fornitori. Parlando di vantaggi e svantaggi le esportazioni, oltre ai bassi
costi, annoverano sicuramente a proprio favore il rischio patrimoniale limitato al solo valore
dell’export, l’accesso gratuito ai mercati esteri, lo sviluppo di relazioni con partner locali si consolida
Decisioni di investimento
Adattamento al mercato
Attività correnti
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con l’esperienza. Viceversa la difficoltà di individuare i bisogni dei clienti, la difficoltà di scegliere e
relazionarsi con i fornitori, l’elevata distanza dal cliente e i costi derivanti dalla logistica rappresenta-
no i problemi maggiori per questo tipo di attività.
Lo stesso paradigma, inoltre, puntualizza che, per quanto riguarda la categoria dei servizi,
l’ownership advantage (ovvero il vantaggio intrinseco dell’impresa) è caratterizzato da elevate risorse
di capitale, di know-how, dal brand e da un facile accesso al mercato; la location advantage (il van-
taggio derivante dal paese target), invece, è costituito dalla vicinanza al mercato target, potendo ana-
lizzare quali sono i vantaggi del paese in rapporto all’azienda; l’internalization advantage (il minor co-
sto derivante dall’internalizzazione dei costi di transazione), infine, si concretizza nello sfruttamento
del vantaggio competitivo, dell’incertezza dei clienti, negli alti costi di transazione, dal garantirsi una
piattaforma di partenza per le vendite e dalla protezione del marchio.
Esempi positivi in tal senso vengono dalle banche, dalle assicurazioni e dalla consulenza, dove
il contatto diretto con il cliente e la presenza sul territorio (sia fisica che virtuale) sono essenziali per il
successo. Esempio invece negativo è dato, come vedremo, dall’azienda oggetto del caso la Golden
Moments.net Ltd. dove la mancata presenza fisica sui mercati costituisce un handicap non indiffe-
rente da dover superare.
Attraverso gli investimenti diretti all’estero (Netland e Alfnes (2005) vi includono anche filiali
estere, licensing e franchising) come fusioni, acquisizioni (brownfield) e stabilimenti greenfield
“l’impresa di servizi ha bisogno di molto minor tempo per imparare e prendere conoscenza di un
nuovo mercato. Infatti deve iniziare a fornire il servizio tutto in una volta, mantenendosi a stretto
contatto con i propri clienti.” (Aharoni, 1993).
Questo non vuol dire che non è possibile per un’impresa di servizi internazionalizzarsi attraver-
so le esportazioni, viene però enfatizzata la prossimità al cliente come fonte importante di vantaggio
competitivo.
Eriksson, Majkgard e Sharma (1999), per esempio, sostengono l’importanza della presenza
all’estero delle imprese, sia attraverso sussidiarie sia tramite accordi di cooperazione, poiché diventa
essenziale fornire un servizio di qualità. Dal momento che la qualità è creata dalla relazione e
dall’interazione tra cliente e fornitore, e quindi influenzata dal loro rapporto, è vitale instaurare un
confronto faccia a faccia.
Poiché i servizi professionali sono fortemente incentrati sulle persone e tradizionalmente han-
no forti restrizioni al commercio, le caratteristiche del mercato giocano un ruolo importante. Le ca-
ratteristiche dei mercati stranieri sono state oggetto di discussione sia da parte dell’eclectic paradigm
(attraverso location e internalization advantage), sia da parte dei fautori dell’IP model (con la psychic
distance). Per poter superare le barriere formate dalla cultura, dal rischio, dagli investimenti e
dall’accessibilità al mercato quando si varcano i confini nazionali, strategie di cooperazione come
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joint ventures, networking e alleanze strategiche possono essere la migliore soluzione (Eriksson,
1999).
A causa della natura dei servizi, le barriere al commercio di quest’ultimi sono caratterizzate da
una maggiore complessità rispetto a quelle sui beni poiché non esiste il solo commercio “cross-
border” e inoltre esso include diverse modalità di fornitura. Siccome in questo caso la transazione
non è più osservabile direttamente alla frontiera (ad esempio il download online) è difficile poter
imporre dei dazi doganali (Hoekman & Braga, 1997).
Per poter commerciare a livello internazionale nei servizi è necessario ottenere l’accesso al
mercato attraverso la riduzione degli interventi governativi, i quali sono meno visibili nel settore dei
beni. I regolamenti imposti dai governi sono spesso discriminatori verso i produttori stranieri, di
frequente infatti il loro obiettivo è quello di puntare sulla politica domestica piuttosto che su
politiche commerciali, per questo impongono tassazioni e regolamenti discriminatori verso i
produttori stranieri in modo tale da proteggere i produttori locali. Ad esempio per quanto riguarda le
telecomunicazioni i paesi in via di sviluppo mostrano più restrizioni all’ingresso di operatori stranieri
rispetto alle nazioni più sviluppate; l’America Latina è l’area con più restrizioni per quanto riguarda le
assicurazioni, mentre l’Asia è la capofila per quanto riguarda i servizi bancari.
Uno studio condotto dall’OECD (Organization for Economic Co-operation and Development) a
proposito delle barriere che affliggono il settore dei servizi ha evidenziato come il Regno Unito sia il
paese più liberale a confronto con Australia, Francia e Stati Uniti. Hoekman e Braga (1997) hanno
individuato 4 tipologie di barriere: 1) quote, contenuto locale, proibizioni; 2) limitazioni al prezzo; 3)
standard, licensing e limitazioni all’approvvigionamento; 4) accesso discriminatorio ai network
distributivi. Una quinta barriera è stata di recente individuata nella scarsa protezione della proprietà
intellettuale.
Man mano che i paesi in via di sviluppo vengono studiati l’OECD (2003) ha mostrato alcune
barriere esistenti verso l’esportazione di servizi: 1)mancanza di accesso a strumenti finanziari per
l’export o lo sviluppo del business; 2) difficoltà nell’instaurare rapporti di credibilità con i fornitori
internazionali, in particolare nelle aree ad elevata tecnologia; 3) mancanza di accesso a infrastrutture
affidabili e poco costose; 4) mancanza di accesso a una gamma di networl formali e informali nonché
a strutture istituzionali necessarie per il commercio.
Capar e Kotabe (2003) mettono l’accento sul fatto che le aziende di servizi spesso ottengono
performance negative nelle fasi iniziali della loro internazionalizzazione a causa di tre fattori principa-
li: 1)I regimi di controllo statali sono più alti nel caso dei servizi; ciò conduce a barriere all’entrata più
elevate; 2) L’intangibilità e la necessità di interagire con il cliente (il che comporta problemi di comu-
nicazione e culturali) richiedono più risorse di quanto non farebbero nel caso del settore manifattu-
riero; 3) A causa della simultaneità di fornitura e consumo del servizio (vincoli di location e di tempo)
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c’è la necessità di una presenza locale che richiede significativi investimenti front-line. Questo primo
step viene definito “liability of foreigness” ed è parte dei costi di apprendimento secondo il modello
di Uppsala (Contractor, 2003). Benché questi vincoli si possano ridurre grazie all’ICT e alla globalizza-
zione ci sarà comunque un certo livello di “liability of internationalisation” (Li, 2005). Se questi autori
hanno ragione le imprese di servizi professionali dovrebbero pianificare un approccio
all’internazionalizzazione più ampio e profondo, ma geograficamente limitato, quando prendono le
prime decisioni per espandersi in nuovi mercati.
Javalgi (2003) rappresenta un altro tentativo di indirizzare la ricerca attraverso fattori inerenti
la performance. Basandosi sull’eclectic paradigm egli conclude affermando l’esistenza di tre fattori
che influenzano fortemente il processo di internazionalizzazione di un’azienda di servizi professionali.
Primo, la dimensione di un’impresa è positivamente correlata con la volontà del management di in-
ternazionalizzare. Secondo, i fattori specifici di un paese hanno forti ricadute sull’intenzione del
management di operare all’estero. Terzo ed ultimo, l’attitudine del management verso
l’internazionalizzazione è positivamente correlata con le operazioni internazionali dell’azienda.
Anche se i servizi hanno come fine per natura le persone, i fornitori necessitano sicuramente di
un sistema tecnologico che faciliti il processo di erogazione del servizio stesso. L’ICT, quindi, gioca un
ruolo cruciale nell’internazionalizzazione dei servizi. Fisk (1999) sostiene in modo radicale che l’ICT
sta rivoluzionando il settore dei servizi; altri autori invece prendono le distanze dall’attribuzione di
un’importanza così elevata, Bagchi-Sen e Kuechler (2000) sottolineano che i contatti “faccia a faccia”
sono di gran lunga più importanti rispetto a processi interamente basati sull’IT. Questo punto di vista
è supportato anche da Mattson (2000), il quale afferma che la gestione della tecnologia durante
l’internazionalizzazione di un servizio è, nella sua natura, un fattore sociale e culturale.
L’importanza dell’ICT è infine sostenuta nell’analisi di Bryson sulla ricerca europea
sull’internazionalizzazione dei servizi del 1998, dove ha investigato in ciascun paese il ruolo dell’ICT
ed in particolare dell’E-commerce. Grönroos (1999) argomenta che “internet sta avendo dei profondi
cambiamenti nella logistica dei servizi, in modo più significativo che non in quella dei beni”; un altro
fattore da rimarcare è che l’ICT permette alle imprese di servizi professionali di raggiungere econo-
mie di scala e di scopo (Roberts, 1999), grazie all’aumento dei volumi e della facilità nel raggiungere i
clienti.
Ma mentre le aziende manifatturiere tipicamente centralizzano un certo numero di attività a
monte in un ristretto numero di siti per poter sfruttare le economie di scala, la stessa cosa non è così
ovvia per le imprese di servizi e il numero di attività equivalenti “a monte” è ridotto. Infatti un gran
numero di società di servizi professionali devono fronteggiare delle “diseconomie di scala” se
provano a centralizzare le decisioni, ad esempio il coordinamento tra diversi siti di lingue, culture,
sistemi legali diventa estremamente costoso. Comunque l’organizzazione delle imprese di servizi
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professionali dipende fondamentalmente dall’organizzazione delle attività delle imprese clienti che si
è deputati a supportare.
Se un servizio professionale è strutturato per adattarsi a supportare un’attività a monte
dell’azienda cliente globale, le implicazioni per il servizio dipendono dall’organizzazione del cliente
stesso, includendo il numero di località dove l’attvità è delocalizzata e l’estensione del
coordinamento attraverso le località stesse. Se le attività sono centralizzate l’impresa di servizi potrà
a sua volta centralizzare la fornitura del suo servizio, se le attività sono disperse ma strettamente
coordinate per coerenza ed efficienza, l’azienda di servizi dovrà a sua volta sviluppare una struttura
che implichi un impegno disperso e coordinato al tempo stesso.
Il modello di Porter (1986) si focalizza sulle key activities e su dove esse andrebbero localizzate
ed enfatizza i costi di coordinamento e di trasporto come fattori importanti che limitano la
globalizzazione di imprese dove la domanda globale e le economie di scala non sono sufficienti a
compensare questi costi.
Nelle imprese di servizi professionali la situazione è differente; dal momento che non ci sono
materie prime “tangibili” coinvolte, nessun prodotto tangibile da consegnare al cliente e, infine,
nessun’attrezzatura è richiesta per la fornitura di un servizio di alta qualità, la questione della
delocalizzazione assume un significato differente. Molte delle attività coinvolte nella creazione di
valore sono “a valle” e hanno luogo nell’interazione con i clienti, tipicamente “a casa” dei clienti
stessi. I professionisti portano con sé i loro portatili e telefoni cellulari e con questi si mettono in
contatto con i colleghi indipendentemente se siano nello stesso ufficio, nella stessa località, in un
headquarter a chilometri di distanza o perfino durante un assignment presso un altro cliente. Quindi i
costi coinvolti nella logistica e nei trasporti sono molto differenti: nella maggior parte dei casi tutto
ciò di cui si ha bisogno è di trasportare persone e dispositivi portatili presso i clienti.
La geografia economica delle multinazionali dei servizi è discussa da Nachum (2004) e Taylor
(2004). Entrambi i contributi si concludono con l’affermazione che anche i servizi professionali devo-
no essere localizzati in specifici “centri di eccellenza” o “città mondiali”, dove la generazione e la di-
stribuzione di conoscenza è centralizzata, in accordo con le teorie economiche di Dunning e Porter
che parlano di vantaggi derivanti dalla specificità della location, adottando una sorta di struttura a
matrice con “hub multipli”. Ad esempio una società di consulenza potrebbe delocalizzare un centro
di conoscenza per supportare le compagnie estrattrici di petrolio in Norvegia, mentre delocalizzare il
centro finanziario a New York, Londra o Singapore. Ogni hub ha una responsabilità precisa in termini
di sviluppo e distribuzione della conoscenza attraverso l’intero network di uffici locali, mentre i servi-
zi forniti entro una delimitata area di competenza devono essere coerenti a livello mondiale. Ancora,
il coordinamento tra gli hub è infrequente, c’è una sola autorità per area di conoscenza.
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Imprese di tali caratteristiche beneficeranno dall’essere veramente globali, nonostante le atti-
vità siano ancora centralizzate (benché suddivise in centri multipli, uno per area di conoscenza) e il
coordinamento tra i vari siti sia più a senso unico e controllato che focalizzato su un processo di mu-
tuo scambio. Ed è proprio la mancata interazione “faccia a faccia” tra l’impresa ed il cliente, come
vedremo, uno degli handicap che la Golden Moments deve superare per poter competere nei diversi
mercati.
I clienti di servizi professionali sembrano comprare molto di più sotto la spinta di canali indiret-
ti come il passaparola e i networks (Roth, 2004). Per questo il focus sull’importanza della qualità per
l’internazionalizzazione dei servizi professionali è sottolineato da diversi autori, tra i quali Eriksson
(1999), Ochel (2002) e Lindsay (2003). Il cliente è importante nel senso che la performance e la quali-
tà del servizio dipendono dall’interazione tra fornitore e cliente; anche se la qualità può essere con-
trollata solo dopo la vendita del servizio, il più importante vantaggio competitivo è la qualità e il fo-
cus sul cliente (Ochel, 2002).
Per concludere, quindi, non è così ovvio che un cliente globale richieda un fornitore di servizi
altrettanto globale e nemmeno che l’effetto dovuto all’incremento della reputazione derivante da
operazioni globali aggiunga più valore rispetto ai costi generati dalle operazioni stesse. In certi casi
questo avviene, mentre in certi altri no.
La conclusione più importante riguardante la globalizzazione delle imprese di servizi può esse-
re che è importante fare molta attenzione ad ogni singolo costo e beneficio atteso derivante dalle
operazioni globali.
Dal momento che le imprese di servizi vendono principalmente le capacità e le competenze dei
loro dipendenti, queste possono essere trasportate nelle diverse locations per progetti ad hoc più fa-
cilmente di quanto accadrebbe con i macchinari per la produzione manifatturiera. Quindi breve ter-
mine e uffici “temporanei” sono caratteristiche proprie di questo tipo di settore.
I costi derivanti dallo stabilire un ufficio temporaneo all’estero non hanno bisogno di essere
proibitivi, mentre il costo di mandare avanti un ufficio permanente senza un flusso costante di nuovi
progetti può mettere in pericolo la sopravvivenza dell’intera impresa globale.
In aggiunta per l’azienda di servizi professionali la globalizzazione può essere profittevole non
solo in termini di obiettivi di qualità e di costi, ma anche in termini di miglior reputazione o di mag-
gior apprendimento per assicurare una qualità futura.
Quindi questo tipo di imprese hanno pochissimi motivi per internazionalizzarsi ragionando in
termini di analisi porteriana, ma al tempo stesso hanno più opzioni rispetto alle imprese manifattu-
riere quando cominciano ad avere accesso alla creazione di conoscenza e alla reputazione garantita
dalla fornitura di servizi world-wide.
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Se un’impresa di servizi è in grado di sfruttare lo sviluppo globale di conoscenza, è capace di
attrarre e di lavorare con professionisti da ogni parte del mondo, è capace di impegnarsi in progetti
per clienti sparsi per il globo, si può tranquillamente parlare di impresa globale. Ma la spinta di adot-
tare una logica industriale e quindi da parte di managers e proprietà di investire all’estero può essere
controproducente, nonostante le richieste dei clienti, se quest’ultimi non accettano di sobbarcarsi i
costi aggiuntivi coinvolti. Quindi è estremamente importante per le imprese di servizi fare attenzione
a tutti i fattori: costi, benefici e rischi coinvolti negli investimenti.
1.1 The service model
Un contributo importante per quanto riguarda lo studio delle imprese di servizi è quello fornito
recentemente da Frances X. Frei sulle pagine dell’Harvard Business Review (Aprile 2008). Frei ha svol-
to una ricerca sulle più importanti imprese fornitrici di servizi globali, per cercare di comprendere
quali sono i pilastri sui quali esse hanno costruito il loro successo.
Nella sua analisi, partendo dal presupposto che il coinvolgimento diretto dei clienti nella forni-
tura del servizio può avere ripercussioni negative sui costi, ha identificato quattro elementi fonda-
mentali che possono mettere in crisi il business di un’impresa di servizi: l’offerta, i meccanismi di fi-
nanziamento, il sistema di gestione dei dipendenti, il sistema di gestione dei clienti. Non esiste una
miglior soluzione per combinare questi quattro elementi, in quanto sono strettamente dipendenti
l’uno dall’altro, quando si guarda ad imprese che hanno avuto successo e prosperato è la loro effetti-
va integrazione di questi elementi il dato che emerge piuttosto che l’efficacia di ognuno di questi e-
lementi preso singolarmente.
1) L’offerta
La sfida gestionale per un’impresa di servizi comincia con il design della sua offerta. Così come
avviene per i beni, un’impresa di servizi non può durare a lungo se la sua offerta è fatalmente difet-
tosa. Essa deve incontrare in modo efficace bisogni e desideri di un attrattivo target di clienti, attra-
verso un design che cambia prospettiva rispetto a quello dei beni fisici, mentre infatti i designer di
prodotti si focalizzano sulle caratteristiche che i compratori valorizzeranno, i designer di servizi si fo-
calizzano di più e meglio sull’esperienza che i clienti vorranno avere. Non è la prima volta che si parla
di esperienza come componente fondamentale del servizio, questa è infatti, come si vedrà in seguito,
una delle principali ragioni che hanno portato alla nascita del settore delle Gift & Incentive Experien-
ces. Ad esempio i clienti potrebbero attribuire maggiore comodità o un’amichevole interazione al
brand di un’azienda, comparando e valutando favorevolmente l’offerta rispetto ai competitors a cau-
sa di un orario esteso, della prossimità, di maggiori opportunità oppure di prezzi più bassi; è necessa-