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Il tema della famiglia non è, inoltre, mai facile da affrontare:
l’argomento crea sempre in chi lo affronta l’illusione di trovarsi su un terreno
sicuro e di essere, in fondo, egli stesso un ‘esperto’ in materia; non a caso nel
linguaggio comune si usa propriamente il termine ‘familiare’ per indicare
qualcosa di molto ben conosciuto e rassicurante. Senza considerare che essa è
parte dell’esperienza empirica di ogni individuo: tutti hanno conosciuto delle
famiglie per esserci vissuti o anche averne creato una! Tutto ciò fa della
famiglia uno dei temi più connotati sul piano ideologico; fatto che non facilita
certo il compito del ricercatore di analizzarlo con le regard éloigné, che
dovrebbe essere proprio dello scienziato, e tracciarne un quadro il più possibile
obiettivo.
Lo studio comparato della famiglia francese, almeno fino agli anni
Settanta del Novecento, è considerato come una “zone sinistrée” (Shorter, cit.
tratta da Segalen, 1981: 9) delle scienze sociali, in quanto poco sviluppato e
fortemente influenzato dalla sociologia americana, e ha dato vita alle
discussioni più accese della storia del pensiero antropologico. Nel suo saggio
sulla famiglia, apparso per la prima volta nel 1956 nel volume collettaneo,
inedito in Francia, Man, Culture and Society, Claude Lévi-Strauss affermava di
non illudersi di trovarsi di fronte ad un quesito di facile soluzione da poter
affrontare “in modo dogmatico” (Lévi-Strauss, 1975: 153), qualora ci si
interroghi sulla natura e la costituzione della famiglia in una o più società
umane, poiché la famiglia é “uno dei punti più ambigui dell’organizzazione
sociale.” (Lévi-Strauss, 1975: 153). Prudenza tanto più necessaria se si tiene
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conto della tendenza dei primi antropologi di considerare una forma di famiglia
‘anteriore’ qualsiasi modello si discostasse troppo da quello proprio di
riferimento e della difficoltà generale di distaccarsi dall’archetipo familiare
della cultura spaziale e temporale di appartenenza per analizzare, al di là di
ogni giudizio etico soggettivo, le infinite sfumature attraverso le quali ogni
società ha ricreato la vita familiare.
Ancora oggi, molti antropologi francesi, tra i quali Eric Fassin,
denunciano l’arbitrarietà di alcuni colleghi, e della società francese in generale,
nel trattare l’argomento. Lo studioso rimarca che l’obiettivo delle scienze
sociali non dovrebbe essere quello di dare una definizione normativa di
famiglia o di formulare un qualsivoglia giudizio etico sulla famiglia. Il compito
dell’antropologo non è quello di sancire ciò che è legittimamente famiglia e ciò
che non lo è, ma eventualmente di riformulare le affermazioni fatte sulla
parentela e la famiglia sulla base delle concrete evoluzioni della società:
Loin d’être immuables, les sciences de la société bougent-elles, peuvent et
doivent bouger. Et si l’anthropologie ou la sociologie, tout autant que
l’histoire, ont pour vocation le mouvement plutô t que l’immobilité, comment
croire que les évolutions de la société ne les affecteraient d’aucune façon ?
(Fassin, 2000: 191)
Fassin non intende certo dire che l’antropologia debba ridursi ad un
immenso repertorio di descrizioni delle più varie realtà, senza alcuna pretesa di
sintesi comparativa, ma che gli studiosi dovrebbero analizzare i mutamenti che
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avvengono nella società in modo da dare il suo concreto contributo alla
comprensione dei rapporti umani, senza mai tentare di bloccare quei mutamenti
che mal si adattano alle teorie finora elaborate dalla scienza o che, sulla base di
tali elaborazioni scientifiche, non sarebbero stati considerati ‘pensabili’
dall’uomo. Tanto più che é assolutamente impossibile dare una spiegazione
univoca di una realtà così eterogenea come la famiglia e il matrimonio in
particolare.
Sino al 1968, anno simbolicamente riconosciuto come di ‘rottura’ con la
visione tradizionale della famiglia e della società in Occidente, il matrimonio
eterosessuale monogamico è di gran lunga la forma di unione dominante in
Francia, sia perché la più frequente statisticamente sia perché la più accettata
socialmente. La critica ai valori dominanti da parte dei movimenti per la parità
tra i sessi e le sessualità mette in discussione la supremazia della coppia
coniugale rispetto ad altre forme di unione, al punto che si è diffusa in Francia
una sorta di “idéologie de la crise” (Segalen, 1987b: 9) e non si è più sentito
parlare né letto di famiglia se non in termini negativi: allentamento dei rapporti
di parentela, crollo della natalità, calo della fecondità, diminuzione del numero
dei matrimoni, crisi della coppia e dei rapporti uomo-donna. Gli studi intrapresi
negli ultimi venti anni, basati su un approccio storico-critico di tale realtà
dimostrano, tuttavia, come la maggior parte delle affermazioni su questa
preannunciata e imminente “morte della famiglia” (Segalen, 1987a: 9), altro
non siano se non l’erronea valutazione dei profondi mutamenti storici e
culturali che hanno trasformato una società rurale, come quella della Francia
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pre-industriale, in una prevalentemente urbana e industrializzata. La famiglia,
nonostante la crisi, è ancora presente nelle società umane, ciò che
puntualmente ‘muore’ é solo il modello di riferimento della società in cui si
colloca e i modelli relazionali tra i suoi membri. Nella società francese
contemporanea, il modello di famiglia che sta scomparendo é quello borghese
tardo ottocentesco fondato su una rigida ripartizione sessuale dei ruoli, che
appare oggi alla maggioranza dei cittadini francesi come una profonda
diseguaglianza sociale. Si è imposta, invece, una nuova percezione dei rapporti
di coppia e del matrimonio accompagnata, come in tutte le più avanzate società
occidentali, da una serie di leggi che mirano a dare più spazio alla libertà
individuale, quali il divorzio, l’interruzione di gravidanza, le tecniche di
fecondazione assistita. A partire dalla fine degli anni Ottanta, inoltre, sono state
ideate delle formule istituzionali che hanno dato riconoscimento legale prima
alle sole coppie di fatto eterosessuali e in seguito anche a quelle omosessuali.
La legge sul PaCS, acronimo di ‘Pacte Civil de Solidarité et du concubinage’,
su cui mi soffermerò diffusamente, è la discussa forma di riconoscimento
applicata a tal fine in Francia.
Il ‘Pacte Civil de Solidarité’, inteso dai suoi ideatori come un
compromesso tra l’unione libera e l’istituzione del matrimonio, dà alle coppie
che non vogliono, o non possono, sposarsi una certa legittimazione sociale,
giuridica e fiscale e rappresenta una forma originale di coppia, parallela al
matrimonio. Anche se in larga parte assimilabile al matrimonio, il PaCS non è
un matrimonio nell’accezione corrente del termine, bensì una forma di unione
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legittima, che pone l’accento sul progetto di vita in comune di due individui
piuttosto che sulla complementarietà di genere. La peculiarità di questa forma
di unione, rispetto al matrimonio tradizionale, consiste nel fatto che essa non
pone nella sua formulazione alcun divieto di genere ai suoi contraenti, vale a
dire che permette espressamente ad un uomo e ad una donna così come a due
uomini e a due donne, che progettano una vita a due, di stipularlo. Il ‘Pacte
Civil de Solidarité’ non pone le diverse forme di esprimere l’amore e la
sessualità in posizione gerarchica e non differenzia in alcun modo lo status dei
pacsés eterosessuali da quello degli omosessuali. Sebbene nato con lo scopo di
legittimare la coppia omosessuale, il PaCS non è inscrivibile nemmeno nel
filone dei vari progetti recentemente approvati in altri paesi europei per la
stessa finalità, poiché esso scaturisce da una logica politica differente, per così
dire ‘universalista’, che rifiuta l’idea di suddividere la popolazione in gruppi
chiusi a seconda dei propri orientamenti sessuali.
Tutti i più recenti progetti legislativi hanno aperto il dialogo tra
antropologi e politici intorno alle continue evoluzioni dei modelli di vita
familiare e di coppia, ma il ‘Pacte Civil de Solidarité’ ha diviso più degli altri il
mondo scientifico e ha dato vita in Francia ad uno dei più interessanti e vivaci
dibattiti scientifici degli ultimi decenni. Il PaCS scardina letteralmente uno dei
pilastri dell’antropologia, la differenza tra i sessi e le sessualità, che la scienza
definisce come uno degli universali attorno al quale ogni società, esistente o
esistita, ha costruito il sociale e le regole che ne permettono il funzionamento.
Tutti gli antropologi francesi concordano nel considerare il ‘Pacte Civil de
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Solidarité’ (PaCS) una vera e propria ‘rivoluzione sul campo’ in materia di
matrimonio e famiglia, che mette in discussione la teoria antropologica
secondo cui tutto il pensiero umano si basa sulla differenza tra i sessi. Gli
antropologi favorevoli al progetto hanno, però , ritenuto opportuno
riconsiderare le teorie sul matrimonio e la famiglia alla luce del mutato
contesto storico e sociale, mentre quelli contrari, pur tenendo conto anch’essi
dei progressi della tecnologia e dell’evoluzione della mentalità avvenuti nella
società francese, hanno ritenuto auspicabile definire un limite oltre il quale ‘la
legge dell’uomo’ non possa porsi in contraddizione con una presunta ‘legge
della natura’ nell’innovare la famiglia. Il dibattito tra oppositori e sostenitori
del progetto, cominciato a metà degli anni Novanta, si è protratto anche in
seguito all’entrata in vigore della legge, nel 1999.
Non a caso è stata l’etnologa Françoise Héritier, allieva di Lévi-Strauss,
ad aprire il dibattito tutto francese sul PaCS, riprendendo la definizione di
parentela, famiglia e matrimonio, elaborata dal maestro nel testo che diventerà
centrale all’intero dibattito, Les structures élémentaires de la parenté. Nel
famoso saggio, il padre dello strutturalismo francese è arrivato alla conclusione
che in tutte le società umane il passaggio dallo ‘stato di natura’ allo ‘stato di
cultura’ antropologicamente inteso, si sia attuato grazie al riconoscimento e
all’elaborazione della differenza tra i sessi e che nessuna società abbia eluso
tale irriducibile e oggettiva differenza nell’elaborare le sue rappresentazioni. La
famiglia e, in generale, tutta la società umana, si è sempre organizzata in base
alla differenza tra maschile e femminile. L’istituzione della famiglia deve la
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propria universalità storica e geografica anche all’eterogeneità dei suoi modelli,
alla sua capacità di modularsi in tante e svariate forme differenti, ma tutti i
modelli sono stati elaborati partendo dall’universale constatazione del semplice
fatto di natura biologica della complementarietà fisica tra l’uomo e la donna.
Françoise Héritier parla di ‘valenza differenziale tra i sessi’, intendendo con
quest’espressione definire una traduzione, a suo giudizio universale,
dell’oggettiva differenza sessuale biologica che, come scrive in un suo saggio
Masculin/Féminin. La pensée de la différence (1996), “esprime un rapporto
concettuale orientato, anche se non sempre gerarchico, tra maschile e
femminile.” (Héritier, 1997: 10). La sua visione dei rapporti uomo-donna, allo
stesso tempo auspica e mette in dubbio che sia possibile arrivare ad una
completa uguaglianza sociale tra i due sessi, poiché ritiene impensabile una
società che disconosca totalmente la differenza e complementarietà tra i generi.
L’antropologa, inoltre, mette in guardia i legislatori dall’approvare strumenti
giuridici che privilegino le aspirazioni dell’individuo rispetto al benessere della
società, poiché gli interessi del gruppo dovrebbero venire prima di quelli
dell’individuo.
Sebbene fortemente influenzata dalle idee di Françoise Héritier, la
posizione della sociologa del diritto Irène Théry, all’interno del dibattito sul
PaCS, è più conservatrice. Nel 1996, Théry - definita dall’Express “la grande
spécialiste de la vie des Français” (Remy, 11/03/1999) - redige un rapporto
sulla famiglia e la filiazione in Francia per conto del governo francese in cui
scrive che il matrimonio non è soltanto l’istituzione che riconosce la coppia,
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ma anche, al di là di ogni differenza culturale, “l’institution qui articule la
différence des sexes” (Théry, 1997: 180). Alla luce di questa teoria, la
sociologa rifiuta l’ideologia universalista sottesa al PaCS. Pur affermando
l’importanza di dare dignità sociale alle coppie omosessuali, Théry sottolinea il
fatto che la coppia omosessuale non è investita dello stesso ruolo sociale di
quella eterosessuale, poiché la coppia eterosessuale è la sola a riflettere ed
elaborare l’ineluttabile fatto di natura della differenza tra i sessi, che fa sì che
“chaque sexe a besoin de l’autre pour que l’humanité vive et se reproduise”
(Théry, 1997: 181).
D’altra parte, i sostenitori del ‘Pacte Civil de Solidarité’ ritengono che i
recenti cambiamenti verificatesi nella società francese siano il frutto
dell’adattamento dell’istituzione familiare alla società francese contemporanea,
che ha compiuto un lungo cammino verso una sempre maggiore affermazione
dell’individualismo e della libera scelta in tutti i campi dell’esperienza umana e
che ciò non sia necessariamente pericoloso per l’equilibrio della società e la
famiglia. I maggiori esponenti di questa corrente di pensiero, per così dire
‘antinormativa’, sono il giurista Daniel Borillo e il sociologo e antropologo
Eric Fassin. In contraddizione con Françoise Héritier, Eric Fassin non
considera l’ineguaglianza tra i sessi e tra eterosessualità e omosessualità
un’invariante culturale, ma solamente una delle tante traduzioni istituzionali e
simboliche possibili date alla differenza biologica tra i sessi, non iscritte
nell’ordine della natura. Secondo Fassin, l’innegabile frequenza della
discriminazione tra uomini e donne e tra eterosessualità e omosessualità
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sarebbe motivata principalmente da determinati fatti storici e sociali che, al
momento attuale, non hanno più dimostrato alcuna ragion d’essere in Francia.
Egli sostiene che le norme dettate dai gruppi umani siano legate alla storia,
ragion per cui, le rivendicazioni delle donne e degli omosessuali dovrebbero
invitare la società a “ne pas oublier qu’au lieu d’être ancrées dans une
humanité intemporelle qui échapperait au jeu démocratique, les normes sont
tout autant produites par la société qu’héritées de l’histoire” (Fassin-Feher,
1999: 43).
Un’istituzione come il PaCS suscita legittimamente delle perplessità
perché le società umane sono sempre state costruite affinché il sociale, vale a
dire gli interessi della comunità o perlomeno della maggioranza, abbiano una
netta supremazia rispetto agli interessi del singolo o di una minoranza.
L’attenzione sempre maggiore del mondo politico e giuridico nei confronti del
singolo individuo, porta a chiedersi fino a che punto sia lecito spingersi. Le
trasformazioni in corso nella famiglia francese sembrano coerenti con la storia
di questo paese che, come ogni nazione che si vuole realmente democratica, ha
sempre aspirato alla parità tra i suoi cittadini e posto l’accento, anche nella
‘Costitution’, sull’importanza dell’eguaglianza e della libertà individuale e
collettiva, sia nella sfera pubblica sia in quella privata. Ho creduto, tuttavia,
saggio lasciare le conclusioni all’illustre antropologo Claude Lévi-Strauss, che
più volte chiamato in causa ha ritenuto opportuno esprimere la sua opinione,
sebbene normalmente preferisca non partecipare a dibattiti politici in qualità di
scienziato.
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PARTE PRIMA
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I. La ‘rivoluzione industriale’ e la nascita della
famiglia moderna
1
1. Il modello di famiglia operaia
Le scienze sociali attribuiscono al processo d’industrializzazione il
costituirsi della famiglia ‘moderna’ tipica delle società occidentali.
In generale, gli storici della famiglia si dividono tra coloro che
considerano l’aspetto tecnico come preponderante nella definizione di
‘rivoluzione industriale’ e coloro che privilegiano la liberazione del capitale. In
ogni caso, che si ponga l’accento sul primo o sul secondo aspetto, tutti
concordano nel ritenere che tanto l’urbanizzazione quanto il capitalismo
abbiano influito profondamente sull’evoluzione della famiglia. Tuttavia,
l’istituzione familiare, in quanto struttura fondante la società, non si è limitata a
subire passivamente i mutamenti sociali in corso, ma si è configurata come una
sorta di “luogo di resistenza” (Segalen, 1987a: 7) all’interno del quale i suoi
componenti hanno attuato le proprie strategie per sopravvivere alla mutata
condizione esistenziale, conseguente al passaggio da una realtà rurale
relativamente statica ad una precaria realtà urbana.
1
Per scrivere questo capitolo mi sono basata principalmente sulle seguenti fonti: il testo collettaneo Storia
Universale della famiglia sotto la direzione di Burguière, A.,- Klapisch-Zuber, C.,-Segalen, M.,-
Zonabend, E.,F., e al testo di Segalen, M., Sociologie de la famille.
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Non essendo l’Europa una realtà affatto omogenea, ogni nazione europea
ha conosciuto modelli d’industrializzazione e di famiglia differenti rispetto alle
altre nazioni, sulla base di vari fattori concominanti: in primo luogo le
condizioni socio-economiche e demografiche esistenti sia nel periodo
precedente sia nel corso di tale processo; in secondo luogo, la concezione di
famiglia propria a ciascuna cultura. Per quanto concerne la Francia, essa ha
conosciuto una processo d’industrializzazione peculiare che, in un’ideale scala
di differenziazione dei modelli di famiglia europei ‘post-industrializzazione', la
porrebbe al lato opposto della Gran Bretagna. Se, infatti, è a tutti noto che la
Gran Bretagna sia il paese europeo che tra XVIII° e XIX° secolo ha conosciuto
la più precoce e rapida industrializzazione, non molti sanno che la Francia ha
conosciuto, al contrario, un’industrializzazione più lenta e graduale nonostante
il fatto che, al momento della nascita dell’industria in Europa, il tessuto sociale
non fosse molto dissimile da quello delle altre nazioni europee e della stessa
Gran Bretagna. La causa involontaria della tardiva industrializzazione della
Francia è da attribuirsi, principalmente, al costante rallentamento della crescita
demografica verificatosi nel paese, che ha posto le condizioni affinché il
processo d’industrializzazione avvenisse in tempi e modi peculiari. Esso
prende avvio, infatti, solo dalla fine del XVIII° secolo nello stesso contesto
rurale dominato da radicate tradizioni artigiane ancora vive e vitali, quanto e
più che negli altri paesi europei, e ben prima che le fabbriche propriamente
dette sorgessero:
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Un piccolo numero di operai riuniti in manifatture lavora in unità di
produzione di modeste dimensioni. L’operaio non è separato dal lavoro dei
campi e la pluri-attività costituisce la norma. (Segalen, 1987a: 386)
E’, tuttavia, possibile rintracciare un elemento comune a tutte le società
europee nei primi stadi di industrializzazione, ossia il drastico accentuarsi della
divisione della società in classi contrapposte. A conferma della capacità di
adattamento dell’istituzione della famiglia al contesto in cui è inserita, il
processo di industrializzazione ha comportato il diversificarsi dei modelli
familiari, sulla base delle condizioni materiali di sussistenza di ciascuna classe
sociale. Come scrive lo storico francese J.-P. Rioux:
La nascita della società industriale si accompagna a una varietà di famiglie
operaie, accanto a un mosaico di famiglie cosiddette borghesi che
comprende i piccoli impiegati come la grande borghesia imprenditoriale o
terriera. (Rioux, cit. tratta da Segalen, 1987a: 386)
Anche la sociologa e antropologa Martine Segalen (1987a) sottolinea
come, per tutto il XIX° secolo e i primi decenni del XX°, all’interno della
nascente società industrializzata, il risvolto sociale più significativo è costituito
da una più netta separazione tra gli stili di vita della classe borghese, detentrice
dei nuovi mezzi di produzione, e l’emergente classe dei salariati, costituita
prevalentemente da immigrati delle fasce più povere delle campagne costretti
ad impiegarsi nelle nuove fabbriche per guadagnarsi da vivere.
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Allo stesso tempo, però, i due gruppi sociali si trovano a dover cooperare
e relazionarsi in qualche maniera tra loro per mantenere l’efficacità della
macchina produttiva, come hanno costatato gli storici prima ancora che gli
esperti della famiglia:
Non vi può essere sviluppo industriale senza che vi sia una profonda
ristrutturazione dei rapporti sociali; il capitalismo è caratterizzato dalla
divisione in classi sociali portatrici di modelli e di comportamenti familiari
particolari, anche antagonisti, ma che interagiscono. E’ questo un elemento
comune a tutti i paesi che prendono parte allo sviluppo industriale. (Rioux,
cit. tratta da Segalen, 1987a: 386)
La diminuzione dei salari nelle campagne e la nascita dell’industria
pesante, che richiede agli operai di abbandonare la propria dimora rurale per
lavorare nelle fabbriche, site ai bordi dei grandi agglomerati urbani, sconvolge
in pochi decenni la costituzione della famiglia francese. Alla fine del XIX°
secolo anche la Francia conosce un esodo graduale, ma continuo, di uomini
che, dalle campagne, emigrano nelle città andando a costituire il cosiddetto
‘proletariato urbano’ o ‘classe operaia’.
Molti falsi miti sono nati attorno alla famiglia urbana proletaria. A
differenza di quanto è avvenuto per la famiglia contadina estesa, però, non si
tratta in questo caso di un’idealizzazione: al contrario, la famiglia proletaria
urbana è spesso connotata negativamente e descritta in termini pessimistici.