2
The Sicilian snow trade constituted, until the end of the twentieth century, a 
mountain resource which went alongside the activities of animal husbandry and 
forestry. 
    Snow wells and ice wells, ice and snow-houses, show the different technologies 
used to obtain this product before the invention of artificial coldness. 
    The sale of snow was not interrupted in any month of the year because of its 
medicinal applications, its relatively accessible cost, the diffusion of iced drinks 
(such as ‘granita’) and its uses in food conservation. 
    The snow trade in South East Sicily continued for the whole of the twentieth 
century, during which a dramatic increase in the consumption of ice cream was 
witnessed. After the Second World War the use of snow or natural ice began to 
disappear because of the spread of artificial coldness, although in Chiaramonte 
Gulfi, snow was still being consumed until the forties. 
 
 
 
 
 
 
 
 3
 
Abstract 
 
 
    Se cuenta que los árabes utlizaran ya los pozos excavados en la montaña para 
almacenar la nieve, utlizada en la preparación de olorosos sorbetes para mitigar la 
sequedad de los tórridos días de verano. 
    Esta actividad, extinguida con el advenimiento de la electricidad, contribuyó 
para integrar la producción de los campesinos en los períodos menos provechosos. 
En algunas zonas eran organizadas empresas de nieve y en verano los neveros 
pasaban más días en el lugar donde procedían a las operaciones del corte del 
hielo. Luego dentro bolsos de yuta, trasportaban en la parte posteriora de la mula 
hasta las ciudades. En la Meseta de los Ibleos, en la Sicilia sur oriental, hasta la 
mitad del siglo XX, los campesinos, durante los meses de invierno trabajaron en 
los  nivières muchos de los cuales propriedad de la familia Alliata. La nieve se 
recogía en grutas o en casas con la específica finalina de almacenaje. La nieve de 
los pueblos de Buccheri y Chiaramonte Gulfi se introducía en aquellos depósitos 
excavados en el suelo y, una vez prensada y aislada del exterior con paja, se 
utilizaba antaño para refrescar alimentos y bebidas durante el verano, así como 
para finalidades terapéuticas. Los itinerarios de los depósitos de nieve estaban 
marcados por templete votivos dedicados a la Virgen de la Nieve. 
    La curiosidad ante el tema me llevό a buscar informaciόn en los archivos de 
Modica, Ragusa y en las bibliotecas de Buccheri, Chiaramonte Gulfi, Pozzallo, 
Ispica y Catania en las que encontré una rica documentaciόn que permitían 
recomponer la historia del comercio de la nieve desde el siglo XVI al siglo XX. 
Todavía algunas otras referencias histόricas me fueron amablemente facilitadas 
por el profesor Luigi Lombardo de Palazzolo, que tuve la oportunidad de conocer 
gracias a sus publicaciones. 
    En los últimos años montañeros, excursionistas, geόgraficos e historiadores 
locales han ido identificando, describiendo y catalogando esos pozos para 
almacenar nieve y hielo que, con diferentes nombres, se extienden no solo por 
todo el Mediterráneo sino también casi por todas las regiones donde existen 
condiciones para disponer de dicho artículo y una demanda, esencialmente 
urbana, para consumirlo. 
 4
El consumo de la nieve de los Ibleos fue estimado por numerosos tratados 
médicos que discutieron los usos terápeuticos y dietéticos de ella: durante el 
seiscientos y el setecientos al menos una veintena de esos tratados se publicaron 
en Italia, España y Francia, algunos redactados por médicos tan eminentes como 
el sevillano Nicolas Monardes. 
    El comercio de la nieve o del hielo en Sicilia ha constituído hasta fines del siglo 
XIX un recurso montano que se añadía a la explotaciόn ganadera y a la forestal en 
las áreas montañosas. 
    Pozos de nieve y pozos de hielo, glacières y nivières, y otras muchas 
denominaciones, muestran la diversa tecnología empleada para la obtenciόn de 
ese producto antes de la invenciόn del frío artificial. 
    La venta de nieve no se interrumpía en ningú mes del año, debido a su uso en 
medicina y al precio relativamente moderado, por la abundancia de las bebidas 
heladas (como la granita siciliana) y su empleo en la conservaciόn de alimentos. 
    El comercio de la nieve en la Sicilia sur oriental se mantuvo durante el siglo 
XX, durante el cual se produjo un fuerte aumento del consumo de helados. 
Después la Segunda Guerra Mundial el uso de la nieve o del hielo natural empezό 
a desparecer por la generalizaciόn del frío artificial, pero se consumiό todavía en 
Chiaramonte Gulfi hasta los años 1940-1950. 
 5
Introduzione 
 
 
     In una terra arsa dal sole per buona parte dell’anno, parlare di neve e 
dell’importanza che ha rivestito anche sul piano economico potrebbe apparire una 
blasfemia di fronte agli occhi di molti turisti che ogni anno visitano la Sicilia. Ad 
esclusione dell’Etna, le restanti aree di montagna sono praticamente escluse dalle 
principali mete turistiche. 
    Cercare di rintracciare la linea che ha portato nel corso della storia alla 
costruzione di una rete di depositi in cui veniva raccolta la neve per scopi di varia 
natura, significa seguire i passi di diverse civiltà sparse nel Mediterraneo che 
hanno beneficiato di una risorsa atipica all’interno del contesto geografico e 
culturale in cui è esistita. Sta di fatto che tra il 1500 e il 1900, dalle Madonie ai 
Nebrodi, dai monti Peloritani all’Etna per passare infine all’Altopiano degli Iblei 
crebbe una realtà legata al lavoro della raccolta della neve, che ha dato forma a 
una serie di costumi e usanze riscontrabili ancora oggi tra gli abitanti di questi 
luoghi. 
    Se la ricchezza agricola del territorio siciliano evitò alle popolazioni le carestie 
più gravi e limitarne gli sconvolgimenti economici, anche la possibilità di 
implementare attività economiche collaterali fu di aiuto nelle zone montuose 
dell’isola dove la fame era all’ordine del giorno. 
    Leggendo la vasta indagine sui mestieri tradizionali in Sicilia curata da 
Antonino Buttitta alla fine degli anni ottanta
1
, non può non colpire l’assenza di 
questo tipo di attività interrogandosi sui possibili motivi, chiedendosi se la 
responsabilità di questa assenza è da imputare alla scarsezza di fonti documentarie 
– letterarie e amministrative – attestanti la presenza nel territorio siciliano di 
questo tipo di attività? O forse è dovuta alla difficoltà di identificazione delle 
architetture rurali rappresentate dalle neviere? Se questi sono dei motivi più che 
validi, tutto ciò non può giustificare l’esclusione che è stata compiuta di questa 
attività dalle arti e dai mestieri tradizionali della Sicilia. 
    Sta di fatto che è possibile affermare che, per quanto conosciute e scarsamente 
valorizzate, le neviere siciliane rappresentano una traccia indelebile del territorio 
regionale. Abbandonate, alcune semi-distrutte, altre riadattate per diversi scopi, i 
                                                 
1
 Si veda il frutto di questo lavoro nel testo intitolato Le forme del lavoro a cura di Antonino 
Buttitta, 1988. 
 6
nevai ancora esistenti nell’area iblea presentano una forma semplice e la loro 
struttura cristallina ne fa uno dei capolavori dell’architettura minore siciliana
2
. 
Non bisogna però dimenticare che un gran numero di neviere, prima che 
diventassero tali furono dapprima delle semplici cavità naturali o delle grotte 
scavate nella roccia sopravvissute alla lotta contro il tempo. 
  Ciò dimostra l’importanza che ha avuto il fenomeno dell’espansione 
dell’industria legata al commercio della neve. A mano a mano che la conserva 
della bianca coltre veniva impiegata in numerosi campi, le popolazioni che ebbero 
a che fare con il suo utilizzo acquisirono una maggiore consapevolezza della 
possibilità di investire parte del loro capitale umano e finanziario per la crescita 
dell’attività di raccolta. 
    È vero che sino al secolo scorso si commerciava la neve da Trapani a Tunisi su 
navi a vela, ma è vero pure che le neviere che rifornivano Palermo erano due sole: 
una sui monti dietro Monreale ed una, della “Busambra”, presso Corleone
3
. 
Dall’altipiano degli Iblei, invece, la neve veniva inviata alle città sulla costa 
ionica e mediterranea, fino a raggiungere l’isola di Malta. A Buccheri, in 
provincia di Siracusa, erano all’incirca venticinque le neviere in attività agli inizi 
del secolo XX; peraltro nelle immediate vicinanze del paese troviamo altre 
costruzioni adibite alla conservazione della neve: a Palazzolo Acreide, Buscemi, 
Sortino e Vizzini. 
    In provincia di Ragusa spiccano le neviere a spiovente di Chiaramonte Gulfi, i 
resti delle neviere “S. Caterina” e “S. Bartolomeo” a Giarratana, le presenze negli 
atti del decurionato di Monterosso Almo della vendita in piazza di alcuni carichi 
di neve, i depositi del ghiaccio a Ragusa Ibla. A differenza dell’attività di raccolta 
della neve che si è avuta nelle altre zone montuose della Sicilia, quella di 
Buccheri e in misura minore quella di Chiaramonte Gulfi, presenta 
un’organizzazione del processo lavorativo ben pianificata e protratta nel tempo. 
    Alcuni documenti d’archivio testimoniano la presenza di questo antico mestiere 
sin dagli inizi del ‘500 e indicano la costruzione delle prime neviere ad opera 
delle famiglie più influenti dell’epoca. Quest’ultime furono fortemente interessate 
                                                 
2
  P. Giansiracusa, L’altipiano ibleo, Noto, 1984. 
3
 C. Trasselli, Storia dello zucchero siciliano, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 
1982, p. 29. 
 
 7
ad incrementare la raccolta della neve per utilizzare il ghiaccio in numerose 
applicazioni. 
    Menzionare dunque la parola neviera dimenticandosi della Sicilia, significa 
negare dignità all’arte artigianale della grande pasticceria siciliana, prodotta dalle 
classi più povere a servizio dei ceti più abbienti dell’isola. 
    Obiettivo di questo lavoro è offrire un valido spunto al prosieguo dell’attività di 
ricerca sino ad ora compiuta da alcuni studiosi locali in maniera frammentaria, 
dando una nuova e più sistematica interpretazione antropologica alle fonti 
utilizzate per la ricostruzione storiografica dell’attività dei nevaioli siciliani, in 
particolar modo a quella diffusasi nelle zone più alte dell’altipiano ibleo. 
    Nel primo capitolo si guarda a quest’attività in una scala più ampia, quella del 
Mediterraneo, descrivendo la raccolta, la produzione e la conseguente 
costituzione delle Società per la vendita della neve. Il secondo capitolo prende 
invece in considerazione sia le diverse tipologie costruttive con cui sono state 
edificate le neviere siciliane che i materiali da costruzione impiegati, oltre agli 
strumenti della lavorazione del ghiaccio. Il terzo capitolo si focalizza sui diversi 
tipi di consumo del prodotto ricavato dalla lavorazione della neve. Per finire, 
l’ultimo dei capitoli del lavoro, offre una panoramica sulle forme di trasporto e di 
commercializzazione della neve, compiuti da abili mulattieri e carrettieri dopo, 
lungo le trazzere che portavano alla marina dove sorgeranno le prime botteghe del 
ghiaccio. 
 8
1. La raccolta della neve e la produzione del 
ghiaccio nell’area del Mediterraneo 
 
 
    Tracciare le linee guida per una storia della raccolta della neve, e del suo 
utilizzo, presenta numerose divergenze riguardo alla precisa ricostruzione 
storiografica di date, luoghi, termini e protagonisti. Si sa infatti che questa vide la 
luce già nel III millennio a.C., e che iniziò a decadere nella seconda metà del 
secolo XX, quando fu rimpiazzata dalla produzione del freddo artificiale
4
; che era 
un’attività molto remunerativa anche se stagionale e che alcune attività collaterali 
ad essa, come ad esempio la commercializzazione, non si interrompevano in 
nessun mese dell’anno. Naturalmente il consumo si intensificava in estate, per la 
popolarità delle bevande ghiacciate e per l’impiego nella conservazione degli 
alimenti. 
    Cercheremo in ogni caso, attraverso i testi e le fonti d’archivio di rintracciare le 
principali tracce di questa attività che diede vita a delle significative architetture 
rurali pre-industriali, le neviere, diffuse anche in varie zone delle principali catene 
montuose siciliane.  
 
 
Agli antipodi della raccolta: 
 
    Di certo, sin da epoche antichissime, molti centri montani situati nell’area del 
Mediterraneo, e in particolar modo quelli delle Montagne dell’Anatolia, dei 
complessi montuosi della Sicilia, degli Appennini, dell’Arco Alpino, delle Sierre 
murciane e dell’isola di Maiorca, trassero un valido sostentamento dalla pratica 
della raccolta della neve sia sottoforma di utilizzo personale sia in termini di 
sussistenza economica. Comune a tutti gli insediamenti rurali che beneficiarono 
della raccolta della neve fu la mancanza di una remunerativa attività economica 
che avrebbe permesso di incrementare le striminzite paghe lavorative degli 
abitanti dei centri interessati all’utilizzo della neve. Se non altro, nel passato, la 
forte antropizzazione dell’ambiente circostante – la montagna – è stata di 
notevole supporto all’espansione della raccolta della neve, tale da creare uno 
                                                 
4
  H. Capel, El comercio de la nieve y del hielo, Biblio 3W. Revista Bibliográfica de Geografía y 
Ciencias Sociales, Universidad de Barcelona, nº 16, 24 de marzo de 1997. 
http://www.ub.es/geocrit/b3w-16.htm 
 9
stretto legame tra i processi di conservazione della neve e suoi utilizzi. 
L’esistenza di molteplici “pozzi”, “grotte” e “case della neve” presenti in molte 
zone nevose del Mediterraneo e una richiesta, principalmente legata alla stagione 
estiva, possono dare l’idea del valore che iniziava a raggiungere l’economia della 
neve e la sua gestione. 
    Abbiamo la conferma che l’usanza di raccogliere la neve con la conseguente 
comparsa delle prime case della neve si può additare all’epoca assira (III mill. a. 
C.), nelle città di Ur e Mari, in Mesopotamia
5
. 
Da qui in poi l’utilizzo a fini alimentari della neve va consolidandosi come 
elemento di ricercatezza nelle tavole imbandite a festa, nei banchetti reali, come 
un genere consumato principalmente dal patriziato urbano.  
    Non è comunque assolutamente da escludere che, nelle prime fasi, il consumo 
della neve fosse esclusivo appannaggio dei ceti meno abbienti, in quanto la 
possibilità di consumare bevande fredde durante i periodi più caldi dell’anno 
diventò una delle poche e piccole felicità per chi viveva a ridosso della totale 
povertà. 
    Inoltre, l’esistenza nei centri montani della Sicilia, di piccole cavità all’interno 
delle case, sotto il pavimento o l’esistenza di botole fuori, poco vicino l’ingresso, 
denota come si iniziò a pensare alla raccolta della neve e al suo utilizzo per 
svariati usi. 
 
 
Epoca greca e romana: 
 
 
    Il consumo di neve come bene voluttuario sarà ulteriormente incentivato 
durante la dominazione greca in Sicilia. Negli Idilli di Teocrito si documenta 
l’uso di bere il “vino annevato
6
”; in questo modo il poeta greco da parte di 
Polifemo: 
    «E’ l’acqua ghiacciata che mi fornisce l’Etna coronata di foreste dalla sua neve 
immacolata come bevanda da Dei
7
». Come refrigeratore, i greci siracusani, usavano 
lo Psykter (vaso dalla forma insolita, con base ristretta e la parte alta allargata; 
utilizzato per tenere il vino fresco, in quanto veniva posto dentro un recipiente più 
                                                 
5
  AA.VV., La Neve degli Iblei, piacere della mensa e rimedio dei malanni, Italia Nostra sezione 
di Siracusa, 2001, p. 13. 
6
  L. Lombardo, La via del freddo, Buccheri, 2006, p. 41. 
7
  Teocrito, Idillio XI, Il Ciclope, vv. 47-48, in L.Lombardo, op. cit., p. 16. 
 10
grande ripieno di neve o acqua fredda
8
). La comparsa di questo vaso è databile 
intorno al V sec a. C. e se ne parla in diverse fonti, molte delle quali citate da 
Ateneo e da Platone che nel Simposio così scrive: «Ragazzo – disse – porta quel 
vaso per tenere fresco il vino
9
». 
    La cultura latina con a capo i Romani, in concomitanza di un forte incremento 
della produzione viticola, rende ancora più largo l’impiego di neve per rinfrescare 
le bevande. Sotto l’imperatore Adriano sono state individuate, sottostanti alla villa 
di Tivoli, profonde neviere
10
 per la raccolta e conserva della neve. 
    In questo periodo si era soliti chiamare sorbitium certe bevande aromatiche 
rinfrescate con neve che andavano sorbite
11
. A conferma di ciò, il poeta latino di 
origine spagnola Marziale, cita, nei suoi epigrammi, l’utilizzo della neve per 
diluire il Falerno, un vino dall’elevato tenore alcoolico e dal sapore amaro
12
. 
 
 
Influenza araba: 
 
 
    Mentre le modalità di conservazione della neve risalgono principalmente ai 
Romani, l’uso di scavare la roccia per ricavarne le neviere sarebbero invenzione 
appannaggio degli Arabi
13
. In Sicilia, le notizie che abbiamo sul periodo della 
presenza araba riportano quanto era già in uso presso i romani: un largo consumo 
di neve per rinfrescare le bevande e un’attività, quella della raccolta, in continuo 
sviluppo. In particolare, sembra diffondersi l’idea di sperimentare nuove forme di 
utilizzo della neve, magari con l’aggiunta di prodotti facilmente reperibili intorno 
alle aree di raccolta, come il sale e il limone. Il primo consentiva di abbassare il 
grado termico della miscela di neve e sale, posta all’esterno del vaso refrigerante, 
in modo da non raffreddare direttamente il succo aromatizzato posto in un altro 
vaso. Il secondo per aromatizzare i primi sorbetti che si producevano con tale 
procedimento. Oltre all’esperienza concreta, gli esperimenti sulla neve furono 
                                                 
8
  C. VANDERMESCH , Vins et amphores de Grande Grèce et de Sicilie, IV-III avant J.C., Etude     
I Centre J. Bérard, Napoli, 1994. v. Tav I fig. 1. 
9
  S. Bonaccorsi, Architetture e industrie della neve nella Sicilia Orientale, Università degli Studi 
di Palermo, 2006, p. 7-8. 
10
  C. Spadaro di Passanitello, Riscoprire le neviere siciliane, in La Sicilia, 20 aprile 2007. 
11
  L. Lombardo, op. cit., p. 14. 
12
  MARZIALE, Epigrammata, I – XIII. 
13
 L. Lombardo, op. cit., p. 15. 
 
 11
spinti da considerazioni di tipo igienico, affinché si evitasse il contatto diretto 
della neve con gli alimenti
14
. 
    Infatti, per quanta attenzione si potesse fare durante le fasi di raccolta, non si 
poteva di certo evitare che la neve non venisse a contatto con impurità, ora del 
terreno (non appena cadeva), ora del trasporto (in quanto posta dentro a sacchi di 
iuta), ora all’interno delle grotte in cui veniva stipata. Questi nuovi elementi 
indussero a vedere nella neve un fattore di sviluppo economico locale se ben 
perfezionato. I processi lavorativi legati alla raccolta della neve produssero 
numerose aspettative di guadagno tra i “nevaroli” ed è così che si pensò di poter 
investire parecchio denaro in questa attività. Da semplice attività finalizzata a una 
distribuzione locale del prodotto con consumi sporadici in campo alimentare e 
paramedico tra i ceti più poveri, la raccolta della neve assurse a un modello di 
attività economica in piena regola.  
 
 
Tra il X e il XVI secolo: 
 
 
    Se, a questi elementi, aggiungiamo che, sempre in Sicilia, come  è attestato da 
alcuni documenti di epoca medioevale, la neve cominciò ad essere indispensabile 
in campo medico – si intensificarono i palliativi legati alla “cura di lu friddu
15
” – 
allora possiamo senz’altro dire come, il forte legame tra gli esseri umani e 
l’ambiente circostante servì a dare maggiore rilievo alla raccolta della neve e alla 
sua organizzazione, per un uso più capillare della risorsa in termini economici. 
    Prima di giungere al Medioevo, va evidenziato però quanto in epoca medievale 
la costruzione delle neviere sarà sostenuta con maggiore cura, soprattutto dalle 
classi agiate, detentrici di cospicue somme finanziarie e interessate ai profitti 
derivanti dall’organizzazione della raccolta della neve. Si consolida così l’utilizzo 
della neve come bene di lusso, da consumare preferibilmente durante ricorrenze 
particolari o cerimonie galanti, all’interno delle ville dei principi o nelle corti 
signorili. L’utilizzo del ghiaccio diventa da allora in poi sempre più un’esigenza 
riservata ai piaceri delle classi benestanti e l’acquisto di questo bene risulterà 
sempre più proibitivo per i semplici villani dei centri montani. 
                                                 
14
 Ibidem. 
15
  N. Monardes, Trattato della neve e del bere fresco, raccolto per M. Giouan Batista Scarampo, 
dal trattato del Monardo medico di Siuiglia, & ridotto in lingua toscana,  Firenze, Stamperia 
Sermartelli Bartolomeo, 1574. 
 12
    Durante il Rinascimento, la possibilità di un allargamento del commercio della 
neve non si riduce alla semplice cura di pozzi sotterranei ma diviene attività 
pianificata e legittimata dai potenti dell’epoca. Quest’ultimi saranno rappresentati, 
nella maggior parte dei territori dove vi era la presenza di neviere, sia dalla curia 
vescovile in generale, e sia dai primi appaltanti che, o avevano in possesso i 
territori dove la raccolta della neve iniziava a emettere i primi vagiti, o avevano 
avuto le terre in cui insistevano le costruende neviere tramite concessioni. In 
contemporanea alla diffusione dei primi testi di cucina nella cultura occidentale, 
le figure che iniziarono a investire somme cospicue lungo le zone interessate dalla 
raccolta della neve avevano lignaggi baronali o rappresentanza ecclesiastica. 
    Questi elementi ci portano a considerare la specializzazione dell’attività di 
raccolta non più come fenomeno isolato e di fattore locale ma come un’attività 
lavorativa che viene strutturandosi secondo i dettami delle classi privilegiate. 
    A dimostrazione di quanto detto, possiamo esemplificare per tutta l’area del 
Mediterraneo i procedimenti di raccolta che interessarono la Sicilia, da dove ci 
sono pervenute consistenti testimonianze attraverso le opere di numerosi cultori di 
storia locale. In particolar modo sulle propaggini dei Monti Iblei, che occupano 
l’estremità sud orientale dell’isola e raggiungono la quota massima di 987 m, si 
consolidò a partire dal 1500, e decadde intorno alla metà del 1900, la raccolta 
della neve e la distribuzione del ghiaccio nelle città vicine.  
    Le prime neviere di questa zona erano scavate dall’uomo nella roccia. Per 
questo, ancora oggi le neviere vengono indicate col nome di “rutti”, proprio 
perché erano abbastanza piccole e, seppur scavate dall’uomo, servivano a 
conservare neve per usi abbastanza ristretti
16
. 
    La raccolta, la conservazione e la commercializzazione della neve divennero 
attività che consentirono alla cittadinanza dei centri interessati, disoccupata nei 
periodi invernali, di integrare il magro reddito, ed ai padroni o affittuari delle 
neviere di ricavare consistenti guadagni nei mesi estivi. Una, due, e spesso anche 
tre nevicate in un anno significavano un certo guadagno che entrava ad integrare 
il reddito delle famiglie
17
. 
                                                 
16
  L. Lombardo, op. cit. p. 17. 
17
  Ibidem