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INTRODUZIONE
Quello tra cinema e psichiatria/psicologia è un dialogo di antica data. Nel corso
della storia del cinema, numerosi sono stati i film che hanno dipinto, in
maniera piø o meno realistica, le figure di psichiatri, psicologi, psicoanalisti,
psicoterapeuti, contribuendo così alla divulgazione del lavoro dei professionisti
della salute mentale.
Il cinema, per le discipline “psi-”, ha giocato il ruolo di un’arma a doppio
taglio, poichØ, mentre da una parte ha permesso anche a chi non ha avuto
esperienze dirette con il mondo della salute mentale di prenderne conoscenza,
dall’altra parte ha spesso contribuito alla sua stereotipizzazione. Come
vedremo, molto spesso gli psicoterapeuti “al cinema” sono stati usati come
delle “ficelle”
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, utili, quindi, per lo sviluppo della trama ma scarsamente
descritti dal punto di vista professionale o, addirittura, tipizzati in maniera
erronea e lontana dalla realtà.
In Treatment è una serie tv basata sulla “ricostruzione” delle sedute di
psicoterapia analitica condotte dal Dott. Paul Weston. Si tratta di una fiction
nata in America nel 2008 da una rivisitazione del format originale israeliano Be
‘Tipul, che propone una figura di psicoterapeuta assai diversa da quelle che
finora si erano viste al cinema o in tv e difficilmente inseribile nelle tipologie
finora note.
Nel presente lavoro, proprio attraverso l’analisi di questo format televisivo, mi
propongo di approfondire il tema della psicoterapia psicoanalitica e dei suoi
elementi caratterizzanti. In Treatment, infatti, mi ha fornito molti spunti e
materiale “didattico” che è andato a integrare materiali piø “classici” forniti dai
libri di testo e dai manuali di studio, a volte di non immediata comprensione
per uno studente che non ha mai avuto un contatto diretto con la psicologia e la
pratica della psicoterapia. Attraverso In Treatment ho avuto la possibilità di
assistere a molte dinamiche relazionali delle quali finora avevo solo letto e
immaginato e ho potuto vedere in atto molti degli elementi e dei concetti che
caratterizzano la psicoterapia.
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Il termine “ficelle” indica letteralmente la fune con la quale vengono mossi i burattini; in questo contesto si vuole intendere che la figura dello
psicoterapeuta nei film viene utilizzata per meglio definire i personaggi importanti, rimanendo essa però nello sfondo e poco caratterizzata.
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Nella prima parte di questo lavoro, approfondirò, attraverso un breve excursus
storico, il rapporto che intercorre tra cinema e psichiatria, cercando di
soffermarmi anche sulla relazione che psicoterapeuti e psicoanalisti hanno
intrapreso con il cinema, poichØ non esiste solo “uno psichiatra nei film” ma
anche “uno psichiatra al cinema”.
Successivamente, appoggiandomi a una bibliografia scelta nazionale e
internazionale, cercherò di approfondire la figura dello psicoterapeuta e/o dello
psichiatra nel cinema, di come si sia evoluta nel corso del tempo e di come
abbia contribuito alla nascita di particolari stereotipi. In particolare, mi
appoggerò alla suddivisione proposta da Schneider (1985), che ha rintracciato
nella storia del cinema (americano) tre tipi di psicoterapeuta: Il Dr. Dippy, il
Dr. Evil e il Dr. Wonderful e sottolineerò come la rappresentazione di Paul
Weston, protagonista della serie In treatment, si discosti da questi tre modelli e
venga a rappresentare una figura innovativa per il mondo cinematografico e
televisivo.
Nella parte centrale del mio elaborato, presentando la serie tv “In Treatment” e
la figura del Dr. Weston mi soffermerò sui suoi punti di originalità rispetto alle
rappresentazioni filmiche cui eravamo abituati. Proporrò naturalmente una
scheda tecnica del telefilm e stenderò una sinossi della serie stessa,
presentandone personaggi, ambienti ed elementi caratteristici.
Infine, analizzerò la serie mettendola a confronto con nozioni teoriche ricavate
dalla letteratura nazionale e internazionale segnalatami dal mio relatore; in
particolar modo, approfondirò alcuni elementi caratteristici della psicoterapia
psicoanalitica, quali: il setting, la resistenza alla terapia, i meccanismi di difesa,
i fenomeni di “rottura” e “riparazione” dell’alleanza terapeutica, il transfert e il
controtransfert, la supervisione. Il riferimento al telefilm sarà costante, poichØ
scopo di questo lavoro è proprio mostrare come la visione “guidata” di un film
come In Treatment possa costituire un metodo didatticamente utile e spesso
intuitivo per comprendere le dinamiche che si vengono a creare all’interno di
una seduta di psicoterapia.
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CAPITOLO PRIMO
Immagine tratta da “Nuovo Cinema Paradiso” (1988) regia di G. Tornatore
Cinema e Psichiatria: lo psicoterapeuta nel cinema e al cinema
Il cinema avrà molti difetti, ma non è un’industria antropofaga.
Finora, divorava solo le anime. E ancora, bisogna crederci, alle anime…
Daniel Pennac, Monsieur Malaussène (1995)
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1.1 Il rapporto tra cinema e psichiatria
Tra cinema e psichiatria è stato fin da subito un colpo di fulmine, un’attrazione
fatale. Il cinema è stato da sempre riconosciuto, infatti, come uno scandaglio
psico-sociologico, in quanto si pone come valido strumento per l'esplorazione,
attraverso le immagini, della psiche umana, del comportamento, nonchØ di
fenomeni sociali piø ampi, basti pensare all'acutezza delle analisi condotte da
Bergman, Truffaut, Antonioni e molti altri.
Come affermano Tarsitiani, Tarolla, Pancheri (2006), sin dalle loro origini, il
cinema e la psichiatria hanno stretto un forte legame di interdipendenza e
collaborazione, condividendo lo stesso soggetto: pensieri, emozioni,
motivazioni, comportamenti e storie di vita, che rappresentano, per l’uno e per
l’altro, la principale, complessa, materia di studio.
G. Gabbard e K. Gabbard, in Cinema e Psichiatria (1999), scrivono che il
cinema e la psichiatria psicodinamica “grew up togheter” (sono cresciuti
insieme). Potremmo, a buona ragione, affermare che il cinema e la psichiatria
siano addirittura nati insieme, nel 1895. Ricordiamo, infatti, che il cinema,
inteso come la proiezione in sala di una pellicola stampata di fronte a un
pubblico pagante, è nato il 28 dicembre 1895, grazie a un'invenzione dei
fratelli Louis e Auguste Lumière (1862-1954/1864-1948), i quali mostrarono
per la prima volta, al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines a
Parigi, un apparecchio da loro brevettato, chiamato cinØmatographe. Nello
stesso periodo, mentre i fratelli Lumière proiettavano le loro scene di vita
quotidiana, Sigmund Freud (1856-1939) pubblicava Studi sull’isteria (1892-
’95), insieme con Joseph Breuer (1842-1925) e Progetto per una Psicologia
(1895).
Per convenzione, come sappiamo, si usa datare la nascita della psicoanalisi con
la prima interpretazione esaustiva di un sogno scritta da Freud: si tratta di un
suo sogno personale della notte tra il 23 e il 24 luglio 1895 (stesso anno della
prima proiezione cinematografica), riportato anche ne L'interpretazione dei
sogni come "il sogno dell'iniezione di Irma". La sua interpretazione
rappresentò l'inizio dello sviluppo della teoria freudiana sul sogno. L'analisi dei
sogni, infatti, segna l'abbandono del metodo ipnotico, che a ragione si può
considerare la preistoria della psicoanalisi.
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La nascita del cinematografo fu un evento di portata rivoluzionaria, che suscitò
curiosità e timori, opposizioni tra il pubblico ed eccitazione, una novità
assoluta destinata ad avviare un grande processo di cambiamento culturale.
Tale fermento per questa oscura e magica invenzione, ci è testimoniato dai
numerosi scritti di chi potØ assistere all’evento, tra i quali troviamo lo stesso
Sigmund Freud, che ebbe la sua primissima esperienza cinematografica in
Italia, a Roma, e che così la racconta in una lettera datata 22 settembre 1907 e
inviata alla propria famiglia:
"Miei cari, in piazza Colonna, di fronte alla quale risiedo, come sapete,
migliaia di persone confluiscono ogni notte. L'aria della sera è veramente
deliziosa: il vento di Roma gode di fama meritata. Di fronte alla Colonna c'è
una banda militare che suona ogni notte, e sul tetto di una casa, sul lato opposto
della piazza, c'è uno schermo su cui la Società italiana (si tratta della Cines)
proietta immagini di lanterna magica (fotoreclami). Si tratta di pubblicità, ma
per ingannare il pubblico le lastre alternano anche immagini di paesaggi, negri
del Congo, arrampicate sui ghiacciai e così via. Ma dal momento che questo
non è sufficiente, la noia è interrotta da brevi scenette cinematografiche per
amore delle quali i vecchi bambini (incluso vostro padre) sopportano con
pazienza la pubblicità e le monotone fotografie. Tutti sono colpiti da queste
leccornie, ma in ogni caso io sono spinto a vedermele molte e molte volte.
Quando è il momento di andarmene, scopro una certa tensione nella folla, che
mi fa guardare di nuovo e rimanere nella speranza di vedere un nuovo
spettacolo. Fino alle nove di sera, in genere, rimango completamente
ammaliato; poi comincio a sentirmi troppo solo in mezzo alla folla, così me ne
torno nella stanza per scrivere a tutti voi dopo aver ordinato una bottiglia di
acqua fresca" (cit. in Brunetta, 1989, p. 112).
Il cinematografo in poco tempo riuscì a catturare l’attenzione di molti
intellettuali e artisti, che per loro attitudine avevano già orientato i propri studi
verso le aree oscure dell’inconscio da poco poste all’attenzione del contesto
scientifico dalle opere dello stesso Freud.
Le attenzioni, via via crescenti, che il cinematografo attirava verso di sØ non
potevano che portare, per logica conseguenza, gli psicoanalisti a considerare a
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loro volta il cinematografo come una fonte feconda di intuizioni e di studi, così
come lo erano da sempre state la poesia e la letteratura.
Nel corso del tempo la relazione tra cinema e psichiatria è maturata,
cambiando e seguendo i progressi e i fallimenti di entrambi gli ambiti di studio.
E’ stata una relazione complementare, ma, allo stesso tempo conflittuale.
"Come in un tentativo di collaborazione, la psichiatria e il cinema hanno
tentato di penetrare il contenuto apparentemente casuale della vita di ogni
giorno e di rivelare i segreti del carattere umano" (Gabbard, 1999, p. 9).
Il rapporto che col tempo si è instaurato tra gli studi cinematografici e la
psicoanalisi prevede un filone teorico e un filone interpretativo. Il primo,
definito in area angloamericana come Psychoanalitic Film Theory, nasce nel
1916 con la pubblicazione del libro di HUGO MÜNSTERBERG (1863-1919) dal
titolo The Photoplay. A Psychological Study. Münsterberg, psicologo
sperimentale e comportamentista, aveva studiato con Wundt e fu uno dei primi
a presentare la proposta secondo cui gli psicologi, in quanto esperti della
mente, dovessero essere usati come consulenti nel settore cinematografico. Il
secondo filone è nato all'interno dell'analisi testuale e riguarda l'interpretazione
psicoanalitica dei film. Dagli anni settanta in poi si sono sviluppate due
tendenze. La prima propone un approccio contenutistico il cui intento è quello
di leggere i film come prodotti dell'inconscio e sintomi dell'autore. Si tratta
dunque di una "psicoanalisi dell'autore" o di una "psicoanalisi del
personaggio", piø che di un'analisi del testo; la seconda riguarda l'analisi del
testo filmico in quanto luogo del "predominio della lettere" del significante. In
questa prospettiva assume importanza la modalità di scrittura del film al di là
dei suoi significati; tali analisi individuano nel linguaggio cinematografico
alcune corrispondenze con le modalità dell'attività onirica. L'interpretazione
psicoanalitica del testo filmico è rivolta, quindi, alla descrizione dei
procedimenti stilistici paragonabili al lavoro dell'inconscio.
Se è vero che gli psicoanalisti, sin dalla nascita, si interessarono al cinema e ai
suoi sviluppi con analisi e studi spesso appassionati, è anche vero che
quest’ultimo (da quando si è trasformato da esperimento spettacolare
d'attrazione, in una forma vera e propria di linguaggio) ha fatto frequentemente
riferimento alla psicoanalisi, con la quale condivide forme d'espressione e
d'indagine e alla quale ha attinto per la stesura dei propri soggetti.
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A partire dagli anni venti in Germania, attraverso una parentesi piuttosto
fertile negli Stati Uniti, fino alla fine degli anni sessanta in Italia, si è assistito a
una continua scoperta (o riscoperta) e utilizzo di elaborazioni teoriche di
derivazione psicoanalitica che hanno inciso nettamente sul "modus" di
realizzare dei film. Si può dire che il lento ma progressivo assorbimento delle
teorie psicodinamiche nel tessuto culturale occidentale, è stato accompagnato
da una rappresentazione delle tematiche relative alle patologie di tipo
psicologico e psichiatrico. "I film sono diventati il grande magazzino delle
immagini che popolano l'inconscio, il territorio scelto dalla psichiatria
psicoanalitica” (Gabbard, Gabbard, 1999, p. 9).
In uno scritto che tratta il rapporto tra cinema e psichiatria, non si può non
tenere in considerazione un’importante premessa storica riguardante la
funzione psico-igenica spontanea, già presente, come aveva sottolineato
Aristotele, nella recita della tragedia antica. E’, infatti, sostenuto e dimostrato,
che l’arte, categoria alla quale il cinema appartiene, assolva la funzione di
“purificare” l’animo dalle emozioni, far risalire alla ribalta la memoria,
determinando nell’individuo una presa di coscienza delle proprie inquietudini
e, spesso, consentendo di risolverle.
Nel mondo greco classico, questa funzione era assolta dalla tragedia,
cosiddetta “catartica” (dal greco kathàirein, “purificare”), in quanto generatrice
nello spettatore di impressioni vive e capace di fare affiorare gli stati interiori
dell’uomo. Nella società moderna, si può affermare che sia il cinema a
raccoglierne l’eredità e che l’arte cinematografica, per la sua diffusione e per
l’immediatezza delle immagini, coinvolga lo spettatore, immergendolo in uno
stato che annulla momentaneamente il mondo circostante. Da un punto di vista
ontologico, l’opera filmica, piø di ogni altra, ha caratteristiche, intrinseche e di
fruizione, che si avvicinano moltissimo a tematiche psicologiche e
psicoterapeutiche.
La sala cinematografica ha, quasi per statuto, le caratteristiche di una
situazione onirica (la luce spenta, il silenzio, la fruizione individuale dell’opera
anche in una sala affollata, la sospensione temporale nel momento della
visione).
La forza suggestiva del film, dunque, viene esaltata dalla situazione della
sala; al buio, come durante il sonno, quando il contatto fisico con l’ambiente è
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limitato e la persona si trova in una situazione comoda e confortevole. Con
l’attenzione concentrata sullo schermo, in virtø di molteplici processi psichici e
fisiologici, lo spettatore si trova in una situazione di “rilassamento para-
onirico”, qualcosa di analogo a quello che sperimentiamo nel sogno.
La vicenda cinematografica realizza la sua influenza psichica attraverso due
meccanismi fondamentali. Da una parte, la proiezione, ovvero quel processo
per il quale si attribuiscono agli attori idee ed esperienze che sono nostre, anche
se non realizzate. Dall’altra parte, l’ identificazione, con il quale lo spettatore
assimila l’aspetto e i sentimenti dei protagonisti dello schermo.
Gli effetti sul pubblico di questi meccanismi psicodinamici sono
essenzialmente due: la catarsi e la suggestione. Nella psicoanalisi, il metodo
catartico persegue l’effetto di una “purificazione” attraverso un’adeguata
scarica, o abreazione, degli affetti patogeni. Per “suggestione”, invece, si
intende il processo mediante il quale una persona viene influenzata al punto da
accettare altrui idee, credenze e modi di pensiero. Avviene, in sostanza, che,
per l’effetto catartico, lo spettatore sperimenti un appagamento psichico volto a
ristabilire quell’equilibrio che le pulsioni inconsce insoddisfatte tendono ad
alterare. Invece, per l’effetto suggestivo, lo spettatore è anche indotto ad
accettare piø facilmente quegli elementi violenti ed erotici proposti dallo
schermo.
Il cinema oggi gioca un ruolo determinante nella formazione e
nell’educazione del pubblico. E’ anche attraverso le immagini
cinematografiche e televisive che la gente si forma opinioni, impressioni e idee
su ciò che non conosce direttamente in prima persona.