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Ciò però ha portato ad un’ennesima contraddizione della società moderna, che, da un
lato, stimola gli spettatori di un incontro sportivo a cercare le piacevoli sensazioni
dell’eccitazione (quindi anche forme di tensione in compagnia di altri) e, dall’altro,
contemporaneamente, intima dei controlli di ordine psicologico ed istituzionale, che
disciplinino lo sfogo emozionale e mantengano l’eccitazione entro una dimensione
“mimetica”.
Questo ha dunque portato, e cio è argomento dello studio in questa prima parte, sicu-
ramente a forme di sport meno violente che in passato, ma ha anche trasferito la vio-
lenza dal campo di gioco a ciò che sta attorno ad esso, ossia sugli spalti e nei dintorni
di uno stadio.
Ed è proprio sull’argomento “violenza degli spettatori” che quindi ci soffermiamo,
sui caratteri peculiari di queste forme di aggressività e sulla loro intensità.
Vengono discusse le tesi di Dal Lago, che parla di un tipo di violenza ritualizzata e
simbolica, perciò nulla affatto intenzionale, e quelle di Roversi e di Segre, che con-
trappongono invece lo svilupparsi di una violenza seria, reale, effettivamente pratica-
ta e voluta.
Non cerchiamo in questo studio, si badi bene, soluzioni al problema, anche se a ciò si
fa accenno, ma si cerca in qualche modo di fare intendere qual’è la reale portata del
problema e soprattutto di cogliere il senso fondamentale delle manifestazioni ludiche
moderne, ossia il puro, sano e semplice senso del piacere.
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Questi argomenti focali dello studio sono stati affrontati nel modo più approfondito
che ci è stato possibile, cercando di cogliere, grazie soprattutto all’aiuto del nostro
Relatore, prof. Osvaldo Pieroni, (ricorrendo spesso ad alcuni suoi manoscritti non an-
cora pubblicati, dai quali abbiamo tratto dei passi fondamentali sui più vari e specifici
aspetti dell’aggressività, e facendo riferimento anche a nozioni socio-psicanalitiche,
dedotte in parte dai lavori di Freud e Marcuse).
Per quanto riguarda poi le problematiche inerenti alla sociologia generale, si è fatto
riferimento, nel corso della tesi, a teorie ed autori della sociologia di base: abbiamo
fatto ricorso a note interpretazioni sociologiche di Durhkeim, oltre quelle più funzio-
nali di Elias e Dunning, sui tipi di società che tendono a razionalizzare maggiormente
la violenza, ed altre che vi riescono minormente. Abbiamo utilizzato la teoria di
Weber, sui tipi di violenza, “affettiva” o “razionale”, sempre per far luce sulla dico-
tomia, esistente al giorno d’oggi, delle forme di violenza. Abbiamo anche preso spun-
to, dal lavoro di Weber sull’Etica Protestante e lo spirito del capitalismo, per comple-
tare il discorso di Bromberger sulle analogie tra le forme rituali di un incontro di cal-
cio ed i rituali della religione cristiana, ma soprattutto per scoprire il senso di questa
analogia comportamentale, riconducibile al vuoto lasciato dalla secolarizzazione. E’
idea di Weber, ma ormai della sociologia generale, che per comprendere l’agire eco-
nomico degli individui, non si può prescindere dalla loro visione del mondo, dalle lo-
ro idee e dalla loro etica.
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Viene poi affrontato, abbastanza diffusamente, anche il fenomeno della partecipazio-
ne femminile agli eventi calcistici, e di come esse entrano a far parte di un mondo
tradizionalmente fraquentato da uomini, e legato ai valori della mascolinità. Tramite
il lavoro di Donatella Barazzetti, “Donne allo stadio”, ed alcune nostre considerazio-
ni, frutto dell’esperienza vissuta ai margini di un club di donne tifose, esistente nella
città di Cosenza, abbiamo cercato di mettere in luce quali sono state le prerogative di
questo club specifico, e quali i pregiudizi ed i giudizi che le donne, nel caso in parti-
colare ed in generale, devono sopportare prima di entrare a far parte del “pianeta cal-
cio”.
La seconda parte dello studio sviluppa una riflessione a sfondo storico: viene analiz-
zata la storia del calcio e del tifo calcistico in Italia, con particolare riferimento a
quella degli ultrà, dal punto di vista sociale. Abbiamo consultato una letteratura gior-
nalistica e sportiva specializzata e preso in esame episodi significativi, eventi dunque
da cui si possono trarre considerazioni generalizzabili a livello socio-economico e po-
litico. In particolare si è fatto riferimento a quella che può essere considerata la prima,
importante, strumentalizzazione a fini politici dello sport del calcio, operata durante
l’era fascista e per mezzo della carta di Viareggio.
Nella parte finale dell’VIII° capitolo vengono, soprattutto, presi in considerazione gli
interessi che si riversano sul mondo del calcio da parte delle moderne classi dirigenti
della politica e della finanza.
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Il calcio è diventato ormai una industria che mercifica tutto, comprese passioni e
tempo libero; che ci rende allo stesso tempo produttori di rendita economica per po-
chi, e consumatori di un prodotto via via sempre più privo del suo contenuto principa-
le, il senso del piacere.
L’ultimo capitolo della seconda parte va a completare il discorso sulla funzione dello
spettacolo sportivo.
Se nella prima parte, abbiamo parlato esclusivamente della fruizione diretta di un par-
tita di calcio, nel X° capitolo abbiamo analizzato la partecipazione indiretta a questo
spettacolo, ossia come si può vivere un evento agonistico senza esserne protagonista,
vivendolo cioè attraverso il televisore o attraverso le cronache dei giornali.
Lo spettacolo del calcio e l’evento della partita diviene oggi sempre più “calcio-
spettacolo” per fruitori passivi ed isolati nel chiuso di una stanza privata, mentre lo
stadio (luogo pubblico per eccellenza come la piazza) diviene luogo di aggregazione
sempre più marginale. Parimenti lo sponsor conta molto più dei tifosi, e così i diri-
genti delle società calcistiche preferiscono avere come “tifose” le aziende, industriali
o finanziarie, la Parmalat, la Fiat, etc.. Il “povero” ed ingenuo tifoso che sbraita, si
dimena e magari provoca danni a se stesso (prima che agli altri) appare via via più
emarginato. Tanto vale tenerlo chiuso in casa, in considerazione del fatto che ormai i
giocatori sono “caricati” (emotivamente e professionalmente) dai soldi, e sembrano
non aver più bisogno del calore dei tifosi.
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Nell’appendice a questo capitolo riportiamo i risultati di una ricerca empirica sulla
quantità di ore dedicate al calcio ed allo sport erogata dalle TV nazionali, e sul nume-
ro di pagine dedicate al calcio e allo sport dai maggiori quotidiani nazionali, per po-
terne cogliere l’importanza attraverso quelli che sono oggi i principali mezzi di co-
municazione e di controllo collettivo.
La terza ed ultima parte riguarda la vera e propria sezione empirica dello studio. Que-
sta inizia con una breve storia della squadra locale, il Cosenza Calcio, continua con
una altrettanta breve analisi delle componenti del tifo organizzato locale e termina
con l’indagine empirica sui clubs organizzati nel contesto cosentino.
Il XIII° e ultimo capitolo analizza i modi di comportamento dei tifosi, più moderati
aderenti a clubs, e dei quali generalmente non si parla.
I capitoli, sulla storia del Cosenza Calcio, sul fenomeno tifo a Cosenza e
sull’indagine empirica dei gruppi organizzati sono completati da una serie di tabelle e
grafici statistici che illustrano visivamente i vari fenomeni. In particolare abbiamo
approntato un’analisi dei conti economici del Cosenza Calcio (desunti dai bilanci de-
positati presso il Tribunale), un’analisi, illustrata da grafici, dell’affluenza degli spet-
tatori allo stadio S. Vito di Cosenza, ed un’analisi delle risposte ai questionari, compi-
lati dai rappresentanti dei clubs, che ci hanno permesso di quantificare fenomeni si-
gnificativi e di considerare questi gruppi da un punto di vista sociologico.
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In particolare abbiamo preso spunto dal lavoro di Zerubavel, (“Ritmi nascosti”), e da
quelli di Jahoda, Lazarsfeld e Zeisel, (“I disoccupati di Marienthal”), per poter utiliz-
zare i concetti di tempo, pubblico e privato, ed i rapporti interpersonali, in relazione
all’analisi della partecipazione ad eventi collettivi.
Non mancano poi riferimenti alla sociologia economica e dello sviluppo. Sia pur con
una buona dose di ironia, abbiamo fatto riferimento ad alcuni concetti tratti dalle teo-
rie del sottosviluppo e dell’Economia Mondo, particolarmente adattabili alla situazio-
ne odierna del calcio nazionale ed internazionale.
Particolari processi affaristici hanno creato una strutturazione monopolistica
dell’industria calcistica ed una sorta di monopsonio del mercato calcistico, riconduci-
bili a quelli del mercato economico e sostenuti dalle società giganti, i trust, ed i cartel-
li.
D’altra parte la stessa distinzione tra “serie A”, “serie B” e “serie C”, con le sue su-
barticolazioni, sembra ricalcare uno schema che richiama fortemente quello delle ca-
tene di merci attraverso centri, semi-periferie e periferie.
Esistono oggettivamente processi di concentrazione e, nello stesso tempo, di “diffu-
sione” (per ora evidenti non solo a livello nazionale, ma anche europeo) che portano
alcune poche società calcistiche a difendere il controllo dell’intero “business-
spettacolo” e che ne relegano molte altre al ruolo di società satelliti e dipendenti, for-
nitrici di “materie prime” (calciatori e pubblico) e di consenso.
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Attraverso questa “catena”, che implica interessi finanziari, politici e di potere, la
passione calcistica, il tifo collettivo tradizionale di provincia oppure quello stesso di-
rompente degli ultras, finiscono per perdere un senso proprio, autonomo e sociale, e
rischiano di divenire puri accessori coreografici, non sempre necessari e via via più
obsoleti nel loro carattere di socialità.
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CAPITOLO I
SIGNIFICATO SOCIALE DELLO SPORT.
Studiare lo sport o il calcio, come filiazione dello stesso, può sembrare banale agli
occhi dello sprovveduto, invece grandi sociologi come Elias utilizzano l'analisi di
questa espressione umana per approfondire il discorso sul processo di civilizzazione.
Un campo, quello dello sport, fatto di repressione cosciente degli impulsi, dei
sentimenti, delle passioni, ma anche di ricerca continua dell' equilibrio tra
divertimento e tensione che è il sale di ogni manifestazione ludica.
La teoria di Elias sullo sport e l’aggressività è concettualmente basata sulle tesi
psicoanalitiche di Freud.
Freud (29) giunse alla conclusione che si possono distinguere tre sistemi costituenti la
vita psichica: coscienza, preconscio(costituito da elementi latenti ma che possono
essere facilmente riportati nella sfera cosciente), inconscio(costituito da elementi che
possono diventare coscienti solo dopo aver superato le forze che li hanno rimossi
dalla sfera cosciente).
Gli elementi nevrotizzanti, che possono scatenare anche aggressività, appartengono
all’inconscio. Se i meccanismi di difesa della personalità riescono a trattenere questi
elementi nell’inconscio, tramite quella che Freud chiama rimozione, questi non si
manifesteranno.
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I processi della rimozione sono strettamente collegati a tre istanze dell’apparato
psichico: l’es, costituito dagli impulsi irrazionali e intuitivi essenzialmente inconsci,
quelli che Elias chiama impulsi elementari; il super-io, in parte cosciente (coscienza
morale) ma anche inconscio, prende forma nel corso dell’esistenza per un processo di
interiorizzazione delle norme educative che sono state imposte dapprima al bambino,
poi all’adulto, promuove la rimozione trattenendo nell’inconscio gli impulsi
irrazionali dell’es; l’io, in gran parte cosciente, con qualche elemento preconscio,
possiamo definirlo la vera coscienza umana, costituita dal rapporto tra es\super-io.
Al prevalere dell’uno o dell’altro, o per dirla alla Freud, al prevalere della rimozione
o dell’istinto, riscontreremo una personalità più o meno controllata. In altre parole se
esiste squilibrio tra le istanze, si manifesteranno delle patologie più o meno gravi (es:
l’angoscia non è altro che la paura dell’io di controllare le pericolose istanze dell’es e
le minacciose proibizioni del super-io).
Elias allo stesso modo mette in correlazione sport e aggressività rispettivamente con
super-io ed es. Lo sport, praticato nelle società moderne, come contromisura alle
tensioni che esse stesse generano. Attività ricreativa in cui le forme di eccitamento
sono lasciate libere di sfogarsi per colmare le restrizioni imposte nella parte ”seria”
della vita. La società, mediante lo sport, ci spinge verso la ricerca della tensione,
senza la quale non ci sarebbe divertimento, ma ci obbliga allo stesso tempo a
limitarci. L’esigenza di autocontrollo viene quindi affidata alla coscienza dell’
individuo, che riuscirà o meno a rimuovere gli istinti dell’es.
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Questo discorso è, per cosi dire, basato sugli ultimi studi di Freud la cui sostanza, che
a noi interessa particolarmente, non potendo ripercorrere interamente la storia ed il
senso del rapporto tra sessualità, erotismo, piacere e gioco, fu poi colta dal sociologo
tedesco Herbert Marcuse.
Cerchiamo, ovvero, di introdurre qui la teoria secondo la quale il gioco è una
espressione degli impulsi, nè più e nè meno dell’aggressività.
Cominciamo a non accettare più quindi, la questione dell’aggressività come
componente strutturale principale dell’istinto.
Marcuse (47) riconduce il rapporto tra personalità e società, quindi tra es e super-io,
al continuo contrasto tra “eros”e “thanatos”, istinto di vita ed istinto di morte:
l’aggressività è nell’istinto di morte, il gioco è nell’istinto di vita.
Thanatos prevale finchè si è nell’ambito della necessità; da questo punto di vista, il
processo di civilizzazione non prosegue linearmente.
E’ cosi che, con la divisione del lavoro, nel processo di industrializzazione, come si
divide la società in funzioni, il lavoro in mansioni, allo stesso modo si riducono gli
ambiti di competenza della sfera libidica.
Per esempio, l’eros diventa solo sessualità, l’eros non è più libido diffusa, ma è
impulso parziale specializzato di tipo sessuale. Anche la libido, cosi come il lavoro,
diventa specializzata.
Per cui si può affermare che tanto più la libido è repressa, tanto più l’aggressività
aumenta.
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Se in precedenza si dava per scontata l’aggressività come componente principale
dell’es, ora si deve prendere in considerazione anche l’eros inteso come complesso di
tendenze sessuali e di connessi desideri. Sembra consueto quindi parlare di un
sovrapporsi continuo tra eros e aggressività.
Fin quando si vive in un regime di necessità, è normale che si crei lotta per la
sopravvivenza e si sviluppi aggressività, ma una volta superato il regime di necessità,
ossia quando la base materiale per la sopravvivenza è garantita, qual’è il rapporto tra
eros e thanatos? Qual’è il rapporto tra gioco e aggressività?
Questo tipo di ragionamento relativizza la teoria di Elias, non possiamo più soltanto
parlare di un controllo e di mancanza di controllo dei propri istinti, ma di controllo è
mancanza di controllo di certi istinti che la società sollecita a danno di altri.
Allora possiamo comprendere come vengano ricercati nel gioco e nel calcio non solo
gli aspetti rituali che sostengono la violenza, ma anche gli aspetti rituali che fanno
emergere il piacere.
Marcuse a tal proposito sosteneva che “non viviamo in in mondo che va dominato e
controllato, quanto piuttosto in un mondo che va liberato”.(47)
Ci si è sempre soffermati sull’esaltazione del vincitore, sulla recrudescenza della
violenza, ma non si è mai posta l’attenzione sul fatto che qualche volta si gioca non
solo per vincere, e non si tratta della vecchia logica decoubertiniana, quanto piuttosto
della ricerca del significato della vita, da parte di chi gioca o di chi fa lo spettatore
della partita.
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Questa interpretazione manca in Elias e manca, come vedremo, anche in Dal Lago,
benchè quest’ultimo veda nel “tifo” altri aspetti relativi, non solo al controllo, ma
anche a valori dello stare insieme e dell’amicizia, di una ritualità quasi sacrale, che
ricostituisce, al di fuori della realtà, un mondo il cui spazio è sempre più confinato.
Possiamo concludere questa parte dicendo che è sicuramente interessante prendere in
esame la logica dello stare insieme; lo stare insieme che si ritrova nella Chiesa, anche
se l’effetto della secolarizzazione ha un po' diminuito questo tipo di comunione, lo
stare insieme nella musica, nel teatro, nello spettacolo, e nel gioco, che come le
attività artistiche, è un’attività che ha un substrato erotico in senso lato.
Ugualmente interessante lo stesso è occuparsi del controllo che sempre più
intensamente viene effettuato sull’aggressività e sulla violenza, ma ciò potrebbe
risultare scontato nel momento in cui questo controllo è presente in tante altre attività
sociali.
E' così che attraverso le manifestazioni sportive possiamo cogliere i mutamenti della
struttura della personalità degli esseri umani, collegate a loro volta alle trasformazioni
della struttura del potere della società nel suo complesso. Così per esempio, a partire
dal '700 in Inghilterra si può notare un mutamento della natura del divertimento.
Nella caccia alla volpe, il piacere di uccidere, forse combinato con quello del
mangiare l’animale ucciso, era spesso dominante rispetto a tutti gli altri aspetti della
caccia. La caccia alla volpe rappresentò un mutamento della natura del divertimento
che era, ed è, caratteristico di molte altre varietà di sport.
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Così, per chi guarda una partita di calcio, non è solo il momento culminante, la
vittoria della propria squadra, che da emozione e piacere. Anzi, se la partita non è
interessante, persino il trionfo della vittoria può essere leggermente deludente. Lo
stesso succede quando una squarda è talmente superiore all’altra da segnare un goal
dopo l’altro. In quel caso, la partita è troppo corta e non si sviluppa adeguatamente;
ancora una volta è deludente.
La caccia alla volpe seguì lo stesso modello. L’uccisione della volpe aveva perso in
qualche misura il proprio valore perché le volpi non venivano più servite a cena;
sebbene le cacciassero, gli esseri umani non le mangiavano. Il punto culminante della
caccia, la vittoria sulla volpe, giungeva gradito solo se rappresentava il coronamento
di un periodo di caccia sufficientemente lungo.
Negli anni '60 e '70 del secolo scorso il dribbling individuale era l'elemento centrale
del calcio, e ciò corrispondeva alle caratteristiche sociali del gioco di quel periodo,
cioè il divertimento personale di esponenti delle classi superiori. In seguito si lasciò
più spazio alle cooperazioni di squadra, sia per l'aumento del numero delle
compagini, l'istituzione di gare formali, la crescente rivalità tra formazioni e la
presenza di un pubblico pagante.
Un gioco può raggiungere nel corso del suo sviluppo un particolare stadio di
equilibrio. Una volta raggiunto questo stadio, l'intera struttura nel suo ulteriore
sviluppo cambia.
La crescita sino alla maturità richiede molto tempo; raramente, sin dall'inizio uno
sport assicura sufficiente tensione tanto da essere considerato soddisfacente.