8narrativa, ma il comitato che gestiva il premio ne bloccò l’assegnazione, giudicando
l’opera di Pynchon troppo scandalosa.
Anche il romanzo di Eco non fu accolto con grande entusiasmo. Vi erano grandi
aspettative per la seconda opera narrativa del semiologo piemontese,
4
otto anni dopo
l’enorme successo internazionale ottenuto dal Nome della rosa,
5
ma in qualche modo
i lettori, e soprattutto i critici, sembrarono rimanere delusi da questo libro dalla
scrittura barocca, dove confluisce tutto lo scibile in una sorta di marasma
affabulativo intricatissimo. Ne fu criticata la mancanza di stile, la disomogeneità, la
frammentazione, senza comprendere che forse quelli erano gli effetti che l’autore
ricercava e che costituivano la cifra distintiva del romanzo.
Com’è nata l’idea di confrontare questi due testi così controversi e
apparentemente così diversi? Il libro di Eco tratta di un gioco intellettuale tra
gnosticismo, templari e pratiche interpretative ermetiche, quello di Pynchon narra le
vicende di diversi personaggi in uno scenario bellico e post-bellico, alla scoperta del
segreto che si nasconde in un misterioso meccanismo di controllo dei razzi tedeschi.
Che cosa li accomuna allora? Vediamo di rispondere con ordine a queste due
domande.
L’idea di scrivere questa tesi è nata dalla lettura del romanzo Il pendolo di
Foucault di Umberto Eco all’interno di un corso di metodologia e storia della critica
letteraria, dedicato, tra le altre cose, ad aspetti della scrittura postmoderna. In
particolare a suscitare interesse, quasi sbalordimento in principio, è stata la
constatazione della presenza cospicua nel romanzo di nozioni tratte dagli ambiti della
scienza e della tecnologia. Il lavorio mentale cagionato da questa “scoperta” ha
portato alla stesura di quello che è il nucleo embrionale di questa tesi, un saggio
breve intitolato “Tecnologie della finzione ne Il pendolo di Foucault di Umberto
Eco”. È in quell’occasione che è avvenuto l’incontro con Thomas Pynchon. Nei
saggi consultati per comporre quel breve elaborato, i critici, i teorici della letteratura
e gli studiosi (tra cui spiccano i nomi di Brian McHale, Linda Hutcheon e Remo
Ceserani) non facevano che accostare il nome di Eco a quello di Pynchon. In
4
Per un resoconto delle vicende legate alla ricezione delle prime opere narrative di Umberto Eco, cfr.
Margherita Ganeri, Il caso Eco, Palermo: Palumbo, 1991.
5
Umberto Eco, Il nome della rosa, Milano: Bompiani, 1980.
9particolare i rimandi più frequenti erano quelli a Gravity’s Rainbow. Di qui l’idea di
scrivere una tesi che confrontasse quei due romanzi.
Effettivamente i punti di contatto tra i due libri esistono. Le pagine di Pynchon e
quelle di Umberto Eco evocano una serie di linguaggi non strettamente letterari,
molti dei quali vengono dalle nuove realtà tecnologiche del mondo odierno e dal
territorio come luogo di linguaggi mediali. Si tratta di opere enciclopediche,
ricchissime di riferimenti alla quasi totalità dei campi del sapere, che hanno
entrambe al centro delle vicende il tema postmoderno del complotto o della
macchinazione universale. Ambedue i testi chiedono al lettore un’alta competenza e
un notevole sforzo nella lettura ed, infine, mostrano la medesima preoccupazione
riguardo alle conseguenze ontologiche della scrittura. Gravity’s Rainbow e Il
pendolo di Foucault si caratterizzano poi per lo stile frammentario, per l’ironia, per
l’uso del pastiche e della commistione di generi. Alcuni di questi aspetti (e altri che
qui non sono stati elencati) sono stati analizzati in questa tesi; altri, invece, esulando
dalla trattazione, non sono stati presi in considerazione.
Per quanto concerne le difficoltà incontrate in questo lavoro, la prima riguarda le
fonti. Da una parte, infatti, svolgendo la ricerca bibliografica sul romanzo Gravity’s
Rainbow, ci si è trovati di fronte a una messe sterminata di libri, saggi, articoli,
recensioni, siti web. Il problema che si è posto è stato, perciò, quello di riuscire a far
selezione in quella quantità enorme di titoli, con la stessa sensazione opprimente che
si prova quando, entrando in Internet e digitando un quesito in un motore di ricerca,
ci vengono restituite per tutta risposta un milione di pagine web che contengono
l’informazione cercata. In quel caso il problema non è la mancanza d’informazione,
ma l’eccesso, con la conseguente necessità di trovare criteri validi per vagliarne la
qualità.
6
D’altra parte, risolto il problema relativo a Gravity’s Rainbow,conIl pendolo di
Foucault si è presentata una difficoltà di segno opposto. Mentre, infatti, sul romanzo
Il nome della rosa è stato prodotto un gran numero di opere di saggistica, il secondo
romanzo di Eco non sembra aver suscitato altrettanto interesse presso gli studiosi di
letteratura e così, a parte alcuni saggi sparsi in raccolte, tutto ciò che è possibile
6
Questo è un problema di cui Eco ha discusso in numerose interviste. Le stesse considerazioni sono
state svolte nel capitolo 4 a proposito dell’effetto di disorientamento prodotto dalla narrativa
ipertestuale (paragrafo 4.4.3.6 “Disorientamento”, p. 194).
10
rinvenire sono pochi riferimenti in alcuni testi generali sulla scrittura postmoderna,
alcuni libri di nessuno spessore scientifico, e diverse recensioni, la maggior parte
delle quali negative, apparse su quotidiane e riviste ai tempi della pubblicazione.
Inoltre non vi era solo la difficoltà di reperire le opere di critica, ma anche quella
di trovare testi che riguardassero specificamente gli aspetti che ci si proponeva di
analizzare nei due romanzi. Anche volendolo, quindi, non sarebbe stato possibile
scrivere una tesi esclusivamente compilativa. In parte anche per adeguarsi
all’enciclopedismo di Gravity’s Rainbow edelPendolo di Foucault,sièdeciso
allora di servirsi di diverse fonti generali, che facessero il punto della situazione per
quanto concerne l’evoluzione delle scienze, delle tecnologie mediali, dei discorsi
sulla costruzione dell’identità, ecc. Dopodiché, partendo da una lettura ravvicinata
dei due romanzi si è cercato di individuarvi quei caratteri precedentemente enucleati
da queste fonti. È per questo motivo che la bibliografia, abbastanza ampia, accoglie
testi sugli argomenti più disparati, che spaziano dalla filosofia alla cibernetica, dalla
semiotica alla termodinamica.
Altro ostacolo: Il pendolo di Foucault e Gravity’s Rainbow, pur essendo per
molti aspetti affini, presentano anche numerosi tratti di diversità. L’interesse di Eco,
per esempio, avendo egli una formazione filosofica e semiotica, verte maggiormente
su questi aspetti, così come sulla storia (soprattutto quella medioevale). Pynchon,
invece, insiste maggiormente sulla scienza e la tecnologia intesa in senso stretto.
Quindi la preoccupazione è stata sì quella di trovare gli elementi di contiguità tra i
due romanzi, ma anche quella di salvaguardare, ove possibile, quelle diversità che
conferiscono alle due opere i tratti dell’originalità.
Infine, prima di entrare nel merito del contenuto dei singoli capitoli, è opportuno
sgomberare il campo da un pregiudizio. Anche in considerazione di quanto è stato
finora detto, non è per nulla privo di senso parlare dell’esistenza di un rapporto tra
tecnologia e letteratura, tra scienza e immaginazione.
Nell’accezione comune la scienza è l’altra faccia della medaglia della tecnologia:
la scienza è la teoria, la tecnologia è la pratica. Ebbene, la relazione che esiste tra
scienza (tecnologia) e immaginazione è molto più stretta di quanto si possa di primo
acchito pensare. Essa si basa su una sorta di “movimento” duplice: la scienza non si
limita a fornire materiale per la finzione narrativa, ma l’immaginazione stessa è
11
componente fondamentale del discorso scientifico, come è stato chiarito da Robert
Jungk, uno dei padri della futurologia. Secondo Jungk, previsione, supposizione e
ipotesi si proiettano in una dimensione che travalica il presente, e il futuro diventa
parte delle nostre esperienze ancora prima di essere. È la dimensione dell’utopia, ma,
si potrebbe aggiungere, è anche lo spazio di una realtà fittizia dove, addirittura,
l’esperienza è possibile ancor prima dell’esistenza di ciò che è esperito. Non è forse
proprio questo che accade con la realtà virtuale, dove si possono sperimentare mondi
che non esistono e forse mai esisteranno, e che tuttavia sono assolutamente credibili?
Evidentemente queste considerazioni pongono un problema, e cioè il dover ripensare
radicalmente il nostro concetto di realtà. Credibilità ed esperienza non sono più
categorie valide per definirla, perché ormai è possibile uno “scollamento”: esperienza
e verosimiglianza o credibilità non sono più vincolate a ciò che finora abbiamo
sempre pensato fosse la realtà.
Tornando a Jungk, egli scrive:
In genere immaginazione e ricerca scientifica sembrano due termini
antitetici: l’una è l’elemento incontrollabile, inafferrabile, incerto; l’altra
poggia su di una precisione rigorosa.
Tuttavia, se si esamina attentamente il processo della scoperta
scientifica, si vedrà che il salto dal noto all’ignoto, dal verificato al
supposto non è dovuto a un calcolo, ma alle facoltà d’intuizione, di
proiezione e d’immaginazione […] (L’immaginazione) è la sola forza
capace di far saltare i legami della “costrizione temporale”, poiché siamo
tutti marcati, assai più profondamente di quanto noi crediamo, dallo stile e
dallo spirito della nostra epoca, e ciò influenza ogni nostro concetto sulle
evoluzioni future.
[…] (La futurologia) deve ammettere nella cerchia delle sue
considerazioni l’inaudito, l’imprevisto, l’elemento inconcepibile.
Così facendo, si urta però in un paradosso. Infatti, se noi conosciamo
quello che deve avvenire, il futuro fa già parte delle nostre conoscenze,
quindi del nostro presente: e allora non è più avvenire nel senso stretto
della parola.
7
7
Robert Jungk, L’immaginazione nella ricerca scientifica, in Furio Colombo / Benvenuto Cuminetti /
Antonio Martinelli (a cura di), Alternative, Bergamo: Minerva Italica, 1973, pp. 409-10. Il testo di
Jungk era contenuto in Il corriere Unesco, Firenze, n. 4, aprile 1971, pp. 12-13.
12
È a questo punto che si può introdurre il concetto di postmodernità. Jungk
ovviamente non ne parla, tuttavia lo spunto per prendere in considerazione la
questione è offerto proprio da una sua affermazione. Egli scrive che «siamo tutti
marcati, assai più profondamente di quanto noi crediamo, dallo stile e dallo spirito
della nostra epoca». Se il concetto che Jungk voleva indagare ed esplicare nel suo
articolo era quello di utopia, egli ci ha anche offerto inconsapevolmente una
definizione di ideologia.
Come si è detto all’inizio di questa introduzione, lo scopo che ci si è prefissi è
quello di dimostrare che Gravity’s Rainbow e Il pendolo di Foucault sono due
romanzi tecnologici. Che cosa significa? Innanzi tutto va fatta una precisazione.
Nelle pagine che seguono si parla spesso di tecnologia in senso stretto: un insieme di
applicazioni pratiche dei risultati della ricerca scientifica, che hanno lo scopo di
migliorare o rendere più facile la vita dell’uomo oppure, talvolta, di distruggerla. In
altre parti del testo, tuttavia, si parla anche di tecnologia in senso lato, cioè come di
un insieme di tecniche che portano alla costruzione artificiale di un’entità o di un
concetto.
8
Si tratta di un modo tipicamente postmoderno di intendere la nozione di
tecnologia, dove tecnologico è ciò che si oppone al naturale o, meglio, al
“naturalizzante”.
Quanto è stato appena detto, insieme con le osservazioni di Robert Jungk sopra
riportate, ci fa entrare subito nel merito dei contenuti del primo capitolo.
Nella prima sezione di questa tesi è stata abbozzata dapprima una storia del
concetto di postmoderno, dalla prima comparsa del termine fino ai giorni nostri;
dopodiché si è fatto cenno ad alcune perplessità insite in questa categorizzazione,
per poi passare a un’analisi della specificità del dibattito postmoderno in Italia e
negli Stati Uniti e del ruolo occupato da Gravity’s Rainbow e Il pendolo di Foucault
in tale dibattito. Si è sottolineato, in particolare, come il libro di Eco, per la sua
ricchezza semiotica e la sua scrittura barocca somigli più a Gravity’s Rainbow,con
il quale sembra condividere la stessa idea di un cosmo letterario intricato e
sovradeterminato, piuttosto che allo stile “neoclassico” e alla leggerezza di un Italo
Calvino. Sono stati quindi analizzati alcuni aspetti teorici delle due opere narrative e
8
Nel prosieguo della trattazione non si è fatta una distinzione terminologica tra le due accezioni
poiché, in genere, il contesto è sufficiente a chiarire il senso. Tuttavia, dove si è riscontrata una
possibile ambiguità si è cercato di essere il più possibile espliciti..
13
si è, infine, giunti al cuore del capitolo. L’affermazione fondamentale che qui è stata
fatta è che i due romanzi sono tecnologici perché sono due romanzi postmoderni e il
postmoderno è tecnologico, non solo perché ha la sua piena espressione in un’epoca
dominata dalla tecnologia, ma anche perché si avvale di tecniche che svelano sia i
meccanismi del racconto, sia il fondamento discorsivo della nostra idea di realtà.
Ciò che viene mostrato è l’artificialità e la convenzionalità di tali costruzioni, in
opposizione a una tendenza alla “naturalizzazione” che costituisce un portato
dell’ideologia che pervade la nostra società. Gli strumenti per decostruire
l’ideologia che determina i meccanismi della produzione discorsiva sono diversi: ci
sono l’ironia e la parodia, che con il loro potere desacralizzante e liberatorio
lavorano dall’interno delle costruzioni che si vogliono criticare; ci sono il pastiche e
la commistione dei generi, che svelano la convenzionalità delle classificazioni tra
arte bassa e alta e mettono in crisi la nozione di canone; c’è il sottile gioco
dell’ambiguità, che spazza via le opposizioni binarie per lasciare spazio alle
sfumature, alla “differenza”.
La tecnologia si configura, quindi, essenzialmente come discorso, mirato alla
costruzione di quegli schemi interpretativi in base ai quali noi dobbiamo esprimere i
nostri giudizi. La sedimentazione dell’insieme di questo tipo di discorsi porta alla
costruzione dello spazio ideologico in cui ci muoviamo e influisce pesantemente
anche sulle forme della scrittura. Per sfuggire a questa trappola, Gravity’s Rainbow
e Il pendolo di Foucault mirano a farci acquisire una nuova consapevolezza, che
deriva dalla conoscenza degli artifici per mezzo dei quali l’ideologia è introiettata (i
media, le istituzioni, gli stereotipi, ecc.).
L’idea di una natura discorsiva del reale, in cui la scrittura stessa può produrre il
mondo che racconta, invade anche la dimensione del soggetto, generando una
tecnologia dell’identità, che per esempio passa attraverso la costruzione culturale di
categorie come quelle di razza e genere. Perfino la storia è una costruzione, è una
strategia diversiva, come dice Pynchon nella citazione riportata all’inizio. La Storia,
con la “S” maiuscola, come la conosciamo noi, non è nient’altro che un racconto,
frutto di una serie di inclusioni ed esclusioni. Alla Storia ufficiale, Eco e Pynchon
sostituiscono, allora, la molteplicità delle storie possibili.
14
L’acquisizione di consapevolezza nei confronti del sistema ideologico in cui
siamo immersi è fondamentale anche per la comprensione del secondo capitolo,
dove si illustra in che modo i concetti della scienza, e in particolar modo della
fisica, facciano da sfondo all’universo narrativo di Gravity’s Rainbow e Il pendolo
di Foucault. Nei due romanzi si esprime specialmente una critica al modello
deterministico che ha attraversato l’Occidente a partire dal Seicento fino al suo
culmine nell’Ottocento positivista. Ciò è stato reso possibile dalla rivoluzione nel
paradigma scientifico che si è verificata agli inizi del Novecento, come conseguenza
dell’avvento della teoria della relatività e della fisica dei quanti. Queste nuove teorie
hanno minato alla base la concezione della fisica come modo di conoscenza
oggettivo, ponendo enfasi sull’attività dell’investigatore-interprete, riconfigurando
le categorie di spazio e tempo, introducendo nel discorso scientifico l’incertezza.
I nuovi concetti della fisica diventano così metafore e fondamenti per una nuova
metafisica, una metafisica dell’instabilità, priva di un centro, così come il pendolo è
privo di un punto fisso (o meglio ne ha infiniti). Questo discorso vale anche per la
termodinamica, che ha un peso rilevante soprattutto nella narrativa di Pynchon.
L’entropia, per lo scrittore statunitense, rappresenta al tempo stesso la morte,
causata dall’omogeneizzazione all’interno di un sistema globale, e la liberazione dal
sistema (“They”, “The Firm”) e dalla sua ideologia, un universo tecnologico
apparentemente chiuso e autocontrollato.
Nel capitolo 3 l’attenzione si è concentrata sulla presenza consistente, in
Gravity’s Rainbow e Il pendolo di Foucault, della tecnologia, intesa soprattutto
come tecnologia mediale. L’importanza di ciò risiede nel fatto che l’impatto dei
media è tale da modificare le modalità della comunicazione. La scrittura di Eco e
Pynchon si confronta allora con questi strumenti per esorcizzare il pericolo, insito in
loro, di una «narcosi che elimina la fatica di distinguere la rappresentazione e ciò
che è rappresentato».
9
I due autori non condannano a priori la tecnologia mediale,
né la accettano acriticamente; scelgono, invece, di sfruttarne le risorse, per liberarne
il potenziale creativo e, al tempo stesso, dissacrare gli stereotipi attraverso l’ironia
(la rivisitazione non innocente).
9
Alessandra Marzola, “Letteratura e media”, in Franco Marenco (a cura di), Storia della civiltà
letteraria inglese,UTET,Torino,1996,p.482.Cfr.anche,inquestatesi,ilparagrafo3.1“Unanuova
letteratura tra arte e tecnologia”, p. 120.
15
Ecco allora che il cinema, i fumetti, il computer, la fotografia, come media di
secondo livello rispetto alle pagine dei due romanzi, contribuiscono a creare piani
distinti nella narrazione, moltiplicano i punti di vista, producono salti nell’ordine
spazio-temporale e contemporaneamente smascherano gli archetipi della nostra
cultura.
Legata a doppio filo con la tecnologia dell’informazione (e con quella distruttiva
delle armi) è una scienza relativamente nuova: la cibernetica. Nata negli anni
Quaranta per opera di alcuni scienziati, tra cui Norbert Wiener, che detiene la
paternità del nome, essa rappresenta l’estremo tentativo di reazione al probabilismo
e all’incertezza introdotti nella scienza dalle nuove teorie fisiche.
La cibernetica è in Pynchon il corrispettivo tecnologico della paranoia, che
tende a vedere connessioni in tutto. Essa tenta inoltre di leggere il comportamento
dell’uomo come se quest’ultimo fosse una macchina. Ed, infatti, sia in Gravity’s
Rainbow sia nel Pendolo di Foucault, sono moltissimi i riferimenti a individui
totalmente o parzialmente automatizzati o sui quali la tecnologia si è innestata quasi
come in una forma di colonialismo.
Nel finale del capitolo si sono analizzate, poi, alcune prospettive pessimistiche
legate a un’apocalisse nucleare o a un possibile declino causato dalla dispersione
entropica nella società dell’informazione. Questo non significa, tuttavia, che Eco e
Pynchon nutrano una totale sfiducia nella tecnologia. Come si è già visto essi non
sono né apocalittici né integrati, né arcadici né tecnofili.
Tra le diverse tecnologie e forme di comunicazione del mondo contemporaneo,
si è scelta, infine, quella informatica. In particolare, nel capitolo 4, si è cercato
d’individuare all’interno di Gravity’s Rainbow e Il pendolo di Foucault, quegli
elementi che ci permettono di considerare questi due romanzi come delle
prefigurazioni letterarie della narrativa ipertestuale, dove con il termine ipertesto si
è definito un testo composto di frammenti connessi tra loro da collegamenti che
consentono la creazione di percorsi multipli. Si è visto che tali tratti possono essere
riconosciuti sia a livello tematico sia a livello stilistico. Sul piano tematico si può
riscontrare che i protagonisti dei due romanzi di Eco e Pynchon usano la semiosi
ermetica e la paranoia per connettere eventi tra i quali non esiste, o non è
dimostrabile, alcuna relazione. Da un punto di vista metaforico si ha un ricorso alla
16
combinatoria, che si serve del computer e della Cabala in Il pendolo di Foucault,dei
tarocchi e ancora della Cabala in Gravity’s Rainbow. Per quanto concerne il piano
stilistico, la struttura reticolare dei due testi è quasi evidente: essi sono scomposti in
numerose unità minimali (racconti, file, ecc.) che costituiscono i nodi della rete
ipertestuale, mentre rimandi, citazioni e altri stratagemmi realizzano i collegamenti
tra questi nodi.
Quello che si viene a creare è così una sorta di labirinto rizomatico, dove ogni
punto è connesso con tutto, e dove il lettore si trova totalmente disorientato.
17
Capitolo 1
THOMAS PYNCHON E UMBERTO ECO:
LA TECNOLOGIA DEL POSTMODERNO
1.1 Che cos’è il postmoderno
1.1.1 Sulle origini del postmoderno
Il termine postmoderno comincia a circolare, come etichetta di un movimento,
agli inizi degli anni Settanta, ma la parola “postmodernismo” è usata negli Stati
Uniti già intorno alla fine degli anni Cinquanta dai critici Irving Howe e Harry
Levin. Tuttavia in questo periodo l’accezione del termine è prettamente negativa, a
porre l’accento sulla stanchezza, il ripiegamento, l’esaurimento delle forme
espressive della modernità,
1
in definitiva la fine della grande letteratura sperimentale
sotto l’incombere della cultura di massa. La valenza positiva inizia a emergere negli
anni Sessanta, con l’esplosione della Pop Art, della letteratura cult di Genet,
Kerouac, Burroughs e Barthelme, della poesia beat, delle opere di William Gass,
Kurt Vonnegut, John Barth, John Hawkes e Thomas Pynchon, della musica di John
Cage, dei saggi di Norman O. Brown e Marshall McLuhan. Si registra una vera e
propria ribellione nei confronti della cultura modernista, ritenuta elitaria e
conservatrice, e sull’onda di una vera e propria rivolta sociale e di costume, si
cominciano a mescolare nei testi le «immagini e le movenze della cultura
popolare».
2
In particolare il provocatorio critico Leslie Fiedler annuncia la morte
dell’avanguardia, divenuta una moda incapace di scioccare, e l’inizio di una
1
Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno, (1997), Torino: Bollati Boringhieri, 1998, p. 30.
2
Ivi, p. 31.
18
«postcultura». In “Cross the Borders, Close the Gap”
3
egli sancisce la caduta di ogni
distinzione tra arte di élite e arte di massa. Dello stesso segno sono anche le
considerazioni di Susan Sontag che, in “Against Interpretation”,
4
sfida i confini
convenzionali tra cultura bassa e alta e, in “Notes on «Camp»”,
5
si attesta come
principale teorica dell’estetica camp.
In Italia, nello stesso periodo, il Gruppo ‘63 è invece alle prese con la
neoavanguardia, ancora lontano da una discussione sul postmoderno: basti pensare
alle posizioni sullo strutturalismo e l’arte colta espresse in Opera aperta (1962)
6
di
Umberto Eco. Ma i germi di un cambiamento si avvertono già e portavoce ne è lo
stesso Eco che, in Apocalittici e integrati (1964),
7
avvia una polemica contro le
distinzioni tra i livelli della fruizione culturale.
Non va inoltre dimenticata l’adesione realmente euforica al postmoderno in
architettura. Personaggi come Robert Venturi salutano con gioia l’opposizione della
superficie alla profondità, la possibilità di creare mondi completi, il continuo gioco
delle rifrazioni.
Negli anni Settanta, mentre molti scrittori considerati postmoderni cominciano o
continuano a scrivere le loro opere più paradigmatiche (Gravity’s Rainbow di
Thomas Pynchon è del 1973), teorici come Ihab Hassan e William Spanos
propongono i loro studi organici impregnati di entusiasmo. In particolare con Hassan
si hanno il battesimo vero e proprio del postmoderno in letteratura e i primi tentativi
di ricostruzione storica del fenomeno. In “POSTmodernISM: a Paracritical
Bibliography”
8
egli lancia una battaglia per il cambiamento (change), proponendo in
maniera provocatoria un nuovo canone e contrapponendo alla seriosità della grande
letteratura i valori della cultura popolare e di consumo.
Intanto si vanno fondando anche riviste come Critical Inquiry, Diacritics e
Boundary 2 (quest’ultima per opera di William Spanos), che affrontano da vicino le
3
Leslie Fiedler, “Cross the Borders, Close the Gap”, Playboy, December 1969, pp. 151, 230, 252-254,
256-258. Poi incluso nel secondo volume di Leslie Fiedler, Collected Essays, 2 volumes, New York:
Stein and Day, 1971.
4
Susan Sontag, “Against Interpretation”, in Against Interpretation: And Other Essays,NewYork:
Farrar, Straus and Giroux, 1964.
5
Susan Sontag, “Notes on «Camp»”, in Against Interpretation: And Other Essays,cit.
6
Umberto Eco, Opera aperta, Milano: Bompiani, 1962.
7
Umberto Eco, Apocalittici e integrati, (1964), Milano: Bompiani, 1984.
8
Ihab Habib Hassan, “POSTmodernISM: a Paracritical Bibliography”, New Literary History 3,no.1
(Autumn 1971), pp. 5-30. Poi incluso in Ihab Habib Hassan, Paracriticisms: Seven Speculations of the
Times, Urbana, Illinois: University of Illinois Press, 1975.
19
problematiche del postmoderno e le diffondono. Spanos stesso, nel saggio “The
Detective and the Boundary: Some Notes on the Postmodern Literary Imagination”,
9
si pone in aperta polemica con il New Criticism, parlando di disintegrazione del
soggetto, del mondo e della società, e di apertura dei testi, con il rifiuto della fine e
della trama obbligata. In Italia, invece, Umberto Eco entra nel vivo del discorso sul
postmodernismo, prima con testi teorici come Il superuomo di massa,
10
votato alla
difesa della narrativa di consumo, e poi con il suo primo romanzo, Il nome della
rosa,
11
cui sono seguiti Il pendolo di Foucault,
12
L’isola del giorno prima,
13
Baudolino
14
e La misteriosa fiamma della regina Loana,
15
oltre a numerosi saggi
critici e scritti occasionali.
Dagli anni Ottanta a oggi la discussione intorno al postmodernismo prosegue
grazie a studiosi come Fredric Jameson, Linda Hutcheon, Andreas Huyssein,
Edward Said, David Harvey e Terry Eagleton. Nel nostro paese si diffonde, grazie a
Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, la teorizzazione del pensiero debole, come
pensiero senza fondamenti, aperto all’interpretazione e liberato dai condizionamenti
del determinismo, e si va delineando la visione di una società pluralista, descritta da
Vattimo in La fine della modernità
16
einLa società trasparente.
17
Nell’Italia degli
anni Ottanta ormai si respira il clima postmodernista, come testimonia anche
l’antologia del 1984 dal titolo Postmoderno e letteratura,
18
acuradiPeterCarravetta
e Paolo Spedicato. Negli anni Novanta a questa linea si aggiunge una linea
“sensistico-irrazionalista”, fondata sull’autonomizzazione della conoscenza sensibile
rispetto alle sfere intellettuali, che si ritrova nei testi di Mario Perniola, da Del
sentire
19
a Il sex-appeal dell’inorganico.
20
9
William V. Spanos, “The Detective and the Boundary: Some Notes on the Postmodern Literary
Imagination”, Boundary 2, 1 (1972), pp. 147-168. Il saggio è stato poi incluso in William V. Spanos,
A Casebook on Existentialism 2, New York: Thomas Y. Crowell, 1976.
10
Umberto Eco, Il superuomo di massa, Roma: Cooperativa Scrittori, 1976.
11
Umberto Eco, Il nome della rosa,cit.
12
Umberto Eco, Il pendolo di Foucault,cit.
13
Umberto Eco, L’isola del giorno prima, Milano: Bompiani, 1994.
14
Umberto Eco, Baudolino, Milano: Bompiani, 2000.
15
Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, Milano: Bompiani, 2004.
16
Gianni Vattimo, La fine della modernità, Milano: Garzanti, 1985.
17
Gianni Vattimo, La società trasparente, Milano: Garzanti, 1989.
18
Peter Carravetta / Paolo Spedicato (a cura di), Postmoderno e letteratura, Milano: Bompiani, 1984.
19
Mario Perniola, Del sentire, Torino: Einaudi, 1991.
20
Mario Perniola, Il sex-appeal dell’inorganico, Torino: Einaudi, 1994.
20
Negli ultimi anni, infine, la discussione si è focalizzata sulla questione del
canone, con gli attacchi delle minoranze alla tradizione occidentale. Ecco allora che
viene sentita la necessità forte di una ridefinizione di tale canone, per la quale
giungono gli apporti delle nuove branche degli studi critici, quali cultural studies,
critica femminista, gay and lesbian studies, gender studies, queer studies.
1.1.2 Il dibattito filosofico
Per quanto concerne il dibattito filosofico sul postmodernismo, esso affonda le
sue radici nell’ambito del nichilismo e della crisi della ragione e principalmente nel
pensiero di Nietzsche, Heidegger e Gadamer, fautori di una filosofia del sospetto, al
centro della quale non sta tanto la “realtà” ma l’ermeneutica. In particolare, è il
pensiero di Heidegger (e la sua tradizione di quello di Nietzsche) che stabilisce uno
iato netto tra il pensiero e le cose, separazione che per il filosofo tedesco è insita
nell’essere (inteso come categoria metafisica). Heidegger inoltre introduce nel
proprio discorso dei riferimenti alla tecnologia e alla scienza, che denotano tuttavia
una visione piuttosto negativa, in particolare laddove si avverte come l’umanesimo
si sia «divinizzato attraverso la tecnologia».
21
Contro la razionalizzazione insita in ogni sviluppo scientifico e
tecnologico, la verità sta nella dimensione ermeneutica che induce a
riflettere sull’esistenza dell’«essere» in un processo aperto e infinito.
22
Ciò che si evince da queste considerazioni di Margherita Ganeri riguardo a
Heidegger, è l’uso che questi fa del termine tecnologia, nell’accezione comune di
processo produttivo e applicazione concreta di risultati della ricerca scientifica. A
questa tecnologia e alla razionalizzazione scientifica egli oppone la dimensione
dell’arte come luogo privilegiato dell’ermeneutica. Il filosofo tedesco certamente
non possiede ancora la concezione di una tecnologia intesa come strategia di
costruzione della realtà e dell’identità. Per questo bisogna almeno attendere gli scritti
dei teorici francesi e tutto ciò che essi hanno generato (per certi aspetti si pensi, ad
21
Margherita Ganeri, Postmodernismo, Milano: Bibliografica, 1998, p. 21.
22
Ivi, pp. 21-22.
21
esempio, al concetto di tecnologia del gender in Teresa De Lauretis).
23
Anche
rimanendo nell’ambito di una concezione più “tradizionale” della tecnologia,
l’atteggiamento di Heidegger nei confronti di quest’ultima resta in ogni caso di
opposizione. Siamo, quindi, ancora ben lontani da una possibile unità di arte e
scienza o arte e tecnica, così come lo siamo da un uso “postmoderno” del termine
tecnologia.
Un ulteriore avvicinamento al pensiero postmoderno si ha, comunque, con Hans
Georg Gadamer che, in Verità e metodo,
24
sferra un attacco al paradigma cognitivo
scientifico basato sul metodo. Per lui «la verità è intrinseca al pensiero e al
linguaggio».
25
La significazione linguistica non designa le cose, legate a
un’esperienza di «precomprensione irriflessa» e di «pregiudizio», ma si
dispone come pratica infinita di destrutturazione-ristrutturazione del
senso, in un «circolo ermeneutico» disancorato da ogni oggettività.
26
Nietzsche, Heidegger e Gadamer sono anche i riferimenti dell’area filosofica
francese negli anni Sessanta e Settanta, entro la quale, con Jean-François Lyotard,
Michel Foucault e Jacques Derrida si ha la vera e propria genesi del dibattito. Il
primo a usare la parola “postmoderno” è stato Lyotard, autore su commissione de La
condizione postmoderna.
27
In questo libro la crisi postmoderna viene identificata
con la fine delle grandi narrazioni, cui si sostituiscono i discorsi eigiochi linguistici.
La scoperta della dimensione pragmatica delle scienze rivela che il sapere in
generale non si riduce alla scienza e nemmeno alla conoscenza.
23
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, Milano: Feltrinelli, 1996. Penso in
particolare al capitolo “La tecnologia del genere”, pp. 131-63.
24
Hans Georg Gadamer, Verità e metodo,(Wahrheit und Methode: Grundzüge einer philosophischen
Hermeneutik, 1960), Milano: Bompiani, 2001.
25
Margherita Ganeri, Postmodernismo,cit.,p.22.
26
Ivi.
27
Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere,(La condition
postmoderne. Rapport sur le savoir, 1979), Milano: Feltrinelli, 1981. Il testo fu commissionato dal
Conseil des Universités, agenzia governativa del Québec (Canada).