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vicende de La notte dei morti viventi o di Non aprite quella porta, paiono avere bisogno
di forme sempre nuove per poter comunicare con le nuove generazioni di spettatori.
In questa analisi si è cercato poi di trattare il genere horror non solo come genere
autonomo, ma anche in relazione ad altri con i quali sempre più spesso viene ibridato. In
particolare, in questo lavoro si fa riferimento alla contaminazioni con stili e
sceneggiature tipiche del thriller. Tale commistione è senz’altro uno dei tratti più
interessanti rilevati, poiché essa è alla base non solo delle pellicole asiatiche, che hanno
monopolizzato l’offerta horror degli ultimi anni, ma anche dei prodotti americani più
originali. Questo fenomeno mi pare infine possa rappresentare uno degli spunti più
interessanti proposti nell’ultimo decennio, e la chiave di lettura più esatta dello sviluppo
moderno dei generi narrativi.
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CAPITOLO I
RI-NARRARE LA TRADIZIONE
1.1 Tornano i mostri (classici)!
Dopo i grandiosi fasti dell’horror degli anni settanta e l’inflazione numerica di
produzioni che caratterizzarono gli anni ottanta, negli anni novanta ci si aspetta una
svolta nel genere, svolta che in quegli anni arriverà solo in parte. Questo decennio vede
infatti nel suo inizio solo una serie di remake di soggetti già massicciamente sfruttati dal
genere horror. Si assiste pertanto ad un considerevole ritorno di cari vecchi mostri che
già avevano conosciuto la gloria negli anni cinquanta con le produzioni Universal ed
Hammer.
E’ Francis Ford Coppola a riportare in vita nel 1992 forse quello che è il mostro
più proficuo della storia del cinema che vanta inelencabili realizzazioni. In Dracula di
Bram Stoker (Bram Stoker's Dracula, Usa 1992) di Francis Ford Coppola, il regista si
propone, come il titolo suggerisce, di compiere la trasposizione più fedele del
celeberrimo testo di Stoker. Il film si articola su un continuo shifting tra opposti: passato
e “presente”, vecchiaia e giovinezza, orrore e romanticismo che riflettono appieno
l’animo di questo Conte Dracula, così in conflitto fra la sua natura demoniaca, l’amore
per la giovane Nina, la rabbia per la sua vita mortale e la sua frustrazione per quella di
vampiro. La figura di Dracula è dunque un ossimoro
1
. Il film si avvale di una fotografia
1
Cfr. F. MORETTI, Dialettica della paura, in «CALIBANO», n. 2/2, Savelli Editore, Roma 1992, p. 79.
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molto ben curata che passa da atmosfere cupe e gotiche a toni caldi e luci soffuse quasi
romantiche. Parte della critica
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ha messo in evidenza come elemento innovativo di
questo film il fatto che esso trattasse il tema della sensualità in maniera molto più
esplicita rispetto a quanto era stato fatto nelle altre trasposizione, il mio personale parere
è che sia necessario considerare quanto e come in quarant’anni i costumi siano cambiati
e che Coppola non inserisca nulla di più innovativo di ciò che si poteva vedere all’epoca
della realizzazione del film in altre meno osannate pellicole e che non poteva essere
certamente osato nelle vecchie produzioni.
Coppola produce poi Frankenstein di Mary Shelley (Mary Shelley's Frankenstein,
Usa 1994) di Kenneth Branagh. Anche in questo caso la fedeltà al testo promossa dal
titolo vede le dovute eccezioni: se da un lato, infatti, si introducono episodi inediti
dall’altro si modificano eventi, il tutto in nome di una volontà di creare un’opera horror
moderna, intento che però non trova il completo raggiungimento. Il film è molto cupo e
l’interpretazione di De Niro nelle vesti della Creatura ispira solo ed esclusivamente
compassione mai orrore come invece accadeva nelle vecchie trasposizioni.
Se questi due film potevano fare conto su un’ottima regia e su un altrettanto
positivo lavoro scenografico, ciò non si può affermare per Wolf- La Belva è fuori (Wolf,
USA 1994), di Mike Nichols che riporta in auge l’anch’essa inflazionata figura
dell’uomo lupo, interpretato da Jack Nicholson, e cerca di trasporla in un’ambientazione
moderna. Il film ha alte ambizioni, si vuole da un lato tentare una critica alla cinica
società americana dell’arrivismo, dall’altro il film cerca di intrattenere il pubblico con
dialoghi da commedia. Tali ambizioni non sembrano però trovare una riuscita completa
2
Cfr. I. BIGNARDI, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 87 e segg.
Cfr. F. LA POLLA, Dracula di Bram Stoker, in «CINEFORUM», n. 321, Federazione Italiana
Cineforum, Bergamo 1993, p. 15.
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nel film Nichols che non conclude appieno ciò che propone e che fallisce anche sul
versante del ´brivido’ horror
Nel ’99 esce l’ennesimo rifacimento de La mummia (The Mummy, Usa 1999)di
Stephen Sommers. Film incatalogabile, che spazia dall’horror all’avventuroso, dal
fantasy al demenziale al videogame e che grazie ad un budget elevato si concede effetti
speciali veramente eccezionali degni del miglior lavoro di computer graphic. La
computer graphic negli ultimi anni ha compiuto cose inimmaginabili solo pochi anni
prima, consentendo di realizzare praticamente qualsiasi cosa. Viene spontaneo chiedersi
se effetti speciali e scene roboanti possano bastare a decretare il successo di un film che
appare al livello qualitativo decisamente mediocre. Dalla massiccia produzione di film
similari che il panorama cinematografico offre attualmente, parrebbe di sì e che anzi
questi film stiano creando un genere a sé i cui leit motifs siano spettacolarità, effetti
speciali e rimescolamento totale dei generi, il tutto nel tentativo di creare una pellicola
superficiale ma piacevole, inconsistente ma spassosa, un mero prodotto di
intrattenimento senza alcuna pretesa. A mio parere il successo di questi film sta nel
nuovo adattamento che viene dato al vecchio mostro, che ne rinnova l’archetipo
rendendolo più fruibile e più moderno allo spettatore moderno che non conosce gli
originali. Inoltre, nonostante queste pellicole approfondiscano la figura del mostro
umanizzandola, non presentano, per lo spettatore, problemi morali. Il mostro è
riconoscibile da subito ed è il male contro il quale si contrappongono gli eroi. In questo
senso, la soddisfazione delle aspettative del fruitore contribuisce alla migliore
‘vendibilità’ del film.
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1.2 «...e dopo cosa succede?» Il sequel
Tra le varie tendenze dell’attuale panorama cinematografico resiste, instancabile,
la produzione di sequel.
L’ultimo (per ora) episodio de La bambola assassina (Child's Play, Usa 1988) di
Don Mancini, intitolato La sposa di Chucky (The Bride of Chucky, Usa 2000) di Ronny
Yu, ci pare un ottimo esempio di questa tendenza La sceneggiatura è firmata proprio da
Don Mancini, creatore della serie che vede protagonista il bambolotto posseduto
dall’anima di uno spietato serial killer. L’intento dello sceneggiatore e del regista
Ronny Yu era quello di reinventare un film che avesse gli stessi preziosi ingredienti che
resero famosa la prima serie ma che potesse al contempo rilanciarla e rinnovarla, così
all’horror e all’humor nero già presenti nei precedenti episodi è stato aggiunto un
pizzico di romanticismo ed una rinnovata vena splatter. Questa coraggiosa quanto
stravagante idea ha reso La sposa di Chucky non solo qualitativamente superiore agli
altri sequel e paragonabile al primo episodio, ma anche una delle pellicole horror più
spassose e divertenti di tutti i tempi. Il film sembra proporsi come una parodia del
genere e della stessa saga. Il titolo richiama alla mente le produzioni della Universal
degli anni ’50 in cui comparivano mogli e figli dei famosi mostri. Mereghetti
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vi trova
un’implicita citazione di Assassini nati (Natural Born Killers, Usa 1994) di Oliver
Stone, ma ve ne sono altre più dirette da Halloween (Usa 1978) di John Carpenter e la
più gustosa forse è quella dell’uomo trafitto dai chiodi che ricorda molto Pinhead della
saga Hellraiser (Usa 1987) di Clive Barker. Le inquadrature delle sequenze finali sono
inoltre un omaggio alle pellicole anni ’30, con tanto di fulmini sullo sfondo. In questo
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film mi pare sia evidente la volontà di distaccarsi quasi del tutto dal genere horror per
imboccare definitivamente la strada della commedia e del comico rivitalizzando una
serie che era oramai segnata da una meccanica ripetitività.
Si sarebbe invece potuto fare volentieri a meno di Jason X- morte violenta (Jason
X, Usa 2003) di James Isaac, che delinea, nel decimo episodio della saga di Venerdì 13
(Friday the 13
th
, Usa 1980) di Sean S.Cunningham, una trasposizione futuristica di
Jason Voorhees ambientata nello spazio e piacevolmente trash. L’idea di Jason nello
spazio non propone niente di nuovo ed è un espediente molto usato dal cinema horror:
quando non si sa più a quali situazioni sottoporre i mostri li si spedisce nello spazio, su
un altro pianeta o nel passato, in un luogo comunque in cui la loro fama non possa
precederli. Il guaio è che gli spettatori invece sanno cosa li aspetta e il film non fornisce
loro nessuna innovazione se non l’introduzione di una vena ironica. Ciò che di questo
film poteva interessare è l’approccio di Jason con le nuove tecnologie e con la realtà
virtuale, approccio estremamente deludente perché il protagonista ne risulta quasi
inebetito.
Lo stesso anno reduce dal successo ottenuto de La sposa di Chucky, Ronny Yu
venne chiamato a rinverdire i fasti di due delle icone che più hanno segnato il cinema
horror (Freddy Krueger e Jason Voorhees) nell’imperdibile scontro Freddy vs. Jason
(Usa 2003), di Ronny Yu, che si traduce nel puntuale bagno di sangue e nell’ennesima
ecatombe di giovani di belle speranze. Questo incontro si presagiva già dall’ultima
scena di Jason va all’inferno (Jason Goes to Hell: The FInal Friday, Usa 1993) di
Adam Marcus, in cui il corpo del protagonista viene trascinato nelle viscere della terra
dal guanto di Krueger.
3
Cfr. P. MEREGHETTI, Il Mereghetti, dizionario dei film 2004, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano