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Introduzione
L’attuale società liquido moderna propone uno scenario
dinamico e temporaneo in cui sia la concezione
d’individualità, quanto quella di spazialità e temporalità
vengono ridimensionate costantemente. Internet, rappresenta
non più uno spazio separato dalla realtà, ma un’estensione in
cui diversi strati d’informazioni s’incrociano, si
sovrappongono e arricchiscono l’interazione sociale
dell’individuo. Grazie alle piattaforme di social networking, è
possibile la condivisione e la nascita di nuove forme di
comunità che oltre a condividere, cooperano e collaborano
producendo un fenomeno grassroot in grado di
decentralizzare la tradizionale cultura mainstream.
Fashion blabla intende studiare il concetto moda,
focalizzando l’attenzione al processo evolutivo di tale sistema
in termini digitali, in vista dei nuovi media e al ruolo assunto
dal soggetto in tale processo esegetico. Il buzz generato in
Rete da parte degli utenti, cambia il modo di comunicare quei
valori che fino a poco tempo fa sono stati veicolati
esclusivamente dai media mainstream. Nasce la figura del
fashion blogger, il quale attraverso il suo spazio attiva un
WOM in grado di attirare l’attenzione sia degli appassionati
di moda sia quella dei brand che adattano la propria
comunicazione aziendale in vista di tali personalità. I fashion
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victim s’identificano nella figura del blogger, tanto da
celebrarlo come icona in grado di dettare mode e di svolgere
un’influenza sulle scelte ed opinioni altrui. La partecipazione
allo spazio da parte dei followers dimostra inoltre la forte
socialità elettiva e il clima partecipativo che viene a crearsi
tra queste soggettività, membri di una medesima comunità:
quella dei fashion addicted. I brand, studiano questi spazi sia
per ottenere maggiore visibilità sul proprio target di
riferimento, quanto per studiare i nuovi trend in uso e
rimanere in costante aggiornamento sulle nuove tendenze.
Il repentino cambiamento di carattere consumistico avviato
negli anni Ottanta, ha reso sempre più difficile categorizzare
le scelte dei consumatori in un unico modello; si va pertanto
delineando una con-fusione tra gli un-branded e le
prestigiose maison. Il modello del fast fashion è l’esempio
del tentativo da parte delle imprese del settore di orientarsi
costantemente al consumatore finale, diminuendo il time to
market con la realizzazione di mini-collezioni al fine di
ridurre il rischio di mismatching. L’operosità di queste
aziende, che permette al fashion addicted di variare spesso
look a prezzi ridotti rispetto a quelli dell’haute couture, sta
raggiungendo quote di crescita superiori rispetto ai brand di
lusso. Seppur le iniziali ostilità provate da quest’ultimi nei
confronti del fast fashion, sono crescenti le collaborazioni che
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celebri couturier intendono istituire. Non solo, devono
adattare le proprie strategie «from couture to conversation»,
gestendo l’OBM e attuando un SMM allo scopo di
raggiungere un alto livello di digital IQ. L’elaborato, intende
presentare il fashion blogging come fenomeno che si sviluppa
a partire dal processo bubbling up del fan di moda con lo
studio di due casi italiani: the Blonde Salad e Irene’s Closet.
Partendo da un’analisi prettamente strutturale dei blog, si
cerca definire in termini di dinamiche e strategie l’attività di
queste figure, il ruolo da e-fluential rivestito nei confronti dei
followers a partire da una comunicazione peer-to-peer e il
rapporto con i brand del settore.
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1. Il potere della connessione
1.1. La nascita di Internet: dai media testuali al Web 2.0
«Mettiamo che le informazioni di tutti i
computer, dovunque si trovino, siano
collegate. Immaginiamo che io possa
programmare il mio computer in modo da
creare uno spazio in cui tutto è collegato a
tutto. Tutti i frammenti d'informazione di
ogni computer del CERN e sul pianeta
sarebbero a disposizione del sottoscritto e di
tutti gli altri. In questo modo otterremmo un
singolo spazio globale dell'informazione»
1
.
(Tim Berners Lee)
La serie d’intuizioni, influenze e conclusioni che
portarono alla definizione di uno dei più importanti medium
del XX secolo, Internet, non sono così lontane dalle
deduzioni alle quali era approdato qualche secolo prima
Eulero.
Il concetto di Rete, usato e abusato nell’epoca moderna,
nasce e si sviluppa già nella prima metà del 1700 quando il
matematico Leonardo Eulero propone la teoria dei grafi
(1736), per dimostrare il collegamento delle quattro zone
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della città di Königsberg divise da sette ponti. Questa teoria
matematica postula il grafo come un insieme di nodi (o
vertici) e spigoli ovvero link (ponti) tra i vari hub. Secoli
avanti, Tim Berners Lee identifica Internet, come un Giant
Global Graph in grado di unire i singoli nodi, siano persone,
oggetti o dati, in maniera intelligente ed efficace.
La nascita di Internet si colloca nel ventennio compreso
tra il 1969/89 quando, su iniziativa del Ministero della Difesa
degli Stati Uniti, prendono avvio le ricerche ARPA
(Advanced Reserach Projects Agency) al fine di erigere una
rete di computer che potessero comunicare tra loro anche in
caso di danneggiamento dovuto a casuali o premeditati
malfunzionamenti (attacchi nemici). Nato a scopi militari nel
periodo della Guerra Fredda (1945-1991), inizialmente col
nome di ARPANET, in realtà si dimostrerà essere più che
un’innovazione tecnica, una tecnologia sociale.
Da puro collegamento tra macchine, si svilupperà fino a
giungere a connettere persone. ARPANET avrebbe dovuto
garantire il passaggio d’informazioni tra server posti a
distanza, fatti comunicare attraverso il protocollo TCP/IP
(Transmission Control Protocol/Internet Protocol) e
l’architettura client/server. Sarà alla fine degli anni Ottanta
che Tim Berners Lee trasformò Internet da semplice Rete di
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server internazionali utilizzati in ambito specifico, al
fenomeno sociale ed economico conosciuto oggi.
«Enquire within upon everything: entrate pure per avere
informazioni su ogni argomento. Io considero il Web come
un tutto potenzialmente collegato a tutto, come un’utopia che
ci regala una libertà mai vista»
2
.
Nasce così il World Wide Web allo scopo di rendere la
consultazione dei dati disponibili più facile grazie allo
sviluppo di un’interfaccia in grado di esplorare in maniera
ipermediale i contenuti dei server che formano il Grafo
Mondiale. In termini pratici questo fu possibile grazie
all’utilizzo di un linguaggio (HTML- Hyper Text Mark-Up
Language) che fosse in grado di presentare su una pagina
bidimensionale degli oggetti contenuti su un server,
aggiungendo la possibilità di farli interagire tra loro e con
altre pagine mediante un “programma navigatore”, definito
Browser.
Osservando le potenzialità sociali di questo mezzo di
comunicazione, già negli anni Cinquanta del Novecento, altri
due matematici, Paul Erdös e Alfréd Rény studiarono la
nascita delle reti allargando il campo d’applicazione a svariati
settori, inclusa la società, composta di complessi legami e
interconnessioni. Erdös e Rény arrivano così a elaborare un
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modello di rete costruita secondo una connessione casuale di
nodi. Dato un insieme di nodi isolati e delle connessioni tra
un nodo e l’altro, emergono delle coppie di nodi;
aggiungendo link casuali si costituiscono dei gruppi isolati,
fino a giungere alla formazione di un cluster di dimensioni
elevate, in cui ogni nodo arriva ad avere almeno un link con
un altro nodo. Questi nodi avranno un nesso con gli altri,
divenendo qualcosa di qualitativamente superiore. Il risultato
che si viene a creare dalla relazione di questi hub può essere
paragonato all’interazione tra individualità che nell’atto di
comunicare con altri soggetti vanno a costituire qualcosa di
più delle singole parti che stanno interagendo.
Il Web nasce allo scopo di migliorare la nostra esistenza
reticolare nel mondo, posto che solitamente ci agglutiniamo
in famiglie, associazioni, aziende. A tal proposito gli studi
condotti da Stanley Milgram (1967), concettualizzano la
nozione di “mondo piccolo” fatto di una fitta ragnatela di
relazioni, dove ciascun individuo dista non più di sei link
dagli altri. L’indagine aveva l’obiettivo d’indagare quale
distanza vi fosse tra due cittadini americani scelti a caso in
termini di contatto: attraverso un sistema di lettere si cercava
di rilevare il numero di persone attraverso le quali passava la
lettera prima di arrivare al destinatario finale. Delle lettere
ricevute, la media dei link intermedi fu di 5,5 aggiustata poi
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in sei, un risultato importante se si pensi come nella grande
rete sociale la velocità delle connessioni fu così rilevata. Oggi
la teoria di Milgram viene applicata alla realtà del Web, una
rete sociale all’interno della quale ogni singolo individuo può
intrattenere relazioni con il “mondo esterno” e quindi con
persone a lui meno vicine. Questi legami, definiti deboli,
consistono in rapporti tra soggetti conoscenti, lontani
dall’ambiente familiare, amicale (che prevede invece dei
legami forti) e sono stati trattati dal sociologo statunitense
Mark Granovetter, il quale esplica la forza potenziale di
questi rapporti, instaurati con conoscenti, al fine di stabilire
una relazione tra i fitti cluster che definiscono la rete della
società. All’interno di questa struttura reticolare è necessario
porre l’attenzione ai connettori, nodi con un numero di link
molto elevato, che permettono un’alta possibilità di creare
mode e tendenze, diffondere usanze e concludere affari
importanti all’interno della rete sociale
3
. In genere,
nell’ambiente reale si contano pochi hub o connettori
collegati ad un ampio bacino di persone. Nella realtà del
Web, allo stesso modo, un numero finito di hub permette il
collegamento di un vasto pubblico di utenti. A questo
proposito, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, il
sociologo statunitense Albert-Lázlό Barábasi, introdusse i
concetti di reti ad invarianza di scala e leggi di potenza; nel
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primo viene considerato il grado di fitness, cioè la durata e il
livello di adeguatezza di un nodo all’interno della rete. I nodi
più vecchi avranno un netto vantaggio su quelli più recenti e
poiché si parla di un ambiente fortemente competitivo, solo
quelli che risulteranno efficaci e in grado di rispondere a
esigenze concrete riusciranno ad aver successo. Secondo la
legge di potenza, a fianco di tanti piccoli eventi se ne trovano
altri infinitamente più grandi; ovvero a fianco di moltissimi
nodi con un numero “normale” di link, se ne trovano alcuni
che ne possiedono un numero infinitamente più grande.
Le parole-chiave in grado di definire in maniera riassuntiva
questo strumento sono innovazione e crescita; questo perché
si trova in una fase di continuo mutamento e di
miglioramento che lo porta ad espandersi notevolmente
grazie al numero sempre maggiore di persone che lo
utilizzano. Il fenomeno è il sintomo del transito dal disordine
all’ordine, dal caos a una gerarchia funzionale con qualche
scopo (quale esso sia). Per di più, si aggiungono delle
modalità d’uso specifiche: la semplicità d’utilizzo e la facilità
nella produzione e scambio d’informazioni. Questo è
possibile grazie alla sua usabilità e all’aspetto interattivo che
permette una “navigazione partecipata” abbassando la soglia
di conoscenza dei linguaggi informatici: chiunque è in grado
di produrre materiale (si parlerà in questo caso di user
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generated content) e condividerlo con altri utenti grazie a
queste piattaforme. Nel corso degli anni la struttura
tecnologica di Internet è rimasta pressoché invariata, tuttavia
si possono identificare tre fasi di sviluppo, grazie
all’evoluzione in termini di potenzialità delle nuove
interfacce, che hanno garantito agli utenti un livello maggiore
di presenza e di presenza sociale. I due concetti di presenza
sono stati elaborati nel 1976 dalle scienze cognitive che si
sono occupati cognizione incarnata (embodied cognition). Le
ricerche svolte per analizzare la qualità dell’interazione
mediale hanno alla base l’idea dell’esperienza corporea.
Utilizzando le riflessioni di Maurice Merleau-Ponty
4
, il corpo
è strutturato su un dualismo che lo vede contemporaneamente
come l’unione di una struttura fisica (corpo biologico) e di
una esperienziale (corpo che vive, si muove, sente). Pertanto
l’embodied cognition verte da una parte sui processi cognitivi
che si sviluppano nel substrato neuroanatomico del cervello,
dall’altro evidenzia come questi derivino dalla nostra
esperienza corporea quotidiana. L’efficacia della
comunicazione si fonda proprio su queste due abilità: l’“esser
qui” e l’“essere insieme ad un Altro”, che si contestualizzano
all’interno della teoria dell’interazione situata insieme al
concetto di affordance. La presenza è la capacità di attuare le
proprie intenzioni, ovvero la sensazione di “essere qui”
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(being there
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), mentre la presenza sociale consiste nell’abilità
di comprendere le intenzioni degli altri e quindi la sensazione
di “essere insieme ad un Altro”. Quanto più un medium è in
grado di offrire un maggiore livello di presenza e presenza
sociale, tanto più verrà definito affordance, una risorsa che
l’ambiente offre a un soggetto
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, ovvero un invito
dell’ambiente ad essere utilizzato in un certo modo.
Inoltre, sulla base delle nozioni di questa teoria, è possibile
spiegare il processo evolutivo di Internet, che consiste nel
cross di fasi consequenziali: dai media testuali al Web 2.0.
Posto che un maggior livello di presenza e presenza sociale
aumenta le opportunità offerte all’utente in Rete, il primo
stadio si incentra sui media testuali che permettono di
realizzare una comunicazione de-spazializzata e a-sincrona.
Ciò comporta la possibilità di sviluppare delle comunità
virtuali, sulla base di interfacce di testo, senza costrizioni
dovute ai confini spazio-temporali
7
.
Questo primo step evidenzia un progresso della presenza
sociale: dalla posta elettronica che ha permesso la
comunicazione asincrona, al riconoscimento della presenza
dell’Altro attraverso la compresenza temporale dei soggetti
comunicanti
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previsto dalla chat.
Il secondo stadio, il Web (1.0), attraverso le interfacce
grafiche di T.B Lee, ha consentito l’accesso alle
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iperinformazioni (intendendo con queste un maggior numero
d’informazioni rilevanti) prima disponibili esclusivamente a
coloro che possedevano specifiche competenze. Diffuso negli
anni Novanta del Novecento, consiste di siti web
prevalentemente statici, con i quali l’utente non ha alcuna
possibilità d’interagire, eccetto la possibilità di navigare tra le
pagine, utilizzare i motori di ricerca o le mail. Questa fase è
profondamente caratterizzata da un’attività tematica da parte
di alcuni partecipanti/produttori e dei cosiddetti osservatori
partecipanti definiti lurkers, utenti che regolarmente
esplorano i contenuti senza interattività.
Nel 2004 viene introdotta la locuzione “Web 2.0” (terza fase
evolutiva) dalla casa editrice americana O’Reilly Media. Il
Web 2.0 è una rete come piattaforma, con una forte carica
partecipativa. L’accezione indica pertanto l’evoluzione del
Worl Wide Web a favore di un’interazione sito-utente
mediante blog, forum, Social Networks (Facebook, Twitter,
Flickr, MySpace, ecc.), chat, sistemi quali Wikipedia, You
Tube ma anche social commerce, ovvero l’e-commerce dal
punto di vista interattivo basato proprio sulle piattaforme
sopra elencate.
A livello tecnico, il tempo di caricamento delle pagine
visualizzate, grazie all’apporto offerto dal linguaggio AJAX,
si è ridotto.