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INTRODUZIONE
Questa tesi vuole essere una riflessione sull‟importanza
dell‟ascolto nel processo di acquisizione e di sviluppo del linguaggio.
Il bambino, ripercorrendo lo sviluppo filogenetico della specie
umana, acquisisce prima la capacità di comunicare che quella di
parlare: egli comunica con il suo corpo prima che con la sua voce.
Per poter parlare, però, il bambino ha bisogno prima di tutto di
ascoltare: l‟ascolto è la prima meta della comunicazione linguistica,
soprattutto perché egli apprende le parole per imitazione dell‟uso che
ne fanno gli adulti.
Ascoltare è cosa ben diversa dell‟udire: non è un processo
passivo di semplice ricezione dei suoni ma di vera e propria “messa a
fuoco” di questi.
La disciplina che si occupa dello studio degli aspetti fisiologici
e psicologici dell‟udito è l‟audio-psico-fonologia che ha dimostrato
come il bambino sviluppi già nel grembo materno la facoltà di
ascoltare e di comunicare, e lo faccia a partire da quel suono
fondamentale rappresentato dalla voce della propria madre.
Crescendo, il bambino sovraccaricato da stimoli uditivi spesso
inutili perde la capacità di discriminare, selezionare e analizzare i
suoni, compromettendo non solo la propria capacità di comunicare ma
anche il proprio benessere fisico, psichico e sociale.
Alfred Tomatis, medico otorinolaringoiatra francese, è stato uno
dei più grandi ricercatori e studiosi nel campo della comunicazione,
del linguaggio e dell‟ascolto.
A lui va il merito di aver dimostrato come con la voce si riproducono
soltanto i suoni che si riescono realmente a percepire. Il suo metodo è
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volto pertanto a dimostrare come, modificando l‟ascolto e rieducando
l‟orecchio, anche la voce ne viene trasformata.
Lo studioso ritiene che l‟ascolto può essere migliorato
ripristinando le condizioni ottimali che il feto vive nel grembo della
propria madre. Il metodo Tomatis, attraverso una stimolazione sonora
simile a quella uterina fornita dall‟Orecchio Elettronico, mira a
riattivare proprio questi processi primitivi di ascolto, risvegliando nel
soggetto il desiderio di comunicare.
Attraverso la descrizione del metodo audio-psico-fonologico
ideato da Tomatis si cercherà di mostrare come molti disturbi del
linguaggio e della comunicazione infantile - balbuzie, dislalie,
difficoltà di articolazione dei suoni, difficoltà di espressione - e di
attenzione o di memoria siano attribuibili proprio ad una scarsa se non
inesistente capacità dei bambini di ascoltare, prima di tutto se stessi e
poi l‟universo che li circonda.
Molto spesso, però, questa loro lacuna è attribuibile alla superficialità
con cui gli stessi insegnanti affrontano il problema, soprattutto nella
scuola dell‟infanzia dove l‟apprendimento è incentrato quasi
esclusivamente sull‟oralità.
Il bambino, invece, è molto interessato e attento al mondo dei
suoni; egli ha più difficoltà a distinguere e capire la differenza tra
nome e verbo che quella tra suoni.
Bisognerebbe partire proprio da questa sua naturale predisposizione
per promuovere attività didattiche di ascolto attivo e di lettura ad alta
voce, volte a favorire una vera e propria immersione uditiva nei suoni
della lingua.
La stretta connessione tra ascolto, parlato e pronuncia dovrebbe
favorire la sensibilizzazione delle caratteristiche fonetiche della lingua
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nei piccoli apprendenti, poiché la capacità di riconoscere i suoni sta
alla base dello sviluppo del linguaggio: l‟orecchio è lo strumento del
linguaggio più che qualsiasi altro.
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CAPITOLO 1
LA COMUNICAZIONE NELLA PRIMA INFANZIA
La capacità di comunicare si sviluppa prima della capacità di
parlare. Gli studi sulla comunicazione non verbale, infatti, hanno
dimostrato come il bambino, durante la fase pre-linguistica, consegua
attraverso i linguaggi del proprio corpo, una competenza comunicativa
tale da consentirgli, sin dai suoi primissimi istanti di vita, di
rapportarsi a se stesso, agli altri, al mondo.
La parola infanzia deriva dal latino e significa mancanza di parola. Ma i
bambini molto piccoli sono esseri provvisti di voce anche se non parlano.
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L‟esperienza di contatto più precoce è quella relativa
all‟allattamento che rappresenta un momento di totale appagamento
per il bambino: il seno è infatti assunto come fonte esclusiva di
benessere.
La relazione madre-bambino rappresenta infatti la prima
occasione importante che il neonato ha di comunicare i propri stati
d‟animo al mondo esterno.
La vita comunicativa e affettiva del bambino si amplia con la
comparsa, intorno al terzo mese di vita, del sorriso al volto umano,
percepito come una Gestalt
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, una forma-segnale che si isola dallo
sfondo.
Solo in un secondo momento, con lo sviluppo della propria
capacità percettiva, il bambino sarà in grado di riconoscere in questa
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D. Morris, Il bambino-Tutti i perché, Milano, Mondatori, 1991, p. 178.
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Cfr. B. Malmberg, L’analisi del linguaggio nel XX secolo. Teorie e metodi, Bologna, Il Mulino,
1985, p. 118.
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forma-segnale prima il volto della propria madre con cui egli vive un
rapporto privilegiato, poi quello di tutti gli altri. Attraverso il suo
sorriso il bambino non fa altro che comunicarle gioia e gratificazione
arricchendo così il dialogo affettivo con essa.
In realtà il bambino riesce a riconoscere la propria madre
ascoltandone la voce che associa al suo volto.
Questa capacità è stata evidenziata da test sperimentali: a neonati di
tre mesi circa veniva mostrata la faccia e contemporaneamente fatta
ascoltare la voce sia della propria madre che di estranei. I test hanno
dimostrato che i bambini reagivano soltanto se si trattava della loro
madre.
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Nel sorriso infantile possono distinguersi tre differenti periodi:
il pre-sorriso o sorriso riflesso, il sorriso generico ed infine il
sorriso consapevole. Il sorriso riflesso compare addirittura a tre
giorni dalla nascita e permane per il primo mese di vita come reazione
riflessa, appunto, al suono di una voce acuta, ad un leggero solletico o
alla sensazione dello stomaco pieno. Il sorriso generico, invece,
compare all‟incirca alla fine del primo mese di vita ed esprime una
forma di saluto intenzionale del bambino che ha ormai maturato la
propria affettività, ma non ancora la propria capacità percettiva. Il suo
sorriso è, infatti, rivolto all‟apparire del viso di un adulto che non sia
necessariamente quello della propria madre. Il sorriso consapevole si
manifesta più tardi ed è rivolto esclusivamente alle persone che
occupano la sfera affettiva più intima del bambino. Gli estranei che
fino a qualche settimana prima riuscivano ad avvicinarsi al piccolo e
ad essere ricompensati da un suo sorriso, ora non fanno altro che
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Cfr. D. Morris, Il bambino, op. cit.
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provocare angoscia e delusione. Il bambino ha finalmente imparato a
riconoscere e distinguere le facce dei propri cari.
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Il pianto ha una modalità di comparsa inversa al riso: il
bambino piange come risposta all‟allontanamento della madre,
vivendo un vero e proprio stato di perdita e di dolore. In realtà i
neonati non piangono ma gridano e lo fanno per svariati motivi:
perché hanno fame o sonno, perché vivono un disagio fisico o un
senso di fastidio, per solitudine, per un senso di frustrazione
determinata anche da una scarsa o eccessiva stimolazione sensoria.
All‟età di nove mesi, con l‟arricchimento del proprio bagaglio di
emozioni, il bambino piange per comunicare uno stato di gelosia nei
confronti della madre che si avvicina ad un altro bambino.
Dal momento che il lattante non sa esprimersi verbalmente
ricorre a gesti, inviando intenzionalmente una serie di messaggi a chi
gli sta intorno.
Il gesto semplice o composto con funzione simbolica viene definito
emblema. Gli emblemi più semplici fanno il loro ingresso già nella
primissima infanzia così come le prime forme di saluto. Accanto ad
esse appaiono anche gli ostentatori d‟affetto, ossia gesti che
comunicano sentimenti quali gioia o paura e che implicano non
soltanto le espressioni del volto, come per la mimica, ma la
partecipazione di tutto il corpo. Alcuni tra i più tipici in questa età
sono il sorridere e tendere le braccia per essere presi in braccio,
oppure girare la testa in segno di inappetenza. In età più avanzata
iniziano a comparire anche gesti regolatori con il fine di mantenere
desta l‟attenzione dell‟interlocutore, e gesti illustratori che
sottolineano contenuti specifici; questi affiancano già la
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Cfr. Id. Il bambino.
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comunicazione verbale. Nelle varie fasce di età è possibile scorgere
adattatori che consentono al bambino di regolare il suo atto
comunicativo. Tra quelli che sono più presenti in tenera età si possono
ricordare il succhiarsi il pollice e l‟infilarsi le dita nel naso. Comuni
sono anche gli atti di contatto con il proprio corpo, con cui il bambino
si pone in relazione per scoprirlo e per conoscerlo.
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Il corpo viene solitamente considerato il primo e meraviglioso
giocattolo per il bambino, in quanto nei suoi primi mesi di vita egli
inizia a giocarci spontaneamente. I primi movimenti corporei come lo
sgambettare le braccia e le mani vengono considerati come pura
attività ludica. Il corpo, attraverso i suoi linguaggi - motori, mimici,
gestuali e manipolativi - oltre ad essere un valido strumento di
comunicazione si pone all‟origine di qualsiasi tipo di conoscenza del
bambino. Lo schema corporeo rappresenta, infatti, il mezzo di cui la
mente si serve per produrre pensiero.
A tal proposito Tomatis afferma che:
Il corpo umano è lo strumento del linguaggio, ed il linguaggio umano è il canto
che lo fa risuonare. Il corpo dell‟uomo è lo strumento di cui il pensiero umano si
serve per parlare.
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Pertanto, soltanto dopo aver interiorizzato le operazioni manipolative
il bambino sviluppa i concetti relativi ai materiali a sua disposizione.
Dunque, l‟alfabeto del corpo rappresenta il primo codice
comunicativo di cui il piccolo discente si serve per apprendere
attraverso il gioco e la scoperta della realtà.
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Cfr. P. Bertolini e M. Callari Galli (a cura di), Come comunicano i bambini. Processi cognitivi e
comunicazione verbale e non verbale nella prima e seconda infanzia: risultati di una ricerca,
Bologna, Il Mulino, 1980.
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A. A. Tomatis, L’orecchio e il linguaggio, Como – Pavia, Ibis, 1965, p. 121.
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Il gioco costituisce una forma alternativa di comunicazione a
cui il bambino si affida quando non riesce ad esprimersi in altro modo.
Crescendo sarà in grado di accompagnare con il linguaggio verbale
tutti i suoi giochi e le sue attività di vita.
Il disegno, in particolare, può essere considerato a buon diritto
uno dei primi mezzi espressivi del bambino, così come è stato uno dei
primi linguaggi dell‟umanità. Esso serve al piccolo per riprodurre
persone, animali e cose appartenenti al proprio mondo che egli
rappresenta in base al proprio modo di vedere e sentire la realtà che lo
circonda. Nei primi due anni di vita, il bambino, utilizza
spontaneamente le proprie mani intingendole nel colore, come se
fossero pennelli. Il suo scarabocchiare è un‟attività informe, globale,
ma non priva di significati. Poi pian piano egli impara a controllare i
movimenti della mano e a tenere abbastanza bene la matita. In questo
stadio più avanzato, che coincide più o meno con l‟ingresso del
bambino nella scuola dell‟infanzia, egli è ancora insensibile ai colori e
alla forma. Può, infatti, disegnare linee lunghissime o brevi, cerchi
molto ampi o minuscoli: sono i cosiddetti ghirigori, tracciati più sotto
l‟impulso istintivo del gioco ritmico della mano che gli procura un
senso di gioia e piacere, che per il bisogno di rappresentare qualcosa
di definito. Soltanto durante il terzo anno di età inizia ad assegnare
intenzionalmente un nome ai propri disegni: in questa fase il bambino
non disegna più per puro diletto ma per comunicare.
La competenza comunicativa da parte del bambino è stimolata
sia dalla produzione di immagini sia dalla loro lettura ed
interpretazione. Nell‟universo dei linguaggi il ruolo svolto
dall‟immagine è così rilevante che nel progetto educativo della scuola
è stata introdotta l‟educazione all‟immagine con l‟intento formativo di
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guidare ogni allievo a leggere le immagini e a parlare attraverso esse
come mezzo di cui ognuno si serve per comunicare qualcosa. Si pensi,
ad esempio, al ruolo svolto dai mezzi di comunicazione di massa, il
cui potere di suggestione occulta è tale da condurre l‟essere umano ad
essere continuamente bombardato da messaggi mass-mediali che, il
più delle volte, producono effetti negativi, come l‟inibizione delle
proprie capacità creative e cognitive. Il bambino, in particolare,
recepisce tutto quanto la TV gli propone, e, non dotato ancora di
capacità di giudizio, non riesce ad usufruire positivamente delle
informazioni ottenute: nell‟ambiente televisivo tutto è reale così come
l‟ambiente di casa propria.
Come si legge in T. Giordano Marrone, il bambino ha l‟impressione
che sia semplicemente una piccola e sottile parete di vetro a separarlo
da quel mondo fantastico fatto di suoni, magie e colori, così come il
vetro della sua finestra può separarlo dalla strada e da tutto ciò che
appartiene al suo mondo esterno.
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Secondo McLuhan:
l‟accettazione docile e supina dei media ha trasformato in prigione senza muri gli
uomini che ne fanno uso, in strumenti di manipolazione l‟uomo sempre più mass-
man, ossia uomo di massa.
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Bisognerebbe, in realtà, rendere il bambino protagonista attivo dei
messaggi mass-mediali, soprattutto se si pensa che da essi egli può
trarre parole nuove e nuovi e stimolanti contenuti.
Come il mondo delle immagini, anche il mondo dei suoni è
oggetto di esplorazione da parte del bambino.
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Cfr. T. Giordano Marrone, Commento agli Orientamenti per la scuola materna, Napoli, Simone,
1999.
8
M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 336, in T. Giordano
Marrone, op. cit.
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L‟intento dichiarato nei Programmi del 1985 per la scuola primaria è
la formazione, attraverso l‟ascolto e la produzione, di capacità di
percezione e comprensione della realtà acustica e di fruizione dei
diversi linguaggi sonori.
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Il piacere e il gusto dell‟ascolto non si improvvisano sull‟onda
di un‟emotività indotta che non attiva la capacità di capire e di fare
musica. L‟educazione all‟ascolto è essenzialmente comprensione dei
linguaggi sonori, da quelli più semplici e naturali a quelli
culturalmente più complessi. Un apprendimento della realtà sonora è
sempre apprendimento dei linguaggi per conoscere, capire, esprimersi
e relazionarsi. Lo sviluppo di queste competenze eviterebbe al
fanciullo di essere investito dalla compresenza e dalla sovrapposizione
di stimoli sonori diversi e lo aiuterebbe a sviluppare un atteggiamento
di ricezione attivo.
Il mondo dei suoni e il mondo delle immagini si sposano in
maniera esemplare nell‟attività di drammatizzazione che rappresenta
sia un mezzo di cui i piccoli attori dispongono per inscenare le proprie
storie di vita sia una forma di gioco simbolico quando il bambino
recita in prima persona o quando scatena la propria fantasia
utilizzando il teatro delle marionette e dei burattini, su cui egli proietta
esperienze piacevoli o meno. Attraverso l‟attività di drammatizzazione
il bambino ha la possibilità di sperimentare ruoli diversi, essendo di
volta in volta il pompiere, il cuoco ecc., con la preziosa occasione di
imparare parole nuove e registri linguistici diversi.
I diversi momenti dello sviluppo comunicativo nella prima
infanzia, quali pianti e sorrisi, gesti e sguardi, gioco e scoperta della
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M. Parente, I nuovi programmi. Commento sistematico, Milano, Juvenilia, 1994, p. 240.