2
pubblici dona una libertà di movimento mai vista prima e trasforma
inevitabilmente i rapporti degli uomini con la città e tra di loro. Il singolo
stenta a riconoscere la città, non si sente più parte di una comunità e inizia a
estraniarsi sempre più dalla società. Questo atteggiamento viene ripreso
dagli artisti che per tutto il secolo focalizzano l’attenzione sul singolo
individuo. Baudelaire, nelle sue poesie, pone sempre il poeta-osservatore al
di fuori della realtà che osserva, nella sua solitudine:
Multitude, solitude: termes égaux et convertibles pour le poète
actif et fécond. Qui ne sait pas peupler sa solitude, ne sait pas non
plus être seul dans une foule affairée. Le poète jouit de cet
incomparable privilège, qu’il peut à sa guise être lui-même et autrui.
Comme ces âmes errantes qui cherchent un corps, il entre, quand il
veut, dans le personnage de chacun. Pour lui seul, tout est vacant; et
si de certaines places paraissent lui être fermées, c’est qu’à ses yeux
elles ne valent pas la peine d’être visitées.
Le promeneur solitaire et pensif tire une singulière ivresse de cette
universelle communion. Celui-là qui épouse facilement la foule
connaît des jouissances fiévreuses, dont seront éternellement privé
l’égoïste, fermé comme un coffre, et le paresseux, interné comme un
mollusque. Il adopte comme siennes toutes les professions, toutes les
joies et toutes les misères que la circonstance lui présente.
1
(BAUDELAIRE, 1862)
La Seconda rivoluzione industriale, affermatasi tra gli anni Settanta
dell’800 e la Prima guerra mondiale, con le ulteriori innovazioni
dell’elettricità, dell’organizzazione taylorista e fordista del lavoro e la
nascita della produzione di massa o più specificatamente, della catena di
montaggio, conduce verso la metropoli industriale modernista della prima
1
“Moltitudine, solitudine: termini equivalenti e convertibili per il poeta attivo e fecondo.
Chi non sa popolare la sua solitudine, non sa neppure restare solo in mezzo a una folla
indaffarata. Il poeta gode di questo incomparabile privilegio: che può essere, a suo
piacere, se stesso e un altro. Come quelle anime erranti che cercano un corpo, egli sa
entrare, quando vuole, in qualunque personaggio. Soltanto per lui, tutto è vacante. E se
certi luoghi sembrano essergli preclusi, è perché ai suoi occhi non valgono la pena di
esser visitati. Il passeggiatore solitario e pensoso ricava un'ebbrezza singolare da questa
universale comunione. Colui che facilmente si sposa alla folla, conosce le gioie febbrili di
cui saranno privati eternamente l’egoista, chiuso come un forziere, e il pigro, internato
come un mollusco. Lui sa fare proprie tutte le professioni, tutte le gioie e tutte le miserie
che le circostanze gli presentano” (traduzione mia).
3
metà del XX secolo, habitat dell’uomo-massa. La città-immagine della
società è ora divenuta un’anti-città, una città industriale e capitalista in cui
regna la massificazione e, di conseguenza, l’estraniamento. La metropoli
provoca una serie di sentimenti contrastanti che vanno dall’odio all’amore,
dal fascino al timore verso la cultura stessa a cui l’individuo appartiene,
come esprime il poeta Thomas Wolfe in A Vision of the City (1935):
It was a cruel city, but it was a lovely one;
A savage city, yet it had such a tenderness;
It was as full of warmth, of passion and of love,
As it was full of hate. (Cit. in GRAHAM, 1997, p. 141)
Essa incarna la coscienza dell’individuo, una coscienza completamente
frammentata; non rappresenta più una comunità fissa e stabile, ma un luogo
fatto da frammenti e un flusso in continuo movimento. È questa la città del
ventesimo secolo, oggetto di studio di molti letterati e soprattutto degli
esponenti del Modernismo. Si hanno ora solo forze centrifughe, si ha la
disgregazione di ciò che prima rappresentava l’unità e un punto di
riferimento.
La città è un flusso in continuo divenire per via della diffusione di
mezzi di trasporto quali lo sviluppo delle ferrovie e dell’automobile, degli
aerei, delle navi transoceaniche, moltiplicando le opportunità degli uomini
di entrare in contatto tra loro. Se da un lato, ciò rappresenta un grande passo
avanti per la modernizzazione, dall’altro lato il privato inizia ad entrare in
conflitto con il pubblico. Ora tutto diviene completamente soggettivo e si
hanno due realtà opposte tra loro: la folla ed il singolo. La solitudine viene
vista come un posto nel quale rifugiarsi.
La megalopoli viene rappresentata come corrotta, in rovina, terribile
ma capace ancora di essere luogo di meraviglie, pieno di magia; essa è
divenuta però anche incomprensibile, illeggibile e ha smesso di parlare la
stessa lingua dei suoi abitanti: “city walls of traditions, mythos and cultures
have crumbled […] modern man’s life directionless and meaningless.
4
Urban humanity has turned into compulsive hermits in caves of steel and
glass” (AUDEN, 1969, p. 53).
Ma allo stesso tempo si hanno testimonianze di un’attrazione
irrefrenabile per la grande città. Basti pensare alla Dublino joyciana di A
Portrait of the Artist as a Young Man, in cui Dedalus la chiama “my dear
dirty Dublin”, o la Chicago di Sister Carrie, in cui Dreiser vede la città
come un magnete che attrae giovani provenienti dalla campagna con
l’illusione che solo così essi possano arrivare alla loro piena realizzazione.
2. Un nuovo abitante della metropoli moderna: il
flâneur
Se la città diviene incomprensibile al normale cittadino, troppo
coinvolto nella rete urbana e nei suoi affari quotidiani, non è così per lo
scrittore. Dal suo punto di vista, la città è un meccanismo ideale, in quanto
gli concede l’opportunità di fondere insieme, in un’unica rete di relazioni
interpersonali, personaggi, situazioni e avvenimenti molto diversi tra loro.
Lo scrittore diventa così “osservatore” della città, intendo con questo
termine colui che guarda ad essa da un punto di vista oggettivo, e lo fa
consapevolmente.
Si inizia così a delineare sempre più la figura del cosiddetto flâneur, il
“vagabondo urbano”. Mark Turner nel suo saggio “Cruising in Queer
Street: Streetwalking Men in Late Victorian London” lo definisce così: “the
hero of modern life, the flâneur takes every passing, ephemeral moment in -
he consumes his surrounding visually, while apparently maintaining a
detached, anonymous and essentially distant relation to the urban landscape
he moves through”
2
.
Sviluppatosi a Parigi nel XIX secolo, il flâneur è, nell’immaginario
collettivo, una persona ricca, educata e pigra, a metà strada tra il bohèmien
2
Saggio citato nel sito Internet
http://aiross.blogspot.com/2006/06/baudelaire-and-baudelaire.html.
5
e il vagabondo, che girovaga per le vie della città senza meta, che cammina
per il gusto di farlo e non per arrivare a destinazione, solo per scoprire la
città e i suoi angoli più reconditi. Nelle metropoli moderne è infatti
inevitabile perdersi, ma è anche bello farlo per poter così ammirare luoghi
che non sono patrimonio della moltitudine. La flânerie è il passeggiare con
andatura lenta, lasciandosi catturare ogni tanto da qualche particolare,
fermandosi a osservare, immergendosi nella città e sentendola come
propria. Il flâneur considera la gente e gli oggetti come dei testi che vanno
letti e studiati per essere compresi fino in fondo, come afferma Roland
Barthes nel suo saggio “Semiology and the Urban” (1986): “La città è un
discorso e questo discorso è davvero un linguaggio: la città parla ai suoi
abitanti, noi parliamo la nostra città, la città in cui siamo, semplicemente
vivendoci, vagando in essa, guardandola”
3
(cit. in WIRTH-NESHER, 1996,
p. 1).
E questo è proprio ciò che fa il protagonista delle poesie di Baudelaire:
il poeta vede nel flâneur il modello dell’artista moderno per la sua
curiosità, il suo saper andare oltre l’apparenza delle cose, la sua capacità di
osservare, il suo saper camminare in strade affollate mantenendosi
distaccato dalla folla stessa.
La foule est son domaine, comme l’air est celui de l’oiseau, comme
l’eau celui du poisson. Sa passion et sa profession, c’est d’épouser la
foule. Pour le parfait flâneur, pour l’observateur passionné, c’est une
immense jouissance que d’élire domicile dans le nombre, dans
l’ondoyant, dans le mouvement, dans le fugitif et l’infini.
4
(BAUDELAIRE, 1893)
Nel XX secolo il flâneur diventa un vero e proprio prodotto della
civiltà modernizzata conseguente alla Rivoluzione Industriale, che non ha
3
Traduzione mia.
4
“La folla è il suo elemento, come l’aria è quella dell’uccello, l’acqua quella del pesce.
La sua passione e la sua professione, è di trasformarsi in un tutt’uno con la folla. Per il
perfetto passeggiatore, per l’osservatore appassionato, è un’immensa gioia scegliere la
dimora in mezzo alla moltitudine, al flusso, al movimento, allo sfuggevole e all’infinito”
(traduzione mia).
6
precedenti nella storia umana. Il filosofo tedesco Walter Benjamin riprende
il concetto già espresso da Baudelaire un secolo prima e considera il flâneur
come un personaggio che non partecipa ai processi del mercato, alla
mercificazione di massa in cui ogni persona perde la sua individualità. È
una specie di detective che girovaga per le vie della città scrutando tutto
come una macchina da presa e rendendo così se stesso un mezzo per
osservare la modernità:
La strada diventa la dimora del flâneur; egli si sente a casa tra le
facciate degli edifici come un cittadino tra le quattro mura della sua
casa. Per lui gli scintillanti adornati simboli del commercio sono un
bell’ornamento per le mura della città tanto quanto lo è per il
borghese un dipinto ad olio nel suo salone. Le mura sono la scrivania
su di cui egli appoggia i suoi quaderni di appunti; le edicole sono
librerie e le terrazze dei caffè sono i balconi dai quali egli guarda
dall’alto in basso la sua famiglia dopo aver concluso la sua opera.
5
(Cit. in PEAKER, 2005)
Ed è proprio la vista che, con l’avvento della flânerie, assume maggiore
importanza. L’occhio è lo strumento tramite cui l’individuo guarda la realtà
nella quale vive, e la studia catturandone i più piccoli dettagli in un
particolare momento nel tempo. Il flâneur non ha una concezione di tempo
predefinita, in quanto cammina lentamente e poi si sofferma su un oggetto
per qualche minuto e resta lì immobile, perché non ha fretta. Questo suo
modo di agire viene visto da George Simmel come una deliberata reazione
all’era moderna, ovvero all’era in cui il tempo è denaro e tutto è accelerato.
L’abitante della città moderna ha infatti sempre una paura costante, cioè
quella di farsi mancare qualcosa, di rimanere emarginato dalla vita frenetica
della metropoli.
5
Traduzione mia.
7
CAPITOLO SECONDO
Christopher Isherwood e le Berlin Stories
3. Un inglese in rivolta
Christopher Isherwood nasce il 26 agosto del 1904, a High Lane, nel
Cheshire. Appartiene alla cosiddetta upper-middle class, in quanto suo
padre, Frank Bradshaw-Isherwood, discende da una famiglia di proprietari
terrieri e sua madre, Kathleen Machell-Smith, da una famiglia di
commercianti. L’appartenenza ad un ceto agiato è di fondamentale
importanza per la sua educazione, per gli interessi culturali e artistici così
come per la sua vita e i rapporti sociali, tanto che nei primi anni della sua
carriera di romanziere egli sarà sempre diviso tra l’accettare e il rifiutare
questa sua discendenza.
Nel 1914, inizia la sua formazione scolastica presso la St-Edmund’s
Boarding School, frequentata da tutti rampolli di famiglie del suo stesso
rango, e lì rimane fino al 1918, proprio negli anni in cui in Europa si sta
consumando l’orrore della Prima guerra mondiale. Durante la guerra suo
padre, tenente colonnello, perde la vita, e da quel momento diviene per lui
uno spettro dal quale si libererà con difficoltà. In quanto caduto al fronte
per difendere la patria, suo padre diviene l’eroe che tutti i giovani di quella
generazione avrebbero dovuto prendere come esempio. È qui che si ha la
prima ribellione nell’anima di Isherwood, una ribellione contro quello
stereotipo dell’eroe che gli viene imposto di celebrare e rispettare, ma che
non sente come suo: preferisce ricordare il lato più umano di suo padre,
ovvero i momenti che passò insieme alla sua famiglia prima di partire per la
guerra.
8
Il tema della guerra caratterizza la formazione spirituale di Isherwood,
sia per la perdita subita, sia perché non potervi partecipare provoca
insofferenza e frustrazione, sentimenti che accomunano la maggior parte
dei ragazzi della sua generazione: “We young writers of the middle twenties
were all suffering, more or less subconsciously, from feeling of shame that
we hadn’t been old enough to take part in the European War”
6
(Lions and
Shadows, p. 74). Essi non poterono parteciparvi in quanto non avevano
ancora raggiunto la maggiore età, ma il desiderio di compiere il loro dovere
nei confronti della madrepatria era talmente forte che il vedersi negata
questa possibilità fece nascere un senso di fallimento e soprattutto, in
Isherwood, contribuì a provocare quel sentimento di ribellione che
caratterizza le sue prime opere.
Dopo aver frequentato la scuola di Repton, nel 1923, entra al Corpus
Christi Cambridge, dove rimane fino al 1925. Sono anni molto importanti
per lui, sia per i legami che qui stringe, sia perché ammette a sé stesso le
proprie inclinazioni sessuali, in quanto qui ha le sue prime esperienze
omosessuali. L’amicizia più significativa è con Edward Upward, destinata a
durare per tutta la vita e che lascerà una traccia indelebile sia umanamente
che artisticamente. Upward contribuisce ad approfondire in Isherwood il
rifiuto per la società inglese del tempo. I due si creano un mondo nel quale
rifugiarsi, un mondo immaginario in cui possono vivere liberamente senza
la pressione di miti e modelli da emulare. Creano un loro linguaggio in
codice, una vita parallela in un mondo alternativo, ma completamente
opposto a quello reale, in cui sono imprigionati i loro corpi, ma
fortunatamente non le loro menti. Dei racconti surreali di questa città e dei
6
Il romanzo viene pubblicato per la prima volta dalla Hogarth Press di Leonard e
Virginia Woolf. Il sottotitolo dell’opera è An Education in the Twenties. Viene qui
descritta tutta l’esperienza degli studi di Cambridge, il suo abbandono e la sua crescita
professionale di romanziere nella cultura letteraria dell’Inghilterra degli anni Venti,
fino alla decisione di abbandonare la madrepatria. Vengono citate anche tutte le
personalità che lo hanno aiutato nel suo percorso umano e artistico, partendo da
Edward Upward e Stephen Spender, fino a Wystan Hugh Auden.
9
suoi abitanti, chiamata inizialmente “The Other Town” e poi “Mortmere”,
purtroppo poco è rimasto, per lo più note e appunti. Tutto è nelle menti dei
suoi creatori per l’impossibilità di rendere gli altri partecipi di questo loro
mondo immaginario e quindi della loro ribellione alla vigente struttura
sociale e in particolar modo all’accademismo chiuso di Cambridge:
The private world we had deliberately created for ourselves, a
world which was continually expanding, becoming more absorbing,
sharper and richer in detail and atmosphere, to the gradual exclusion
of the history school, the dons, the rags, the Poshocracy
7
, the tea
parties, the poker, the play-reading; the whole network, in fact, of
personalities, social and moral obligations, codes of behaviour and
public amusements which formed the outward structure of our
undergraduate lives. (Ibid., pp. 64-65)
Mortmere had failed us, dissolved into thin air. The whole thing
was a day-dream from the start. (Ibid., p. 288)
Tutte queste istituzioni e questi personaggi, che fanno parte della
cosiddetta “Poshocracy”, per Isherwood divengono “The Enemy”, che lui
chiama anche “The Others”: con questo termine egli indica le persone e le
idee che in qualche modo ostacolano la crescita intellettuale e umana, sua e
di tutta la sua generazione che vuole vivere nuove esperienze, provare
nuove emozioni, vedere nuovi mondi, allontanandosi sempre di più
dall’establishment dell’epoca edoardiana
8
, rappresentato da Cambridge,
dalla upper-middle class, da coloro che impongono
7
Termine coniato da Edward Upward per indicare l’atteggiamento di quella upper class
alla quale appartengono sia lui che Isherwood.
8
Per epoca edoardiana si intende il periodo in cui regnò Edoardo VII. Alla morte della
madre, la Regina Vittoria (1837-1901), egli salì al trono all’età di 59 anni ma regnò
soltanto fino al 1910. Gli successe suo figlio, Giorgio V, che rimase al potere fino al
1936.
10
CAPITOLO TERZO
La Berlino di Christopher Isherwood
4. Pubblico e privato
Nella prima sezione di Goodbye to Berlin, alla domanda di una delle
sue allieve (“Tell me, please, why you come to Germany?”), Christopher
risponde: “The political and economic situation is more interesting in
Germany than in any other European country” (Goodbye to Berlin, p. 5).
Berlino è il cuore pulsante della Repubblica di Weimar, proclamata
nel 1919 dopo la sconfitta della Germania nella Grande guerra. Con
l’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II e la proclamazione della
Repubblica, la popolazione spera in una rinascita, ma le speranze
svaniscono con i termini del Trattato di Versailles, provocando caos
economico, agitazioni politiche e la graduale scalata del Nazismo, che
trae vantaggio dalla crisi economica tedesca facendo leva sulle angoscie
del popolo.
Prima di arrivarvi, Isherwood non ha grande conoscenza di quello
che sta accadendo in Germania: è troppo coinvolto dal mondo parallelo
della città di Mortmere, che si è creato insieme a Edward Upward.
Quando anche Upward arriva a Berlino, si inizia subito a interessare dei
fatti che lì accadono e ciò fa entrare anche Isherwood in contatto con
quella che è la realtà della città al di fuori dei locali notturni, i soli posti
che fino ad allora ha frequentato. Quello che vede lungo le strade di
Berlino lo convince che il comunismo è la migliore ideologia che la
nazione possa sposare per liberarsi dai conflitti interni: “Here was the
seething brew of history in the making. The Berlin brew seethed with
11
unemployment, malnutrition, stock market panic, hatred of the Versailles
Treaty and other potent ingredients” (Christopher and His Kind, p. 23).
Isherwood si fa coinvolgere sempre più dagli eventi berlinesi, anche
perché consapevole di trovarsi in un momento storico che avrebbe
cambiato per sempre il mondo e che, soprattutto, è il contrario della
“dead history”, come lui stesso la definisce, di Cambridge e Kensington,
dove ancora vive la madre Kathleen.
Anche se Isherwood non diventerà mai un attivista praticante,
l’influenza di Upward
9
lo fa simpatizzare sempre più con il comunismo
tanto da considerarlo “a brotherhood of man” (The Last of Mr. Norris, p.
25) e lo porta a sposare l’ideologia pacifista, che manterrà per tutto
l’arco della sua vita
10
. Questa simpatia aumenta quando, all’inizio
dell’ottobre del 1930, si trasferisce in Hallesches Tor
11
, andando a vivere
con la famiglia di uno dei suoi amanti berlinesi, Walter Wolff. La casa è
una casa popolare, e ha soltanto una piccola stanza da letto per i figli e
una sala da pranzo dove dormono i genitori. Il quartiere è molto
degradato, tanto che Isherwood descrive questa esperienza come “a
thrilling adventure” (Christopher and His Kind, p. 25).
Il tutto contribuisce a far sì che in Isherwood avvenga quello che il
suo biografo, Norman Page, definisce come un “political awakening”,
che rende possibile l’intersezione tra vicende pubbliche e vicende private
nelle sue opere. Prove del semi-coinvolgimento politico di Isherwood si
trovano anche nei suoi romanzi, come ad esempio quando, in Mr. Norris
Changes Trains, il narratore William Bradshaw, su richiesta di Norris,
9
Una notevole influenza su di lui la pratica anche Klaus Mann, il figlio maggiore di
Thomas Mann, apertamente antifascista. Isherwood lo descrive così: “He felt, with an
extraordinary intensity, the sadness and cruelty of life” (Exhumations, p. 137).
10
In un’intervista rilasciata a W. I. Scobie nel 1974, Isherwood dice: “I’m sure that I’ve
had a strong leaning toward pacifism throughout my life” (SCOBIE, 1974, p. 10).
11
Area della città dove vivevano in maggioranza gli appartenenti al proletariato, situata
nel quartiere di Kreuzberg.
12
partecipa a una riunione del Partito comunista, di cui quest’ultimo è
militante. William osserva attentamente i partecipanti:
What struck me most was the fixed attention of the upturned rows
of faces […] They had not come here to see each other or to be seen,
or even to fulfil a social duty. They were attentive but not passive.
They were not spectators. They participated […] Their passion, their
strength of purpose elated me. I stood outside it. One day, perhaps, I
should be with it, but never of it. (The Last of Mr. Norris, p. 59)
Il narratore è coinvolto, ma non si sbilancia mai nell’esprimere le sue
proprie opinioni apertamente, anche per paura di ritorsioni nei suoi
confronti. Se le esprime, lo fa in maniera velata. In questo passo di
Goodbye to Berlin si può intravedere una certa vena ironica nei confronti
delle truppe naziste della SA che si prendono gioco di un comunista,
dopo averlo picchiato a sangue: “The Nazi only grinned: ‘Now, now,
comrade! No political squabbling! Remember, we’re living in the Third
Reich! We’re all brothers! You must try and drive that silly political
hatred from your heart!’” (Goodbye to Berlin, p. 89).
Nella prima pagina di Goodbye to Berlin il narratore dice di essere
una “camera with its shutter open, quite passive” (ibid., p. 1), perché
ritiene che il ruolo dello scrittore sia di rimanere distaccato, ma nel corso
dei romanzi si nota chiaramente come il processo di invasione degli
eventi pubblici nella vita privata abbia colpito anche l’autore e persino il
narratore. Egli ha fallito quindi, anche se solo in parte, il suo intento di
rimanere oggettivo e impassibile di fronte alla realtà, tanto che il suo
alter ego narrativo dice: “Yes, I said to myself, I’ve done it, now. I am
lost” (ibid., p. 48).
13
CAPITOLO QUARTO
Autobiografia e sessualità nelle Berlin Stories
5. Christopher Isherwood e l’omosessualità
With me, everything starts with
autobiography.
(Christopher and His Kind, p. 32)
Christopher Isherwood ha conferma della sua omosessualità durante gli
anni passati a Cambridge, dove fa le sue prime esperienze omosessuali,
come egli stesso rivela: “At school, Christopher had fallen in love with
many boys and been yearningly romantic about them” (ibid., p. 10).
Almeno in un primo momento la propria omosessualità è vista come una
forma di ribellione nei confronti dell’establishment oppressivo e soffocante;
l’omosessualità è un anti-mito prima che vera e propria inclinazione
sessuale, il rifiuto del passato e di qualunque comportamento imposto e non
sentito in prima persona. È una ribellione soprattutto contro la figura
materna e contro il mito del Truly Strong Man tanto venerato da Kathleen.
Christopher vuole vivere “according to my nature and find a place where I
can be what I am” (ibid., p. 17).
A questo punto, è lecito porsi di nuovo la domanda: perché Berlino?
Durante gli anni Venti e i primi anni Trenta, Berlino diviene il luogo per
eccellenza della promiscuità sessuale. In città ci sono ben 132 caffé per soli
uomini o per sole donne. La zona con la maggiore concentrazione di questo
tipo di locali è l’area intorno a Nollerndorfplatz, zona che rappresenta il
microcosmo berlinese di Christopher Isherwood: è il luogo in cui hanno
14
inizio le sue escursioni verso le altre parti di Berlino e il luogo in cui hanno
fine.
In quegli stessi anni si stanno diffondendo, con sempre maggiore
successo, numerose riviste per gay, come la Freundschaft. Lungo le
principali vie della città passeggiano liberamente le prostitute, molte donne
vestite da uomini e molti uomini vestiti da donne (cfr. HAMILTON, 1956,
p. 128). La situazione viene descritta da Auden nella poesia “Economics”
(1965), in cui ricorda i giorni passati a Berlino:
In the Hungry Thirties
boys used to sell their bodies
for a square meal.
(Cit. in PAGE, 1998, p. 64)
Stephen Spender in The Temple (1929) definisce Berlino “a city with
no virgins. Not even the puppies and the kittens are virgins” (cit. in PAGE,
1998, p. 8). Basil Fry, amico di Isherwood, ne parla come di una città dai
costumi moralmente discutibili nell’ottica del tempo. È proprio questo che
ci fornisce la vera motivazione dell’attrazione che Berlino suscita in
Isherwood: “The whole town was full of boys. It was Berlin itself he was
hungry to meet. Berlin meant Boys” (Christopher and His Kind, p. 10).
Sicuramente l’influenza di Auden, già a Berlino da alcuni mesi, è
determinante per questa scelta. I due artisti, nel primo soggiorno che
Isherwood fa nel 1929, visitano l’Istituto di Magnus Hirschfeld e la sera
iniziano il loro viaggio lussurioso nell’underground berlinese: Auden,
calandosi nel ruolo del Virgilio dantesco, inizia l’ancora ignaro Isherwood
alla vita notturna della città. Uno dei locali che visitano è il Cosy Corner,
luogo destinato a diventare per Christopher una sorta di mecca sessuale
negli anni a venire. È un rito di iniziazione quello a cui viene sottoposto.
Durante questo viaggio egli è alla ricerca di qualcuno da amare e non
soltanto di un’avventura. È così che si invaghisce di colui che chiamerà
15
CONCLUSIONE
Il 10 febbraio 1952 Isherwood fa ritorno a Berlino, per la prima volta
dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con il pretesto di scrivere
due articoli per il quotidiano Observer sulla città. L’autore teme il ritorno
nella città che per lui ha significato la sua maturazione come scrittore e
come uomo. Nell’introduzione all’edizione della New Directions delle
Berlin Stories confessa: “I dreaded meeting the people I’d known and
facing the fact that there was practically nothing I could do to help them”
(Berlin Stories, p. viii). Le rovine della città che egli aveva conosciuto
nei “dorati anni Venti” possono diventare una metafora della sua
giovinezza perduta, ora che egli è sulla soglia dei cinquant’anni.
La sua prima tappa è la Nollerndorfstraße e la pensione di Frl.
Thurau. Lei vive ancora lì e ha resistito a tutti gli eventi che si sono
susseguiti nei venti anni passati dall’addio di Isherwood alla città. Lei è
infatti il simbolo di quella Berlino: una città che resiste a tutti i
cambiamenti e continua ad andare avanti più forte di prima, rinascendo
ogni volta come l’araba fenice dalle sue stesse ceneri. Egli riesce a
riconoscere molti degli oggetti che erano presenti quando lui vi abitava e
in particolare il “brass dolphin-clock” che appare anche nella seconda
pagina di Goodbye to Berlin: “a brass dolphin holding on the end of its
tail a small broken clock. What becomes of such things? How could they
ever be destroyed? They will probably remain intact for thousand of
years” (Goodbye to Berlin, p. 2). Isherwood conserverà quest’oggetto per
molti anni nella sua casa in California come simbolo di tutto ciò che
Berlino è per la sua vita e per la sua opera: “a symbol of that
indestructible something in a place that resists all outward change”
(Berlin Stories, p. xii).