2
pubblici dona una libertà di movimento mai vista prima e trasforma 
inevitabilmente i rapporti degli uomini con la città e tra di loro. Il singolo 
stenta a riconoscere la città, non si sente più parte di una comunità e inizia a 
estraniarsi sempre più dalla società. Questo atteggiamento viene ripreso 
dagli artisti che per tutto il secolo focalizzano l’attenzione sul singolo 
individuo. Baudelaire, nelle sue poesie, pone sempre il poeta-osservatore al 
di fuori della realtà che osserva, nella sua solitudine:  
     Multitude, solitude: termes égaux et convertibles pour le poète 
actif et fécond. Qui ne sait pas peupler sa solitude, ne sait pas non 
plus être seul dans une foule affairée. Le poète jouit de cet 
incomparable privilège, qu’il peut à sa guise être lui-même et autrui. 
Comme ces âmes errantes qui cherchent un corps, il entre, quand il 
veut, dans le personnage de chacun. Pour lui seul, tout est vacant; et 
si de certaines places paraissent lui être fermées, c’est qu’à ses yeux 
elles ne valent pas la peine d’être visitées. 
     Le promeneur solitaire et pensif tire une singulière ivresse de cette 
universelle communion. Celui-là qui épouse facilement la foule 
connaît des jouissances fiévreuses, dont seront éternellement privé 
l’égoïste, fermé comme un coffre, et le paresseux, interné comme un 
mollusque. Il adopte comme siennes toutes les professions, toutes les 
joies et toutes les misères que la circonstance lui présente.
1
 
(BAUDELAIRE, 1862) 
   
     La Seconda rivoluzione industriale, affermatasi tra gli anni Settanta 
dell’800 e la Prima guerra mondiale, con le ulteriori innovazioni 
dell’elettricità, dell’organizzazione taylorista e fordista del lavoro e la 
nascita della produzione di massa o più specificatamente, della catena di 
montaggio, conduce verso la metropoli industriale modernista della prima 
                                                 
1
 “Moltitudine, solitudine: termini equivalenti e convertibili per il poeta attivo e fecondo. 
Chi non sa popolare la sua solitudine, non sa neppure restare solo in mezzo a una folla 
indaffarata. Il poeta gode di questo incomparabile privilegio: che può essere, a suo 
piacere, se stesso e un altro. Come quelle anime erranti che cercano un corpo, egli sa 
entrare, quando vuole, in qualunque personaggio. Soltanto per lui, tutto è vacante. E se 
certi luoghi sembrano essergli preclusi, è perché ai suoi occhi non valgono la pena di 
esser visitati. Il passeggiatore solitario e pensoso ricava un'ebbrezza singolare da questa 
universale comunione. Colui che facilmente si sposa alla folla, conosce le gioie febbrili di 
cui saranno privati eternamente l’egoista, chiuso come un forziere, e il pigro, internato 
come un mollusco. Lui sa fare proprie tutte le professioni, tutte le gioie e tutte le miserie 
che le circostanze gli presentano” (traduzione mia). 
 
 3
metà del XX secolo, habitat dell’uomo-massa. La città-immagine della 
società è ora divenuta un’anti-città, una città industriale e capitalista in cui 
regna la massificazione e, di conseguenza, l’estraniamento. La metropoli 
provoca una serie di sentimenti contrastanti che vanno dall’odio all’amore, 
dal fascino al timore verso la cultura stessa a cui l’individuo appartiene, 
come esprime il poeta Thomas Wolfe in A Vision of the City (1935): 
It was a cruel city, but it was a lovely one; 
A savage city, yet it had such a tenderness; 
It was as full of warmth, of passion and of love, 
As it was full of hate. (Cit. in GRAHAM, 1997, p. 141) 
 
Essa incarna la coscienza dell’individuo, una coscienza completamente 
frammentata; non rappresenta più una comunità fissa e stabile, ma un luogo 
fatto da frammenti e un flusso in continuo movimento. È questa la città del 
ventesimo secolo, oggetto di studio di molti letterati e soprattutto degli 
esponenti del Modernismo. Si hanno ora solo forze centrifughe, si ha la 
disgregazione di ciò che prima rappresentava l’unità e un punto di 
riferimento.  
       La città è un flusso in continuo divenire per via della diffusione di 
mezzi di trasporto quali lo sviluppo delle ferrovie e dell’automobile, degli 
aerei, delle navi transoceaniche, moltiplicando le opportunità degli uomini 
di entrare in contatto tra loro. Se da un lato, ciò rappresenta un grande passo 
avanti per la modernizzazione, dall’altro lato il privato inizia ad entrare in 
conflitto con il pubblico. Ora tutto diviene completamente soggettivo e si 
hanno due realtà opposte tra loro: la folla ed il singolo. La solitudine viene 
vista come un posto nel quale rifugiarsi.  
       La megalopoli viene rappresentata come corrotta, in rovina, terribile 
ma capace ancora di essere luogo di meraviglie, pieno di magia; essa è 
divenuta però anche incomprensibile, illeggibile e ha smesso di parlare la 
stessa lingua dei suoi abitanti: “city walls of traditions, mythos and cultures 
have crumbled […] modern man’s life directionless and meaningless. 
 4
Urban humanity has turned into compulsive hermits in caves of steel and 
glass” (AUDEN, 1969, p. 53). 
       Ma allo stesso tempo si hanno testimonianze di un’attrazione 
irrefrenabile per la grande città. Basti pensare alla Dublino joyciana di A 
Portrait of the Artist as a Young Man, in cui Dedalus la chiama “my dear 
dirty Dublin”, o  la Chicago di Sister Carrie, in cui Dreiser vede la città 
come un magnete che attrae giovani provenienti dalla campagna con 
l’illusione che solo così essi possano arrivare alla loro piena realizzazione.  
 
2. Un nuovo abitante della metropoli moderna: il 
flâneur 
       Se la città diviene incomprensibile al normale cittadino, troppo 
coinvolto nella rete urbana e nei suoi affari quotidiani, non è così per lo 
scrittore. Dal suo punto di vista, la città è un meccanismo ideale, in quanto 
gli concede l’opportunità di fondere insieme, in un’unica rete di relazioni 
interpersonali, personaggi, situazioni e avvenimenti molto diversi tra loro. 
Lo scrittore diventa così “osservatore” della città, intendo con questo 
termine colui che guarda ad essa da un punto di vista oggettivo, e lo fa 
consapevolmente.  
       Si inizia così a delineare sempre più la figura del cosiddetto flâneur, il 
“vagabondo urbano”. Mark Turner nel suo saggio “Cruising in Queer 
Street: Streetwalking Men in Late Victorian London” lo definisce così: “the 
hero of modern life, the flâneur takes every passing, ephemeral moment in - 
he consumes his surrounding visually, while apparently maintaining a 
detached, anonymous and essentially distant relation to the urban landscape 
he moves through”
2
. 
       Sviluppatosi a Parigi nel XIX secolo, il flâneur è,  nell’immaginario 
collettivo, una persona ricca, educata e pigra, a metà strada tra il bohèmien 
                                                 
2
  Saggio citato nel sito Internet 
http://aiross.blogspot.com/2006/06/baudelaire-and-baudelaire.html. 
 5
e il vagabondo, che girovaga per le vie della città senza meta, che cammina 
per il gusto di farlo e non per arrivare a destinazione, solo per scoprire la 
città e i suoi angoli più reconditi. Nelle metropoli moderne è infatti 
inevitabile perdersi, ma è anche bello farlo per poter così ammirare luoghi 
che non sono patrimonio della moltitudine. La flânerie è il passeggiare con 
andatura lenta, lasciandosi catturare ogni tanto da qualche particolare, 
fermandosi a osservare, immergendosi nella città e sentendola come 
propria. Il flâneur considera la gente e gli oggetti come dei testi che vanno 
letti e studiati per essere compresi fino in fondo, come afferma Roland 
Barthes nel suo saggio “Semiology and the Urban” (1986): “La città è un 
discorso e questo discorso è davvero un linguaggio: la città parla ai suoi 
abitanti, noi parliamo la nostra città, la città in cui siamo, semplicemente 
vivendoci, vagando in essa, guardandola”
3
 (cit. in WIRTH-NESHER, 1996, 
p. 1). 
       E questo è proprio ciò che fa il protagonista delle poesie di Baudelaire: 
il poeta vede nel  flâneur il modello dell’artista moderno per la sua 
curiosità, il suo saper andare oltre l’apparenza delle cose, la sua capacità di 
osservare, il suo saper camminare in strade affollate mantenendosi 
distaccato dalla folla stessa. 
     La foule est son domaine, comme l’air est celui de l’oiseau, comme 
l’eau celui du poisson. Sa passion et sa profession, c’est d’épouser la 
foule. Pour le parfait flâneur, pour l’observateur passionné, c’est une 
immense jouissance que d’élire domicile dans le nombre, dans 
l’ondoyant, dans le mouvement, dans le fugitif et l’infini.
4
 
(BAUDELAIRE, 1893) 
 
       Nel XX secolo il flâneur diventa un vero e proprio prodotto della 
civiltà modernizzata conseguente alla Rivoluzione Industriale, che non ha 
                                                 
3
 Traduzione mia. 
4
 “La folla è il suo elemento, come l’aria è quella dell’uccello, l’acqua quella del pesce. 
La sua passione e la sua professione, è di trasformarsi in un tutt’uno con la folla. Per il 
perfetto passeggiatore, per l’osservatore appassionato, è un’immensa gioia scegliere la 
dimora in mezzo alla moltitudine, al flusso, al movimento, allo sfuggevole e all’infinito” 
(traduzione mia). 
 6
precedenti nella storia umana. Il filosofo tedesco Walter Benjamin riprende 
il concetto già espresso da Baudelaire un secolo prima e considera il flâneur 
come un personaggio che non partecipa ai processi del mercato, alla 
mercificazione di massa in cui ogni persona perde la sua individualità. È 
una specie di detective che girovaga per le vie della città scrutando tutto 
come una macchina da presa e rendendo così se stesso un mezzo per 
osservare la modernità: 
     La strada diventa la dimora del flâneur; egli si sente a casa tra le 
facciate degli edifici come un cittadino tra le quattro mura della sua 
casa. Per lui gli scintillanti adornati simboli del commercio sono un 
bell’ornamento per le mura della città tanto quanto lo è per il 
borghese un dipinto ad olio nel suo salone. Le mura sono la scrivania 
su di cui egli appoggia i suoi quaderni di appunti; le edicole sono 
librerie e le terrazze dei caffè sono i balconi dai quali egli guarda 
dall’alto in basso la sua famiglia dopo aver concluso la sua opera.
5
 
(Cit. in PEAKER, 2005) 
 
       Ed è proprio la vista che, con l’avvento della flânerie, assume maggiore 
importanza. L’occhio è lo strumento tramite cui l’individuo guarda la realtà 
nella quale vive, e la studia catturandone i più piccoli dettagli in un 
particolare momento nel tempo. Il flâneur non ha una concezione di tempo 
predefinita, in quanto cammina lentamente e poi si sofferma su un oggetto 
per qualche minuto e resta lì immobile, perché non ha fretta. Questo suo 
modo di agire viene visto da George Simmel come una deliberata reazione 
all’era moderna, ovvero all’era in cui il tempo è denaro e tutto è accelerato. 
L’abitante della città moderna ha infatti sempre una paura costante, cioè 
quella di farsi mancare qualcosa, di rimanere emarginato dalla vita frenetica 
della metropoli. 
 
 
 
 
 
 
                                                 
5
 Traduzione mia. 
 7
CAPITOLO SECONDO 
 
Christopher Isherwood e le Berlin Stories 
 
3. Un inglese in rivolta 
       Christopher Isherwood nasce il 26 agosto del 1904, a High Lane, nel 
Cheshire. Appartiene alla cosiddetta upper-middle class, in quanto suo 
padre, Frank Bradshaw-Isherwood, discende da una famiglia di proprietari 
terrieri e sua madre, Kathleen Machell-Smith, da una famiglia di 
commercianti. L’appartenenza ad un ceto agiato è di fondamentale 
importanza per la sua educazione, per gli interessi culturali e artistici così 
come per la sua vita e i rapporti sociali, tanto che nei primi anni della sua 
carriera di romanziere egli sarà sempre diviso tra l’accettare e il rifiutare 
questa sua discendenza.  
       Nel 1914, inizia la sua formazione scolastica presso la St-Edmund’s 
Boarding School, frequentata da tutti rampolli di famiglie del suo stesso 
rango, e lì rimane fino al 1918, proprio negli anni in cui in Europa si sta 
consumando l’orrore della Prima guerra mondiale. Durante la guerra suo 
padre, tenente colonnello, perde la vita, e da quel momento diviene per lui 
uno spettro dal quale si libererà con difficoltà. In quanto caduto al fronte 
per difendere la patria, suo padre diviene l’eroe che tutti i giovani di quella 
generazione avrebbero dovuto prendere come esempio. È qui che si ha la 
prima ribellione nell’anima di Isherwood, una ribellione contro quello 
stereotipo dell’eroe che gli viene imposto di celebrare e rispettare, ma che 
non sente come suo: preferisce ricordare il lato più umano di suo padre, 
ovvero i momenti che passò insieme alla sua famiglia prima di partire per la 
guerra.  
 8
       Il tema della guerra caratterizza la formazione spirituale di Isherwood, 
sia per la perdita subita, sia perché non potervi partecipare provoca 
insofferenza e frustrazione, sentimenti che accomunano la maggior parte 
dei ragazzi della sua generazione: “We young writers of the middle twenties 
were all suffering, more or less subconsciously, from feeling of shame that 
we hadn’t been old enough to take part in the European War”
6
 (Lions and 
Shadows, p. 74). Essi non poterono parteciparvi in quanto non avevano 
ancora raggiunto la maggiore età, ma il desiderio di compiere il loro dovere 
nei confronti della madrepatria era talmente forte che il vedersi negata 
questa possibilità fece nascere un senso di fallimento e soprattutto, in 
Isherwood, contribuì a provocare quel sentimento di ribellione che 
caratterizza le sue prime opere. 
       Dopo aver frequentato la scuola di Repton, nel 1923, entra al Corpus 
Christi Cambridge, dove rimane fino al 1925. Sono anni molto importanti 
per lui, sia per i legami che qui stringe, sia perché ammette a sé stesso le 
proprie inclinazioni sessuali, in quanto qui ha le sue prime esperienze 
omosessuali. L’amicizia più significativa è con Edward Upward, destinata a 
durare per tutta la vita e che lascerà una traccia indelebile sia umanamente 
che artisticamente. Upward contribuisce ad approfondire in Isherwood il 
rifiuto per la società inglese del tempo. I due si creano un mondo nel quale 
rifugiarsi, un mondo immaginario in cui possono vivere liberamente senza 
la pressione di miti e modelli da emulare. Creano un loro linguaggio in 
codice, una vita parallela in un mondo alternativo, ma completamente 
opposto a quello reale, in cui sono imprigionati i loro corpi, ma 
fortunatamente non le loro menti. Dei racconti surreali di questa città e dei 
                                                 
6
 Il romanzo viene pubblicato per la prima volta dalla Hogarth Press di Leonard e 
Virginia Woolf. Il sottotitolo dell’opera è An Education in the Twenties. Viene qui 
descritta tutta l’esperienza degli studi di Cambridge, il suo abbandono e la sua crescita 
professionale di romanziere nella cultura letteraria dell’Inghilterra degli anni Venti, 
fino alla decisione di abbandonare la madrepatria. Vengono citate anche tutte le 
personalità che lo hanno aiutato nel suo percorso umano e artistico, partendo da 
Edward Upward e Stephen Spender, fino a Wystan Hugh Auden. 
 
 9
suoi abitanti, chiamata inizialmente “The Other Town” e poi “Mortmere”, 
purtroppo poco è rimasto, per lo più note e appunti. Tutto è nelle menti dei 
suoi creatori per l’impossibilità di rendere gli altri partecipi di questo loro 
mondo immaginario e quindi della loro ribellione alla vigente struttura 
sociale e in particolar modo all’accademismo chiuso di Cambridge: 
     The private world we had deliberately created for ourselves, a 
world which was continually expanding, becoming more absorbing, 
sharper and richer in detail and atmosphere, to the gradual exclusion 
of the history school, the dons, the rags, the Poshocracy
7
, the tea 
parties, the poker, the play-reading; the whole network, in fact, of 
personalities, social and moral obligations, codes of behaviour and 
public amusements which formed the outward structure of our 
undergraduate lives. (Ibid., pp. 64-65) 
     Mortmere had failed us, dissolved into thin air. The whole thing 
was a day-dream from the start. (Ibid., p. 288) 
 
       Tutte queste istituzioni e questi personaggi, che fanno parte della 
cosiddetta “Poshocracy”, per Isherwood divengono “The Enemy”, che lui 
chiama anche “The Others”: con questo termine egli indica le persone e le 
idee che in qualche modo ostacolano la crescita intellettuale e umana, sua e 
di tutta la sua generazione che vuole vivere nuove esperienze, provare 
nuove emozioni, vedere nuovi mondi, allontanandosi sempre di più 
dall’establishment dell’epoca edoardiana
8
, rappresentato da Cambridge, 
dalla upper-middle class, da coloro che impongono 
 
 
 
 
 
                                                 
7
 Termine coniato da Edward Upward per indicare l’atteggiamento di quella upper class 
alla quale appartengono sia lui che Isherwood. 
8
 Per epoca edoardiana si intende il periodo in cui regnò Edoardo VII. Alla morte della 
madre, la Regina Vittoria (1837-1901), egli salì al trono all’età di 59 anni ma regnò 
soltanto fino al 1910. Gli successe suo figlio, Giorgio V, che rimase al potere fino al 
1936. 
 10
CAPITOLO TERZO 
 
La Berlino di Christopher Isherwood 
 
4.  Pubblico e privato 
       Nella prima sezione di Goodbye to Berlin, alla domanda di una delle 
sue allieve (“Tell me, please, why you come to Germany?”), Christopher 
risponde: “The political and economic situation is more interesting in 
Germany than in any other European country” (Goodbye to Berlin, p. 5). 
       Berlino è il cuore pulsante della Repubblica di Weimar, proclamata 
nel 1919 dopo la sconfitta della Germania nella Grande guerra. Con 
l’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II e la proclamazione della 
Repubblica, la popolazione spera in una rinascita, ma le speranze 
svaniscono con i termini del Trattato di Versailles, provocando caos 
economico, agitazioni politiche e la graduale scalata del Nazismo, che 
trae vantaggio dalla crisi economica tedesca facendo leva sulle angoscie 
del popolo.  
       Prima di arrivarvi, Isherwood non ha grande conoscenza di quello 
che sta accadendo in Germania: è troppo coinvolto dal mondo parallelo 
della città di Mortmere, che si è creato insieme a Edward Upward. 
Quando anche Upward arriva a Berlino, si inizia subito a interessare dei 
fatti che lì accadono e ciò fa entrare anche Isherwood in contatto con 
quella che è la realtà della città al di fuori dei locali notturni, i soli posti 
che fino ad allora ha frequentato. Quello che vede lungo le strade di 
Berlino lo convince che il comunismo è la migliore ideologia che la 
nazione possa sposare per liberarsi dai conflitti interni: “Here was the 
seething brew of history in the making. The Berlin brew seethed with 
 11
unemployment, malnutrition, stock market panic, hatred of the Versailles 
Treaty and other potent ingredients” (Christopher and His Kind, p. 23). 
Isherwood si fa coinvolgere sempre più dagli eventi berlinesi, anche 
perché consapevole di trovarsi in un momento storico che avrebbe 
cambiato per sempre il mondo e che, soprattutto, è il contrario della 
“dead history”, come lui stesso la definisce, di Cambridge e Kensington, 
dove ancora vive la madre Kathleen.  
       Anche se Isherwood non diventerà mai un attivista praticante, 
l’influenza di Upward
9
 lo fa simpatizzare sempre più con il comunismo 
tanto da considerarlo “a brotherhood of man” (The Last of Mr. Norris, p. 
25) e lo porta a sposare l’ideologia pacifista, che manterrà per tutto 
l’arco della sua vita
10
. Questa simpatia aumenta quando, all’inizio 
dell’ottobre del 1930, si trasferisce in Hallesches Tor
11
, andando a vivere 
con la famiglia di uno dei suoi amanti berlinesi, Walter Wolff. La casa è 
una casa popolare, e ha soltanto una piccola stanza da letto per i figli e 
una sala da pranzo dove dormono i genitori. Il quartiere è molto 
degradato, tanto che Isherwood descrive questa esperienza come “a 
thrilling adventure” (Christopher and His Kind, p. 25). 
       Il tutto contribuisce a far sì che in Isherwood avvenga quello che il 
suo biografo, Norman Page, definisce come un “political awakening”, 
che rende possibile l’intersezione tra vicende pubbliche e vicende private 
nelle sue opere. Prove del semi-coinvolgimento politico di Isherwood si 
trovano anche nei suoi romanzi, come ad esempio quando, in Mr. Norris 
Changes Trains, il narratore William Bradshaw, su richiesta di Norris, 
                                                 
9
 Una notevole influenza su di lui la pratica anche Klaus Mann, il figlio maggiore di 
Thomas Mann, apertamente antifascista. Isherwood lo descrive così: “He felt, with an 
extraordinary intensity, the sadness and cruelty of life” (Exhumations, p. 137). 
10
 In un’intervista rilasciata a W. I. Scobie nel 1974, Isherwood dice: “I’m sure that I’ve 
had a strong leaning toward pacifism throughout my life” (SCOBIE, 1974, p. 10). 
11
 Area della città dove vivevano in maggioranza gli appartenenti al proletariato, situata 
nel quartiere di Kreuzberg. 
 12
partecipa a una riunione del Partito comunista, di cui quest’ultimo è 
militante. William osserva attentamente i partecipanti:  
     What struck me most was the fixed attention of the upturned rows 
of faces […] They had not come here to see each other or to be seen, 
or even to fulfil a social duty. They were attentive but not passive. 
They were not spectators. They participated […] Their passion, their 
strength of purpose elated me. I stood outside it. One day, perhaps, I 
should be with it, but never of it. (The Last of Mr. Norris, p. 59) 
 
       Il narratore è coinvolto, ma non si sbilancia mai nell’esprimere le sue 
proprie opinioni apertamente, anche per paura di ritorsioni nei suoi 
confronti. Se le esprime, lo fa in maniera velata. In questo passo di 
Goodbye to Berlin si può intravedere una certa vena ironica nei confronti 
delle truppe naziste della SA che si prendono gioco di un comunista, 
dopo averlo picchiato a sangue: “The Nazi only grinned: ‘Now, now, 
comrade! No political squabbling! Remember, we’re living in the Third 
Reich! We’re all brothers! You must try and drive that silly political 
hatred from your heart!’” (Goodbye to Berlin, p. 89).  
       Nella prima pagina di Goodbye to Berlin il narratore dice di essere 
una “camera with its shutter open, quite passive” (ibid., p. 1), perché 
ritiene che il ruolo dello scrittore sia di rimanere distaccato, ma nel corso 
dei romanzi si nota chiaramente come il processo di invasione degli 
eventi pubblici nella vita privata abbia colpito anche l’autore e persino il 
narratore. Egli ha fallito quindi, anche se solo in parte, il suo intento di 
rimanere oggettivo e impassibile di fronte alla realtà, tanto che il suo 
alter ego narrativo dice: “Yes, I said to myself, I’ve done it, now. I am 
lost” (ibid., p. 48). 
 
 
 
 
 13
CAPITOLO QUARTO 
 
Autobiografia e sessualità nelle Berlin Stories 
 
5.  Christopher Isherwood e l’omosessualità 
 
With me, everything starts with 
autobiography. 
(Christopher and His Kind, p. 32) 
 
       Christopher Isherwood ha conferma della sua omosessualità durante gli 
anni passati a Cambridge, dove fa le sue prime esperienze omosessuali, 
come egli stesso rivela: “At school, Christopher had fallen in love with 
many boys and been yearningly romantic about them” (ibid., p. 10). 
Almeno in un primo momento la propria omosessualità è vista come una 
forma di ribellione nei confronti dell’establishment oppressivo e soffocante; 
l’omosessualità è un anti-mito prima che vera e propria inclinazione 
sessuale, il rifiuto del passato e di qualunque comportamento imposto e non 
sentito in prima persona. È una ribellione soprattutto contro la figura 
materna e contro il mito del Truly Strong Man tanto venerato da Kathleen. 
Christopher vuole vivere “according to my nature and find a place where I 
can be what I am” (ibid., p. 17).  
       A questo punto, è lecito porsi di nuovo la domanda: perché Berlino? 
Durante gli anni Venti e i primi anni Trenta, Berlino diviene il luogo per 
eccellenza della promiscuità sessuale. In città ci sono ben 132 caffé per soli 
uomini o per sole donne. La zona con la maggiore concentrazione di questo 
tipo di locali è l’area intorno a Nollerndorfplatz, zona che rappresenta il 
microcosmo berlinese di Christopher Isherwood: è il luogo in cui hanno 
 14
inizio le sue escursioni verso le altre parti di Berlino e il luogo in cui hanno 
fine.  
       In quegli stessi anni si stanno diffondendo, con sempre maggiore 
successo, numerose riviste per gay, come la Freundschaft. Lungo le 
principali vie della città passeggiano liberamente le prostitute, molte donne 
vestite da uomini e molti uomini vestiti da donne (cfr. HAMILTON, 1956, 
p. 128). La situazione viene descritta da Auden nella poesia “Economics” 
(1965), in cui ricorda i giorni passati a Berlino: 
In the Hungry Thirties 
boys used to sell their bodies 
for a square meal. 
(Cit. in PAGE, 1998, p. 64) 
 
       Stephen Spender in The Temple (1929) definisce Berlino “a city with 
no virgins. Not even the puppies and the kittens are virgins” (cit. in PAGE, 
1998, p. 8). Basil Fry, amico di Isherwood, ne parla come di una città dai 
costumi moralmente discutibili nell’ottica del tempo. È proprio questo che 
ci fornisce la vera motivazione dell’attrazione che Berlino suscita in 
Isherwood: “The whole town was full of boys. It was Berlin itself he was 
hungry to meet. Berlin meant Boys” (Christopher and His Kind, p. 10). 
Sicuramente l’influenza di Auden, già a Berlino da alcuni mesi, è 
determinante per questa scelta. I due artisti, nel primo soggiorno che 
Isherwood fa nel 1929, visitano l’Istituto di Magnus Hirschfeld e la sera 
iniziano il loro viaggio lussurioso nell’underground berlinese: Auden, 
calandosi nel ruolo del Virgilio dantesco, inizia l’ancora ignaro Isherwood 
alla vita notturna della città. Uno dei locali che visitano è il Cosy Corner, 
luogo destinato a diventare per Christopher una sorta di mecca sessuale 
negli anni a venire. È un rito di iniziazione quello a cui viene sottoposto. 
Durante questo viaggio egli è alla ricerca di qualcuno da amare e non 
soltanto di un’avventura. È così che si invaghisce di colui che chiamerà  
 
 15
CONCLUSIONE 
 
       Il 10 febbraio 1952 Isherwood fa ritorno a Berlino, per la prima volta 
dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con il  pretesto di scrivere 
due articoli per il quotidiano Observer sulla città. L’autore teme il ritorno 
nella città che per lui ha significato la sua maturazione come scrittore e 
come uomo. Nell’introduzione all’edizione della New Directions delle 
Berlin Stories confessa: “I dreaded meeting the people I’d known and 
facing the fact that there was practically nothing I could do to help them” 
(Berlin Stories, p. viii). Le rovine della città che egli aveva conosciuto 
nei “dorati anni Venti” possono diventare una metafora della sua 
giovinezza perduta, ora che egli è sulla soglia dei cinquant’anni. 
       La sua prima tappa è la Nollerndorfstraße e la pensione di Frl. 
Thurau. Lei vive ancora lì e ha resistito a tutti gli eventi che si sono 
susseguiti nei venti anni passati dall’addio di Isherwood alla città. Lei è 
infatti il simbolo di quella Berlino: una città che resiste a tutti i 
cambiamenti e continua ad andare avanti più forte di prima, rinascendo 
ogni volta come l’araba fenice dalle sue stesse ceneri. Egli riesce a 
riconoscere molti degli oggetti che erano presenti quando lui vi abitava e 
in particolare il “brass dolphin-clock” che appare anche nella seconda 
pagina di Goodbye to Berlin: “a brass dolphin holding on the end of its 
tail a small broken clock. What becomes of such things? How could they 
ever be destroyed? They will probably remain intact for thousand of 
years” (Goodbye to Berlin, p. 2). Isherwood conserverà quest’oggetto per 
molti anni nella sua casa in California come simbolo di tutto ciò che 
Berlino è per la sua vita e per la sua opera: “a symbol of that 
indestructible something in a place that resists all outward change” 
(Berlin Stories, p. xii).