4
Introduzione
Con la scelta di questo argomento, articolato in tre capitoli, ho inteso seguire un
percorso di ricerca sulle pratiche educative rivolte alle bambine attraverso un viaggio
spazio-temporale, che ne permetta una ricostruzione storica sulla loro educazione ed
imprescindibilmente su quella rivolta al genere femminile.
Ho deciso di trattare questo argomento perché non ho mai tollerato le forme di
discriminazione, ed in particolare quelle perpetrate da sempre nei confronti del genere
femminile. Nel mio percorso di studi, grazie alle conoscenze acquisite, mi sono resa
conto che la storia dell’educazione delle donne, che si connette con quella delle
bambine, ha subito spesso, cancellazioni ed oppressioni. Per questo, nel primo capitolo,
per rinvenire le tracce della storia dell’educazione delle bambine, ho analizzato le
differenti epoche storiche e i differenti contesti e spazi, dalla famiglia, che sappiamo
essere il luogo della socializzazione primaria, alla scuola, istituzione intenzionalmente
deputata ai processi di alfabetizzazione – processi – attraverso i quali, nel corso dei
secoli, le donne hanno trovato il giusto riscatto in una società che le considerava
intellettualmente inferiori agli uomini. Tuttavia, ricomporre i molteplici tasselli
concernenti la storia dell’educazione delle bambine è un’impresa davvero ardua dal
momento che esse sono rimaste a lungo latenti nelle trattazioni degli storici che,
pregiudizialmente, le ritenevano soggetti di secondo ordine, soggetti trascurabili,
perché proprio il loro “esser femmina” le aveva identificate come creature incapaci,
inferiori e deboli nel corpo e nella mente rispetto al genere maschile.
E' qui che s’incentra la ragione per la quale gli storici hanno ritenuto le bambine
immeritevoli di essere il soggetto e l’oggetto delle loro riflessioni e dei loro studi. La
bambina risulta la grande assente della storia dell’educazione ed è lecito desumere a
5
prima vista che la tendenza prevalente del passato fosse quella di negarne l’infanzia o
quantomeno di ridurne la durata.
Ciò spiega la ragione per cui è complicato rinvenire delle tracce nelle ricostruzioni
storiche ufficiali se le bambine, per troppo tempo, sono state assenti nelle riflessioni
degli storici e dei pedagogisti o, in alcuni casi, sono state idealizzate dalle
rappresentazioni adulte e dalle prescrizioni sociali, morali e normative delle diverse
epoche storiche. A ragion del vero, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso inizia
a profilarsi un particolare interesse da parte degli studiosi nei confronti dell’infanzia
1
allorquando si comprende che l’educazione non riguarda solo il bambino ed il suo
processo di crescita, ma coinvolge anche le bambine di cui si scorge qualche esigua
scheggia non nei trattati ufficiali o nelle opere dei grandi pensatori, ma nelle lettere, nei
diari, nelle epigrafi, nelle iconografie funerarie o nei rari provvedimenti giuridici
dell’antichità
2
.
Certo è che sondare la condizione e l’educazione delle bambine nella storia richiede una
duplice chiave di lettura: da un lato si riscontra la presenza delle “bambine di carta”
3
,
ossia quelle immaginate, descritte, narrate e menzionate da uomini (moralisti, teologi,
medici, pedagogisti), che non riproducono un’immagine fedele di loro, ma raccontano
di come avrebbero o non avrebbero dovuto essere; dall’altro lato esiste l’immagine reale
delle bambine, recuperata dall’analisi della loro vita quotidiana
4
. Sembra quasi scontato
asserire che la ricostruzione storico-educativa delle bambine si connette
1
La maggiore attenzione rivolta all’infanzia, alle sue condizioni e agli stili di vita è determinata da una
sempre più crescente ed efficace produzione letteraria e storiografica, grazie anche alla pubblicazione
avvenuta nel 1960 in Francia del volume di Philippe Ariès, “L’enfant et le vie familiare sous l’ancien
règime”, in cui l’autore ha reso l’infanzia oggetto di indagine storica, permettendo alla storia dell’infanzia
di intrecciarsi con la storia dell’educazione.
2
Cfr. G. Seveso, Tanto gentile e tanto onesta pare: bambine del passato, in Id. (a cura di), Come ombre
leggere. Gesti, spazi, silenzi nella storia dell’educazione delle bambine, Edizioni Unicopli, Milano 2001
3
Cfr. S. Ulivieri, Premessa, in Id. (a cura di), Le bambine nella storia dell’educazione, Laterza, Roma-
Bari 1999.
4
Cfr. Ivi, p. VI.
6
imprescindibilmente con quella della donna in generale: la loro è una storia che, seppure
caratterizzata da un complicato rapporto carente di aperture dialogiche
5
, è mutata molto
lentamente nel tempo e passa attraverso lo scorrere dei secoli, dall’antichità fino ai
giorni nostri. Educare le bambine significava legarle inevitabilmente ad un destino
dipendente dalla società ed in primo luogo dalle madri, le quali, svolgevano una
essenziale funzione di “trasmettitrici” di valori e di regole di comportamento
indispensabili per non essere tacciate di deviare dai tradizionali modelli femminili che la
società dell’epoca imponeva.
È il secondo capitolo, che parte dall’analisi della relazione madre-figlia, a riconfermare
la pregnante presenza delle madri nella vita delle figlie, madri che attraverso lo scorrere
dei secoli hanno iniziato a ribellarsi a quel mondo silenzioso a cui erano a lungo
appartenute e che le aveva da sempre oppresse; per questo, hanno iniziato a prender
parola anche in pubblico e lo hanno fatto proprio grazie al coraggio di alcune, al
sacrificio di altre e a quel processo di alfabetizzazione e di istruzione, necessario ad un
altro processo, quello di emancipazione. Sono le donne della rivoluzione femminista,
quelle su cui ho focalizzato maggiormente l’attenzione, ad aver lasciato alle proprie
figlie l’eredità della “parola” ed una nuova consapevolezza di essere donne.
Il terzo capitolo, infine, ha esaminato le nuove relazioni familiari tra generi e
generazioni, laddove attraverso un’azione congiunta tra famiglia e scuola si possa
cercare di eliminare pregiudizi e stereotipi legati all’appartenenza di genere e ancora
radicati nella nostra società. È solo attraverso la valorizzazione delle singole
individualità, femminili e maschili, che si può pensare di realizzare una cultura delle
pari opportunità.
5
Cfr. C. Dicorato, Donne a Cerignola, Centro Regionale di Servizi Educativi e Culturali-Regione Puglia,
Assessorato Pubblica Istruzione 2000.
7
CAPITOLO PRIMO
L’ EVOLUZIONE STORICA DELL’EDUCAZIONE DELLE BAMBINE
1. L’educazione nell’antichità
1. 1 Antica Grecia
Nell’antichità la società umana è impostata sul genere maschile, mentre quello
femminile – bambine e donne – compare in questa realtà solo sotto forma di idee, di
idoli, di immagini prevalentemente prodotti dalla fantasia maschile. Desideri e
aspirazioni di bambine, future donne, possono essere intuiti solo attraverso l’azione di
tutela e di regolamentazione esercitata da padri, fratelli e mariti che ne fanno strumenti
per i propri fini
6
. Organismo familiare e organismo sociale strettamente correlati tra di
loro, costituiscono i pilastri della società della Grecia classica in cui esistono ruoli ben
definiti che caratterizzano la stabilità della polis
7
.
L’austera distinzione dei ruoli sessuali all’interno della famiglia implica la completa
estromissione della donna dalla sfera pubblica e la sua assoluta dipendenza nei confronti
della figura paterna o di quella del marito all’interno delle mura domestiche. La
codificazione del ruolo femminile è tramandata di generazione in generazione mediante
pratiche educative indirizzate alle bambine, alle ragazze e alle donne e realizzate sia
all’interno delle abitazioni, sia nello spazio pubblico, grazie anche a precipui mezzi
quali la festa e i rituali d’iniziazione. Esempio lampante di questa forma di educazione è
quella che viene impartita alle ragazze spartane che differisce palesemente da quella
6
Cfr. http://www.dizionariodistoria.it/
7
Il termine polis indica l'organizzazione politica greca dell'età classica, detta anche città-stato.
8
riservata alle ragazze ateniesi. A Sparta si attribuisce notevole importanza alla
formazione fisica e morale totalmente gestita dallo Stato a partire dai sette anni: i
ragazzi vengono addestrati a tutte quelle attività sportive di gruppo aventi l’obiettivo
prioritario di renderli dei forti combattenti e sebbene la scrittura venga insegnata loro
per la sua utilità, la letteratura e l’arte non fanno parte del percorso educativo previsto
dallo Stato. Le ragazze invece sono seguite con cura nella loro istruzione e a differenza
delle ateniesi non sono segregate in casa perché devono praticare lo sport, elemento
fondamentale nella loro formazione. Difatti esercitano la corsa, la lotta, il salto, il lancio
del giavellotto e del disco e ciò per un unico e preciso fine: il loro corpo deve essere in
grado di sostenere le fatiche del parto e dare figli sani alla patria. Ad Atene invece i
cittadini non sono addestrati all’uso delle armi e quella che ricevono è piuttosto una
formazione morale, culturale e politica, riservata esclusivamente agli uomini poiché le
donne non sono considerate parte della cittadinanza. Ricevono pertanto un’istruzione
generica di cui fanno parte le nozioni essenziali del leggere e scrivere, mentre largo
spazio è dedicato alla musica e alla danza che costituiscono le arti principali per tutti i
greci.
In verità la rigida differenziazione dei ruoli sessuali inizia a vacillare e a subire tempi di
crisi poiché la cultura ufficiale, promotrice della distinzione dei ruoli di genere, viene
affiancata ad altre culture che sostengono differenti e contrarie correnti di pensiero che
non accettano proprio tale codificazione.
A partire dal V secolo a. C. sino all’inizio del IV, tali momenti di crisi, in particolar
modo economica e sociale, sono determinati dalla Guerra del Peloponneso, che induce a
riflettere sui ruoli di genere e quindi sul ruolo delle donne nelle istituzioni tradizionali.
Uno dei propugnatori di tale riflessione è il commediografo Aristofane che nelle sue
9
opere, soprattutto nella Lisistrata
8
, denuncia con tono accusatorio l’evoluzione del ruolo
femminile e il maggiore potere acquisito dalle donne all’interno della famiglia e della
società, e chiarisce che la crisi è ascrivibile al ruolo maschile incapace di imporre
efficientemente gli antichi e tradizionali valori della patria. Oltre ad Aristofane, è il
filosofo Platone che più di tutti si è cimentato nella risoluzione della complicata
questione legata all’educazione femminile e al posto riservato alle donne nella città.
Esponente di una corrente conformista, ha voluto descrivere nelle sue opere la città
ideale fondata a suo dire sul recupero della congiunzione tra individuo e società e sulla
parità di diritti tra uomini e donne.
Il suo pensiero però è l’effetto della soppressione della famiglia dalla società ideale:
l'oikos
9
non incarna più la matrice su cui si istituisce la polis, per tale motivo anche i
ruoli differenziati al suo interno non hanno ragione di esistere. La famiglia con i suoi
tradizionali ruoli è considerata la causa del regresso della città e della società perfetta.
Dopo l’esposizione di una teoria così bizzarra in età più adulta lo stesso aderirà ad un
pensiero antitetico al precedente, in cui recupererà la dimensione dell'oikos e delle sue
caratteristiche positive. Per Platone la città ideale si erige sulla compattezza del focolare
domestico e conseguentemente su una rigorosa legislazione familiare. Lo Stato si
impegna, dunque, a garantire il controllo del buon funzionamento della struttura
8
La Lisistrata rappresenta l’incarnazione di un’eroina così ribelle da convincere tutte le donne al ricatto
sessuale nei confronti dei propri mariti per porre fine alla guerra del Peloponneso e ottenere la pace. Ma
questa è anche un’opera in cui la protagonista evoca la propria infanzia e fanciullezza, descrivendo
dettagliatamente particolari relativi alle pratiche formative rivolte alle bambine e realizzando, in tal modo,
una delle più rare testimonianze dei percorsi formativi riservati alle stesse. Si trattava di pratiche
perpetuate da tempi remoti in cui le ragazze erano educate a ruoli codificati nei loro compiti, doveri e
divieti. Ecco che a questo punto il poeta Aristofane contrappone la rilevanza e la finalità di determinate
pratiche allo stravolgimento del ruolo femminile messo in pericolo dalla trasgressività di una donna così
forte come Lisistrata.
9
Secondo la concezione aristotelica il termine greco oikos non indica l’unità familiare, ma la convivenza
di individui ai fini della procreazione. Cfr. L. Bertelli, «Platone», in A. Quarta, a cura di C., Il destino
della famiglia nell’utopia, Edizioni Dedalo, Bari 1991, pp. 33-48. Questa precisazione è tratta dal testo di
S. Ulivieri, (a cura di), Educazione al femminile. Una storia da scoprire, Edizioni Angelo Guerini,
Milano 2007, p. 28.
10
familiare tanto che si ripresenta la problematica della formazione dei futuri cittadini e
delle future cittadine. Una delle soluzioni proposte prevede un tipo di educazione
comune a bambini e a bambine sotto la tutela di nutrici scelte proprio dallo Stato. Ad
una prima forma di coeducazione fa seguito una formazione specificamente connessa
all’appartenenza di genere, che prevede per le bambine e per le adolescenti alcuni
apprendimenti solo teorici (le armi e l’arco)
10
. Nella Repubblica (redatta in un periodo
compreso tra il 390 a. C. e il 360 a. C.), il filosofo pone, invece, l’accento sul recupero
della funzione della famiglia e della separazione dei ruoli al suo interno e perciò
conseguentemente della distinzione delle pratiche formative riservate alle bambine e ai
bambini.
Tuttavia il clima culturale dell’età ellenistica, che vede affiorare la crisi della polis e
dell’oikos, segnalerà una visione più egalitaria dei due sessi, in cui anche il filosofo
Aristotele recupererà la soluzione proposta da Platone attraverso la valorizzazione della
famiglia e della rigida codificazione dei ruoli al suo interno.
1. 2 Antica Roma
Per comprendere le finalità educative rivolte al mondo femminile nell’antica Roma è
fondamentale scindere l’idea di infanzia della società odierna da quella del passato e
provare ad immergersi in quegli schemi mentali e comportamentali propri del tessuto
civile e giuridico romano. E' piuttosto la condizione socio-giuridica delle bambine e non
l’età a determinarne il loro status: puera (fanciulla), fisicamente virgo (vergine) prima
10
Cfr. G. Seveso , La crisi delle relazioni fra i generi. Il dibattito sull’educazione delle donne in alcuni
testi della Grecia Classica, in S. Ulivieri, (a cura di), Educazione al femminile. Una storia da scoprire,
cit. p. 40.
11
del matrimonio, socialmente uxor (moglie) dopo il matrimonio, matrona (donna
maritata), mater (madre) a prescindere che lo sia realmente, anus (donna vecchia)
quando la sua sterilità annulla automaticamente il suo rapporto formale con la civitas
(città)
11
.
Nella rappresentazione culturale, giuridica e pedagogica dell’infanzia emerge una
distinzione tra la costruzione del profilo del bambino e di quello della bambina. Il
bambino è considerato il negativo dell’uomo “virtuoso”
12
, laddove ogni aspetto del suo
carattere e del suo comportamento presentano una lacuna: i suoi difetti in realtà sono
pregi e virtù; è impulsivo perché non ha autocontrollo ed è ambizioso perché non è in
grado di esaminarsi, pertanto sono proprio la sua incompletezza e imperfezione ad
avvalorare e a sostenere l’azione educativa a lui indirizzata.
La bambina invece viene considerata soltanto in termini di utilità sociale. É bene
precisare a questo punto che l’essere femminile adulto aveva ruoli e compiti socio-
familiari (tra l’altro, rimasti immutati nei millenni) conformi alle richieste della società
(maschile) e connessi alla procreazione, alla cura e all’allevamento dei figli. Perciò
essere bambina significa non ricoprire questi ruoli: fino al matrimonio e alla
procreazione, che consentono, invece, un ingresso definitivo nel mondo adulto.
Da tutto ciò è semplice comprendere come i meccanismi che disciplinano la
correlazione infanzia-società siano stravolti rispetto a quelli odierni: non è la situazione
a rapportarsi al bambino, ma è il bambino a compararsi a questa. Cosa significava essere
bambini nella società romana? Innanzitutto la tendenza predominante dell’epoca è
quella di prolungare il più possibile l’infanzia proprio per sfruttare la presenza dei
11
Cfr. R. Frasca, Figure e vicende di bambine romane, in Ulivieri S., (a cura di), Le bambine nella storia
dell’educazione, cit. p. 3.
12
L’aggettivo “virtuoso” associato al termine “uomo” deve essere qui inteso nel senso di colui che
raffigura il prodotto ben riuscito dell’educazione liberale.
12
bambini nel lavoro agricolo e artigianale
13
e il più delle volte imponendo fatiche da
adulti. Per tale ragione si è avversi ad ammetterne la loro crescita biologica e di abilità.
Ma è soprattutto dalle opere e dalle documentazioni di autori come Apuleio, Plinio il
Giovane, Ovidio, Cicerone, che si evince in maniera ben evidente una disparità tra
bambino e bambina.
Nascere femmina è già di per sé una menomazione; le bambine sono indesiderate, non
gradite come lo erano, invece, i bambini e le motivazioni di tutto ciò, simbolo della
mentalità e delle esigenze economiche e sociali dell’intera comunità, sono
essenzialmente disparate. Le piccole puellae sono meno adoperabili nei lavori
generalmente riservati ai ragazzi, quando giunge il tempo di sposarle occorre dar loro
una dote e, infine, non hanno ruoli nella perpetuazione gentilizia e patrimoniale.
Nascere femmina significa arrecare dispiacere ai padri che, vedendo svanire le loro
speranze di perpetuazione del nome e del patrimonio, legittimano il continuo ricorso
alle adozioni maschili. Un esempio di tale forma mentis è la nascita della piccola
Claudia, figlia dell’imperatore Claudio (I sec. d. C.), che ha portato dietro di sé lo
strascico di una vera e propria sofferenza. L’imperatore ha accolto la bambina
imponendole quel nome che rappresenta la trasposizione al femminile di quello di suo
padre. Ma egli nel frattempo solleva dubbi sulla sua paternità raccogliendo prove e
maldicenze e allorquando il dubbio diviene amara certezza, ossia quando scopre che in
verità Claudia è figlia di un solerte liberto con il quale l’imperatrice Plautia Urgunilla si
è “lasciata andare” in una sorta di relazione che oggigiorno si definirebbe
extraconiugale, l’imperatore ordina che la piccola sia esposta
14
e gettata dinanzi alla
13
Il lavoro infantile mirava a riservare una specifica collocazione per i bambini, per questo si tendeva a
prolungare il loro sfruttamento ritardandone l’entrata nel mondo adulto.
14
La pratica dell’esposizione dei neonati è abbastanza estesa in molte culture antiche e affonda le proprie
radici nel mito. Il primo caso storico risale a Romolo e Remo. Romolo stesso, vittima di tale esperienza,