I
PREMESSA
L’idea di impostare un lavoro di ricerca sul tema della Comunicazione Pubblica in
Europa è scaturita da una lunga e graduale riflessione.
Quello per la comunicazione è stato, da parte mia, un interesse sempre vivo, che è
però andato crescendo negli anni e si è alimentato attraverso gli studi universitari,
indirizzandosi in modo particolare verso l’ambito della Comunicazione Pubblica.
Un grande merito devo tributare, inoltre, all’esperienza di studio all’interno del
progetto Erasmus, che ha accresciuto la mia curiosità verso le tematiche europee; ho
avuto l’opportunità di inserirmi nel sistema universitario tedesco e nel tessuto
cittadino di Leipzig con una semplicità nemmeno lontanamente immaginabile fino a
meno di un decennio fa, riuscendo ad appropriarmi di uno sguardo molto meno
falsato su una delle realtà dalle quali è composta l’Europa di oggi.
E’ stato in quel momento che ho potuto davvero toccare con mano le possibilità che
l’essere cittadino europeo offre e le agevolazioni che concede: studiare in Germania,
in un diverso contesto socio - culturale, dovermi adeguare a norme e soprattutto a
schemi comportamentali differenti, mi ha avvicinato a quest’Europa della quale
conoscevo poco, a questa “sezione esteri” del telegiornale, che ha iniziato ad essere
un po’ anche mia, e a sembrarmi, poi, non più tanto estera!
La prima volta che, però, mi sono realmente posta il problema dell’ESSERE IO
STESSA PARTE dell’Europa, è stato grazie all’incontro con un cittadino
extracomunitario, con il quale ho cominciato a confrontarmi.
Spesso, parlando di usi, costumi, religione, mi sono sentita appellare con le parole
“voi europei”1, e ciò, in un primo momento, mi ha alquanto spiazzato. Non nascondo
di aver avuto un certo rifiuto per tale etichetta, perché sentivo di non poter avere
nulla in comune con un tedesco, un inglese, un francese, un rumeno, un ungherese, se
non l’abitare lo stesso continente.
Lì emergevano la mia diffidenza e il mio “orgoglio patrio”.
Il punto, però, è che nell’Europeicità (concetto con il quale definirò, nel corso del
mio lavoro di ricerca, il sentimento di appartenenza più profondo all’Europa), la
patria c’entra poco o nulla: l’Europa non è PADRE, né MADRE.
1
Come richiamato anche da Habermas (2007) quando afferma: “[…]gli altri spesso vedono in noi non
tanto il Tedesco o il Francese, quanto l’Europeo, e questo non soltanto a Hong Kong, ma anche a Tel
Aviv”.
II
Il termine madre, per esempio, viene usato nella composizione del sostantivo
madrelingua per denotare quell’appartenenza viscerale ed esclusiva della persona al
proprio gruppo linguistico e, allo stesso tempo, della lingua alla persona; a mio
avviso, invece, nel rapporto nazioni/Europa e cittadini/Europa, non si riscontra
quella esclusività che caratterizza, invece, il senso di appartenenza nazionale.
L’Europa, credo, possa rappresentare una sorta di MATRIARCA, che tiene tutti sotto
la propria ala protettrice, li invita alla collaborazione e alla cooperazione, nella
consapevolezza di aver trasmesso valori saldi, sui quali impostare poi singoli
percorsi autonomi.
Fuori dalla metafora famigliare, l’Europa è il frame che ricomprende il puzzle delle
nazioni e dei cittadini, un frame contraddistinto da valori e progetti comuni,
sviluppati lungo un cammino condiviso, che le istituzioni rendono effettivi e concreti
tramite il proprio lavoro nelle sedi preposte, oltre che tramite norme, regolamenti,
direttive.
C’è bisogno che tutti i cittadini, i nipoti della metafora, non si sentano estranei a tutto
ciò; anzi, sta alla matriarca (l’Unione Europea con tutte le sue istituzioni, nella sua
dimensione transnazionale) ed ai suoi figli (i singoli Stati) mostrare l’unità autentica
del puzzle, che ne fa nascere un disegno compiuto, coerente e positivo.
Forse ci siamo troppo abituati a pensarci come tante comunità statiche, abbiamo
iniziato ad essere esclusivisti, a chiuderci al cambiamento che sembra voler
prepotentemente imporsi dall’esterno.
Il dialogo, soprattutto all’interno di una realtà variegata come quella di cui ci si
occupa in questo lavoro, è, invece, il fondamento non solo della comprensione, ma
anche dell’evoluzione e del miglioramento.
Dismettere i panni del sospetto ed aprirsi al nuovo, spostarsi, viaggiare, conoscere,
esperire ciò che è altro, mettersi in contatto con l’altro attivando una comunicazione
che non impoverisce, ma che, al contrario, ci rende più ricchi (grazie agli input) e più
consapevoli delle nostre potenzialità (grazie alle chances di confronto), è la strada
verso il compimento vero e profondo del progetto europeo.
Si tratta […], di pensare lo sviluppo della comunicazione – attraverso l’uso di
nuovi linguaggi o ambienti, nuove protesi o tecnologie – come abbattimento di
barriere ed esplorazione di frontiere: per allargare la cerchia dell’inclusione,
per costruire sempre nuovi equilibri tra innovazione e tradizioni, per rendere
III
condivisa una concezione della cultura umana come capacità permanente di
apprendere: modificando l’ambiente, fronteggiando l’incertezza, promuovendo
il cambiamento. […] La comunicazione, così concepita, diventa allora una
risorsa strategica per aprirsi al discorso del diverso, dell’altro.2
2
Bechelloni (2007), pag. 66.
IV
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Il presente elaborato indaga, pertanto, senza pretese di completezza, quanto è stato
fatto nel campo della comunicazione, soprattutto dalla Commissione Europea, e in
modo più approfondito sotto la presidenza Barroso, grazie al Commissario per le
Relazioni istituzionali e la Comunicazione, nonché Vicepresidente, Margot
Wallström.
Il primo capitolo introduce la tematica dell’integrazione adottando prospettive
diverse: il processo di costruzione dell’Europa assume via via la forma di un sogno
in fase di realizzazione e poi quella di un puzzle che va sapientemente assemblato.
Entrano presto in gioco di continue trasformazioni, le varie appartenenze nazionali,
che stentano a comporre un sentimento di appartenenza europeo, che non cancelli le
identità originarie, ma le affianchi e le rafforzi.
E’ intorno a questi aspetti di natura identitaria che si snoda il discorso, fino ad
approdare nel terreno della comunicazione, quella pubblica, vero cuore di questo
lavoro, che offre spunti al cittadino per familiarizzare con l’Europa e per appropriarsi
non solo di un senso di appartenenza europeo, ma soprattutto di un modo di agire la
propria cittadinanza.
La sfida di comunicazione lanciata dal Commissario Wallström conclude, poi, il
capitolo con le tre parole d’ordine che hanno guidato l’espletamento delle sue
funzioni di rappresentante europeo: ASCOLTARE MEGLIO, SPIEGARE MEGLIO
e RAGGIUNGERE LE REALTA’ LOCALI.
Il secondo capitolo, invece, distoglie un po’ l’attenzione dalle politiche europee e,
dopo una breve riflessione sugli eventi che hanno accompagnato la travagliata
vicenda dell’approvazione di una Costituzione per l’Europa, si sofferma su due
concetti fondamentali per l’intero lavoro, vale a dire quelli di EUROPEICITA’ ed
EUROPEISMO,
L’analisi, qui, è prettamente sociologica e si serve dei dati elaborati
dall’Eurobarometro per descrivere l’andamento delle percezioni e degli umori dei
cittadini per quanto riguarda l’essere membri dell’UE, i benefici che eventualmente
gli Stati di appartenenza ne hanno tratto e la fiducia nelle istituzioni europee.
L’ultimo capitolo si occupa da vicino del processo di integrazione, analizzando
alcune delle strategie di comunicazione messe in atto dalla Commissione Europea,
V
soprattutto a partire dal 2004, vale a dire dall’inizio del mandato della sig.ra
Wallström.
Con le riflessioni finali, poi, si conclude l’intero il percorso, focalizzando
l’attenzione su alcuni punti che nel corso della stesura delle varie parti sono apparsi
più rilevanti.
Sulla via dell’integrazione europea, per richiamare il titolo della tesi, affiora un
bisogno, al quale le istituzioni hanno la responsabilità di rispondere: accorciare la
distanza tra cittadini e istituzioni, per trasformare il senso di lontananza, in desiderio
e poi percezione di vicinanza; vicinanza di idee, di valori, di progetti, una vicinanza
sulla via “dell’integrazione sostenibile”, che non sia un livellamento delle differenze,
ma una loro esaltazione, mirata alla condivisione dei vantaggi e al confronto delle
esperienze.
Ci siamo detti tante volte che i nostri cittadini vogliono sentire parlare di
Europa soprattutto come un’opportunità e non […] come una “camicia di
forza”, che in ogni caso deve essere ben spiegata e motivata.3
Tutto questo può solo essere frutto di un impegno costante, assiduo e graduale,
adottando prima di tutto un punto di vista scevro da pregiudizi di ogni sorta e
“aperto” a tutte le voci.
C’è bisogno di rendere strutturale un certo modus operandi che sottenda il lavoro
dell’intero corpo - Europa, per dar FIDUCIA al cittadino, ma anche alle istituzioni
stesse, e permettere il realizzarsi di una cittadinanza europea attiva, pur in uno spazio
così vasto, infondendo in ogni membro della comunità un senso di responsabilità
personale per il buon funzionamento del tutto.
3
Massolo, La comunicazione istituzionale nelle relazioni internazionali, «Rivista italiana di
comunicazione pubblica», n° speciale monografico – supplemento al n°1/1999, pag. 162.
1
CAPITOLO I
La costruzione dell’Europa: ISTITUZIONI e SOCIETA’
CIVILE
“L'Europa non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa
sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.”
Robert Schuman1
“We have made a success of trans-European networks in
infrastructure.
Now we have to strengthen contacts between people by building trans-European
networks of humans.”
Margot Wallström2
“[...] listening to the concerns of citizens is a crucial part of policy-making in a
democratic structure. Apart from citizens, the dialogue should also involve civil
society, social partners, national parliaments and political parties. It should reflect
the social reality of the whole European Union.”
Margot Wallström3
1
Dichiarazione di Robert Schuman, l'allora Ministro degli Esteri francese, rilasciata il 9 maggio 1950,
che diede origine al processo di integrazione europea.
2http://www.europarl.europa.eu/hearings/commission/2004_comm/pdf/speech_wallstrom_en.pdf1.
3http://ec.europa.eu/commission_barroso/wallstrom/priorities/democracy_en.htm.
2
1.1. “L’Europa è fatta, adesso dobbiamo fare gli europei!”: il sogno
Avviare una riflessione sull’Europa di oggi è un compito più che mai arduo, se si
cerca di conservare una visione globale sui processi verificatisi negli scorsi decenni,
e si tiene conto delle peculiarità che compongono il progetto europeo.
Dagli anni Cinquanta ad oggi, è trascorso più di mezzo secolo: un lungo arco di
tempo, costellato da tappe significative non solo per le istituzioni, ma anche per le
persone.
In questo “contenitore spazio-temporale” in espansione, sono racchiusi i sogni e le
realtà europei, la dimensione fattuale, quella delle cose concrete, di ciò che si è
realizzato, e allo stesso tempo quella degli ideali, che sono stati il fondamento e ne
sono oggi motore propulsivo verso il futuro.
Tanti sono stati i traguardi raggiunti nel lungo e nel breve corso.
Le fondamenta sono state gettate decenni fa; oggi assistiamo alla prosecuzione dei
lavori: la struttura sta venendo su solida e imponente … adesso dobbiamo fare gli
europei, parafrasando la celebre affermazione di rimembranze risorgimentali
attribuita a D’Azeglio.
E’ in questa direzione, quindi, che si muovono molte delle iniziative in corso in
ambito nazionale ed europeo e in particolare sul fronte della comunicazione
pubblica: mettere in grado il cittadino di giocare un ruolo attivo nelle dinamiche che
a lungo sono state prerogativa delle élites culturali e dei vertici politici.
Senza di questi ultimi, però, molto probabilmente, non saremmo arrivati al punto in
cui ci troviamo. Certamente la voglia di conciliazione, il desiderio di unità,
l’improponibilità della prosecuzione di una storia fatta di scontri duri e mortali,
quelle “sanguinose scissioni” di cui parla Schuman4: tutto questo è servito da
combustibile per alimentare l’impegno di alcuni stati, a proporsi come intermediari
per la creazione di una base comune di dialogo, una COM-UNITA’ che sapesse dare
risposte ad un insieme di popoli, stremati dalla più avvilente delle guerre che
l’umanità avesse fino a quel momento dovuto fronteggiare.
A partire dall’economia, e soprattutto dalle ricchezze naturali che potevano servire al
rilancio di uno sviluppo condiviso, furono intraprese, nel secondo dopoguerra,
4
Robert Schuman, discorso del 9 maggio 1950
http://europa.eu/abc/symbols/9-may/decl_it.htm.