3
Introduzione
Copenhagen di Michael Frayn rappresenta un’innovazione nel panorama teatrale
contemporaneo, per numerosi fattori, che coinvolgono sia i temi sia la struttura dello spettacolo.
In primo luogo, il filo conduttore dell’azione riguarda un settore, quello del dibattito scientifico,
che ha interessato il teatro ma che allo stesso tempo intimorisce, a causa delle innegabili
difficoltà che la tematica presenta: quello della scienza è un linguaggio tecnico e preciso, che
presuppone un certo impegno.
Trasportare tutto questo sul palcoscenico impone soprattutto un obiettivo: riuscire a rendere il
concetto senza rinunciare alla peculiarità del linguaggio scientifico, e far sì che il pubblico sia
comunque coinvolto, senza che la rappresentazione divenga la mera trasposizione di un
congresso
1
. Copenaghen si sviluppa quindi su un terreno problematico: Frayn si è cimentato in
un soggetto che ha richiesto un notevole approfondimento scientifico per dare credibilità ai
dialoghi dei personaggi. Mettere al centro della storia un dibattito che si sofferma spesso su
teorie e concetti scientifici è una scelta coraggiosa, data la complessità della materia.
Il secondo elemento che distingue Copenhagen dal resto della produzione teatrale
contemporanea è il tema: prendendo spunto dal dramma della bomba atomica, Frayn ha scelto di
porre al centro dello spettacolo un quesito contemporaneo ma scomodo, ancora irrisolto: la
scienza e il progresso devono avere limiti? Fin dove è lecito spingersi in nome della ricerca e
dell’evoluzione scientifica, e come si pone lo scienziato davanti a tale responsabilità?
Frayn porta quindi in scena uno dei momenti più bui della storia contemporanea e lo analizza da
una prospettiva che pone un pesante interrogativo:
Does one as a physicist have the moral right to work on the practical exploitation of the
atomic energy ?
2
1
Il fine ultimo di Frayn rimane l’intrattenimento del pubblico, e la costruzione di uno spettacolo edificante, che
offra spunti di riflessione. Mariagabriella Cambiaghi, Copenaghen – quando la scienza diventa conversazione
drammatica, in A. Cascetta-L. Peja (a cura di), La prova del Nove: scritture per la scena e temi epocali nel
secondo Novecento, Milano, Vita e Pensiero, 2005, p. 534.
2
Michael Frayn, Copenhagen, New York, Anchor Books, 1998, p. 88.
4
Questo è il dibattito al centro dell’intera opera, che tormenta Werner Heisenberg e che
provocherà uno scontro mai sanato con il suo amico e maestro Niels Bohr. La precisione della
trattazione scientifica non è il fine ultimo dello spettacolo, è lo sfondo sul quale deve spiccare la
questione filosofica e morale, che viene intelligentemente presentata attraverso le autorevoli voci
di scienziati che si sono trovati in prima persona a fronteggiare il dilemma.
Lo spettacolo però è l’occasione per mostrare come una legge scientifica si applichi anche al
mondo reale. I principi di indeterminazione e di complementarietà sono infatti il filtro tramite il
quale Frayn dimostra l’impossibilità per l’uomo di definire con precisione il proprio agire, quella
che viene chiamata indeterminacy of human thoughts, offrendo una chiave di interpretazione
filosofica.
Il successo dello spettacolo è decretato dall’abilità dell’autore, che è riuscito a impostare una
struttura che regge il peso dei contenuti appena menzionati, risultando quindi interessante per lo
spettatore.
Copenhagen si sviluppa attraverso l’interazione di tre soli personaggi, i già citati Werner
Heisenberg, Niels Bohr e sua moglie Margrethe, alternando momenti di tensione a momenti più
leggeri, addirittura comici.
Peculiarità dello spettacolo è quella di portare in scena i fantasmi, gli spiriti di questi uomini di
scienza, slegando i personaggi dai comuni vincoli dell’azione nello spazio e del tempo e
impostando l’intero spettacolo come se si trattasse della stesura di un trattato scientifico,
ripercorrendo la vicenda tutte le volte che sembra necessario, fino a trovare una versione
soddisfacente.
L’approccio di Frayn è basato sull’approfondimento della fonte storica, poiché abbondano i
documenti che trattano del ruolo di Heisenberg nel programma nucleare tedesco e le ipotesi
storiche sulle ragioni della visita a Copenaghen, con accusatori e difensori. L’autore, optando per
un tema e un periodo storico così delicati, non è stato immune dalle polemiche.
Frayn ha scelto per la sua opera due scienziati che hanno lasciato un contributo molto importante
nel campo della fisica.
5
I primi decenni del Novecento sono stati sensazionali da questo punto di vista, perché mai si era
assistito prima di allora ad una successione di idee talmente geniali da modificare radicalmente
la concezione del mondo conosciuto.
Sono principalmente due le teorie che hanno rivoluzionato la fisica classica: innanzitutto la
teoria della relatività
3
di Albert Einstein, il cui impatto sulla visione scientifica fu tale che Frayn
lo paragona a Dio
4
; la seconda è la Teoria dei Quanti, un lavoro di gruppo – che venne avviato
dalla scoperta dei quanti da parte di Max Planck – poiché ogni scienziato contribuì ad arricchirla e
perfezionarla, a partire da Niels Bohr. Bohr inizia il suo percorso scientifico con la formulazione
di un modello atomico che risultasse più funzionale rispetto a quello classico. A Bohr si deve
l’elaborazione del principio di complementarietà, secondo il quale la natura corpuscolare ed
ondulatoria dei fenomeni atomici non è osservabile nello stesso momento
5
.
Heisenberg invece ha posto il punto di arrivo della meccanica quantistica con il principio di
indeterminazione, sancendo «la fine della causalità rigorosa»
6
. Famosa è stata la sua rivalità con
Schrödinger, che viene ripresa anche nello spettacolo. I due scienziati erano approdati a
soluzioni molto simili sullo spettro e sulla struttura atomica. Gamow afferma che
Questi due lavori sembravano diversissimi eppure giungevano esattamente agli stessi
risultati. […] Era come se l’America fosse stata scoperta da Cristoforo Colombo con
un viaggio verso l’Atlantico diretto verso Occidente, e contemporaneamente da un
Giapponese altrettanto audace con un viaggio attraverso il Pacifico diretto verso
Oriente
7
.
Fu a Copenaghen, sede dell’Istituto di Bohr spesso citato nello spettacolo, il centro attivo verso
il quale convergevano gli scienziati più promettenti:
3
Il merito della Teoria della Relatività è da attribuirsi esclusivamente ad Albert Einstein, che la sviluppò nell’arco
di 10 anni, tra il 1905, anno di pubblicazione della Teoria della Relatività Ristretta, e il 1915, con la pubblicazione
della Teoria Generale della Relatività.
La rivoluzione della teoria di Einstein consiste nella unificazione dei concetti di spazio e tempo, che non sono più
indipendenti, al contrario: questa visione di un universo a quattro dimensioni – includendo le tre coordinate
spaziali e la coordinata tempo – si applicò al metodo di osservazione dell’atomo, e ampliando la scala, al
movimento dei pianeti del sistema solare e all’universo. Cfr. George Gamow, Trent'anni che sconvolsero la fisica:
la storia della teoria dei quanti, Bologna Zanichelli, 1966, p 9.
4
Michael Frayn, Copenaghen, Milano, Sironi Editore 2005, p. 67.
5
Stefania De Curtis, Fisica, Milano, Giunti Editore, 2007, p. 78.
6
Werner Heisenberg, Indeterminazione e realtà, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2002.p.17.
7
George Gamow, Trent'anni che sconvolsero la fisica: la storia della teoria dei quanti, Bologna Zanichelli, 1966,
p. 13.
6
le strade dei teorici di qualunque nazionalità portavano tutte, non a Roma, ma a
Copenaghen, la città di Niels Bohr
8
.
Si trattava, come si evince dagli aneddoti citati da Frayn, di un ambiente familiare e stimolante –
nel quale Bohr era visto come un paterno supervisore – che ha ospitato alcune delle scoperte
fondamentali della fisica moderna.
La produzione di Frayn è estremamente varia: la sua carriera inizia come giornalista per The
Guardian e per l’Observer, nei quali già si evidenzia la vena comica affiancata alla filosofia,
passando per la traduzione dei romanzi di Chekhov – dei quali Frayn è considerato il miglior
traduttore
9
– ai romanzi – primo dei quali è stato Tin tin men, fino ad approdare al teatro.
Nello specifico, Copenhagen inaugura un nuovo percorso – che si consoliderà con Democracy,
del 2003 – in cui Frayn abbandona le atmosfere comiche e leggere delle sue opere più famose
per approdare a tematiche storicamente fondate e ad un’impronta più intellettuale. Copenhagen è
lo spettacolo che aiuta Frayn a riconquistare il favore di pubblico e critica dopo
The rather black part of my career after the failure of Look Look in 1990 had put an
abrupt end to the successes of the eighties
10
.
In Copenhagen sono presenti alcuni momenti di ironia e situazioni che rivelano un certo
potenziale comico, per esempio, le partite di poker con scale immaginarie o le bizzarre teorie sui
duelli western, ma il tono complessivo è sicuramente distante, per esempio, da Noises Off, che
venne definita «a laugh machine»
11
.
Si può legittimamente affermare che la carriera di Frayn si divida in due periodi: i successi degli
anni Ottanta, di carattere umoristico e brillante, e i lavori dalla fine degli anni Novanta in poi, dal
tratto più serio ed impegnato. Copenhagen infatti è stata la prima opera ad inaugurare questo
nuovo percorso, e Democracy continua su questo livello, col medesimo riscontro positivo.
8
Ivi, p. 163.
9
Il suo lavoro su Checkhov è stato definito «as close to perfection in the translator’s art as it is possible to get»
.Merritt Moseley, Understanding Michael Frayn (understanding contemporary British literature), Columbia,
University of South Carolina Press, 2006, p. 29
10
Ivi, p. 154.
11
Ivi, p. 163.
7
Nonostante gli innegabili successi della sua carriera, si ha l’impressione che il valore di questo
autore non sia stato ancora pienamente riconosciuto dal punto di vista letterario, mentre più
felice è stato l’esito del suo teatro.
8
1. Copenhagen e la storiografia
La scelta di creare un’opera di qualsivoglia natura fortemente ispirata alla storia vede come
principale ed inevitabile punto di partenza la necessità di scavare in profondità nella
documentazione relativa agli avvenimenti del periodo preso in analisi.
Per questa ragione, la costruzione di uno spettacolo come Copenhagen non può prescindere
dall’incursione di Frayn nel territorio storiografico, al fine di creare una base credibile: l’autore
ha infatti dovuto districarsi tra l’abbondanza di documenti, testimonianze dirette ed indirette e
libri sull’argomento, cercando di individuare un filo conduttore coerente e quanto più veritiero
possibile.
Ciò rende Frayn molto simile allo storiografo nella sua indagine che, inevitabilmente, parte dal
documento scritto.
1.1. Storiografia: una definizione
Fare storiografia significa indagare e ricostruire gli avvenimenti del passato, possibilmente
riuscendo ad offrire un chiarimento degli stessi.
Appare molto difficile tracciare un confine preciso dell’attività storiografica; sembra che tale
ricerca intersechi i raggi d’azione di altre discipline, e numerosi studiosi hanno messo in rilievo
quanto l’indagine storica si mescoli ad altre scienze. Ginzburg, per esempio, vede un aggancio
molto concreto tra il mestiere del giudice e il mestiere dello storico. Tale parallelismo si basa
innanzitutto sulla capacità argomentativa, che secondo Ginzburg la storia ha ereditato dalla
giurisprudenza. L’autore spinge ancora più in là i modelli di riferimento della storia fino a
contemplare un’ influenza di materie scientifiche:
La storia come attività intellettuale specifica si costituisce […] all’incrocio tra medicina
e retorica: esamina casi e situazioni cercandone le cause naturali secondo l’esempio
della prima,e li espone seguendo le regole della seconda – un’arte di persuadere nato nei
tribunali
12
.
12
Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico: considerazioni in margine al processo Sofri, Torino Einaudi, 1991, p. 8.
secondo Ginzburg gli effetti del “modello giudiziario” sugli storici sono principalmente due: una maggiore
attenzione agli eventi come espressione dell’agire dell’individuo, e , per contro, a sottovalutare ciò che non è
inscrivibile in tali classificazioni.
9
Peter Burke traccia una linea di continuità tra la storia e la sociologia:
Entrambe le discipline, al pari dell’antropologia sociale, sono interessate alla società
vista come un tutto unico e all’intera gamma dei comportamenti umani, ed in questi
termini si differenziano dagli studi economici, geografici, politici e religiosi
13
.
Annoverando tra le altre anche la geografia e l’economia storica, tutti campi di studio nei quali
l’indagine storica ha un suo peso.
Per molto tempo il mestiere storiografico - ammantato nell’indefinitezza a causa anche di questa
fusione con altre discipline - consistette nell’ordinare le azioni documentate nell’ampia gamma
di testi scritti consultati:
Un lavoro da sedentari, da tavolo e carta, un lavoro fatto al chiuso, con le cortine
abbassate
14
.
Il punto di partenza di tale ricerca era, ovviamente, il testo, il documento. Ben presto, però,
questa definizione del mestiere storiografico - e questo metodo di analisi - mostra segnali di
inadeguatezza, rivelandosi non sufficientemente funzionale né chiarificatore
15
.
Ma attraverso i testi si possono stabilire i fatti? Ciascuno lo diceva: la storia sta nello
stabilire i fatti, e poi metterli in opera. Ed era vero, era chiaro, ma solo all’ingrosso, e
soprattutto se la storia era intessuta – quasi unicamente – di avvenimenti
16
.
La storiografia va oltre la stesura di accurate cronologie, approda all’analisi dei fatti
accompagnata dalla ricerca delle cause e delle relative conseguenze, un’analisi che vive di
domande alle quali bisogna trovare risposte che potrebbero – come accade nella maggior parte
delle situazioni - esulare da ciò che viene riportato per iscritto.
13
Peter Burke, Storia e teoria sociale, Bologna Il mulino, 1995, p. 27. Burke sottolinea come i rapporti tra le due
discipline, che pur sono complementari per campo di indagine, non siano però sempre rosei.
14
Lucien Febvre, Problemi di metodo storico, Torino Einaudi, 1976, p. 72.
15
La nuova storiografia sembra quindi unanime nel prendere decisamente le distanze dalla histoire événementielle,
formula ideata dalla scuola degli Annales, per distinguere il nuovo percorso di ricerca.
16
Lucien Febvre, Problemi di metodo storico, Torino, Einaudi, 1976, p. 72.
10
Il fatto storico documentato viene visto come il risultato finale, il prodotto di avvenimenti
contingenti di natura sociale, economica, culturale, che necessariamente vanno ricostruiti pur se
privi di quel supporto fornito dallo scritto.
La storiografia si arricchisce quindi grazie ad un nuovo approccio, più analitico, che non si
accontenta di riordinare determinati avvenimenti, ma che li vuole sviscerare, risalendo fino alle
origine del fatto stesso.
Al fine di poter raggiungere tale obiettivo diventa però fondamentale porsi le domande giuste: il
lavoro di ricerca deve essere affrontato con un “disegno mentale” preciso
17
, un progetto di
lavoro che permette di delineare quale sia il proposito della ricerca. Quindi, lo storiografo non
deve essere in balìa del documento, al contrario: quest’ultimo sarà lo strumento tramite il quale
lo storico, esercitando il suo controllo, cerca di raggiungere la piena comprensione.
Così facendo la storiografia si allontana dal territorio sicuro della pagina scritta per avventurarsi
in quello, più insidioso, dell’indagine e dell’ipotesi. Lo storico diventa investigatore a tutto
tondo, fronteggiando l’ambito, certamente più stimolante, del mistero storico.
Proprio per questo i periodi delle origini attraggono tanto lo storico: perché vi pullulano
misteri da chiarire, le resurrezioni da tentare
18
.
La storiografia perde quell’aura di scienza esatta che l’aveva caratterizzata fino a quel momento.
Soprattutto si inizia a capire che non è possibile avere un quadro totalizzante e completo di una
situazione storica; così Fischer commenta il tentativo di acquisire una piena conoscenza del fatto
storico: «the impossible object is the quest for the whole truth»
19
.
17
Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico: considerazioni in margine al processo Sofri, Torino Einaudi, 1991, p.7.
David Hackett Fischer tuttavia mette in guardia dall’incorrere nell’errore – a suo dire molto diffuso tra gli storici –
di porsi domande che, lungi dal fornire una risposta soddisfacente, conducono ad altre domande, disperdendo il
discorso e dirigendo l’indagine verso un punto di non ritorno. David Hackett Fischer, Historians' Fallacies:
Towards a Logic of Historical Thought, New York: Harper & Row, 1970, p. 8.
18
Lucien Febvre, Problemi di metodo storico, cit. p. 73.
19
David Hackett Fischer, Historians' Fallacies: Towards a Logic of Historical Thought cit p. 5. Ciò non significa
che la visione dominante debba essere relativista: esistono delle objective truths che possono essere riconosciute:
«Every true historical statement is an answer to the question to which a historian has asked. Not to The Question.
But to question about something». Fischer propone una visione della storiografia che abbraccia con convinzione il
contributo della logica, contro la quale il pregiudizio è stato forte: «nothing falsifies history more than logic»
(preface x). Fischer configura la storiografia come «problem-solving discipline», basata sul porsi continuamente
domande su un argomento e trovarne risposte soddisfacenti.
11
Lo storiografo che si impegna nel lavoro di ricostruzione si trova spesso davanti a scelte da
compiere riguardanti quali fatti sottolineare e quali mettere in secondo piano:
Ed ecco di che scuotere dalle fondamenta un’altra dottrina,tanto spesso, sino a poco fa,
insegnata: “Lo storico non deve scegliere i fatti. Scegliere? Con qual diritto? [..]
Scegliere: la negazione dell’opera scientifica”. Mentre tutta la storia è scelta
20
.
Ciò dipende da cosa è stato preservato ed è giunto fino allo storiografo. Naturalmente la scelta di
cui si parla talvolta viene operata senza che lo storiografo ne abbia responsabilità alcuna: è la
selezione del tempo, che cancella certe fonti e ne preserva intatte altre
21
.
Il radicale cambio nella definizione di storiografia riguarda anche l’approccio dello storiografo:
assodato che il testo è il punto di partenza dell’indagine e non più quello di arrivo, lo studioso
non è più passivamente in balìa di ciò che il testo offre, ma avvia la ricerca con un piano
delineato di ciò che intende scoprire o provare.
20
Ibidem.
21
A questo proposito molti storici mettono in guardia dal distorcimento della fonte, la deviazione nella
documentazione principalmente dovuta all’effetto temporale. Cfr, Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico:
considerazioni in margine al processo Sofri, cit. p. 13.
12
1.2. Il materiale storico di Michael Frayn
Alla luce di quanto detto ci sono interessanti parallelismi con il lavoro di Frayn, che, come già
accennato, è la base dello spettacolo.
Il primo problema riguarda quali fonti analizzare per un quadro completo: il materiale
riguardante la Seconda Guerra Mondiale e i personaggi storici e scientifici coinvolti è
estremamente ricco.
La fonte principale e più preziosa di Frayn è stata una pubblicazione dello stesso Werner
Heisenberg, Fisica e oltre, incontro con i protagonisti 1920-1965
22
. Qui Heisenberg alterna una
trattazione articolata e tecnicamente precisa dei dibattiti tra scienziati e quindi dei processi che
hanno portato alle scoperte scientifiche del secolo, interessanti spunti filosofici e morali sul
lavoro della scienza, e il ricordo di episodi e chiacchierate tra amici. Tra questi figura anche
Niels Bohr, e tali racconti sono stati fonte di ispirazione per Frayn nel delineare i tratti più
privati ed affettivi dei suoi personaggi. Gli aneddoti riguardanti gite o partite a carte che Frayn
rielabora e ripropone nello spettacolo non sono quindi frutto di invenzione letteraria, il che
contribuisce a rendere la rappresentazione più autentica.
Heisenberg parla anche dei passatempi, delle distrazioni che spesso erano lo spunto per l’avvio
di una conversazione filosofica.
È curiosa l’impostazione che Heisenberg scelse di dare al suo lavoro. Il libro è infatti ricco di
dialoghi, tramite i quali si snocciolano importanti princìpi scientifici. Più che un resoconto si
tratta del tentativo di riprodurre conversazioni e dei dibattiti tra scienziati, in cui non si può
evitare di sottolineare una certa manipolazione da parte di Heisenberg, dovuta all’impossibilità
di ricordare i dialoghi con precisione assoluta
23
. Bohr ha in questo contesto un ruolo
considerevole, in quanto con Heisenberg affrontava gli argomenti più disparati, ma sempre
22
Werner Heisenberg, Fisica e oltre: incontri con i protagonisti: 1920-1965, Torino, Boringhieri, 1984.
23
Ciò anticipa un problema che verrà trattato più avanti, ovvero la manipolazione della fonte su cui lo storico (o un
autore di opere a sfondo storico) entra in contatto: in questo caso, infatti, la precisione dei dialoghi è inevitabilmente
corrosa dal divario temporale che è trascorso tra esperienza vissuta e scrittura della stessa, e in più risulta sottomessa
all’intento dell’autore-scienziato e all’elaborazione letteraria.
13
analizzando le implicazioni nel quadro scientifico: dall’uso della lingua nel pensiero e nella
comunicazione, alla religione, ma soprattutto alla «responsabilità dello scienziato»
24
.
Al 1947 risale un altro incontro degli scienziati, che non riuscirono a sanare quel contrasto che
Heisenberg vedeva come una conseguenza dell’isolamento verso il quale il Nazismo aveva
spinto la Germania. Non trovando un accordo, decisero di non tornare più sull’argomento, per
non risvegliare i “fantasmi del passato”.
Le fonti di Frayn non si fermano certamente alla sola autobiografia-trattato di Heisenberg.
Molti sono stati gli studiosi che hanno affrontato il mistero di Copenaghen, ma pochi quelli che
sono riusciti a darne una spiegazione convincente. Colpisce soprattutto la grande disparità di
commenti intorno alla figura di Heisenberg. Se infatti più o meno tutti gli storici e studiosi sono
concordi nel definire Bohr con un ampio uso di aggettivi benevoli, la stessa sorte non spetta allo
scienziato tedesco. Frayn cita in particolare l’articolo Heisenberg, German Morality and the
Atomic Bomb di Paul Lawrence Rose
25
, il quale non risparmia critiche e commenti decisamente
ostili verso Heisenberg
26
. Frayn inserisce l’ipotesi che Heisenberg stesse cercando di rallentare
il progetto chiedendo finanziamenti insufficienti e allo stesso tempo evitare di inimicarsi il
governo tedesco, in quanto, se tacciato di tradimento, ciò avrebbe significato la sua rovina
professionale e privata. Frayn in Copenaghen accetta e sviluppa in termini drammatici la teoria
di Thomas Power in Heisenberg’s War
27
: secondo l’autore, Heisenberg avrebbe cercato di
mantenere l’apparenza di collaborazione con il governo tedesco, ma il vero obiettivo era evitare
di consegnare ad Hitler uno strumento di distruzione micidiale.
Oltre alle memorie di Heisenberg, una preziosa fonte di informazioni abbondantemente
sfruttata da Frayn è l’insieme delle trascrizioni, delle conversazioni registrate in segreto dai
microfoni sparsi per Farm Hall, la residenza nei pressi di Cambridge dove fu dirottato il gruppo
di scienziati tedeschi che lavoravano al progetto nucleare per una permanenza forzata: erano
trattati più da ospiti che da prigionieri, tuttavia non si sentivano liberi. Le ragioni di tale
24
Alla questione è dedicato l’intero sedicesimo capitolo del libro.
25
Un manoscritto che non è stato dato alle stampe.
26
Un interrogativo che ha molto interessato (e tuttora interessa) tutti coloro che hanno cercato di approfondire la
questione è quale sia stato concretamente il ruolo di Heisenberg nel progetto tedesco sulla fissione, che è anche
l’episodio che attirò tante critiche sullo scienziato
27
Thomas Power, Heisenberg’s War: The Secret History of the German Bomb, Cambridge, DaCapo Press, 2000.
14
spostamento non sono del tutto chiarite: è plausibile che si volesse evitare la dispersione di
importanti informazioni sul nucleare ai nemici, è altrettanto probabile che si volesse frenare il
progetto tedesco, per permettere agli inglesi di recuperare terreno e realizzare per primi il
reattore e quindi l’ordigno nucleare.
Le trascrizioni sembrano confermare l’ipotesi di un gruppo di scienziati che avrebbe
intenzionalmente lavorato al progetto del reattore con meno zelo del previsto, “con la
consapevolezza di non aver fatto l’impossibile”
28
. Le conversazioni permettono di indagare in
maniera più approfondita su un punto chiave, sia nell’indagine per la scoperta della verità
storica che nella costruzione del momento più teso e centrale dello spettacolo: Heisenberg fece
il calcolo per la massa critica o lo ritenne fattore trascurabile, in quanto aveva già stabilito che
la quantità di materia necessaria sarebbe stata fuori portata? È necessario premettere che non vi
è accordo tra i vari giornalisti e fisici che hanno avuto accesso alle trascrizioni. Frayn accoglie
nello spettacolo la tesi di Jeremy Bernstein, secondo il quale Heiseberg non avrebbe pensato di
calcolare la massa critica, e quando lo fece in seguito, sbagliò clamorosamente la stima di
uranio necessaria. È comunque plausibile la possibilità che il calcolo fosse stato evitato per non
contestare l’idea di un progetto nucleare non realizzabile: in un certo senso, Heisenberg temeva
di scoprire che il ciò che aveva ritenuto impossibile non era in realtà così irraggiungibile.
Ennesima fonte di informazione, che contribuisce ad infittire la confusione piuttosto che
dipanarla, è il materiale riguardante Bohr, per la precisione la lettera, più volte revisionata, in cui
lo scienziato presenta la sua verità. La lettera sarebbe dovuta divenire pubblica solo nel 2012, ma
la pubblicazione è stata resa nota nel 2002. Emergono qui le incongruenze con il racconto di
Heisenberg: a partire dal luogo dell’incontro, che Bohr situa nel suo Istituto, alla reazione dello
scienziato nell’apprendere la notizia del lavoro tedesco al nucleare (che, come sottolinea anche
Frayn, sarebbe dovuta restare segreta. Non è da escludere che Heisenberg sperasse che, tramite
Bohr, la notizia giungesse agli Alleati, che avrebbero messo fine al lavoro degli scienziati .
28
Michael Frayn, Copenaghen, Milano, Sironi Editore 2005, p. 134.
15
Ciò che risalta in questa carrellata di testimonianze e ciò che rende al contempo problematico e
interessante l’approfondimento di Frayn risiede nella contraddittorietà delle fonti. Il tema della
bomba atomica e dell’individuazione delle responsabilità scientifiche e morali sfocia in una
quantità notevole di informazioni. Ancora più confuso è il materiale relativo all’incontro di
Copenaghen nel 1941.
La difficoltà risiede nel riordinare prima e nel comprendere poi la reale dinamica dei fatti che
costituiscono l’impianto dello spettacolo: si è visto che le stesse testimonianze dei protagonisti
del famoso incontro differiscono perfino nei punti più elementari. Per quanto questa
contraddittorietà possa risultare scomoda per la comodità della ricostruzione, dal punto di vista
filosofico è perfettamente funzionale all’intento di Frayn: mostrare come il pensiero umano sia
fortemente soggetto a “relatività”, e indeterminazione. Non vi è un unico modo di interpretare un
evento, e se questo è valido per coloro che hanno vissuto i fatti in prima persona, lo è ancora di
più per chi vi entra in contatto
Il fatto che Frayn si sia confrontato con una documentazione così discordante non deve indurre a
pensare che l’autore non abbia maturato una riflessione propria.
Frayn infatti sembra alleggerire la portata delle accuse contro Heisenberg, ipotizzando una sorta
di complotto degli scienziati tedeschi per fermare il progetto. Di questo si parla nello spettacolo;
tuttavia l’impressione è che le strade della comprensione da parte del pubblico restino aperte.
Frayn risolve il problema dell’ambiguità delle fonti rinunciando a chiarirle nel testo,
riportandone quindi la sostanziale contradditorietà. Ciò che è storicamente ambiguo nelle
notizie sull’incontro del 1941 resta tale in scena, dove altrimenti si sarebbe avuta la pretesa di
risolvere una disputa storica.
1.3. Ipotesi ed invenzione.
Frayn si è confrontato con fonti contraddittorie, il che ha richiesto un intervento dell’autore per
impostare e riordinare il materiale. Ancora una volta si riscontra una certa vicinanza al mestiere
storiografico, in cui spesso bisogna ricorrere all’invenzione e all’ipotesi:
16
L’invenzione deve essere presente dappertutto se non si vuole che nulla del lavoro
umano vada perduto
29
.
È un preciso dovere dello storiografo colmare le lacune di un testo che presenta informazioni
incomplete o nebulose, ai fini di rendere un quadro completo dell’analisi.
Si tratta di un approccio relativamente recente, dato l’insegnamento dei “maestri” storiografi,
che rifuggivano decisamente quanto esulasse dal “metodo” e dalla “verità scientifica”
30
. Ciò
prova con più forza che la storiografia non è più vista come una scienza infallibile ed esatta:
perfino la possibilità di scegliere e selezionare i fatti storici riporta la storiografia in un settore
più “umano”, tant’è vero che spesso la scelta può essere soggetta alle mode del momento.
E in ciò non c’è nulla di scandaloso o traccia di attentato alla pretesa maestà della
Scienza. la Scienza non si fa nelle torri d’avorio […]. È vincolata da mille legami sottili
e complicati a tutte le divergenti attività umane. Talvolta subisce persino l’influsso della
moda. Immersa nell’ambiente di tutte le altre discipline umane, come potrebbe sottrarsi
alle loro inquietudini
31
?
Anche Carlo Ginzburg sottolinea l’importanza del cosiddetto «miscuglio di biografia
immaginaria e di documents authentiques»
32
, annoverando esempi di opere storiche (anche
recenti) che offrono uno spaccato completo del periodo storico preso in analisi
33
.
Peter Burke, dal canto suo, si mostra sicuro della sottile influenza della finzione nel lavoro
storiografico, che per questo viene affiancato a quello di un romanziere o di un poeta
34
, e i cui
risultati vengono paragonati ad “artefatti letterari”
35
.
29
Lucien Febvre, Problemi di metodo storico, cit. p. 75.
30
Mancando di raggiungere la completezza dell’informazione, Lebvre contesta anche l’esposizione dei fatti in
rigoroso ordine cronologico, definendo quel tipo di insegnamento storico “una deificazione del presente con l’aiuto
del passato”, ovvero, più che tracciare un percorso che consentisse la comprensione del fatto storico e delle sue
conseguenze, una carrellata di avvenimenti passati che mostrano l’evoluzione raggiunta nel presente. Ibidem.
31
Lucien Febvre, Problemi di metodo storico, cit. p. 81.
32
Espressione usata a proposito dell’arricchimento delle fonti in uso già nell’800, permettendo di superare ostacoli
quali la penuria di informazioni e la mancanza di riferimenti stilistici (che conferma la necessità di presentare il
contenuto storico con un seppur minimo abbellimento linguistico). Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico:
considerazioni in margine al processo Sofri, cit. p. 103.
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Oltre ad una carrellata di testi che però non vengono generalmente annoverati tra le opere storiche (tra i quali
l’Orlando di Virginia Woolf), Ginzburg cita anche Medieval People di Eileen Power, che ricostruisce il periodo
medievale tramite una varia serie di ritratti dei tipici personaggi del tempo, la cui creazione è legata alla
ricostruzione fantasiosa. Ivi, p. 85.