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necessità di studio, al settore della critica cinematografica che ci
riguarda da più vicino.
Negli anni 50. infatti, l’Italia politica stava vivendo i primi anni
della sua storia repubblicana, tra piani <<Marshall>>, giubilazioni e
industrializzazione del paese, mentre l’Italia cinematografica stava
vivendo la stagione che alcuni considerano come la fase di
involuzione del Neoralismo e di apertura della crisi del cinema
italiano, in questo caso,la rivista <<Cinema nuovo>> diretta da Guido
Aristarco, altri ancora, invece, e qui ci riferiamo alla rivista
<<Filmcritica>> diretta da Edoardo Bruno, la considerano una fase di
maturazione stilistica dei suoi autori principali, ossia Rossellini,
Fellini, Antonioni e Visconti, attraverso un periodo di crisi strutturale
del cinema italiano. Entrambe trovano un valido e stimolante
interlocutore nella rivista francese <<Cahiers du Cinéma>> diretta da
André Bazin, a sua volta rivaleggiante in casa con la rivista
<<Positif>> nata più o meno contemporaneamente.
Mentre, però, per <<Cinema nuovo>> Bazin sarà un avversario
esteticamente dialettico, per <<Filmcritica>> sarà spesso un alleato
teorico e un punto di riferimento, nel confronto-scontro che
<<Filmcritica>> intraprenderà con <<Cinema nuovo>>, sullo sfondo
della società italiana degli anni 50, faticosamente divisa tra le ferite
profonde del dopoguerra e le speranze precarie di un <<boom
economico>> non troppo lontano, ma percepito come lontano.
Allo stesso modo il testimone dialettico sarà raccolto nel 1966
dalla rivista romana e filo-Cahiers <<Cinema&Film>> , formatasi per
scissione gametica non indolore da <<Filmcritica>>,e dalla rivista
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rivale torinese e filo-Positif <<Ombre Rosse>>, formatasi da una
costola di <<Cinema nuovo>>, ossia la rivista <<Il nuovo spettatore
cinematografico>>, sullo sfondo di un Italia alle prese con le prime
crisi di rigetto da benessere economico e le prime crisi di coscienza da
disillusione ideologica, sul bordo di un vulcano che sembra ribollire
insoddisfazione e voglia di cambiamento a 360°.
Partendo da quest’ottica e senza volere esagerare nelle
semplificazioni ci apprestiamo a compiere questo studio che, in verità,
siamo più portati a considerare un percorso di conoscenza e di
esplorazione che non un lavoro prettamente analitico e valutativo, per
il quale non siamo certi di possedere gli strumenti apropriati e la
preparazione solida per emettere giudizi di ampio respiro.
Pertanto affronteremo questo percorso con lo spirito di chi cerca
di farsi un’idea più chiara di un periodo abbastanza recente della
nostra storia, che non ha vissuto, ma che sente la curiosità e il bisogno
di conoscere e di farselo raccontare, direttamente o mediatamente, da
chi lo ha vissuto o lo ha studiato a fondo, perchè avverte l’impressione
che quel periodo, in qualche modo, potrebbe aiutarlo ad inquadrare
meglio il suo presente quotidiano, storico e cinematografico.
In quest’ottica cercheremo soprattutto di ascoltare, dando
quanto maggiore spazio possibile alle parole di chi, volente o nolente,
ha tentato o tenta ancora di raccontarci una storia presente.
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1 Anni 50: tra Neorealismo e Nouvelle Cinéma.
Prima di passare a <<Cinema&Film>>, crediamo necessario fare
una ricognizione sul periodo che precede la nascita della rivista,
caratterizzato da un ondata di costante trasformazione tanto del
cinema che del modo di leggerlo e interpretarlo tra la fine degli anni
50 e la fine degli anni 60.
In particolare cercheremo di focalizzare l’attenzione sulla
relazione che unisce il cinema, la teoria e la critica, partendo dal
presupposto che tale relazione ha caratterizzato dinamicamente la
storia della settima arte dalle sue origini fino ai nostri giorni e,
crediamo, continuerà a farlo in futuro.
Nello specifico, ciò che crediamo ci sembra essenziale della
suddetta relazione tra cinema, teoria e critica è il loro reciproco
condizionarsi nel corso del tempo, all’interno di una dialettica che ha
provocato trasformazioni sia dal versante del fare cinema che da
quello della riflessione teorica, attraverso uno scambio di esperienze e
di ruoli che ha consentito non raramente un passaggio degli stessi
teorici e critici alla fase realizzativa del cinema.
Allo stesso modo spesso si è verificata la coincidenza negli
stessi autori di cinema dellla necessità di esprimersi attraverso i film
con quella di rimeditare le proprie scelte artistiche attraverso la
riflessione teorica, o, cosa ancor più frequente, di contribuire alla
riflessione teorica attraverso le scelte operate nella propria ricerca
poetica.
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Abbastanza frequente, infatti, è stato il passaggio dalla “penna”
alla “cinepresa”, così come il percorso inverso, andando a consolidare
un tipo di prassi operativa che ha conferito piena dignità intellettuale
al concetto di <<autore cinematografico>> e contemporaneamente ha
riqualificato in molti casi la figura dell’<<intellettuale impegnato>>
in chiave <<militante>>, intendendo con ciò una scelta in favore di un
rinnovamento del cinema nel contesto delle società uscite dal secondo
dopoguerra.
In particolar modo, però, riteniamo fondamentale, in questo
reciproco e vicendevole condizionamento tra teoria e prassi
cinematografica, il ruolo svolto dalle riviste di cinema, che hanno
rappresentato spesso il punto di incontro, di confronto, di scontro, sul
cinema esistente, così come di discussione, di riflessione e di
preparazione del cinema da fare, diventando spesso il primo passo per
l’elaborazione e la maturazione di una visione del cinema che si è poi
e trasformata in un modo di fare cinema e ha posto le basi per il suo
rinnovamento.
Le riviste, infatti, hanno rappresentato per tutto il Novecento
una costante, in qualità di strumento di aggregazione, espressione e
sintesi delle idee e delle pratiche estetiche che hanno contraddistinto
le principali avanguardie artistiche, svolgendo un ruolo di primaria
importanza nel processo di rinnovamento che ha rivoluzionato l’arte
contemporanea e il modo di concepirla.
Ma è soprattutto in relazione all’arte cinematografica che questa
caratteristica acquista un peso ed uno spessore determinante nel
processo che ha rivoluzionato il modo di fare cinema, a partire dal
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Neorealismo italiano nel secondo dopoguerra , che ha trovato un
valido momento di riflessione critica e di elaborazione teorica nella
rivista <<Cinema>> prima e in <<Filmcritica>> e <<Cinema nuovo>>
2
poi.
In questo caso, però, ci sembra importante sottolineare che tanto
<<Filmcritica>> nata nel 1950, che <<Cinema nuovo>> nata nel 1952,
si troveranno ad operare nella fase declinante del Neorealismo, inteso
come movimento di singoli autori animato da una comune ispirazione,
ed assisteranno, più che altro, alla maturazione delle individualità in
direzioni molto diverse, elaborando pareri molto discordanti sui
risultati di autori come Rossellini, amato e difeso da <<Filmcritica>>,
e criticato o ignorato da <<Cinema Nuovo>>, o come Antonioni,
Fellini e Visconti. .
Le due riviste, infatti, hanno avuto un ruolo molto importante
nella vita culturale italiana degli anni 50, proprio perchè hanno
rappresentato due punti di vista molto diversi, all’interno di una
prospettiva politica di area democratica e progressista, nella
riflessione sul cinema, mantenendo un’attenzione costante , sia
nell’analisi dei motivi e le ragioni che hanno determinato
l’esaurimento della spinta rinnovatrice del cinema neorealistico., sia
rispetto ai problemi che hanno messo in crisi la cinematografia
italiana in quegli anni.
Quello che, però, rappresenta per noi il momento più fervido e
indicativo di questo legame essenziale tra attività critica e
2
Un discorso diverso bisogna fare, rispetto all’Italia, per la rivista <<Bianco e Nero>> che, in quanto
organo ufficiale del Centro sperimentale di Cinematografia, rappresentava lo strumento di
espressione della politica cinematograafica governativa.
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realizzazione filmica è il periodo compreso tra la seconda metà degli
anni cinquanta e la fine degli anni sessanta, ossia il quindicennio che
vede l’affermazione e il consolidamento di gruppi di giovani autori
che costituiscono in alcuni paesi una rottura con la propria tradizione
cinematografica, e in molti altri il primo passo verso la creazione di
una scuola e una tradizione autenticamente nazionale, tutti idealmente
figli del rinnovamento tecnico produttivo, etico ed estetico che ha
avuto origine con il Neorealismo.
Nel primo caso, il nostro pensiero è rivolto alla Nouvelles Vague
francese, al Free Cinema inglese, al New American Cinema e piu tardi
al Neues Deutsches Kino tedesco , nel secondo caso, ci riferiamo al
Cinema Novo brasiliano, al Tercer Cine argentino, alla Nova Vlna
praghese, al cinema dell’ottobre polacco, al cinema ungherese della
rinascita e al Nuevo Cine spagnolo: tutti movimenti, questi,
accomunati da una forte consapevolezza della propria responsabilità
espressiva, che rappresenta il segno distintivo di tutti gli autori che
hanno partecipato alla stagione del <<nuovo cinema>>.
Esemplare, però, rispetto al discorso che intendiamo fare, è
l’esperienza della Nouvelles Vagues, che rappresenta il termine di
paragone più significativo della maturazione di un’intera generazione
di cineasti attraverso l’apprendistato critico compiuto dalle pagine dei
<<Cahiers du Cinéma>>, la rivista fondata nel 1951 da André Bazin e
Jacques Doniol-Valcroze, in cui l’elaborazione di nuove categorie
critiche diventa il preludio all’elaborazione di nuove categorie
estetiche su cui impostare la costruzione di un nuovo modo di fare
cinema.
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L’esperienza dei <<Cahiers du cinéma>>, infatti, assieme a
quella di riviste come <<Sequence>> e <<Sight and Sound>> in
relazione al Free Cinema , e <<Film Culture>> rispetto al New
American Cinema, rappresenta un precedente molto significativo per
quello che sarà l’oggetto specifico della nostra ricerca, ovvero la
rivista italiana <<Cinema e Film>>, che, come avremo modo di
vedere, rappresenta il tentativo più articolato realizzato in Italia di
pubblicazione cinematografica, intesa come punto di partenza per
l’elaborazione di una nuova metodologia critica, quale presupposto di
un nuovo modo di concepire e fare il cinema..
Prima di parlare di <<Cinema e Film>>, però, e per
comprendere appieno il ruolo che la rivista ha assunto nel panorama
della pubblicistica italiana degli anni 60, e nella promozione e nello
studio del Giovane Cinema Italiano, concentreremo la nostra
attenzione sul contesto in cui si viene ad inserire la rivista, cercando
di fare un quadro della situazione italiana tanto del cinema che della
critica cinematografica nella prima metà degli anni 60.
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2 Il Cinema italiano tra vecchi e giovani autori
Il cinema italiano degli anni 60 è caratterizzato da due fattori
determinanti :
I) Il consolidamento di autori affermatisi nell’ambito
dell’esperienza del Neorealismo e maturati nel corso degli anni 50
attraverso lo sviluppo di una poetica personale che ha assunto
caratteristiche molto diverse da autore ad autore a testimonianza
dell’eterogeneità e della ricchezza degli spunti e delle potenzialità che
hanno contraddistinto la stagione neorealistica, ormai esaurita già a
partire dal 1954.
L’uscita in quell’anno, infatti, di Viaggio in Italia di Roberto
Rossellini, La Strada di Federico Fellini, ma soprattutto Senso di
Luchino Visconti, segnano l’apertura di una fase nuova del cinema
italiano che andrà incontro ad una stagione molto difficile.
La seconda metà degli anni 50, infatti, rappresenta un momento
di grande crisi del cinema italiano, in cui viene progressivamente a
mancare la spinta collettiva che aveva animato il cinema neorealistico,
lasciando un’eredità che sopravviverà, per lo più, nell’attività dei
singoli, più nell’atteggiamento che nelle forme e nei contenuti.
Il periodo, infatti, che va dalla fine degli anni 50 ai primissimi
anni 60, non lascia grandi ricordi a parte film come Le notti di Cabiria
(1957) di Federico Fellini, Il grido (1957) di Michelangelo Antonioni,
Le notti bianche (1957) di Luchino Visconti, I soliti ignoti (1958) di
Mario Monicelli.
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Per trovare, però, una ripresa di entusiasmo bisogna aspettare
l’uscita di film come La Grande Guerra di Mario Monicelli e Il
Generale Della Rovere di Roberto Rossellini con Vittorio De Sica
protagonista, entrambi premiati con il Leone d’oro a Venezia nel
1959, ed entrambi salutati come segnali di una ripresa del filone
resistenziale caro al Neorealismo, di cui , però, ne segneranno più che
altro la commercializzazione.
Sarà, infatti, con L’avventura di Antonioni, La dolce vita di
Fellini e Rocco e i suoi fratelli di Visconti, usciti nel 1961, che si
aprirà ufficialmente il nuovo decennio, a conferma della centralità che
hanno guadagnato i tre autori, in Italia e all’estero: questi film, in
effetti, testimoniano il cammino personale e solitario degli autori in
questione e riescono ad esprimere con efficacia, profondità, e con
chiarezza stilistica tre diverse chiavi di lettura della società italiana
che sta cambiando sotto la spinta propulsiva del <<boom
economico>>.
II) L’esordio di nuovi autori, per lo più giovani, favorito da una
politica degli autori resa possibile da una fiducia delle produzioni
nelle possibilità di successo di un cinema di qualità che sull’onda dei
successi degli autori consolidati trovasse una risposta di pubblico
soddisfacente e sufficiente ad alimentare scelte meno commerciali e
più rischiose.
Tale orientamento, che però si è rivelato alquanto deludente in
termini di pubblico, largamente inferiore alle aspettative, ha
comunque consentito il passaggio alla regia a personalità come i
fratelli Taviani e Valentino Orsini, Bernardo Bertolucci, Marco
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Ferreri, Vittorio De Seta, Marco Bellocchio, Ermanno Olmi e Pier
Paolo Pasolini, oltre a facilitare la conferma di Francesco Rosi,
l’unico che aveva gia esordito nel 1958, e la maturazione di Dino Risi.
L’uscita, infatti , nel giro di pochi anni di film come Salvatore
Giuliano (1961) e Le mani sulla città (1963) di Rosi, Un uomo da
bruciare (1961) dei Taviani e Orsini, La commare secca (1962) e
Prima della rivoluzione (1964) di Bertolucci, L’ape regina (1962) e
La donna scimmia (1964) di Ferreri, Banditi a Orgosolo (1961) di De
Seta, Una vita difficile (1961) e Il sorpasso (1962) di Risi, I pugni in
tasca (1965) di Bellocchio, Il tempo si è fermato di Olmi e Accattone
(1961), Mamma Roma (1962), La ricotta (1963) e Il Vangelo Secondo
Matteo (1964) di Pasolini, ha suscitato la sensazione di una rinascita
del cinema italiano ed ha alimentato una ritrovata fiducia nelle sue
potenzialità espressive, che hanno coinciso spesso con una formula
produttiva orientata verso il contenimento dei costi.
Questa nuova generazione di autori ha provocato, inoltre, una
nuova attenzione nel panorama del cinema italiano, anche se ha visto
la critica reagire con grande perplessità e freddezza nei confronti di
un fenomeno, che forse non ha mai raggiunto lo statuto e la forza di
un gruppo, come quelli costituitisi in altri paesi, ma che sicuramente
ha reso la nuova <<ondata italiana>> vicina ai giovani autori del
<<nuovo cinema>> alla ribalta in quegli anni.
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3 Gli incontri di Pesaro <<per una nuova critica>>
La prima idea di Pesaro nacque in una chiacchierata del ‘64 tra me, che ero
in quella parte della sinistra PSI rimasta nel partito, Lino Del Fra, che era
di quella grossa parte della sinistra socialista uscita dal partito per fondare
il PSIUP, e Mario Gallo, che non era mai stato della sinistra. A fine ‘64
faccio un progetto, penso ad un finanziamento dei comuni e degli enti
turismo, sento il ministro dello spettacolo, che era socialista, Corona, ed
altri amici anche comunisti, e nacque l’idea di Pesaro, una città che ha
un’amministrazione social-comunista. la prima mostra, a quell’epoca,
rappresentava la sinistra festivaliera dell’esistente festivaliero: ancora le
inaugurazioni col ministro, ed i premi, sia pure dati dal pubblico e dalla
critica. Non c’erano gli smoking, ma le cravatte sì. Fu la svolta del ‘68 a
cambiare queste cose, perché Pesaro ricevette l’ondata della contestazione
ma dietro quest’ondata cambiò, al contrario di molte altre manifestazioni.
Nei primi anni non c’era solo il nuovo cinema, ma anche una novità critica,
e credo che la nuova critica cinematografica ebbe la sua fondazione teorica
proprio a Pesaro, attraverso i seminari che rimisero in discussione non solo
i modi di produzione del film ma anche quelli della critica. Nasceva, con
tutti i suoi difetti, la semiologia cinematografica, vengono a Pesaro, Metz,
Barthes, Pasolini col discorso nel cinema di prosa e di poesia ... Tutto
questo in un panorama come quello italiano, dove non si teorizzava affatto,
né si teorizza molto neanche adesso (e forse è un bene considerando il
livello dei possibili teorici).
3
Per quanto riguarda, invece, la critica cinematografica italiana
c’è da dire che gli anni 60 rappresentano un momento molto
significativo e vivace per le discussioni e gli scontri che attraversano
il mondo del cinema, proiettato verso una maturazione delle sue
potenzialità espressive e la definizione del suo statuto linguistico.
3
Lino Micciché Da L’avventurosa storia del cinema italiano - raccontata dai suoi protagonisti 1960-
1969, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Milano, Feltrinelli, 1981, p.418.
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In questo periodo, infatti, si assisterà all’apertura di un dibattito
approfondito tra le principali riviste di critica cinematografica in
merito all’esigenza di fare il punto della situazione sull’adeguatezza
degli strumenti che caratterizzano l’attività critica soprattutto rispetto
alle nuove sollecitazioni etiche ed estetiche che caratterizzano il
<<nuovo cinema>>.
Inizia a farsi strada, infatti, nel mondo della critica la necessità
di maturare un atteggiamento diverso nei confronti dei film e degli
autori che stanno rivoluzionando il modo di fare cinema, un
atteggiamento che sappia conciliare, in sintonia con i cineasti, una
nuova metodologia di lettura e di analisi con una presa di coscienza
del senso di responsabilità che deve essere fatto proprio dalla critica
se vuole essere parte in causa nel processo di trasformazione in atto.
Il dibattito vive un appassionante intensificazione in
coincidenza di due episodi fondamentali nel panorama cinematografico
di quegli anni:
a) la pubblicazione sul n°4 della rivista francese
<<Communications>> nel 1964, dell’importante saggio di Christian
Metz dal titolo Le cinéma:langue ou langage?;
b) la realizzazione della prima edizione del Festival
Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro nel 1965.
Se da un lato, infatti, il saggio di Metz inaugura un confronto di
primaria importanza, in cui, si cercherà di definire le caratteristiche
del cinema a partire dalla chiarificazione se esso sia un linguaggio o
una lingua, per porre le basi di uno studio analitico e metodico che lo
inquadrasse all’interno di una prospettiva semiologica; dall’altro lato
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il Festival di Pesaro diventa per un triennio il punto di riferimento
tanto per la presentazione e la visibilità del <<nuovo cinema>>,
quanto per la discussione e l’approfondimento delle questioni e degli
interrogativi che caratterizzano la riflessione teorica e metodologica
intorno alla <<nuova critica>>.
I due percorsi, del resto, tenderanno a convergere dato che la
riflessione sul linguaggio diventera prioritaria nel dibattito sul
metodo: due, infatti, delle tre tavole rotonde tenutesi in
corrispondenza delle prime tre edizioni del festival sono dedicate al
tema del linguaggio cinematografico, come vedremo nel dettaglio.
I tre incontri, del resto, rappresentano storicamente gli stati
generali per una nuova critica ed hanno visto la partecipazione nel
corso del triennio 65-67 delle più autorevoli e qualificate personalità
del mondo della cultura cinematografica, favorendo un confronto che
rappresenta la mappa indispensabile per comprendere l’evoluzione del
modo di intendere il cinema negli anni a seguire.
La prima tavola rotonda (1965), infatti, dal titolo <<La critica e
il nuovo cinema>> ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Lino
Miccichè, Paolo e Vittorio Taviani, Gianni Toti, Milos Forman,
Andrew Sarris, Lindsay Anderson, Marcel Martin e di Pier Paolo
Pasolini, in un confronto tra cineasti e critici finalizzato a fare il
punto sul <<nuovo cinema>>, sulle sue strategie produttive, sulle
poetiche che lo animano e sui limiti che incontra nel trovare
attenzione e apprezzamento presso la critica, a sua volta impegnata
nell’elaborarazione di criteri e metodi più corretti per l’analisi dei
film.
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In quell’occasione Pasolini ha presentato un suo intervento dal
titolo La mimesi dello sguardo, in cui articola una prima risposta,
seppure involontaria, alla provocazione di Metz sulla necessità di fare
la semiologia del cinema, individuando la particolarità degli autori a
lui contemporanei nell’utilizzo di una tradizione tecnico-stilistica che
costituisce quella che lui definisce la <<lingua della poesia>> in
contrapposizione alla <<lingua della prosa narrativa>>, affermatasi
univocamente come la lingua dominante del cinema.
La seconda tavola rotonda (1966), invece, si occupa
direttamente e specificamente del dibattito sul linguaggio
cinematografico ed è forse la più importante dal punto di vista dei
problemi affrontati dalla riflessione teorica di quegli anni, a partire
dal titolo: <<Per una nuova coscienza critica del linguaggio
cinematografico>>.
Le relazioni introduttive, infatti, sono tenute dai principali
protagonisti del dibattito, ossia Christian Metz, Pier Paolo Pasolini,
Roland Barthes e Gianni Toti.
Il tema degli interventi è prevalentemente la proposizione di
nuove ipotesi per una comprensione critica più consapevole delle
caratteristiche che compongono il linguaggio cinematografico,
attraverso il ricorso a nuovi criteri e pratiche analitiche che tengano
nella debita considerazione:
a) gli elementi semiologici del film e la classificazione dei
procedimenti linguistici ricorrenti nella narrazione cinematografica
(Metz);