1.1. L’espressione e\moié tiv diakon+ % (v 26a)
Un primo aspetto riguarda l’ordine delle parole
nell’espressione e\moié tiv diakon+ %. Troviamo la successione di un
complemento oggetto al dativo (e\moié), del soggetto (tiév) e del
verbo (diakon+%).
La tradizione dei codici, cosiddetta Koiné, legge in genere
e\moiè diakon+% tiv; inverte cioè l’ordine del soggetto e del verbo,
conservando però il dativo oggetto al primo posto. In questo modo
il soggetto è spostato dalla posizione centrale alla posizione finale.
Altri codici maiuscoli, specialmente i codici D Q, i codici
minuscoli elencati da Lake (f
1
) e da Ferrar (f
13
), il codice
minuscolo 33 ed altri ancora, invertono l’ordine spostando in
posizione centrale il dativo e\moò. Possiamo anche dire però che lo
spostamento riguarda il soggetto tòv. Otteniamo così la seguente
espressione tiv e\moié diakon+%.
La lettura che è proposta dal testo che seguiremo è ritenuta dai
P
66.75
, dai codici maiuscoli ) A B K L W Y, dai codici minuscoli
0250 (579) 892 1241 1424 e dai Lezionari 844 2211
1
.
1
Quest’ordine è ritenuto originale da Bernard, cfr J.H. BERNARD, A Critical
and Exegetical Commentary on the Gospel according to St. John, II,
Edinbourgh 1928, 435.
La prima inversione, quella che pone il pronome tiév alla fine,
può essere facilmente attribuita ad un svista scribale. Questo
pronome infatti, posto alla fine, suona alquanto male; a meno che
qualche copista non l’abbia volutamente spostato per ottenere, con
la frase seguente, la successione dei pronomi e\moò […] tiv e\moò. In
questo modo si otterrebbe con le due frasi un perfetto parallelismo
che pone al centro il pronome tòv
2
, che troviamo poi nella frase
seguente.
Pure la seconda inversione appare sospetta; qualche scriba
avrà potuto mettere il pronome tiév all’inizio per riferirlo meglio,
come soggetto, ai due verbi diakon+% e a\kolouqeòtw.
1.2. L’espressione ei\miè e\gwé (v 26b)
Un secondo problema di critica testuale, forse ancora più
secondario, è l’inversione tra il verbo ei\mié e il pronome soggetto
e\gwé nel v 26b.
Qualche codice, come il P
66
e i codici maiuscoli D e W,
invertono e leggono e\gwè ei\mò.
2
Si ottiene così il seguente schema:
e\moié diakon+%
tiv
e\moì a\kolouqeòtw
Osserviamo però che i codici che attestano tale mutazione
sono pochi. Forse qualche copista volle ricostituire l’ordine più
naturale di soggetto e verbo.
In ogni caso, proprio per l’esiguità dei codici attestanti,
riteniamo di potere prescindere da questa mutazione conservando
l’espressione ei\miè e\gwé.
1.3. La coordinazione della seconda ipotetica
Nel v 26c, con la particella e\aén, l’evangelista introduce una
seconda ipotetica, e\aén tiv diakon+%. Questa espressione, come
attestano le varie edizioni critiche, è introdotta senza alcuna
particella di legame.
Al contrario, alcuni codici, quali il P
66c
, il minuscolo 579 e
pochi altri, introducono la particella deé e leggono così e\aèn deé.
Altri codici, più numerosi, tra cui anche il codice Alessandrino
e la versione siro sinaitica heraclense, aggiungono invece la
particella kaò, leggendo così kaiè e\aén. Tutti gli altri codici non
aggiungono alcuna particella. Si percepisce in tali aggiunte la mano
di un copista che volle rendere più elegante il testo, introducendo,
in qualche modo, un legame tra le due ipotetiche.
1.4. Gli ampliamenti al termine pathér
Dopo la parola pathér, alcuni codici aggiungono il pronome
personale mou%. Si tratta del P
66c
, del codice maiuscolo Q, del
minuscolo 700 e altri pochi e della versione latina.
Inoltre pochi codici minuscoli, quelli della famiglia f
13,
e la
Volgata in lettura marginale, ampliano e scrivono mou% e\n toi%v
ou\ranoi%v. Si tratta chiaramente di un ampliamento che risente
dell’influsso di Mt 6,9.
Infine nell’apodosi della seconda ipotetica, pochi codici
minuscoli, tra cui 579 826
*
245 473 V 397-423, anziché il futuro
¦stai, leggono l’imperativo e\éstw.
1.5. Conclusioni
Tutte le mutazioni sopra indicate non intaccano, dal punto di
vista del senso, sostanzialmente il testo. Inoltre, dal punto di vista
della loro attestazione nei vari codici e versioni, esse non appaiono
rilevanti.
Esse sembrano degli adattamenti scribali e rivelano la mano di
copisti che vollero enfatizzare o talora anche abbellire e ampliare
qualche elemento.
Riteniamo perciò di potere conservare il testo così come lo
abbiamo proposto, che coincide con le scelte operate dalle varie
edizioni critiche che abbiamo potuto consultare.
2. Struttura letteraria di Gv 12,26
In questo paragrafo consideriamo soltanto la struttura letteraria
del v 26, quello direttamente pertinente al nostro lavoro; nel
paragrafo seguente considereremo la struttura letteraria del contesto
dove la nostra espressione è inserita, i vv 23b-28a, cioè fino alla
menzione narrativa della «voce dal cielo», con cui si introducono le
parole, evidentemente, del Padre.
Tutto il v 26 si articola in sei frasi che possiamo riportare
strutturate, secondo uno schema insieme alternato e concentrico,
nel seguente modo:
e\aèn e\moié tiv diakon+%
e\moié a\kolouqeiétw
kaièè o$pou ei\miè e\gwé
e\kei% kaiè o| diaékonov o| e\moèv ¦stai
e\aén tiv e\moié diakon+%
timhései au\ton o| pathér
Come emerge da questo schema, la prima frase si ricollega alla
quinta: entrambe, infatti, pur in diverso ordine, contengono gli
stessi elementi: la particella ipotetica e\aén
3
, i pronomi e\moò
4
e tòv
5
e
l’identico verbo, al congiuntivo presente, diakon+%
6
.
Queste due espressioni sono la protasi di una proposizione
ipotetica, le cui apodosi sono, rispettivamente, l’espressione e\moì
3
Brown osserva che questo tipo di condizione indefinita è tipico giovanneo, cfr
R.E. BROWN, Giovanni, trad. it., Assisi 1999
5
, 607. Secondo Coulot si tratta di
una formula giovannea che rivela nel detto un rimaneggiamento della formula
sinottica, cfr C. COULOT, Si quelqu’un me sert, qu’il me suive (Jn 12,26a), in
RevSR 69 (1995) 45-57: 48. Coulot cita in questo senso anche Braun e
Ruckstuhl, cfr F.M. BRAUN, Jean le Théologien, I. Son évangile dans l’église
ancienne, Paris 1959, 401; E. RUCKSTUHL, Die Literarische Einheit des
Johanesevangelium, Freiburg 1951, 205.
4
L’enfasi del pronome e\moò, nel v 26a, è sottolineata da diversi interpreti, tra
cui anche Schlatter e Westcott. Schlatter osserva contestualmente che chi serve
Gesù deve accompagnarlo e mai separarsi da lui. Se il discepolo serve Gesù,
deve stare unito a lui, anche se Egli va alla croce, cfr A. SCHLATTER, Der
Evangelist Johannes. Wie er spricht, denkt und glaubt, Stuttgart 1930, 269.
Westcott ritiene che non deve passare inosservata la ripetizione dei pronomi
nel contesto, B.F. WESTCOTT, The Gospel according to St. John, Grand Rapids
(Michigan) 1983, 181.
5
L’enfasi del pronome tòv in 12,26a è sottolineata J.H. BERNARD, A Critical
and Exegetical Commentary on the Gospel according to St. John, II, cit., 435.
Inoltre è sottolineata anche da Westcott, che però osserva che nel v 26a l’enfasi
sta sul pronome e\moò, cfr B.F. WESTCOTT, The Gospel according to St. John,
cit., 181.
6
L’inversione di ordine riguarda i due pronomi centrali, nella prima frase
troviamo prima il pronome personale e\moié, poi il pronome indefinito tiév; nella
seconda, al contrario, prima c’è il pronome indefinito tiév, poi il pronome
personale e\moié. Si ottiene così il seguente schema concentrico:
e\moié
tiv
tiv
e\moié
a\kolouqeiétw (a me segua) e timhései au\toèn o| pathér (onorerà lui
il Padre).
Le due apodosi, nella seconda e sesta frase, presentano invece
delle differenze evidenti, tuttavia possiamo cogliere tra di esse una
relazione strutturale che le lega e anche una complementarietà
tematica.
La relazione strutturale può essere stabilita oltre che tra i due
verbi a\kolouqeiétw e timhései, anche tra il pronome e\moié e
ciascuno degli altri due elementi au\toén e o| pathér.
Si ottiene allora il seguente schema concentrico:
e\moì oggetto
a\kolouqeiétw verbo
timhései verbo
au\toén o| pathér oggetto
Notiamo in questo schema che la prima parola è un pronome
riferito a Gesù e l’ultima parola è l’esplicita menzione del Padre.
La complementarietà tematica poi sta nel fatto che la prima
frase esprime un rapporto del discepolo a Gesù, l’ultima frase
invece esprime il rapporto del Padre al discepolo. Il discepolo è
rispettivamente il soggetto di una azione verso Gesù e l’oggetto di
una azione da parte del Padre.
Le due frasi centrali, rispettivamente la terza e la quarta, sono
relazionate mediante le due particelle di luogo, poste all’inizio di
ciascuna di esse: o$pou ed e\ke_.
Gli elementi seguenti sono costituiti da una diversa forma
sintattica diversa dello stesso verbo ei\mò (essere) e da un soggetto,
anch’esso diverso, espressi però in ordine inverso, che determina
una particolare relazione strutturale.
Prescindendo infatti dai due avverbi iniziali o$pou ed e\ke_, gli
altri elementi delle due espressioni centrali possono essere
strutturati secondo uno schema concentrico:
o$pou
ei\miè verbo
e\gwé soggetto
e\ke_
o| diaékonov o| e\moèv soggetto
e\éstai verbo
3. Struttura letteraria dei vv 23b-28a
Possiamo individuare il contesto del v 26 nei vv 23-28
7
. Essi
seguono ai vv 20-22 dove l’evangelista narra la venuta e la richiesta
dei greci a Filippo di vedere Gesù. Segue poi la descrizione del
dinamismo di Filippo ad Andrea e del dinamismo di Filippo ed
Andrea a Gesù
8
.
Prescindendo dalla formula introduttiva o| deè }Ihsou%v
a\pokrònetai au\to_v leégwn del v 23a, nei vv 23b-28a possiamo
7
Al nostro scopo è sufficiente considerare soltanto i vv 23b-28a, fino cioè alla
menzione della voce dal cielo che conclude il monologo di Gesù iniziato fin
dal v 23b. Gli interpreti però considerano strutturalmente il testo fino al v 34,
offrendo così una struttura letteraria più ampia. De La Potterie individua dal v
23b al v 33 una struttura letteraria chiastica in sette elementi:
v 24
v 25
v 26
v 27
v 28
v 31
vv 32-33.
Il v 24 si relaziona ai vv 32-33; il v 25 al v 31; il v 26 al v 28. Al centro c’è il v
27 che richiama il tema dell’ora nel v 23, cfr I. DE LA POTTERIE, L’Exaltation
du Fils de l’Homme, in Greg 49 (1968) 460-478: 463.
Tale struttura è ripresa e riproposta da Leon-Dufour, secondo cui i vv 29-30
rompono il chiasmo, cfr X. LEON-DUFOUR, Trois chiasmes johanniques (Jn
12,23-32; 6,35-40; 5,19-30), in NTS 7(1960-1961) 249-255: 250.
8
Prescindiamo dai vv 20-23: essi non interessano direttamente al nostro
lavoro; inoltre essi sono stati oggetto di indagine nella tesi che abbiamo
presentato presso lo stesso Studio San Paolo di Catania per il conseguimento
del grado accademico del Baccalaureato, cfr A. GIOENI, «Signore, vogliamo
vedere Gesù» (Gv 12,21). La venuta dei greci per adorare e la necessità di
vedere Gesù, Catania 2001.
distinguere tre parti non proporzionate però dal punto di vista
quantitativo: il v 23b, i vv 24-26, i vv 27-28a.
3.1. Il v 23b e i vv 27-28a
Nella prima parte, brevissima (v 23b), Gesù annunzia che è
«giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo». Pur
esprimendosi alla terza persona e parlando oggettivamente della
glorificazione del Figlio dell’uomo, non c’è dubbio che Gesù si
riferisca a se stesso.
Nei vv 27-28a Gesù invece si riferisce direttamente a se stesso.
Nella prima parte (v 27) egli descrive il turbamento (tetaéraktai)
della sua anima (h| yuché mou) e il superamento di un certo tipo di
preghiera. Nella seconda parte (v 28a) Gesù formula la sua vera
richiesta al Padre: «Padre, glorifica il tuo nome».
I vv 27-28a contengono molto probabilmente un riferimento
ed anche una rielaborazione della preghiera di Gesù al Getsemani,
riferita dai vangeli sinottici, che il nostro evangelista non narra ma
che mostra di non ignorare.
I vv 23b e 27-28a si richiamano per due elementi: il termine
w$ra, ripetuto nel v 27 ben due volte, e il verbo doxaézw, ripreso
poi, nel v 28b, ben due volte dalla «voce dal cielo».
Questi due elementi permettono di stabilire, tra i due testi, uno
schema alternato:
v 23b: h| w$ra
i$na doxasq+%
v 27 e\k th%v w$rav tauéthv – ei\v thèn w$ran tauéthn
v 28a doéxasoén sou
3.2. I vv 24-26
I vv 24-26, introdotti dall’unica espressione a\mhèn a\mhèn leégw
u|m_n, contengono tre detti di Gesù, tutti espressi, in maniera
oggettiva, alla terza persona singolare.
Essi rispettivamente riguardano: il chicco di grano (v 24) nella
sua duplice possibilità, cadendo a terra, di morire e portare molto
frutto o di non morire e restare solo; colui che ama o che odia la
propria vita (v 25); a colui che vuol servire (v 26).
Il nostro testo del v 26 costituisce così il terzo di questi tre
detti di Gesù.
Dal punto di vista quantitativo questi tre detti intermedi
appaiono proporzionati e praticamente si equivalgono
9
.
Tuttavia il nostro detto del v 26 si rivela più peculiare, per tre
motivi. Anzitutto perché esso è il terzo e quindi appare come il
culmine di tutto lo sviluppo precedente. Inoltre perché al suo
interno presenta una storia più articolata. Infine perché esso è il solo
che menziona il Padre.
Dal momento che il nostro testo è accostato ai detti dei due
versi precedenti, è utile considerare la struttura letteraria anche di
ciascuno di questi due ultimi e confrontarla poi con il nostro.
4. Struttura letteraria del v 24 e confronto col v 26
Il primo detto, quello del v 24, riguardante il chicco di grano,
si articola in due ipotetiche, la cui protasi in entrambe è introdotta
dalla particella e\aén. Otteniamo così due protasi seguite dalle
rispettive apodosi.
9
Il v 24 comprende 24 parole, il v 25 ne comprende 22 e, infine, il v 26 ne
comprende 25.
4.1. Struttura del v 24
Le due protasi hanno lo stesso verbo a\poqaén+, formulato in
maniera negativa (mhè […] a\poqaén+) la prima volta e in maniera
positiva la seconda volta (a\poqaén+).
La prima protasi è molto più lunga della seconda, perché tra la
particella negativa mhé e il verbo congiuntivo a\poqaén+,
l’evangelista inserisce un lungo soggetto composto da ben otto
parole. Esso comprende lo specifico soggetto al nominativo (o|
koékkov), un genitivo di specificazione (tou% siétou), un participio
circostanziale seguito da un complemento di moto a luogo (peswèn
ei\v thèn gh%n).
Nella seconda protasi, invece, questo soggetto è sottinteso.
Esso è lo stesso che nell’espressione precedente: o| koékkov tou%
siétou. L’evangelista introduce questa seconda protasi in
contrapposizione alla prima, mediante la particella deé.
Poste sotto un unico soggetto e sotto una sola circostanza, le
due protasi presentano un parallelismo, come appare dal seguente
schema:
A B
e\aèn mhè e\aèn
o| koékkov tou% sòtou
peswèn ei\v thèn gh%n
a\poqaén+ a\poqaén+
L’apodosi, dal punto di vista quantitativo, è uguale in
entrambe le ipotetiche: entrambe infatti hanno tre termini: au\toèv
moénov meénei e poluèn karpoèn feérei. Dal punto di vista del
contenuto, invece, esse divergono.
Dal punto di vista strutturale possiamo, però, osservare che
entrambe le apodosi finiscono con il verbo
10
e in entrambe il verbo
è preceduto da due elementi, di cui uno è un aggettivo
11
.
Notiamo, però, che nelle due espressioni l’evangelista
introduce un’inversione: nella prima espressione, precede il
pronome (au\toév) e poi segue l’aggettivo (moénov), nella seconda, al
contrario, prima leggiamo l’aggettivo (poluén), e poi il sostantivo
(karpoén).
12
10
Rispettivamente meénei e feérei.
11
Rispettivamente au\toév e moénov.
12
Possiamo notare così in questi quattro elementi in seguente schema
concentrico:
1. au\toév pronome
2. moénov aggettivo
3. poluèn aggettivo
4. karpoén sostantivo