Capitolo 1
Esercito Italiano,
un esercito
di italiani
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1. ESERCITO ITALIANO, UN ESERCITO DI ITALIANI
1.1 Evoluzione ed espansione dell’Armata Sarda
Le radici che hanno permesso l’evolversi della professionalità e della compattezza,
caratteristica dell’Esercito Italiano di oggi, risalgono al 1859 quando, appena conclusa la
seconda guerra di indipendenza, lo Stato Maggiore di Vittorio Emanuele II convertì la vecchia
Armata Sarda nel primo Esercito Italiano. Gli ampliamenti territoriali che vennero a
verificarsi, determinarono la necessità di disporre di una più adeguata struttura di forze
armate, pertanto l’organizzazione e l’efficienza divennero degli aspetti di fondamentale
importanza. Il risultato della seconda guerra di indipendenza (1859) determinava per l’Austria
la perdita della Lombardia; di conseguenza, perso il sostegno asburgico, i principati italiani
del centro-nord d’Italia legati all’impero austriaco da vincoli dinastici erano fortemente
contestati dai loro sudditi, che auspicavano di potersi unire nel processo di indipendenza ed
unificazione alle altre province italiane. La decisione finale circa il loro destino veniva
lasciata agli stessi sudditi, attraverso i risultati dei plebisciti, fase che sarà poi indicata come
“la rivoluzione pacifica”. Governi provvisori vennero instaurati negli ex principati insieme ad
alcuni reparti militari allo scopo di poter curare la fase di transizione; queste truppe furono
organizzate secondo il modello della struttura militare piemontese, poiché erano destinate ad
essere assorbite, in un prossimo futuro, nell’Esercito Italiano. La strada più breve per
conseguire questo obiettivo sembrò essere quella di incrementare il numero dei corpi del
nuovo esercito, usando la struttura dell’Armata Sarda come matrice. Le operazioni di riunione
di tutte le forze militari disponibili iniziarono negli ultimi mesi del 1859, concludendo una
prima fase nel marzo del 1861; infatti fu allora che si “Rese noto a tutte le Autorità, Corpi ed
Uffici militari che d’ora in poi il Regio Esercito dovrà prendere il nome di Esercito Italiano,
rimanendo abolita l’antica denominazione d’Armata Sarda”
1
. Le trasformazioni più rilevanti
dell’ordinamento militare investirono i corpi combattenti con cambiamenti nelle uniformi,
nelle armi e nell’equipaggiamento; gran parte dei materiali adottati in questo periodo
assumerà la denominazione “modello 1860”.
Dopo la campagna del 1859, il colonnello Raffaele Cadorna veniva inviato in Toscana
dove, con il grado di generale ricoprì la carica di Ministro della Guerra; il suo compito era
quello di organizzare l’esercito granducale in modo da riunirlo al resto dell’Armata Sarda.
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Nota n. 76 del 4 maggio 1861 del Ministro Fanti (tratto da www.difesa.it/NR/exeres/C67E3096-F618-4348-
9DB7-F393829DBCBD.htm)
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Alla vigilia dell’impresa garibaldina nelle province borboniche dell’Italia Meridionale,
l’Armata di Vittorio Emanuele aveva ormai raggiunto una consistenza ragguardevole per
effetto di quella operazione di fusione, mediante la quale erano state incorporate tutte le forze
di cui il Paese disponeva al momento. Prima che anche i due restanti nuclei (il Borbonico ed il
Garibaldino) venissero integrati, l’Esercito presentava il seguente quadro di formazione
basato su cinque corpi d’armata dei quali:
ξ quattro corpi erano ognuno formati da tre divisioni su due brigate di fanteria, due
battaglioni bersaglieri, tre batterie, una brigata cavalleria su tre reggimenti;
ξ un corpo aveva una sola divisione di fanteria.
Fuori dai corpi d’armata c’era un’altra divisione di cavalleria con quattro reggimenti e
due batterie a cavallo; i reggimenti di cavalleria e fanteria avevano rispettivamente quattro
squadroni e quattro battaglioni.
Esaminando il quadro di formazione dell’armata che andava via via sviluppandosi, si
vede chiaramente che l’Esercito Italiano che stava nascendo non era altro che un ampliamento
della vecchia Armata Sarda. Man mano che la disponibilità di uomini lo consentiva, si
passava dalla compagnia al battaglione e dal battaglione al reggimento.
Con l’annessione delle province meridionali nasceva urgente il problema di trovare
un’adeguata sistemazione per gli eserciti che si erano battuti nel sud, i Garibaldini e i
Borbonici, compito alquanto arduo. Riguardo all’Esercito Napoletano si decise di mantenere
in servizio solo le ultime quattro leve, cioè i giovani ritenuti più facilmente inseribili; le
truppe Garibaldine nonostante le ottime prove fornite in battaglia come soldati, risentivano di
un certo grado d’improvvisazione. Per questa motivazione fu stabilito, quanto alla truppa, di
risolvere il tutto offrendo agli uomini l’alternativa, o il congedamento con sei mesi di paga,
oppure due anni di servizio in uno speciale corpo volontario. Gli ufficiali garibaldini vennero
sottoposti ad esami, al fine di poterli immettere nell’esercito regolare con lo stesso grado che
essi ricoprivano tra i volontari. L’inquadramento nell’Esercito Piemontese di questi ultimi
contingenti di militari portò ad un ulteriore aumento degli organici, con conseguente
manipolazione dei reparti e modificazione del quadro di formazione dell’esercito.
Nei reggimenti di fanteria la forza venne ridotta da quattro a tre battaglioni; i
battaglioni tolti furono raggruppati per costituire nuove brigate: “Granatieri di Napoli”,
“Umbria”, “Marche”, “Abruzzi”, “Calabria” e “Sicilia”. I battaglioni Bersaglieri diventati 36,
furono suddivisi in 6 reggimenti; i reggimenti di cavalleria vennero formati da 6 squadroni,
mentre in artiglieria il numero delle batterie o compagnie per reggimento salì a 16; i
battaglioni di fanteria a loro volta passarono da 4 a 6 compagnie. L’inquadramento di queste
unità consentì di dar vita a 3 nuove divisioni con cui venne formato il VI corpo d’armata.
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Le fasi di fusione di tutte le forze militari, di cui l’Italia disponeva in quel momento,
furono certamente più laboriose in quanto le difficoltà maggiori scaturivano dalla grande
diversità che caratterizzava quegli elementi da amalgamare. Si trattava di comporre in un solo
omogeneo organismo formazioni militari che talvolta erano addirittura in antitesi tra loro,
perché ciascuno era espressione di una tradizione militare, sociale e storica completamente
estranea all’altro. Nonostante tutto, la matrice su cui andava formandosi l’Esercito Italiano era
quella Piemontese che aveva carattere nazionale in quanto imitava l’unità del grande modello
dell’epoca: l’Esercito Francese.
I piccoli eserciti dei vari Stati della penisola il più delle volte erano sorti quale
espressione della volontà politica di un monarca straniero, come i loro governi; erano ormai
secoli che in Italia non esisteva una tradizione militare comune; fu quindi il generale
Manfredo Fanti l’artefice di questa importante riforma che gettò le basi per la costituzione e lo
sviluppo dell’Esercito Italiano
2
.
2
www.difesa.it, passim.
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1.2 Categorie e gradi dell’Esercito Italiano
L’anno 1861 è l’anno di costituzione dell’Esercito Italiano, da sempre simbolo di
ordine, disciplina e patriottismo, che combatte per una giusta causa e si distingue per questo
da eserciti mercenari. L’ordine, presupposto cardine, deriva da una rigida gerarchizzazione e
divisione del personale in categorie e gradi che permettono il giusto evolversi e la giusta
esecuzione delle operazioni militari, in base ai compiti assegnati a ciascun grado. La divisione
fondamentale si attua in 5 categorie così riassunte dai vertici superiori:
ξ UFFICIALI GENERALI
ξ UFFICIALI SUPERIORI
ξ UFFICIALI INFERIORI
ξ SOTTUFFICIALI
ξ TRUPPA
1.2.1 Ufficiali generali
GENERALE: “grado della gerarchia militare al quale corrisponde il comando di una grande
unità”
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, nel tempo è stato suddiviso sia in riferimento ai livelli di comando, come Generale di
Brigata, di Divisione o di Corpo d’Armata e d’Armata, sia per analogia al numero di stellette
indossate, come Maggior Generale, Tenente Generale. Durante la Grande Guerra (1915-
1918), l’improvviso aumento di Unità costituite a seguito della mobilitazione portò alla
necessità di assegnare il comando di Brigata anche ai Colonnelli idonei a ricoprire l’incarico,
ma non ancora promossi. Per costoro nacque il grado di Colonnello Brigadiere, sorta di
gradino intermedio fra Ufficiali Superiori e gli Ufficiali Generali. Normalizzata la situazione,
il grado sarà abolito dopo il primo anno di guerra.
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Tutte le definizioni dei gradi fanno riferimento a Zingarelli N., Lo Zingarelli minore: Vocabolario della lingua
italiana, Zanichelli, 2004.
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UFFICIALI GENERALI
Maggiore Tenente Generale Generale
Generale Generale in Comando d’Esercito
d’Armata
Fig. 1.1: insegne di grado di Ufficiali Generali in uso dal 1908 al 1915.
1.2.2 Ufficiali superiori
COLONNELLO: “massimo grado degli ufficiali superiori dell’esercito e dell’aeronautica”.
Il Colonnello ha generato altri due gradi che sono il suo vice, prima “luogotenente
Colonnello” e poi Tenente Colonnello, ed il Colonnello Brigadiere creato durante la Grande
Guerra. La storia del grado ha due interpretazioni:
ξ nell’antico Piemonte del 1400/1500, l’Esercito non era sempre costituito ma si
formava all’esigenza, attorno al nucleo di unità mercenarie sempre presenti; le regioni
amministrative del Piemonte erano denominate Colonnellati ed in guerra fornivano il
personale per unità mobilitate della forza approssimativa di un reggimento;
ξ altra strada è associare il significato di “Colonnello” al termine spagnolo “coronel”,
coronato. La parola indicava lo stendardo reggimentale in uso presso le unità spagnole
ornato della corona reale.
Il grado di Colonnello è stato quello più stabile nella piramide gerarchica
identificandosi immediatamente con il comando di un reggimento.
TENENTE COLONNELLO: “secondo grado della gerarchia degli ufficiali superiori,
successivo a quello di Maggiore”. L’ordinamento dei Reggimenti, passato da un numero
vario di compagnie a più battaglioni che radunavano un congruo numero di compagnie, rese
necessaria la presenza di un Ufficiale superiore, inferiore in grado al Colonnello, che
detenesse parte del potere. Venne creato così il grado di Luogotenente Colonnello, ridotto per
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brevità a Tenente Colonnello nel 1831; il grado fu soppresso nel 1841 per essere ripristinato
nel 1849. Da allora al grado di Tenente Colonnello corrisponde il comando di battaglione.
MAGGIORE: “grado della gerarchia militare interposto fra quello di Tenente Colonnello e
quello di Capitano”, primo gradino della categoria degli Ufficiali Superiori. Il grado ha
un’etimologia semplice, quello italiano nasce sicuramente dal Capitano, come l’ufficiale più
anziano del reparto. Maggiore dunque era soltanto l’aggettivo per il Capitano più anziano
dell’unità che via via si è reso autonomo per divenire un grado in sé.
UFFICIALI SUPERIORI
Maggiore Tenente Colonnello Colonnello
Colonnello Comandante
di Reggimento
Fig. 1.2: insegne di grado di Ufficiali Superiori in uso dal 1908 al 1915.
1.2.3 Ufficiali inferiori
CAPITANO: “grado della gerarchia militare corrispondente al comando di una compagnia
di fanteria o di uno squadrone di cavalleria o di una batteria di artiglieria”, probabilmente
fra i gradi più antichi degli eserciti di tutto il mondo. Il significato del termine discende dal
latino caput capitis, a sua volta seguito da capitanu(m) e dal tardo latino capitaneus. Del grado
si trova traccia fin dal 1355 in Francia, dove sostiene il termine di bandarese che a sua volta
scala all’indietro e sostituisce quello di alfiere, portatore delle insegne di compagnia. Fra le
insegne di grado ancora in uso figura anche il 1° Capitano, caratterizzato da una batteria d’oro
posta alla base della controspallina. Si assegna a quei capitani che permangono nel grado oltre
i canonici nove anni di attribuzione. Presente negli ordinamenti piemontesi del 1500 darà
origine ad altri gradi quali: il Capitano luogotenente suo vice ed il Capitano Maggiore suo
superiore.
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TENENTE E SOTTOTENENETE: “da (luogo) tenente che sta al posto (in luogo) di’, sul
modello del franc. Lieutenant”, nella dizione attuale, il grado non ha più di 160 anni. Nasce
verso la fine del 1700, con il complicarsi delle tecniche di combattimento, degli ordinamenti e
delle armi, aumentando così i gradini gerarchici responsabili dell’esecuzione degli ordini ma
soprattutto per detenere il potere, il comando se questo serve, o dove serva in luogo il
Capitano. Nasce così il Capitano Luogotenente, vice comandante di compagnia, ridotto poi a
Luogotenente e, dal 1830 circa, Tenente. Per gli stessi motivi al Luogotenente fa riferimento il
Sottoluogotenente, in uso in Francia fin dal 1585 ed anche presso Reggimenti Svizzeri in
servizio in Piemonte, dai quali passò alle “truppe nazionali” piemontesi.
UFFICIALI INFERIORI
Sottotenente Tenente Capitano 1° Capitano
Fig. 1.3: insegne di grado di Ufficiali Inferiori in uso dal 1908 al 1915.
1.2.4 Sottufficiali
MARESCIALLO: “grado gerarchicamente più alto nella categoria dei sottufficiali”,
discende dal francese Marechal, grado militare creato per colui a cui è assegnata la
responsabilità delle scuderie reali. Ottenuto dall’unione di due parole arabe e cioè “marah” e
“shalk” che significano rispettivamente cavallo e servo, servo del cavallo dunque, incarico
importante ed umile allo stesso tempo; vi è anche una relazione col “maniscalco” responsabile,
infatti, della ferratura del cavallo di un signore o dei cavalli di uno squadrone. La categoria dei
marescialli come sottufficiali entra nell’Esercito Italiano nel 1903, ordinandosi in tre livelli di
Compagnia, di Battaglione e di Reggimento equivalenti a Maresciallo Ordinario, Maresciallo
Capo e Maresciallo Maggiore, con spiccato orientamento logistico-amministrativo. Il grado si
stabilizza al di sopra dei Sergenti; la categoria otterrà nel 1916 un grado nuovo ed unico nel
suo genere: l’“Aiutante di Battaglia” al quale si accedeva solo per meriti acquisiti in
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combattimento indipendentemente dal grado di provenienza e sganciato dalla progressione
d’anzianità.
MARESCIALLI
Maresciallo Maresciallo Maresciallo
Ordinario Capo Maggiore
Fig. 1.4: insegne di grado di Sottufficiali in uso dal 1908 al 1915.
SERGENTE: “grado relativo al primo gradino della gerarchia dei sottufficiali”, il termine è
stato ricondotto a significati diversi. Sergente era nel Medioevo il coordinatore del gruppo di
paggi e scudieri che seguivano un signore, di qui il legame con capo, signore di molte persone.
Altra ricerca lo collega al participio presente del verbo servire, che in latino è servente, colui
che serve; nel periodo cavalleresco sergenti erano i valletti dei cavalieri. Un’altra ricerca
scompone il termine in serra gente, incarico degli uomini d’ala degli schieramenti di fanteria
che dovevano impedire lo sbandamento delle fila sotto l’urto del nemico o del suo fuoco.
Affiancato fin dal 1814 dal Sergente Maggiore, resta dal XIX secolo legato al livello
ordinativo del Comandante di squadra.
SERGENTI
Sergente Sergente Maggiore
Fig. 1.5 insegne di grado di Sergenti in uso dal 1908 al 1915.
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1.2.5 Truppa
CAPORALE: “primo graduato della gerarchia militare, comandante una squadra”,
comparso nella gerarchia dell’Esercito piemontese verso la metà del XVI secolo. Dal latino
corpus corporis e dai suoi derivati “corporale” nel senso di “incorporare”, “arruolare” ne
deriva il compito di “arruolatore” di giovani disposti a intraprendere la carriera delle armi. Da
questo grado furono estrapolati sia il “Caporal Maggiore” ancora in vigore che il
“Sottocaporale” nel 1834, trasformato nel 1854 in “Appuntato”.
TRUPPA
Caporale Caporal Maggiore
Fig. 1.6 insegne di grado di Truppa in uso dal 1908 al 1915.
SOLDATO: “anticamente, chi esercitava a pagamento il mestiere delle armi”, è il grado più
basso della gerarchia militare. Etimologicamente la parola si può facilmente ricondurre ad
“assoldato” cioè al soldo di qualcuno. Nel 1300 con tale termine si indica la paga di un
mercenario; l’accezione del termine è inizialmente spregiativa, più corretta sarebbe la dizione
“milite”, cioè colui che milita che si addestra che si batte per una causa e non per denaro.
Soldato dunque identifica proprio il grado gerarchico del militare semplice, termini come
fante o artigliere invece identificano il combattente di un’arma specifica.