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la funzione che ha per lo sviluppo del sistema, attraverso ad esempio la capacità produttiva
nel settore del film e della fiction e attraverso la creazione delle reti tematiche digitali free
i grandi progetti di riqualificazione dell'offerta (Iseppi-Bossi 1998: pp. 44, 45).
In generale il servizio pubblico radiotelevisivo può essere considerato un mezzo appartenente alla
“sfera pubblica”, ossia uno spazio in cui gli individui possono rivendicare una certa libertà di azione
e di resistenza nei confronti del mercato e dello Stato. In questo contesto lo spettatore non è
considerato un consumatore come nelle televisioni private, ma un cittadino che usufruisce di uno
spazio libero e democratico. Per questo motivo è molto importante dare spazio alla politica in
maniera equilibrata ma non solo; occorre dare visibilità anche alle minoranze etniche, alle opere
intellettuali che elevano l'uomo come l'arte, la letteratura, la scienza, rafforzare il pluralismo.
Dunque il massimo compito del servizio pubblico è quello di rafforzare la sfera pubblica (cfr.
Cappello 2001: pp. 14, 15). Il concetto di pluralismo non deve degenerare in quella che è chiamata
“lottizzazione”, ossia la spartizioni politica dei luoghi di potere all'interno della RAI, né
manifestarsi attraverso la sterile proposizione dei discorsi dei politici, ma piuttosto attraverso la
presentazione di una molteplicità di punti di vista e un'analisi approfondita dei fenomeni. Il
panorama radiotelevisivo ha subito una rivoluzione con l'avvento delle televisioni private le quali
hanno decretato la fine del monopolio e di conseguenza il ripensamento del ruolo del servizio
pubblico. Con il passare del tempo è avvenuta una progressiva omologazione di ruoli tra emittenti
private e televisione pubblica che ha reso le due cose difficilmente distinguibili. I due sistemi
condividono un codice di regolamentazione in base al quale vengono rispettati ad esempio i principi
base di responsabilità nei confronti del pubblico, la completezza e la varietà dell'offerta e la
necessità di competere in un mercato in continua evoluzione (cfr. Iseppi-Bossi 1998: p.51).
Tuttavia i due modelli mantengono ancora delle grosse diversità, obblighi e obiettivi diversi.
Infatti mentre il punto di riferimento principale delle televisioni private è sostanzialmente
lo share (il numero di utenti sintonizzati in un dato momento) poiché metro per misurare le tariffe
pubblicitarie, per il servizio pubblico è il reach (il numero di utenti sintonizzati per un certo periodo
di tempo) parametro che indica la capacità di influenza sostanziale nella vita delle persone. Il
modello misto di finanziamento che c'è in Italia obbliga il servizio pubblico a adottare una logica di
mercato che deve entrare in sintonia con le esigenze particolari del servizio. La pubblicità non si
limita ad essere solamente una fonte di introiti per l'azienda, ma un modo per permettere alla
televisione di misurarsi con il mercato, una forma di comunicazione complementare alle
trasmissioni e una opportunità di sviluppo. Di fronte a un sistema radiotelevisivo misto, la
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televisione pubblica può adottare tre strategie di sviluppo. La prima è quella della logica
complementare che consiste nel separare nettamente l'offerta pubblica da quella privata. Il servizio
pubblico si differenzia totalmente dalla televisione commerciale proponendo prodotti che il mercato
televisivo ignora ma che sono ritenuti di interesse generale. La seconda è la logica competitiva che
rifiuta il modello di televisione elitaria che privilegia determinati prodotti di cultura elevata a
discapito di altri generi e preferisce considerare il servizio pubblico come una televisione che punta
a raggiungere il grande pubblico attraverso la trasmissione di programmi di vario genere e gusto.
Secondo questa visione non esistono generi leciti e altri illeciti né è giusto stabilire una gerarchia
dei vari prodotti televisivi ma occorre piuttosto saper diversificare l'offerta televisiva considerando i
programmi televisivi come tanti modi di espressione uno diverso dall'altro.
La terza soluzione è una via di mezzo tra la logica complementare e la logica competitiva. Il
servizio pubblico compete con la televisione commerciale sia da un punto di vista di ascolti sia da
un punto di vista generale, che comprende valutazioni di tipo qualitativo, sociale, innovativo... In
questo modo il servizio pubblico acquisisce anche una funzione di riferimento qualitativo,
stimolando le altri emittenti a seguirla e ad assumere gli stessi obiettivi e criteri di valutazione di
una trasmissione. Dall'altra parte il servizio pubblico deve incoraggiare la diffusione di trasmissioni
che non possono assicurare un grande e immediato numero di telespettatori. Questi prodotti sono
naturalmente trascurati dalle televisioni commerciali perché ritenuti poco vendibili anche se a lungo
termine possono rivelarsi trasmissioni di successo. Dunque, oltre a tutelare prodotti che la
televisione commerciale rigetta, il servizio pubblico punta all'innovazione scommettendo su
trasmissioni che ottengono l'apprezzamento del grande pubblico dopo un periodo di rodaggio.
1.2. In principio fu la radio
La RAI, radio audizioni Italia, nacque il 26 ottobre 1944 in piena guerra mondiale. L'Italia era
divisa in due parti: a nord la repubblica sociale italiana fascista e a sud l'Italia liberata dagli anglo-
americani. A Roma, liberata il 4 giugno 1944, si era insediato il nuovo governo voluto dal CLN e
presieduto da Ivanoe Bonomi. In questo traballante contesto venne creato il nuovo ente pubblico
radiofonico: si stabilì che il controllo politico dell'ente sarebbe stato esercitato dal sottosegretario
alla stampa e informazione, mentre il controllo tecnico fu assegnato al Ministero delle poste. La
RAI dunque continua ad essere una concessionaria controllata direttamente dal governo proprio
come avveniva nel regime fascista attraverso l'ente che la RAI aveva sostituito, ossia l'EIAR. Con
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questo non si vuole affermare che la Rai continua a compiere la funzione di propaganda di regime
che svolgeva durante il governo Mussolini: il nuovo governo ha l'esigenza di porre fine al
precedente attraverso un cambiamento netto di politica e la RAI non fa eccezione.
Tuttavia la caduta del fascismo non eliminò di colpo le caratteristiche che il servizio pubblico
radiofonico aveva acquisito durante la dittatura. A proposito di questo, Alessandro Galante Garrone
scriverà: “qualcosa dello spirito dell'EIAR non si è per avventura trasfuso, o di soppiatto reinserito,
nella RAI del dopoguerra?... Quante volte ci accade di trasalire d'improvviso, nel sentire un
discorso alla radio, una radiocronaca o anche solo un'innocente notizia del giornale radio!
Ritroviamo un timbro, un accento che ci pare di avere udito in altri tempi... La situazione è oggi
diversa per fortuna: ma il modo con cui si fa la radiocronaca di un pontificale alla basilica di S.
Pietro o di un discorso di De Gasperi rassomiglia un poco a quello di un tempo...”(Ferretti-
Broccoli-Scaramucci 1997: pp. 67, 68). L'attitudine alla propaganda governativa e al servilismo nei
confronti del potere era un male che persisteva anche nel nuovo soggetto. Di certo il mancato
ricambio dei professionisti non aveva facilitato il compito di rinnovamento; molti radiocronisti
fascisti continuavano a lavorare nella radio, utilizzando gli stessi toni e la stessa retorica di prima.
“Molti di loro, da Massimo Ferretti a Aldo Salvo al giovanissimo Enrico Ameri non solo erano stati
fascisti ma, al momento di scegliere, avevano scelto Salò. E fascista era la scuola professionale alla
quale erano cresciuti: quella di Franco Cremascoli capo della prima redazione radiocronache e di
Guido Notari che, sia pure soltanto da annunciatore, aveva dato a tutta una generazione di
professionisti della parola uno stile e un'intonazione. A questi nomi vanno aggiunti quelli di
Gabriele D'Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Delacroix – il cieco veggente, secondo la
retorica di regime- e Niccolò Carosio”(Broccoli-Scaramucci-Ferretti 1997: p. 74). Il peso della
cultura fascista dunque ha continuato a essere importante anche nella RAI soprattutto nella
definizione e applicazione del concetto di servizio pubblico radiotelevisivo. Per meglio capire in
cosa consiste questa eredità che la RAI ha difficoltà ad abbandonare occorre fare un passo indietro e
parlare della nascita e sviluppo del servizio radiofonico prima dell'avvento della RAI.
Dopo i primi tentativi pionieristici da parte di alcuni privati (“L'araldo telefonico” di Luigi
Ranieri) lo stato cercava di sottrarre ai privati l'utilizzo del nuovo mezzo di comunicazione che
prometteva grandi margini di miglioramento: con regio decreto dell'8 Febbraio 1923 lo stato si
riservava l'esercizio delle stazioni che fanno uso di onde elettromagnetiche attraverso una gestione
diretta o tramite concessionarie statali. L'inizio ufficiale della radiofonia italiana si ebbe nel 1924
quando Costanzo Ciano, ministro delle comunicazioni, giunse a un accordo per la fusione della
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SIRAC con alcune prestigiose aziende private: nacque il 27 Agosto 1924 l'URI, Unione
Radiofonica Italiana. La concessionaria aveva l'esclusiva del servizio di radioaudizioni circolari su
tutto il territorio nazionale per la durata di 6 anni (cfr. Guidetti 2000: pp. 56, 57). Dietro l'URI
c'erano grandissime aziende dell'epoca: la Radiofono del gruppo Marconi, la Western Elettric, la
CGE, la Allocco Bacchini e la FIAT. Il 6 ottobre iniziarono le trasmissioni da una stazione situata
nei monti Parioli e tre mesi dopo
l'URI poteva disporre di un giornale, il Radio Orario in cui si potevano leggere le trasmissioni
che andavano in onda. Il palinsesto era assai ristretto: era costituito per lo più da musica classica e
notizie, come del resto in tutti gli altri preistorici palinsesti radiofonici del mondo. Il motivo è da
individuarsi nel numero limitato di radioascoltatori che avevano caratteristiche omogenee riguardo
al censo e alla formazione culturale. In Italia poi il fenomeno era molto più accentuato a causa del
basso numero di abbonamenti: gli abbonati dell'URI erano appena 26.000 contro i quasi 2 milioni
della compagnia britannica (cfr. Ferretti-Broccoli-Scaramucci 1997: pp. 7-10). Nonostante lo sforzo
da parte del regime di potenziare il sistema radiofonico, nel bel paese permanevano ancora grossi
limiti come il basso tenore di vita, l'elevato costo degli apparecchi radio e del canone e
l'inadeguatezza di impianti per l'energia elettrica che impedivano il “decollo” del mezzo di
comunicazione. A questi problemi bisogna aggiungere l'ostilità di parte della classe intellettuale che
guardava con diffidenza se non con disprezzo l'avvento della radiofonia. In particolare fece scalpore
il direttore d'orchestra Arturo Toscanini che per un certo periodo proibì qualsiasi diretta radio dei
concerti della Scala di Milano.
Tuttavia l'URI, anche se molto lentamente, vedeva aumentare gli abbonati e con essi anche il
palinsesto si arricchiva di trasmissioni nuove. Compaiono i primi progetti per bambini come “Il
giornale radiofonico del fanciullo”, le riviste culturali dedicati ai temi più vari, ma soprattutto i
radiodrammi e le cronache sportive. L'URI però, non era destinata a durare molto: infatti il 15
gennaio 1928 venne istituito l'EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche: venne confermato
in sostanza il capitale privato precedente, ma grazie all'entrata di un'altra azienda torinese, la SIP, la
concessionaria si spostava gradualmente a Torino. La scelta di costituire un nuovo ente nacque da
una duplice esigenza: da una parte si voleva potenziare il sistema radiofonico, sia in senso
economico sia in senso tecnico, dall'altra la costituzione del nuovo ente faceva parte di un piano più
ampio di progressiva “fascistizzazione” della società in cui la radio doveva essere controllata
politicamente.
Venne creato per tale scopo un organo apposito per il controllo politico della radio denominato
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“Comitato superiore di vigilanza sulle radiodiffusioni”; si stabilì inoltre un aumento di capitale ( nel
1926 era già stata creata la SIPRA, Società Italiana Pubblicità Radiofonica Anonima) e la durata
della concessione fissata a venticinque anni. Con queste misure il governo si assicurava un controllo
più forte sul mezzo di comunicazione che veniva così utilizzato sempre di più come strumento di
propaganda. Ne è una prova l'intervento diretto di personaggi di spicco del partito fascista
nell'ideazione di nuovi programmi: “Condottieri e maestri” nacque per volontà di Arnaldo
Mussolini, fratello del Duce, direttore del Popolo d'Italia e vicedirettore dell'EIAR, mentre
“Cronache del regime” fu ideata da Galeazzo Ciano, responsabile dell'ufficio stampa del capo del
governo. Due momenti storici contribuirono a tale svolta propagandistica: l'ascesa del nazismo in
Germania, che si dimostrò abilissimo nella manipolazione delle coscienze attraverso i mezzi di
comunicazione e la guerra D'Etiopia, che comportò un coinvolgimento massiccio di tutto il sistema
di propaganda italiano.
Per il resto la programmazione dell'EIAR non mostrava salti di qualità rilevanti: la maggior parte
delle trasmissioni radiofoniche riguardavano la musica, e per di più classica mentre il resto della
programmazione era riservato rispettivamente all'informazione e all'infanzia. Per poter udire
programmi originali pensati appositamente per la radio bisognerà attendere il 18 ottobre 1934
quando iniziò la programmazione del primo evento radiofonico italiano: “I quattro moschettieri”.
Con questa trasmissione ebbe inizio un fortunato genere, il varietà radiofonico, che contribuì alla
crescita di abbonati che passarono da 400.000 a 700.000 in poco più di due anni. (cfr. Ferretti-
Broccoli-Scaramucci 1997: p. 40).
Nel frattempo il governo investiva grandi risorse per potenziare la rete radiofonica con lo scopo
di rafforzare la campagna di propaganda del regime soprattutto all'estero; furono costruite la
stazione a onde corte di Prato Smeraldo a Roma e la stazione di Bari 1, le quali trasmettevano
all'estero in diverse lingue. La radio dunque ampliava i suoi orizzonti in linea con la nuova politica
di espansione intrapresa dal governo fascista, anche se parallelamente crescevano le stazioni radio
clandestine che facevano contro-propaganda come la comunista Radio Milano e la stazione
Giustizia e Libertà. L'EIAR nel 1940 aveva finalmente raggiunto il traguardo del milione di
abbonati, risultato assai modesto se confrontato con l'alleata Germania che arrivava a 13 milioni.
Questo miglioramento era conseguenza del potenziamento della struttura radio, dell'abbassamento
dei costi e della diversificazione delle trasmissioni. L'inizio della seconda guerra interrompe di
colpo lo sviluppo del palinsesto, che si adatta alle esigenze del conflitto. Le trasmissioni di
intrattenimento vengono ridotte ai minimi termini per lasciare spazio a programmi di informazione;
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la radio è oramai diventata un bollettino di guerra, con otto edizioni del Giornale radio più eventuali
straordinarie. Anche la retorica dei cronisti si adatta alla causa di guerra: Marinetti, il “poeta di
regime” prestato alla radio, continua a esaltare alla sua maniera la “guerra futurista” mentre il
giornalista Mario Appelius trasforma i commenti ai fatti del giorno in retorica volgare, ai limiti del
grottesco, che rispondeva perfettamente ai gusti del peggiore pubblico fascista (cfr. Ferretti-
Broccoli-Scaramucci 1997: p. 60). Questo atteggiamento fin troppo esaltato risultava esagerato
perfino ai dirigenti dell'EIAR che allontanarono prima il poeta futurista, poi il giornalista. L'Italia
sta perdendo la guerra e il ministero della cultura popolare si rende conto che occorre cambiare la
programmazione messa in onda fino ad allora, alquanto ansiogena, a favore di una programmazione
più evasiva e leggera. Nonostante ciò l'avventura dell'EIAR non era destinata a durare a lungo; il 26
luglio Mussolini, sfiduciato dal Gran Consiglio, è costretto alle dimissioni per lasciare il posto al
generale Pietro Badoglio e l'otto settembre viene annunciato l'armistizio tra l'Italia e gli alleati. In
questo clima di ribaltamento totale del sistema politico italiano anche l'ente radiofonico alle strette
dipendenze del governo viene messo in discussione. Con l'occupazione dell'Italia del nord da parte
dei tedeschi molti dipendenti dell'EIAR scelsero di appoggiare la Repubblica sociale di Salò:
vennero create Radio Fante, dipendente direttamente dai tedeschi, Radio Soldato che invece era
controllata dall'EIAR e Radio Tevere, un caso totalmente diverso dai precedenti esempi citati perché
diede origine a prodotti veramente originali e creativi.
L'esperienza di queste radio dura meno di due anni: nasceva infatti il nuovo ente radiofonico
italiano: la RAI. Come abbiamo già visto il nuovo ente non aveva apportato quel cambiamento
politico che ci si sperava; tuttavia i professionisti che forgiarono il nuovo sistema radiofonico erano
giovani dotati di grande talento e spirito di iniziativa: tra di loro si possono ricordare: Vittorio
Veltroni, Aldo Salvo, Mario Ferretti, Sergio Zavoli, Nando Martellini, Lello Bersani. Nei primi anni
di vita la RAI dovette occuparsi di ricostruire i trasmettitori, le antenne, le apparecchiature che
erano state distrutte durante la guerra. Fra il 1949 e il 1952 vennero effettuati diversi miglioramenti
a livello tecnologico: vennero ristrutturate e potenziate tutte le stazioni (per esempio a Napoli e a
Prato Smeraldo), vennero introdotti impianti a modulazione di frequenza, vennero rinnovati gli
studi e acquistate nuove attrezzature mobili di registrazione. Il rinnovamento passava soprattutto
attraverso una nuova programmazione originale rivolta a un pubblico più ampio. Si voleva
aumentare il numero degli abbonati cercando di attirare gli ascoltatori attraverso programmi di
intrattenimento che prevedevano la partecipazione attiva del pubblico (Botta e risposta) e
indirizzando il mercato della radio verso un pubblico economicamente meno forte. Tutte queste
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misure di rilancio del mezzo radiofonico ebbero effetti immediati ed efficaci tali da portare nel 1953
il numero di abbonati a 4 milioni e mezzo, un buon risultato se si pensa che il numero massimo di
abbonati che l'EIAR aveva raggiunto era di un milione e mezzo (cfr. Guidetti 2000: pp.71-75). Un
altro passo importante per l'azienda fu la nascita del Terzo programma nel 1950 che aveva lo scopo
di realizzare programmi sperimentali e culturali. Questo, che aveva come modello il terzo canale
della BBC, costituì un motivo di orgoglio per l'azienda poiché realizzò trasmissioni innovative
attirando l'attenzione di grandi intellettuali dell'epoca come Carlo Emilio Gadda. Il 30 dicembre del
1951 vanno in onda per la prima volta tre canali: il nazionale, il secondo e il terzo che dovranno,
secondo lo slogan dell'epoca, rispettivamente informare, ricreare, educare. Il 26 gennaio dell'anno
successivo il Presidente della Repubblica approva il decreto legge in cui viene confermata alla RAI
la concessione in esclusiva delle radioaudizioni circolari e televisioni circolari per un periodo di
venti anni. Era scaduto infatti il periodo di concessione di 25 anni stabilito con regio decreto nel
1927 e quindi occorreva un ulteriore legge che fissasse delle regole per la radiodiffusione. Nella
sostanza la legge confermò la situazione precedente: la RAI continuava ad avere il monopolio sulla
radio e sulla televisione che sarebbe venuta di lì a poco, veniva riaffermato il principio del
finanziamento del cosiddetto “doppio binario” (affermato per la prima volta nel 1924 e
caratteristico dell'intera storia della radiotelevisione italiana) in base al quale la concessionaria
poteva usufruire delle risorse provenienti da un canone di abbonamento e degli introiti della
pubblicità la quale continuava ad essere gestita dalla SIPRA. Il cambiamento più significativo era il
passaggio della RAI da azienda a capitale in maggioranza privato a azienda a capitale in
maggioranza statale. L'IRI (istituto per la ricostruzione industriale) era già entrato come azionista di
minoranza nell'EIAR nel 1933 e con questo decreto doveva rilevare la maggioranza assoluta della
concessionaria (cfr. Grasso 1996: appendice).
La produzione radiofonica mostrava due lati assai diversi fra di loro: da una parte c'era voglia di
sperimentare nuovi modi di fare radio, dall'altra c'era un' atmosfera di conservazione e di censura.
Tra le innovazioni, la prima trasmissione notturna, “Notturno dall'Italia”, che trasmetteva
ininterrottamente da mezzanotte all'alba alternando musica e notiziari in quattro lingue, Francese,
Inglese, Tedesco e Italiano (cfr. Ferretti-Broccoli-Scaramucci 1997: p. 91). La musica la faceva
ancora da padrona, impossessandosi della maggior parte delle ore di programmazione; il genere più
trasmesso era la musica leggera, le orchestre erano numerosissime e molto competitive. Iniziava
proprio in questi anni la collaborazione tra la RAI e il festival della musica di Sanremo che sarebbe
proseguita con la televisione e avrebbe acquisito le caratteristiche di un evento. In particolare fu la
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seconda edizione del festival di Sanremo, nel 1952 che ne decretò il grande successo e che spinse i
dirigenti radio a puntare su altre trasmissioni che presentavano sfide canore come “Dieci canzoni
d'amore da salvare” e il “Festival della canzone napoletana”. Un genere che si stava affermando era
il romanzo sceneggiato, ossia la trasposizione di opere letterarie in sceneggiati radiofonici. Il primo
grande lavoro di questo genere che riscosse molto gradimento sia di critica sia di pubblico fu “Jane
Eyre” il quale “ha creato un autentico caso di “tifo radiofonico”, così spontaneo e diffuso che ha
sorpreso gli stessi ideatori e realizzatori della trasmissione” (Ferretti-Broccoli-Scaramucci 1997:
p.96). La RAI mostrava di essere una azienda brillante e in salute pronta a progettare e a mettere in
pratica idee innovative: il problema era il rapporto con la politica che ne condizionava la libertà e
l'indipendenza. Infatti, dopo il decreto legge del 1952, veniva confermato il controllo dell'azienda
da parte del governo il quale ne approfittava per utilizzare il mezzo radiofonico come strumento di
sostegno all'azione dell'esecutivo e come mezzo di propaganda del partito allora dominante la scena
politica, la DC. Era soprattutto nell'informazione che si realizzava questa intrusione della politica
nella comunicazione, consistente nel trascurare notizie importanti ma dannose per il governo o
addirittura nell'omissione e falsificazione dei fatti. L'opposizione denunciava questa situazione,
come si legge da una documentazione presentata dal PC nel 1951 in cui vengono rimproverati al
servizio pubblico radiofonico i silenzi sull'anniversario dell'assassinio di Matteotti e sugli scioperi,
la falsa notizia di un ritrovamento di armi a Modena, l'attenzione sbilanciata a favore delle attività
dei politici democristiani a danno dei politici comunisti (cfr. Ferretti-Broccoli-Scaramucci 1997: p.
100). Il condizionamento dell'informazione da parte della DC era fin troppo evidente visto che il
sottosegretario del partito, Giulio Andreotti, scrive ai dirigenti RAI di attenersi alla più “oculata
riservatezza” in argomenti riguardanti la politica italiana e internazionale. La dirigenza colse
immediatamente lo stimolo di Andreotti che si concretizzò attraverso un documento in cui viene
descritto l'ideale cronista radiofonico: “le notizie della radio entrano in casa altrui, e in tutte le case,
senza alcuna scelta da parte dell'ascoltatore, al contrario di quanto avviene per le notizie dei giornali
stampati che presuppongono una scelta prima dell'acquisto. Bisogna quindi presentarle in modo che
siano ovunque bene accette o almeno tollerate: da quelli che la pensano bianco a quelli che la
pensano nero, tra i dotti e gli ignoranti, nei caffè, nelle officine e nei conventi, senza offendere la
moralità, le credenze e il costume dei diversi ascoltatori” (Guidetti 2000: p. 83).
Con il varietà, invece, gli ascoltatori trovavano un modo per evadere dal quotidiano e dar vita ai
sogni: era l'inizio del boom economico e anche se tra mille difficoltà, la gente respirava aria di
ottimismo. Nei primi anni '50 questo genere di trasmissioni pullulano e fanno emergere giovani