Introduzione
Nel primo capitolo viene analizzata la trama della short story ed
evidenziato lo stretto legame tra l’autore ed i suoi protagonisti. Molta critica ha
infatti considerato Amy Foster, una delle opere conradiane meno conosciute, come
l’elaborato più autobiografico dello scrittore.
Il racconto di un naufrago approdato in Inghilterra, a seguito di una bufera
che ha scaraventato una nave partita dal porto di Amburgo alla volta dell’America
sulle coste del Kent, è stato più volte definito dalla critica una narrazione
autobiografica, non solo a causa delle affinità tra le difficoltà d’inserimento
incontrate sia dall’autore che dal suo personaggio sulla terra britannica, ma anche
per delle reali coincidenze topografiche e cronologiche. Il villaggio in cui il
racconto è ambientato, Colebrook, vicino a Brenzett, è situato proprio dove viveva
Conrad nel momento in cui scrisse la storia: in quel periodo abitava infatti a
Winchelsea, nel Kent, a poche miglia da Colebrook. Inoltre il personaggio
maschile, individuato dalla maggior parte della critica come un alter ego dello
scrittore, proviene dall’Est dei Carpazi, che includono una parte dell’odierna
Polonia e dell’Ucraina, regione in cui nacque lo scrittore. Nel 1906, poi, a soli tre
anni dalla pubblicazione del volume Typhoon and Other Stories, nacque il
secondogenito dell’autore chiamato John, proprio come il figlio del suo
protagonista.
Oltre a queste coincidenze di carattere puramente biografico, ne ritroviamo
altre di diversa natura se analizziamo le fonti del racconto. Al tempo in cui visse
Conrad, i naufragi erano abbastanza frequenti. Le cronache del 1875 narrano
dell’affondamento della Deutchland, una nave di emigranti, schiantatasi sulle
coste del Kent, che causò la morte di circa un terzo dei passeggeri; da questo
II
Introduzione
episodio Ford Madox Ford avrebbe tratto la fonte per il suo racconto The
Cinque Ports (al quale, secondo lo scrittore, Conrad si sarebbe ispirato per Amy
Foster). Altri importanti naufragi tuttavia erano noti all’autore: nel 1878 ad
esempio, sulla Princess Alice (una nave passeggeri), morirono circa seicento
persone a causa di una collisione e, qualche tempo dopo, nel 1896, l’Elbe, in rotta
verso New York da Brema, naufragò vicino a Norfolk, causando la morte di
trecentotrentaquattro persone. Probabilmente anche questi due episodi di cronaca
dovevano aver colpito Conrad che li tenne ben a mente quando si accinse a
scrivere Amy Foster. Nel racconto, la nave Herzogin Sophia Dorothea (Herzogin
in tedesco significa “duchessa”) partita da Amburgo, naufraga sulle coste del
Kent, lasciando un solo sopravvissuto.
3
La stesura dell’opera non impegnò a lungo Conrad, e fu accompagnata da
alcune contraddizioni. Se infatti da un lato l’autore, in una lettera alla signora
Wells, rimproverò se stesso per aver voluto esagerare scrivendo “I can’t help
thinking that I have tried to make too much of a simple anedocte”, dall’altro era
contento del risultato per cui scrisse al suo agente Pinker: “It is accomplished! I
am afraid it is just over 9000 [words]. But the subject is big too.”
4
Poche ma drammatiche pagine, dunque a rappresentare i grandi temi che
hanno accompagnato tutta la carriera artistica del nostro scrittore: solitudine,
alterità, la ricerca di un ambiente familiare, la perdita e la conseguente ricerca
delle proprie radici, il matrimonio, il suo rapporto con le donne, un legame forte
3
Nico Israel, Outlandish. Writing between Exile and Diaspora, Stanford, California, Stanford
University Press, 2000, pp. 29-30.
4
Frederick R. Karl and Laurence Davies (eds.), The Collected Letters of Joseph Conrad, Vol. 2,
Cambridge, Cambridge University Press, 1983-2002, pp. 391-392.
III
Introduzione
ed ambiguo col narratore e con il suo protagonista – rigorosamente maschi
sebbene il titolo si riferisca ad un personaggio femminile.
Nonostante la presenza di fattori che legano la storia breve a fatti di
cronaca e biografici, il racconto appare interessante anche perché presenta un
“mondo familiare” (quello del villaggio di Colebrook con le sue strutture ben
chiuse e definite, ma anche, in generale, quello degli inglesi) attraverso gli occhi
dello straniero. Sebbene la critica di Rose Marangoly George in The Politics of
Home pubblicato nel 1996, parlando di altre opere dello scrittore, affermi che le
sue storie “are familiar domestic tales set in alien territories”, qui mi sembra
invece avvalorata la tesi sostenuta da un altro critico nello stesso anno, Richard
Ruppel: egli sostiene che siamo in presenza di un racconto dell’estraneità
ambientato sul suolo domestico, quello britannico.
5
L’assetto tipico del racconto
coloniale è ribaltato all’interno dell’opera, e il colonizzatore straniero viene a
conquistare l’Inghilterra alla ricerca dell’ “oro vero”. Tuttavia, anche se la
problematica imperialista – affrontata solo in maniera implicita – sembra
rovesciata, il fatto stesso che in Amy Foster gli indigeni siano rappresentati come
esseri meschini, crudeli ed ignoranti, conferma gli stereotipi della narrativa
coloniale in cui quelli che vengono generalmente definiti natives, sono considerati
selvaggi e crudeli (come ad esempio in Heart of Darkness che è valsa all’autore
l’appellativo di bloody racist da parte di Chinua Achebe).
6
5
Ruppel, R.; “Yanko Goorall in the Hearth of Darkness: “Amy Foster” as Colonialist Text”, in
Conradiana 28.2 (summer 1996), pp. 126-32.
6
Chinua Achebe, “An Image of Africa: Racism in Conrad’s Heart of Darkness” in Robert
Kimbrough (ed.), Joseph Conrad, Heart of Darkness: An Authoritative Text, Backgrounds and
Sources, Criticism, New York and London, W. W. Norton & Company; 3rd edition, October 1987,
pp. 251-261.
IV
Introduzione
Agli inizi del diciannovesimo secolo si assisteva a grandi ed irreversibili
cambiamenti della società che condussero all’idealizzazione del concetto di “casa”
e della sua estensione nazionale, non a caso espressa in inglese con lo stesso
termine, home. Così come suggerito anche da Frances Armstrong in Dickens and
the Concept of Home, questo sentimentalismo derivava dal rifiuto di esaminare
troppo da vicino quello che la “casa”, e cioè l’Impero, stava diventando.
7
Espandendosi, portando i suoi “figli” lontano da casa, l’impresa coloniale li
metteva di fronte all’Altro, e nell’incontro essi cessavano di sentirsi al sicuro.
Inoltre il quadro domestico veniva rappresentato in quasi tutti i romanzi vittoriani
con l’esclusione o la repressione dei fattori distruttivi. Documento più rilevante
dell’idealizzazione del concetto di casa, dell’amore e della donna, lo ritroviamo in
“Of Queen’s Gardens” di Ruskin. In questo testo, che fa parte della raccolta
Sesame and Lilies, egli elabora il concetto dell’ideologia vittoriana di casa come:
the place of Peace; the shelter not only from all injury, but from all
terror, doubt and division. In so far as it is not this, it is not home; so far
as the anxieties of the outer world penetrate into it, and the
inconsistently-minded, unknown, unloved, or hostile society of the
outer world is allowed by either husband or wife to cross the threshold,
it ceases to be home; it then becomes only a part of the outer world
which you have roofed over, and lighted fire in. But so far as it is a
sacred place, a vestal temple, a temple of the hearth watched over by
Household Gods… so far as it is this… so far it vindicates the name,
and fulfils the praise, of Home.
8
Non solo
7
Frances Armstrong, Dickens and the Concept of Home, Ann Arbor, Michigan: University of
Michigan Research Press, 1990.
8
John Ruskin, “Of Queen’s Garden”, Sesame and Lilies, New York, Silver Burdett and Co., 1900,
p. 84, cit. in Rose Marangoly George, Politics of Home, Berkley, Los Angeles and London,
University of California Press, 1996, p.71.
V
Introduzione
Sia fatti storici che una realtà sociale in fieri mettevano dunque in discussione
tutta la cultura domestica: centrale – nella narrativa conradiana e non – diviene
l’incontro tra il familiare ed il domestico, che avrebbe più tardi analizzato Freud
nel Das Unheimlich del 1919.
9
Con la conferenza di Berlino del 1884, che divise l’intero continente
africano tra le varie potenze europee, il mondo ricevette un assetto diverso e
l’uomo bianco si “caricò” di nuove responsabilità. Il viaggio verso la colonia
divenne l’alternativa alla madrepatria. Conrad visse la sua carriera di scrittore
esattamente in questo periodo, e la sua opera è emblematica. D’altronde,
taking him to the farthest corners of the earth, Conrad’s nautical career
introduced him to countless others who, like himself, were uprooted or
unrooted; he was repeatedly forced to discover within himself
resources and capacities that would have lain dormant if he had
remained at home, or what passed for home.
10
Polacco, esiliato in Russia con il padre e la madre, plurilingue, gentiluomo,
marinaio, capitano, scrittore, Altro; la sua vita in giro per il mondo fu influenzata
da due grandi imperi, quello russo e quello britannico. “Soggetto coloniale”
dell’impero russo, egli divenne parte attiva dell’imperialismo britannico quando
nel 1889 condusse la Roi des Belges su per il fiume Congo.
11
Straniero, senza casa (nonostante egli vivesse stabilmente in Inghilterra
negli ultimi trent’anni della sua vita, non ne acquistò mai una) orfano di padre e di
madre, di patria e di lingua, egli scelse come sua dimora il mare e la scrittura.
9
Freud, S.; Il perturbante, Roma, Teoria, 1990.
10
Geoffrey Galt Harpham “Beyond Mastery” in Carola M. Kaplan, Peter Lancelot Mallios,
Andrea White (eds.), Conrad in the Twenty-First century. Contemporary Approaches and
Perspectives, New York and London, Routledge, 2005, p. 18.
11
Probabilmente le sensazioni provate da Yanko all’interno del racconto sono proprio ispirate ai
sentimenti che l’autore dovette provare allorché approdò in Congo, e non tanto in Inghilterra o in
Francia. E forse anche il racconto del viaggio del protagonista è ispirato al viaggio che compì lo
stesso autore quando prese il treno che lo avrebbe portato a Marsiglia e poi in nave.
VI
Introduzione
Nel primo, poteva considerarsi al di fuori di qualsiasi confine nazionale e
nella seconda, in un mondo astratto e libero, “he was both compulsively
replicating his initial experience of dispossession and loss, and seeking to turn
that experience to good account, to turn it into a profession, an identity, a life”.
12
Egli fu tuttavia sempre straniero anche a bordo delle navi che tanto amava: i suoi
compagni lo chiamavano scherzosamente “il conte russo” a causa del suo modo di
vestire ed anche perché era effettivamente un aristocratico. E forse egli stesso, che
tanto ammirava l’Inghilterra, avendola probabilmente idealizzata attraverso la
letteratura, sembrava rendersi perfettamente conto di non essere “uno di loro”. Ad
un amico polacco espatriato egli scrisse infatti:
Both at sea and on land my point of view is English, from which the
conclusion should not be drawn that I have become an Englishman.
That is not the case. Homo duplex has in my case more than one
meaning. You will understand me. I shall not dwell upon that subject.
13
La sua dichiarazione sembra qui richiamare quanto ha dichiarato Bhabha in Of
Mimicry and Man: “He is the effect of a flawed colonial mimesis, in which to be
Anglicized, is emphatically not to be English” […] “almost the same but not
quite, almost the same but not white”.
14
Sebbene egli abbia vissuto con gli inglesi
almeno negli ultimi anni della sua vita, non sarà mai uno di loro fino in fondo e
somiglierà piuttosto ad uno dei mimic men di Naipaul.
15
Letta in questi termini
anche la storia di Yanko ripete quella dello scrittore: in cerca di ospitalità e di casa
sulla terra inglese, è percepito come nemico e come minaccia; outsider come il
suo creatore, cerca di “conquistare” il suo spazio, la sua casa e tenta
12
Geoffrey Galt Harpham, “Beyond Mastery” in Carola M. Kaplan, Peter Lancelot Mallios,
Andrea White (eds.), Op. Cit., p. 18.
13
Cit. in Ian Watt, Conrad in the Nineteenth Century, Berkeley, Los Angeles, University of
California Press, 1979, p. 24.
14
Homi Bhabha, The Location of Culture, London & New York, Routledge, 1994, pp. 87 e 89.
15
Vidiadhar S. Naipaul, The Mimic Men, London Penguin, 1997.
VII
Introduzione
disperatamente di farsi accettare. Apprenderà la lingua – grazie anche agli sforzi
del suo amico medico – e le donne del villaggio tenteranno di convertirlo alla loro
religione. Ma questo non sarà sufficiente; i suoi tratti altri, il suo accento altro, la
sua agilità, ricorderanno sempre al resto degli abitanti del villaggio che è un
estraneo, e la sua alterità sarà ancora più inquietante quanto più egli tenterà di
imitarli provando ad inserirsi nella società, lavorando, e contaminandola con la
nascita di un figlio.
Alterità ed estraneità dello straniero saranno i temi affrontati nel secondo
capitolo di questo lavoro.
Lo straniero ancora una volta diventa una presenza inquietante da
combattere. È senz’altro una figura ambigua, rappresentante della propria e della
nostra estraneità, come teorizzato non solo da Julia Kristeva in anni recenti, ma
come era già ben chiaro nell’epoca classica a greci e latini.
In quanto ospite e straniero della nazione e della lingua inglese, Joseph
Conrad si inserisce non solo come uno dei più grandi autori della “Great English
Tradition” con il quale è doveroso confrontarsi, ma diventa anche il pioniere di
quella che viene chiamata “letteratura globale” in lingua inglese. La narrativa
conradiana infatti ha fornito “a non-western understanding of the west”, come
afferma Rose Marangoly George e, “in this arena, literary precedents and
successors do not necessarily “borrow” only from those earlier practitioners
whose political stance they mean to mimic or keep alive”.
16
16
Rose Marangoly George, Op. Cit., p. 89.
VIII
Introduzione
Per questo motivo l’opera conradiana è straordinariamente attuale
e Conrad
does serve as a «strategic fault line» – but a fault line that has since
served for the outsiders as an entrance into the literary institution of the
«English Literature». There is also the issue of Conrad’s bilingualism
that makes his work of special interest to non-western writers.
17
Nel suo maneggiare la lingua inglese con maestria, il nostro autore mostra sempre
le tracce sottili della sua “estraneità” che risulta essere un pregio e non un difetto.
Egli si è fatto interprete di tutti i grandi temi dell’ideologia inglese – genere,
razza, impero, efficienza ed ordine sociale, e questa partecipazione attiva alla
letteratura “occidentale” ci permette di inserirlo a pieno titolo tra i grandi nomi
della tradizione inglese. Ma, sebbene egli sia stato introdotto nella categoria
letteraria del modernismo, e Perry Anderson parli di lui come di uno dei tanti
“white emigrés” che agli inizi del Novecento arrivarono in Inghilterra, Conrad
rifugge da qualsiasi categorizzazione.
18
Egli può essere allora definito come “the
first of many colonial subjects – irrespective of color – who, rather than perform
as “foreign practitioners” in English culture, will instead make English culture,
and especially its literature, seem foreign”.
19
Ad ogni modo se in Amy Foster sono presenti tutti gli elementi che
permettono di definire il racconto come postcoloniale – dislocazione linguistica,
esilio, pregiudizi e marginalità nell’incontro interculturale
20
– esso non può essere
considerato tale né per provenienza geografica né per collocazione storica.
17
Idem, p. 90.
18
Perry Anderson, “Components of the National Culture”, New Left Review 50 (luglio/agosto
1968), pp. 3-58, cit. in Rose Marangoly George, Op. Cit., p. 223, nota 3.
19
Rose Marangoly George, Op. Cit., p. 90.
20
Bill Ashcroft, Gareth Griffiths, and Helen Tiffin, The Empire Writes Back. Theory and Practice
in Postcolonial Literatures, (New Accents), 2° ed., USA e Canada, Routledge 2002.
IX
Introduzione
Lo spazio di oscurità occupato nel nostro racconto dal villaggio di
Colebrook, è occupato comunque anche da Amy.
Al silenzio dei numerosi personaggi maschili della narrativa conradiana
sottolineato da Terry Eagleton va infatti aggiunto anche quello dei personaggi
femminili tra i quali la nostra “co-protagonista”
21
Il suo silenzio opposto alla
narrazione del dottor Kennedy è
… ‘a stronger force than the flickers of Kennedy’s understanding… a
silence of devouring inertness and a region of darkness that swallows
up all impression’. The ‘black hole’ of Amy’s silence is thus one pole
of the story’s absorption with language, and with the interrelations
between acquisition of language and the acquisition of social and
cultural identity. The absorption is understandable, given Conrad’s own
‘journey through many tongues’ and his final adoption of, if not
adaptation into, an English home.
22
Questione imperialista quindi, ma anche questione di genere. Amy sebbene non
sia la protagonista, è colei che innescherà l’amore (di Yanko), l’odio (in Kennedy)
e la tragedia finale, ed anche colei che porterà in grembo il frutto della
contaminazione.
Centrale nell’opera di Conrad resta comunque l’estraneità. Come ricorda
Rose Marangoly George, “the overwhelming problematic that this fiction
constantly returns to is that of finding home and of being hailed as «one of us»”
23
,
e questo appare chiaro sia per Conrad che per Yanko: approdati su di una terra
straniera, l’uno e l’altro scaraventati lontano dalla loro terra nativa per motivi
21
Rose Marangoly George, Op. cit, p. 68-69.
22
Myrtle Hooper, “‘Oh, I Hope He Won’t Talk’: Narrative and Silence in ‘Amy Foster.’” in The
Conradian, 21.2, 1996, p. 52.
23
Rose Marangoly George, Op.Cit., p. 67.
X
Introduzione
sociali (seppur di diversa natura), perseguono lo scopo di trovare una
«casa» ed essere accettati dalla comunità ospitante o, più precisamente, di divenire
parte di questa.
Intrappolato in questo modo tra la sua natura e la volontà di essere parte di una
casa “altrui”, Yanko “has no way out, no means to free himself from the
suffocating cage of exile. Conrad is not in a hurry to help his protagonist; instead
he is placing the problem of his own exile onto the shoulders of his
countryman”.
24
Veicolo supremo per l’accettazione, uno strumento scordato – la lingua. Il
terzo capitolo tratterà appunto del rapporto dello scrittore con l’idioma, illustrando
il tema centrale della tesi: la lingua “matrigna”. L’inglese si presenta nei confronti
dell’autore come la madre adottiva nei confronti di un orfano sia di “casa” che di
madrelingua. Lingua ibrida per eccellenza, l’inglese ha adottato lo scrittore.
Orfano infatti per ben tre volte, ed altrettante volte adottato, Conrad è divenuto
suo figlio prediletto. “L’adozione” (termine usato dallo scrittore) fu un mezzo per
esprimere sia la sua lotta per domare la lingua aliena sia per trovare la sua identità.
E questo perché sia l’adozione che l’identificazione seguono gli stessi principi:
assumere, imitare l’identità altrui; l’assunzione di un modo diverso di essere.
Tuttavia Yanko, semplice montanaro, non riesce a domare l’idioma ed è
destinato a morire.
24
A.Z. Milbauer, “Trascending Exile. Conrad, Nabokov, I.B. Singer”, Miami, University Press of
Florida, 1985, p. 16, cit. in Maria Teresa Chialant ““Amy Foster” di Joseph Conrad. Variazioni sul
tema dello straniero”, Anglistica AION, XXXIX, 3 (1996), p. 31.
XI
Introduzione
Tale destino non è comune a quello del suo autore, il quale sfugge a questa
sorte trovando ad un equilibrio tra l’assimilazione e la fedeltà alle origini.
Grazie alla letteratura, Conrad “learns how to resist the claims of the past
and remain free from the temptation to become «one of them»”
25
. Attraverso i
suoi personaggi egli si salva.
Nonostante l’adozione, Conrad non riuscirà mai ad appropriarsi in maniera
definitiva e completa della lingua. Pur accogliendo gli “orfani” come lui, essa,
come ricorda un filosofo contemporaneo scomparso solo poco tempo fa, Derrida,
non può appartenere, e nessuno può dominarla e conquistarla completamente.
D’altronde la scrittura stessa, che vive nella e della solitudine di cui
Conrad parla in A Personal Record, è già una lingua “altra” perché diversa da
quella “naturale”. E la situazione in cui Yanko vive, l’incomprensione della
lingua, la sua esclusione, rimandano alla condizione dello scrittore pur sempre
estraneo alla lingua inglese, che pur plasma con tanta abilità.
L’ultima parte della tesi è dedicata ad un’altra forma di scrittura e cioè
quella cinematografica. Il testo conradiano ripreso e riscritto dalla penna di Tim
Willocks, appare a tratti una rivendicazione al femminile della regista Beeban
Kidron sul ruolo riservato dall’autore del racconto alla protagonista femminile.
Dopo aver illustrato la trama del film nella sinossi, vengono analizzate le
differenze tra la storia raccontata da Conrad e la sua versione filmica. In
appendice invece, verranno presentate le schede tecniche del film, della regista e
degli attori principali.
25
Idem, p. 61.
XII
Figura 1 - Torre di Babele
“Allora tutta la terra aveva un medesimo linguaggio e usava le stesse parole. Or,
avvenne che, emigrando dall’oriente, trovarono una pianura nella regione del
Sennaar e vi abitarono. E dissero gli uni agli altri: «Su, fabbrichiamo dei mattoni e
cociamoli al fuoco». E si servirono di mattoni invece che di pietre e di bitume in
luogo di calce. E dissero: «Orsù, edifichiamoci una città e una torre con la cima al
cielo. Fabbrichiamoci così un segno di unione, altrimenti saremo dispersi sulla
faccia della terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre, che i figli degli
uomini costruivano e disse: «Ecco, essi sono un popolo solo e hanno tutti un
medesimo linguaggio: questo è il principio delle loro imprese. Niente ormai
impedirà di condurre a termine tutto quello che verrà loro in mente di fare. Orsù
dunque, scendiamo e proprio lì confondiamo il loro linguaggio, in modo che non
s’intendano più gli uni con gli altri». Così il Signore di là disperse sulla faccia di
tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città, alla quale fu dato perciò il
nome di Babele, perché ivi il Signore aveva confuso il linguaggio di tutta la terra e
di là aveva dispersi pel mondo intero.”
- Genesi, 11, 1-9
1
Amy Foster
1 Amy Foster di Joseph Conrad
1.1 Amy Foster
Loneliness, darkness, the necessity of writing, imprisonment: these are
the pressures upon the writer as he writes.
- Edward W. Said, The World, the Text and the Critic
Amy Foster, scritto da Conrad tra il 25 maggio ed il 16 giugno del 1901 –
periodo in cui frequentava spesso l’amico Ford Madox Ford – apparve a puntate
in Illustrated London News tra il 14 e il 28 dicembre di quell’anno, e venne
pubblicato da Heinemann nel 1903 nella raccolta in volume Typhoon and Other
Stories.
26
L’idea originale del racconto fu rivendicata da Ford Madox Ford il quale
sostenne che fosse una rivisitazione di un suo lavoro che faceva parte di The
Cinque Ports: a Historical and Descriptive Record (Blackwood 1900), nel quale
narrava le vicende di un tedesco naufrago sulle coste del Kent.
27
Tale ipotesi è
però contestata dalla moglie dello scrittore, Jessie: l’episodio, qui di seguito
riportato, e da lei narrato nei Personal Recollections of Joseph Conrad e ripreso in
Joseph Conrad as I Knew Him, sarebbe stato appunto l’ispirazione per Amy
26
Come possiamo leggere nel saggio di Gail Fraser, “Conrad’s Revisions to “Amy Foster””,
apparso in Conradiana, 20.3 del 1988, l’autore scrisse il racconto “entirely out of doors”. Conrad
apportò numerose correzioni al testo passando dal manoscritto alla versione che fu portata alla
stampa in volume nel 1903. Gail Fraser ci dice che furono ben 1100 i sostantivi sostituiti, la
maggior parte dei quali riguardavano le sensazioni di Yanko Goorall. Le revisioni che portarono il
manoscritto alla versione apparsa in Illustrated London News furono ben 700, senza contare quelle
che riguardavano le correzioni grafiche e di punteggiatura.
27
Owen Knowles & Gene M. Moore, Oxford Reader’s Companion to Conrad, USA, Oxford
University Press, 2000, p. 11.
2
1. amy foster di joseph conrad
Foster. Durante il loro viaggio di nozze – ricorda la donna – Joseph, in preda ad
un attacco di febbre, iniziò a delirare in polacco, spaventandola moltissimo.
28
For a whole long week the fever run high, and for most of the time
Conrad was delirious. To see him lying in the white canopied bed,
dark-faced, with gleaming teeth and shining eyes, was sufficiently
alarming, but to hear him muttering to himself in a strange tongue (he
must have been speaking Polish), to be unable to penetrate the clouded
mind or catch one intelligible word, was for a young inexperienced
girl truly awful.
29
La moglie dello scrittore rivendicò più volte l’originalità del racconto del marito,
ed anzi, come appare chiaro in un articolo un po’ datato ma molto interessante di
Richard Herndon, probabilmente la vicenda del personaggio principale, rispecchia
le reali condizioni dello scrittore al tempo in cui si trovava sulle rive del Congo:
quando si ammalò di malaria egli fu infatti evitato sia dai bianchi sia dagli
indigeni.
30
Tale esperienza aveva talmente colpito Conrad che comunicò ad
Edward Garnett, uno dei suoi più cari amici, il suo dispiacere per non aver inserito
l’episodio in Heart of Darkness.
The effect of the written narrative was no less bomber than the spoken,
and the end was more consummate; but I regretted the omission of
various scenes, one of which described the hero lying sick to death in a
native hut, tended by an old negress who brought him water from day
to day, when he had been abandoned by all the Belgians. ‘She saved
my life’, Conrad said, ‘the white men never came near me’.
31
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, protagonista del racconto non è
l’eroina eponima, Amy Foster, bensì il naufrago Yanko Goorall ed in effetti lo
28
Jessie Conrad; “Personal Recollections of Joseph Conrad”, London, privately printed, 1924, pp.
25-26 cit. in Maria Teresa Chialant, Op. Cit., pag. 3, nota 7.
29
Jessie Conrad, “Joseph Conrad as I Knew Him”, Garden City, NY, Doubleday, London,
Heinemann, 1926, p. 35 in H. J. Stape, The Cambridge Companion to Joseph Conrad, Cambridge,
Cambridge University Press, (1996), 2004, p.2.
30
Richard Herndon, “The Genesis of Conrad’s Amy Foster”, in Studies in Philology, 57.3, (1960),
pp. 549-566.
31
Edward Garnett (ed.), “Introduction” alle “Letters from Joseph Conrad”, 1895-1924,
Indianapolis, Bobbs-Merrill, 1928, p. 14 cit. in Richard Herndon, Op. cit., p. 558.
3