VI
INTRODUZIONE
L‟opera che narra il dramma del principe Amleto fu iscritta nell‟albo della
corporazione dei cartolibrari ed editori inglesi, il cosiddetto “Stationers‟
Register”, il 26 luglio 1602. Da allora, innumerevoli critici, letterati, psicologi e
altri studiosi si sono cimentati nel complesso quanto affascinante compito di
interpretare e comprendere questa tragedia. L‟interpretazione è un processo
impegnativo, ma lo diventa ancora di più se viene applicata a un‟opera teatrale,
che possiede un suo specifico sistema semiotico e, in particolare, all‟Amleto di
William Shakespeare, drammaturgo dell‟Inghilterra elisabettiana. Si tratta, infatti,
di un‟opera enigmatica, che ha offerto – e continua a farlo – numerosissimi spunti
di riflessione, spesso molto diversi tra loro o in aperto contrasto, sotto vari punti di
vista: letterario, linguistico – retorico, teatrale, psicologico, storico, e via dicendo.
Da una lettura superficiale dell‟opera, ne ricaviamo l‟idea che si tratti di una
tragedia della vendetta: il padre di Amleto, re di Danimarca, è stato ucciso da suo
fratello, Claudio. Quest'ultimo sottrae i diritti di successione di Amleto figlio,
appropriandosi a sua volta della corona e della moglie di Amleto padre. Lo
spettro di Amleto padre rivela tutta la macchinazione al figlio e gli lascia il
compito di vendicare l'omicidio, l‟usurpazione e l'adulterio. Ma l‟Amleto è molto
più di questo: non per niente è una delle opere letterarie più conosciute al mondo,
è stata tradotta in quasi tutte le lingue, ed è sicuramente l'opera shakespeariana che
è stata rappresentata al teatro e al cinema con maggior frequenza e successo. Il
fenomeno della tragedia di Amleto è qualcosa di unico nella letteratura
occidentale: essa, infatti, è ormai così conosciuta che abbiamo l‟impressione di
averla già letta, anche quando la affrontiamo per la prima volta. È un‟opera che
non smette di richiamare a sé il pubblico e di destare interesse nella critica, e che
non cessa di essere interpretata e interrogata. Soprattutto ci si è chiesti, e ci si
continua a chiedere, perché Amleto, nonostante tutto lo spinga ad agire, a
vendicare la morte dell‟amato padre per mano dello zio usurpatore Claudio,
VII
procrastini di continuo l‟azione, che si fa risolutiva, e tragica, solo alla fine del
dramma. A questa domanda, che è la principale ma non l‟unica attorno all‟Amleto,
hanno cercato in tanti di dare una risposta, autorevoli personalità in campo
artistico, ma anche storico e psicanalitico.
Il presente lavoro si prefigge di tracciare un percorso interpretativo dalla
genesi della tragedia fino alle ultime importanti acquisizioni per la sua
comprensione apportate dalla psicoanalisi, e in particolare da Jacques Lacan.
Quest‟analisi si svolge in quattro capitoli, il primo dei quali è introduttivo: dopo
una breve trattazione riguardo l‟ermeneutica e i suoi processi, si passa a
scandagliare l‟opera di Shakespeare in questione. Sono stati considerati, in
particolare, data e trasmissione del testo (vi sono, infatti, tre diverse edizioni
dell‟Amleto, con tutti i problemi che ciò comporta in termini di veridicità e fedeltà
filologica alle intenzioni d‟autore), le fonti dell‟opera e le modalità del loro
utilizzo, le caratteristiche principali ma anche le notizie relative alla vita di
Shakespeare in relazione alla stesura del suo capolavoro.
Nei restanti capitoli, invece, si affrontano, secondo la linea tematica suggerita
da Ernest Jones nel suo importante lavoro intitolato Amleto ed Edipo (1949, ed. it.
1975), le interpretazioni principali dell‟Amleto: quella soggettiva, quella oggettiva
e quella psicanalitica.
Il secondo capitolo, in particolare, tratta le prime due vie interpretative;
quella soggettiva si sviluppa specialmente all‟interno del contesto culturale del
Romanticismo, in Inghilterra con S. T. Coleridge e in Germania con J. W. Goethe.
Essi, in modi diversi, sostengono la tesi che Amleto sia inibito nell‟azione da
particolari caratteristiche della sua personalità: da un eccesso di attività
intellettuale e immaginativa per il primo, da una forte sensibilità, mista a una
grande finezza d‟animo, nostalgia e gentilezza per il secondo. Inoltre, analizzando
da vicino la vita di Coleridge, come hanno fatto diversi studiosi, si può
riconoscere una stretta somiglianza tra quella tragedia di volontà che è l‟essenza
dell‟Amleto e quella che sembra permeare le vicende e il carattere del Coleridge
stesso: il carattere dispersivo e passivo del poeta romantico, peggiorato dall‟abuso
della droga, lo rendeva infatti incline a procrastinare e a meditare fino all‟eccesso,
fino all‟inazione, la stessa che caratterizza Amleto. Per quanto riguarda Goethe,
VIII
invece, si può ravvisare nel suo La vocazione teatrale di Wilhelm Meister (1777-
1794) un‟identificazione del protagonista, Wilhelm, un giovane borghese che si
accinge a lasciare la casa paterna per tentare la fortuna nel mondo del teatro, e
Amleto: entrambi, infatti, sono individui nostalgici e, come Amleto, Wilhelm è
colpito dalla paralisi nell‟azione. Anche Werther (protagonista del capolavoro
goethiano e manifesto dello Sturm und Drang intitolato I dolori del giovane
Werther, 1774) come Amleto, è un giovane colto e raffinato che però non riesce a
inserirsi in società, di cui odia le convenzioni e le limitazioni, specie quelle
relative ai sentimenti.
L‟interpretazione oggettiva, invece, è quella di coloro i quali individuano
nella difficoltà del compito il motivo per cui esso non viene assolto da Amleto.
Queste teorie fanno capo allo studioso George Fletcher, che pubblicò
sull‟argomento, nel 1845, un articolo sulla «Westminster Review», sviluppato poi
da Klein e Werder. Il punto di vista oggettivo si basa sulla dimostrazione che il
compito di Amleto sia più difficile di quello che si creda, perché include il
riconoscimento pubblico della colpevolezza di Claudio. Poiché si trattava di
fratricidio, le prove da portare contro Claudio dovevano essere valide e numerose,
altrimenti il popolo avrebbe accusato Amleto di aver ucciso lo zio solo per
sottrargli il trono e, cosa ancor più grave, di denigrare la memoria di un uomo che
non poteva più difendere il proprio onore, suo padre.
Vi è anche, infine, chi ritiene che Amleto non agisca perché quello che
leggiamo o vediamo rappresentata non è una tragedia della vendetta: secondo
René Girard, infatti, con quest‟opera Shakespeare ha voluto prendere le distanze
da un genere allora molto in voga, quello della vendetta, appunto. Secondo
Stephen Greenblatt, invece, più che di tragedia della vendetta si dovrebbe parlare,
per l‟Amleto, di tragedia della memoria. Ciò che spicca nelle parole dello spettro,
infatti, non sarebbe il comando alla vendetta, bensì al ricordo, inteso da Greenblatt
come memoria attiva, salvifica, sulla base del legame tra questa e le idee del
cattolicesimo in relazione a quel luogo intermedio tra i vivi e i morti che è il
Purgatorio. Sebbene, infatti, Shakespeare fosse di religione protestante,
verosimilmente crebbe in ambiente cattolico, e ciò è testimoniato da un
documento rinvenuto in casa sua nel 1757, appartenuto al padre, morto nel 1601
IX
(anno della stesura dell‟Amleto) e consistente in una sorta di “testamento
spirituale” in cui si richiedeva ai propri cari di ricordarlo nelle loro preghiere, per
alleviare le pene della propria anima in Purgatorio.
Al 1897 risale l‟interpretazione freudiana dell‟Amleto, che è trattata nel terzo
capitolo di questo lavoro. Essa rappresenta uno spartiacque nel processo
ermeneutico che da secoli si svolge attorno al capolavoro shakespeariano, sia per
l‟importanza della psicoanalisi come prezioso strumento per i teorici della
letteratura, sia per quanto riguarda la comprensione dell‟opera stessa e del
carattere del suo protagonista, segnato da un profondo conflitto a livello inconscio
dovuto al complesso edipico. Mentre, però, la storia narrata nella leggenda di
Edipo si configura come il livello primordiale, mitico, della pulsione incestuosa
dell‟infanzia, la tragedia di Amleto si situa su un altro livello e va, dunque
interpretata: Amleto rappresenta la reazione - che comporta la nevrosi - al
complesso di Edipo. Nell‟Amleto, il carattere di necessità, fatalità, che era
l‟essenza dell‟Edipo è contrastato dalla nevrosi del suo protagonista, dovuta al
non superamento degli istinti primordiali e inconsci verso la madre.
Da Freud in avanti, la psicoanalisi si è occupata di Amleto, ma un ulteriore
passo in avanti in questo ambito è stato compiuto con il seminario VI, intitolato
Le désir et son interprétation (1958-59, ancora inedito in italiano) dello psichiatra
e filosofo francese Jacques Lacan, della cui teoria si tratta nel quarto e ultimo
capitolo di questa tesi. Secondo Lacan, ciò con cui Amleto ha a che fare per tutto
il tempo della rappresentazione è un desiderio. Esso sta al centro del dramma, lo
motiva, e ne motiva anche il nostro interesse perché è talmente ben strutturato e
descritto che ognuno di noi vi si riconosce e si mette nei panni dell‟eroe. Partendo
da questo presupposto, Lacan sviluppa la propria interpretazione della tragedia
mediante la costruzione teorica del „grafo del desiderio‟ (1957-1958), al cui
interno trova spazio la dialettica tra il soggetto, l‟Altro (indicato con l‟iniziale
maiuscola in quanto termine polisemico e simbolico, che si concretizza di volta in
volta in ciò che introduce la mancanza, mettendo in moto il desiderio del
soggetto) e il fallo, l‟oggetto inafferrabile, perché simbolico, del desiderio.
X
Questo lavoro si prefigge, quindi, di esaminare le vie interpretative più
importanti che nei secoli si sono avvicendate a proposito di un‟opera immortale
per il pubblico e per il mondo della cultura quale, appunto, l‟Amleto di
Shakespeare. In particolare, si è voluta attribuire un‟importanza rilevante alle
scoperte effettuate da Freud e Lacan e al grande apporto che esse hanno dato al
fine di svelare il mistero che si cela dietro il comportamento di Amleto. Da
semplice tragedia della vendetta, di volta in volta l‟Amleto è stato definito come
tragedia del carattere, della memoria, della nevrosi e, infine, del desiderio: il suo
protagonista, personaggio letterario e non reale, è entrato nella mitologia in virtù
del fatto che si presenta, agli occhi di noi lettori e spettatori, come il paradigma
della nevrosi e del desiderio.
1
Primo capitolo
AMLETO: GENESI DELL’OPERA
I. 1. L’INTERPRETAZIONE DELL’AMLETO, ENIGMA DELLA
LETTERATURA
L‟interpretazione è un processo che pone degli interrogativi e suscita dei
dibattiti sempre di cocente attualità. È sinonimo di ermeneutica, la cui radice
greca erm si ricollega strettamente a quella latina (s)erm, da cui sermo,
„discorso‟
1
. L‟ermeneutica del presente si è completamente distaccata dalle sue
origini, dagli scopi per cui era sorta (interpretare, ad esempio, i discorsi degli dei,
oppure procedere all‟esegesi di testi sacri e giuridici), con l‟avvicendarsi delle
teorie dei filosofi moderni e contemporanei, ma soprattutto con il congiungersi ad
altre discipline come la semiotica e la semiologia. Se, generalmente, c‟è accordo
tra i filosofi e gli studiosi sull‟affermazione che ‹‹L‟interpretazione è conoscenza
– anzi, non v‟è per l‟uomo conoscenza se non come interpretazione – perché
interpretare è cogliere, captare, afferrare, penetrare››
2
, altrettanto non si può dire
sui criteri che rendono un‟interpretazione valida e oggettiva. A partire dall‟opera
di Hans Georg Gadamer
3
, Verità e metodo (1960), l‟interpretazione cessa di
essere ricostruzione del punto di vista dell‟autore per divenire ricostruzione dei
significati che un testo ha assunto nel tempo e nei diversi contesti in cui è stato
1
Cfr. Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli (a cura di), Il nuovo dizionario etimologico Zanichelli,
Zanichelli, Bologna 1999, s. v. „ermeneutica‟.
2
Luigi Pareyson, Estetica – Teoria della formatività, Bompiani, Milano 1991, p. 180.
3
H. G. Gadamer (1900-2002), allievo di Heidegger, si scaglia contro la convinzione, propria del
suo tempo, di poter ridurre il problema della verità solo alla corretta applicazione di procedure
metodologiche formali. L‟interpretazione, per Gadamer, poggia sulla cosiddetta tradizione, cioè
l‟insieme dei pre-giudizi sul testo che interpretiamo, e si definisce come dialogo diacronico tra
interprete e testo. Cfr. Redazioni Garzanti (a cura di), Enciclopedia di filosofia, con la consulenza
generale di Gianni Vattimo in collaborazione con Maurizio Ferraris e Diego Marconi, Garzanti
Editore, Torino 1993, p. 416.
2
letto, interpretato e criticato. Altri, come Paul Ricoeur
4
, riflettono
sull‟interpretazione partendo dal punto di vista della psicoanalisi, che intende il
linguaggio come simbolo di qualcosa di più profondo dell‟esteriorità delle parole
e dei segni linguistici. Altri ancora, come i due maggiori esponenti della
cosiddetta „Scuola di Costanza‟ (l‟indirizzo di pensiero nato sul finire degli anni
Sessanta del Novecento), Hans Robert Jauβ e Wolfgang Iser
5
, si basano sull‟idea
che un‟opera, sradicata da qualsiasi tradizione, debba essere fruita in maniera del
tutto autonoma, dando vita a interpretazioni puramente soggettive. Nel reagire alla
trama degli stimoli di cui l‟opera è fitta, ogni fruitore porta con sé una concreta
situazione esistenziale, una propria sensibilità, una determinata cultura, gusti,
propensioni, pregiudizi. La comprensione dell‟opera, in definitiva, avviene
sempre secondo una determinata prospettiva individuale. In questo senso un‟opera
d‟arte, nonostante sia una forma compiuta e chiusa nella sua perfezione di
organismo calibrato, è anche aperta, perché è possibile interpretarla in modi
sempre diversi senza alterare la sua irriproducibile singolarità. Ogni fruizione,
quindi, è un‟interpretazione e un‟esecuzione dell‟opera originale. A questo
proposito, Roland Barthes dice: ‹‹Scrivere vuol dire far vacillare il senso del
mondo, disporre di un‟interrogazione indiretta alla quale lo scrittore, per
un‟ultima indeterminazione, si astiene dal rispondere. La risposta è data da
ciascuno di noi, che ci apporta la sua storia, il suo linguaggio, la sua libertà; ma
poiché storia, linguaggio e libertà cambiano all‟infinito, la risposta del mondo allo
scrittore è infinita […] ma affinché il gioco si compia occorre […] che l‟opera sia
veramente una forma, che designi un senso incerto […]››
6
. D‟altro canto, però, chi
si è occupato più recentemente di ermeneutica
7
ci mette in guardia dai pericoli
4
P. Ricoeur (1913-2005) è stato anche direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed
ermeneutiche e portavoce di una riflessione riconosce nel linguaggio della religione, del mito e
della poesia il significato ultimo del pensiero e della volontà. Ivi, pp. 975-976.
5
Teorici della letteratura tedeschi, fondano un‟estetica della ricezione elaborata sull‟idea che il
significato di un‟opera d‟arte non è mai un dato conchiuso che si possa acquisire definitivamente,
ma si trasforma e accresce attraverso il susseguirsi di interpretazioni autorevoli nel tempo. Ivi, pp.
566-567 e 576-577.
6
La citazione di Barthes (da “Avant-propos”, Sur Racine, Seuil, Paris 1963) è tratta da Umberto
Eco, Opera aperta (1962), Tascabili Bompiani, Milano 2006, pp. 34-35.
7
Tra essi, il già citato U. Eco (con testi, oltre quello su ricordato, quali Trattato di semiotica
generale, Bompiani, Milano 1975; Lector in fabula (1978), Tascabili Bompiani, Milano 2006;
Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1984; I limiti dell‟interpretazione, Bompiani,
Milano 1990; Dall‟albero al labirinto. Studi storici sul segno e l‟interpretazione, Bompiani,
Milano 2007), Maurizio Ferraris (Storia dell‟ermeneutica, Bompiani, Milano 1998), Gianni
3
dell‟eccessiva libertà nell‟interpretazione: è vero che essa talvolta porta a rivelare
nuovi aspetti del testo che potevano essere soffocati da anni e anni di
interpretazioni canoniche, ma è vero anche che altre volte la lettura può diventare
pretestuale e assumere le forme di un uso spropositato e spregiudicato del testo e
del linguaggio. Oppure, addirittura, l‟interpretazione può diventare paranoica,
trascinandoci alla ricerca di segreti o complotti che l‟autore avrebbe immesso nel
testo (si tratta della cosiddetta „sindrome del sospetto‟)
8
.
Quello dell‟ermeneutica, dunque, è un campo aperto all‟incertezza, in cui è
d‟obbligo procedere in modo empirico, sperimentale. L‟interpretazione di
un‟opera teatrale e, nello specifico, di un‟opera di Shakespeare, drammaturgo
elisabettiano, è un‟operazione complicata, in cui si sono cimentati innumerevoli
critici, letterati, psicologi e altri studiosi a partire dal Settecento, con Samuel
Johnson
9
. La difficoltà sta soprattutto nella forte teatralità di questi drammi: si
tratta di testi che sono quasi dei copioni, nei quali si tiene conto sia degli attori che
devono recitare il dramma, sia del tipo di teatro in cui si terrà la rappresentazione
scenica. La poesia di questi drammi è fortemente espressiva, „teatrale‟, scenica e
non puramente letteraria. Il legame che sussiste tra opera e momento storico,
culturale e sociale permise ai drammaturghi elisabettiani, da un lato, un più stretto
contatto col pubblico e una partecipazione più sentita alla vita dei propri
contemporanei, dall‟altro, però, fu causa della poca considerazione di opere
memorabili (come, appunto, l‟Amleto di Shakespeare), che ci sono pervenute in
uno stato filologicamente misero. Allo stesso modo, per i medesimi motivi, di un
autore universalmente riconosciuto come artista geniale, qual è Shakespeare, si sa
poco o nulla, poiché era considerato dai suoi contemporanei come un „teatrante‟,
Vattimo (Etica dell'interpretazione, Rosenberg & Sellier, Torino, 1989; Oltre l'interpretazione,
Laterza, Roma-Bari, 1994).
8
Essa nasce da un metodo in qualche misura ossessivo, perché sospettare in sé non è patologico,
ma lo diventa quando non rispettiamo tre condizioni in base alle quali un indizio può essere
considerato tale: che non possa essere spiegato in modo più economico (cioè secondo una causa
più semplice), che punti verso una sola causa (o comunque un numero il più possibile limitato di
cause) e che possa essere coerente con gli altri indizi. Cfr. U. Eco, I limiti dell‟interpretazione,
Bompiani, Milano 1990, p. 87.
9
Samuel Johnson (1709-1784) è stato un critico letterario, poeta, saggista, biografo e lessicografo
britannico. Curò un‟edizione di drammi di Shakespeare (The plays of W. Shakespeare, 1765) con
molte note esplicative e una ricca prefazione critica.
4
un drammaturgo di mestiere, che assecondava con le sue opere i gusti del
pubblico
10
.
A partire dal Diciottesimo secolo, dunque, possibili interpretazioni del
dramma e in particolare del carattere enigmatico del protagonista, Amleto, il
principe di Danimarca, si sono succedute incessantemente e di volta in volta sono
state avanzati disparati argomenti che sono diventati, a volte, emblemi di
un‟epoca, come quello ottocentesco dei romantici, capeggiati da Goethe, che vede
Amleto dominato dalla tendenza al pensiero e alla riflessione e non all‟azione;
oppure, agli inizi del Novecento, quello di Freud che opera un parallelismo tra
Edipo e Amleto; ancora, in tempi più recenti, l‟Amleto come fallimento artistico
per Eliot, da una parte, ma anche Amleto come paradigma dell‟uomo moderno e
della sua crisi oggi, dall‟altra, solo per citare alcune delle più note interpretazioni
del dramma e del suo protagonista. Critici come Eliot o John W. Draper
c‟invitano a riflettere alla necessità di ritornare all‟origine di Shakespeare e delle
sue opere, perché ogni secolo stende sui poeti la sua patina d‟interpretazione. In
particolare, per l‟Amleto, Eliot afferma l‟esigenza di tornare alle fonti dell‟opera e
al modo in cui esse furono utilizzate dall‟autore:
Hamlet is a stratification, that is represents the
effort of a series of men, each making what he
could out of the work of his predecessors. The
Hamlet of Shakespeare will appear to us very
differently if, instead of treating the whole action
of the play as due to Shakespeare‟s design, we
perceive his Hamlet to be superposed upon much
cruder material which persists even in the final
form
11
.
10
Cfr. Agostino Lombardo, Shakespeare: un teatro per l‟uomo moderno, in Shakespeare: la
nostalgia dell‟essere, a cura di A. Serpieri, Pratiche Editrice, Parma 1985, p. 6.
11
Trad. nostra: ‹‹L‟Amleto è una stratificazione che rappresenta lo sforzo di una serie di uomini,
ciascuno facendo ciò che poteva dal lavoro dei suoi predecessori. L'Amleto di Shakespeare ci
apparirà molto diverso se, invece di trattare tutta l'azione della rappresentazione come dovuta al
progetto dello Shakespeare, percepiamo che il suo Amleto sia sovrapposto su materiale molto più
grezzo che persiste anche nella forma finale››. T. S. Eliot, Hamlet and his problems, in D.
Bevington, Twentieth Century Interpretation of Hamlet, Prentice-Hall, New Jersey 1968, p. 23.
5
Si può fare, quindi, dell‟Amleto una lettura superficiale e giudicare l‟opera
come una semplice tragedia della vendetta. Il padre di Amleto, re di Danimarca,
è stato ucciso da suo fratello, Claudio. Quest'ultimo sottrae i diritti di successione
di Amleto figlio, appropriandosi a sua volta della corona e della moglie di
Amleto padre. Lo spettro di Amleto padre rivela tutta la macchinazione al figlio;
tutti gli elementi della tragedia della vendetta sono dunque presenti. Amleto ha un
obbligo: vendicare l'omicidio, l‟usurpazione e l'adulterio. Ma l‟Amleto è molto più
di questo: non per niente è una delle opere letterarie più conosciute al mondo, è
stata tradotta in quasi tutte le lingue, ed è di gran lunga l'opera shakespeariana che
è stata rappresentata al teatro
12
e al cinema con maggior frequenza e successo. Il
fenomeno della tragedia di Amleto è qualcosa di unico nella letteratura
occidentale, ed è ormai così conosciuta che abbiamo l‟impressione di averla già
letta, anche quando la affrontiamo per la prima volta. È un‟opera che non smette
di affascinare pubblico e critica, che non smette di essere interpretata e
interrogata: è illimitata come illimitata è la coscienza del suo protagonista, ed
enorme il suo carisma
13
. Ofelia, infatti, dolendosi della follia che scorge nel suo
amato, lo presenta così:
OPHELIA
O, what a noble mind is here o‟erthrown.
The courtier‟s, soldier‟s, scholar‟s, eye, tongue, sword;
Th‟expectancy and rose of the fair state,
The glass of fashion and the mould of form,
Th‟observed of all observers – quite, quite, down.
[…]
OFELIA
Oh il nobile spirito che va in rovina!
Occhio, lingua e spada
di cortigiano, di soldato, di dotto;
12
La messa in scena dell‟Amleto forse più famosa per quanto riguarda la nostra epoca è quella
rappresentata l‟8 gennaio 1912 al Teatro d‟Arte di Mosca, con la regia di Edward Gordon Craig e
Konstantin S. Stanislavskij, due dei più grandi artisti della scena del Novecento. Questo spettacolo
fu considerato il mito del mondo teatrale ed ebbe un grande influsso sui più importanti uomini di
teatro del secolo scorso. Cfr. Ferruccio Marotti, Amleto o dell‟oxymoron. Studi e note sull‟estetica
della scena moderna, Mario Bulzoni editore, Roma 2001.
13
Cfr. Harold Bloom, Shakespeare. L‟invenzione dell‟uomo, Rizzoli, Milano 2001, pp. 268-306.