1.Parte Prima “I disturbi di personalità” 1. Capitolo 1
1.La Personalità
La personalità è la risultante di una serie di operazioni mentali, caratteristiche
psichiche e modalità comportamentali che costituiscono il nucleo delle differenze
individuali, nella molteplicità dei contesti in cui la condotta umana si sviluppa.
Il termine latino " personalitāte(m) " derivò dal greco " πρόσωπον " e dall'etrusco
"phersu ". Cicerone la definì come l'aspetto e la dignità di un essere umano oppure, in
un'altra definizione, quella parte che si recita nella vita e non a caso "persona"
rappresentava la maschera indossata dagli attori.
Psicoanalisi e Cognitivismo Evoluzionistico si muovono in direzioni simili.
Lichtenberg, Lachman e Fosshage (1992), Gilber (1992) e Liotti (1994) sostengono
che il comportamento umano è spiegato a partire da un set di sistemi
comportamentali che si attivano per soddisfare scopi primari (fame, sete) e
interpersonali (attaccamento, sessualità).
La personalità è descrivibile come lo stile che il soggetto adotta nell'organizzare
queste motivazioni in un sistema coerente di significati e di strategie relazionali che
promuovono l'adattamento. L'auto narrazione è lo strumento che gli permette di
formare a partire dalla molteplicità di rappresentazioni un senso coerente di identità e
coordinare i propri scopi con l'ambiente sociale prossimale.
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2. Disturbi di personalità
I meccanismi deputati alla risultante personalità possono mal funzionare. Quando
questa disfunzione si estende e diventa un modello pervasivo di condotta in vaste aree
della vita interiore e sociale, assume la forma di disturbo della personalità.
Esperienza clinica e ricerca empirica dimostrano una significativa comorbilità con i
disturbi sull’ Asse I. Allargare il campo visivo così da includere il modo in cui il
soggetto organizza il proprio mondo interno, le relazioni con gli altri diventa compito
ineludibile, per un efficace trattamento e ridurre il tasso di drop-out.
Immaginiamo ora un uomo il cui tema di vita è un senso di inadeguatezza, venato di
vergogna, entra in relazione e si aspetta scherno e rifiuto. Interpreta ogni segnale
comunicativo come dileggio, ogni sguardo comunica che è stato scoperto. Si presenta
a un colloquio di lavoro e legge nell’esaminatore disprezzo; impacciato quindi si
chiude e deluso lascia nell’altro un’impressione negativa.
La nostra logica ci fa riconoscere in questo caso un Disturbo Evitante di personalità;
nell’esempio prima citato possiamo analizzare due dimensioni separate :
1) Il tema di vita e le emozioni che lo colorano, visto come fonte di aspettative
patogene;
2) La capacità di riconoscere gli stati mentali degli altri; l’assenza di un’ abilità
psicologica le stabilizza;
La personalità evitante è caratterizzata a livello comportamentale da inquietudine,
condotte avversive; a livello fenomenologico da un immagine di sé alienata,
distrazione cognitiva; a livello intrapsichico mostra un’organizzazione fragile,
angosciato.
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A partire da questo assetto evitante, muove manovre di coping che perpetuano il
disturbo, il distacco sociale preclude nuove esperienze e riduce la possibilità di
realizzare obiettivi, intensifica l’alienazione sociale e lascia il paziente solo con le
emozioni impossibile da gestire.
L’abilità psicologica del riconoscere gli stati di sé e degli altri è un punto focale per
poter far riconoscere al soggetto una prospettiva differente su sé e sul mondo e di
conseguenza agire in alternativa; Stabilizzandosi quindi in un modello pervasivo di
Disturbo di Personalità ( DP).
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3. Classificare i disturbi di personalità
Per quanto discutibile un' impostazione nosografica ha contribuito a definire il campo
di ricerca e i termini della discussione. Col DSM-III
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è stato introdotto uno specifico
asse per i Disturbi della Personalità, unitamente a controversie e problemi. In vista
della stesura del DSM-V, la discussione si è riaccesa.
La definizione generale dei DP è stata fornita dal DSM-IV nelle edizioni precedenti
era assente, sottolinea come elementi distintivi : l'insorgenza nella prima età adulta, la
stabilità nel tempo e il carattere pervasivo e inflessibile nelle diverse aree nonché le
conseguenze in termini di sofferenza soggettiva e di limitazione.
La controversia più rilevante è sul tipo di diagnosi che meglio cattura le
caratteristiche del DP e le distinzioni tra essi :
1) Diagnosi dimensionale , in medicina l'ipertensione arteriosa è un esempio
paradigmatico, un punto critico lungo un continuum, definisce l'esistenza di un
disturbo, oltre il quale può essere descritta in termini quantitativi;
2) Diagnosi categoriale , l' infarto del miocardio al contrario presenta una
discontinuità qualitativa, con la situazione precedenza l'insorgenza; l'insieme
delle variabili biologiche e cliniche definiscono una categoria.
I DP devono essere descritti in termini categoriali (attuale DSM-IV) o occorre un
approccio dimensionale;
Nel primo caso a favore è che i DP debbano essere descritti come varianti patologiche
all'interno di una teoria generale della personalità normale.
1 Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders “ Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”.
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Nel secondo caso vengo posti in essere diversi problemi, dalla rigidità dei criteri, dal
valore soglia, dalla compresenza di più diagnosi di DP
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, dalla condivisione di un solo
criterio (5/9) per la diagnosi, avendo valore sotto soglia non può rientrare nelle
categorie (4), presenza di questionari auto somministrati e supposte capacità di dare
descrizioni del paziente del proprio stato interno.
I sostenitori del modello dimensionale definiscono un fallimento del modello
categoriale in toto in quanto non sarebbe possibile individuare categorie discrete.
La personalità patologica sarebbe organizzata in tratti dimensionali 3
; Secondo il
modello dimensionale ogni DP rientrerebbe nei livelli estremi di 1 o più di 7 tratti.
Se un soggetto ha punteggi patologici che misurano 4 tratti di rilevanza superiore
risulta affetto : Bassa Autoreferenzialità, bassa Cooperatività, bassa Stabilità affettiva,
bassa Autotrascendenza. Unitamente ad altri 3 tratti del disturbo caratterizzanti i
sottotipi : Ricerca della Novità, evitamento del pericolo e Dipendenza dalla
ricompensa.
Tuttavia Livesley e Jang (2000), ritengono che descrivere i DP come elementi estremi
di tratti sia importante ma non sufficiente; in primo luogo non esiste alcun motivo nel
ritenere che la variabile estrema sia patologica, secondariamente la personalità non è
fatta soltanto di tratti ma anche di strutture cognitive, modi di pensare ed esperire.
Inoltre le teorie dei tratti non spiegano bene il problema della variabilità delle
reazioni dell' individuo di fronte alle situazioni.
I sostenitori del modello categoriale non contestano l'importanza dei tratti, notano
però che la distinzione dimensione/categorie può risultare meno netta di quanto
appaia. Primo la variazione del valore di una dimensione può dar luogo a categorie
differenti (ipertensione dimensionale e ipertensione da feocromocitoma (dim./cat.);
secondo oltre a considerare imprescindibile il concetto di organizzazione,
2 Disturbo di Personalità.
3 Widiger, Cloninger 2000.
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impossibilità di prevedere che forma assumerà un insieme di tratti, sono avvezzi
all'esperienza clinica di distinguere tipi di personalità, spingendoli a identificare
prototipi al vaglio della ricerca empirica. Sembrano che esistano categorie discrete
anche se non vi è accordo su quali esse siano (causa ridondanza e sovrapposizione
diagnosi).
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4. Evoluzionismo e sistemi complessi
Lungo la linea di superamento del dilemma tratti-categorie si muove la prospettiva
evolutiva 4
. Quindi psicologia ed eziopatogenesi andrebbero comprese attraversi i
processi di autorganizzazione.
L'ipotesi di Liotti (2001) afferma che, a partire da un nucleo relazionale patologico,
stile di attaccamento disorganizzato , è possibile scindere i due fattori principali :
1) disregolazione emotiva ;
2) frammentazione dell'identità.
Il soggetto cercherà cure con l'attesa di non riceverle o subire maltrattamenti. Questo
lo renderà in alternanza rabbioso, angosciato, eroticamente attivato nella relazione di
cura. Vivrà un'emotività intesa e contraddittoria. L'altro reagirà in maniera confusa
alternando un accudimento rabbioso e di rifiuto, confondendo il soggetto lo
spaventerà a sua volta. L'emozione di paura riattiverà il sistema di attaccamento che
rinforzerà i processi interpersonali descritti.
Riassumendo ci sembra che la scelta tra dimensioni e categorie sia la risultante di un
“Letto di Procuste”. Una soddisfacente definizione dei DP, richiederà una definizione
delle funzioni adattive compromesse e del livello di funzionamento. In secondo luogo
molti dei problemi clinici e dell'attuale suddivisione derivano da una
rappresentazione eccessivamente semplificata, tale rappresentazione andrebbe
arricchita includendo gli stili cognitivi, i processi emozionali, strategie di coping e
così via.
Alcuni di questi concetti quali il livello di funzionamento e organizzazione sono ben
esposti nella tradizione psicoanalitica, autori quali Kohut (1971) e Kernberg (1975)
4 Fossati (2002).
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hanno avuto il merito di aver posto l'attenzione sull'esistenza di una tipologia di
pazienti con una specifica organizzazione e un peculiare livello di funzionamento
mentale e sociale.
Il DP è un'organizzazione di elementi intrapsichici che struttura l'ambiente
interpersonale in modo tale da stabilizzare e mantenere i suoi aspetti più
disfunzionale. Il termine che descrive meglio quest'organizzazione è complessità.
Questo concetto fa parte della tradizione del cognitivismo clinico 5
. Il modo di
organizzare la conoscenza a partire da elementi percettivi sensoriali, mnestici fa
emergere temi di significato stabili, tipici di individui o categorie di individui,
discontinui gli uni rispetto agli altri. In questo caso aiuta a chiarificare il concetto di
attrattore mutuato dalle scienze dei sistemi complessi.
Secondo Maffei l'attrattore è il nucleo di caratteristiche psicologiche attorno il quale
il funzionamento di un individuo si condensa. Ogni individuo passa nel corso della
sua vita da un attrattore ad un altro, mostrando modalità di funzionamento
discontinue a variare dello stato e vivendo esperienze caotiche nelle transizioni tra
essi. La complessità degli elementi e delle loro interazioni rende la personalità un
sistema capace di autorganizzazione, cioè di modificare i propri assetti in modo non
deterministicamente prevedibile sulla base delle condizioni di partenza. La capacità
di autorganizzazione, a sua volta consente al sistema di evolvere secondo un
peculiare equilibrio tra stabilità e cambiamento che è alla base della nozione intuitiva
di personalità. Lorenzini, Sassaroli e Maffei (1995) individuano nella prospettiva
dinamica-evolutiva il criterio che diversifica la personalità normale e patologica. La
prima è in grado di evolvere verso equilibri dinamici, la seconda oscilla caoticamente
o si fissa su un assetto immodificabile. Elementi di natura psicologica differente
(significati, emozioni, modalità di regolazione delle stesse, abilità mentali
rappresentative, stili di interazione) caratterizzano gli individui e interagiscono tra
essi determinando prototipi di personalità .
5 Guidano, Liotti (1983).
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5. Cambio di paradigma
Nel passato i criteri adottati per l' assessment dei DP erano relativamente rozzi. Il
DSM-I suddivideva i DP in 5 ampie categorie; Il DSM-II ha eliminato i sottotipi
delle diverse categorie menzionate precedentemente; la classificazione non era basata
su estese indagini cliniche ne erano forniti criteri ben precisi, non vi era ancora
distinzione tra Asse I e II, introdotti poi con DSM-III.
Negli ultimi dieci anni sono state fatte molti studi e ricerche e sono stati introdotti
più fattori che hanno contribuito al cambio di paradigma nella diagnosi e nel
trattamento dei DP. Tra questi una concettualizzazione più articolata, un
miglioramento delle metodologie di assessment, un miglioria dei criteri diagnostici.
Nello specifico la tendenza attuale è quella di concettualizzare i DP tenendo conto
non soltanto degli aspetti caratteriali ma anche di quelli temperamentali e
neurobiologici.
Cloninger (1993) ha evidenziato che le dimensioni del temperamento e gli aspetti
neurobiologici influenzino lo sviluppo e il funzionamento della personalità e questa
sia la sintesi tra carattere e temperamento (influenze genetiche, costituzionali
influenti sulla personalità). Lo stesso autore sostiene che gli stili di personalità siano
riconducibili a fattori temperamentali e punteggi elevati o positivi nei fattori
caratteriali, di contro i DP rifletterebbero i punteggi bassi o negativi dei fattori
caratteriali.
Il modello dei Cinque Fattori ( Five-Factor Model ) descrive le dimensioni di
personalità sulla base dei seguenti fattori : amabilità coscienziosità, nevroticismo,
estroversione e apertura ed è diventato uno dei modelli psicologici principali 9