2
Prima era, comunque, circoscritta a determinate tribù, poi a popoli,
poi a nazioni, fino a coinvolgere il mondo intero, come accaduto durante i
due conflitti mondiali. La produzione di guerra è molto fitta e ciò attesta
l’esigenza di comunicare da parte di questi scrittori, non senza, però, delle
difficoltà, dovute al dover fare i conti con una passato terribile e
angosciante. Questa mia tesi prende in esame la produzione di Joseph Heller
e Kurt Vonnegut, accomunati dal fatto che hanno combattuto nella Seconda
Guerra Mondiale e, una volta tornati a casa, hanno cercato di condurre
esistenze normali, ma, ad un certo punto, si sono resi conto che, per pensare
al futuro, bisognava fare i conti col passato e, quindi, hanno scritto due
romanzi, Catch-22 e Slaughterhouse-five, basati sull’esperienza di guerra.
Dopo un breve paragrafo in cui descrivo il contesto storico-culturale
dal Secondo Conflitto Mondiale al periodo del Vietnam (questi sono gli anni
che fanno da sfondo alla composizione e pubblicazione dei due romanzi) mi
addentro nell’analisi della produzione dei due scrittori, dedicando un
capitolo a ciascuno di essi e soffermandomi, in particolare, sulle loro due
opere di successo. Intendo, inoltre, dimostrare che non si tratta di romanzi
nati dal nulla, ma che si collocano sulla scia di un preciso filone, quello
della war fiction, che ha antecedenti prestigiosi all’interno del panorama
letterario americano. Tale filone si nutre di tutta la tradizione culturale degli
Stati Uniti: Heller e Vonnegut sono autori che conoscono perfettamente
Melville e Twain e ne sono stati molto influenzati. Il mio lavoro contiene,
quindi, dei raffronti con opere della letteratura americana (e non solo) non
tipicamente di guerra. A loro volta, Heller e Vonnegut hanno esercitato un
forte influsso su autori successivi e, pertanto, ho dedicato alcuni paragrafi
all’analisi dei romanzi in cui vi sono richiami alle opere dei due scrittori. Ho
deciso, infine, di non tralasciare le versioni cinematografiche dei due
romanzi, in quanto ne hanno consacrato il successo e hanno contribuito a
diffonderne i messaggi.
3
Capitolo I
I.1. L’America dal Secondo Dopoguerra al Vietnam
Gli anni ’50 negli Stati Uniti, almeno apparentemente, furono
caratterizzati da ottimismo in campo sociale ed economico: l’economia
americana era in espansione come conseguenza della fine delle guerra e, allo
stesso tempo, l’America imponeva la propria posizione di forza in tutto il
mondo, facendo sentire il proprio peso politico, ma anche culturale. Gli Stati
Uniti, infatti, si trovarono ad affrontare, alla fine delle guerra, un problema
non di ricostruzione (il loro territorio non era stato toccato dalle invasioni
belliche), ma di riconversione:
1
il sistema economico americano, prima
indirizzato alla produzione bellica, doveva essere riorientato a scopi di pace,
tenendo conto anche delle accresciute responsabilità che la nazione aveva
sulla scena internazionale. Gli USA divennero così per l’Europa occidentale
il principale punto di riferimento non solo materiale (per la ricostruzione e
la difesa), ma anche ideale e culturale. Da allora, l’imitazione dei modelli di
vita d’Oltreoceano, della musica, dello spettacolo, dell’abbigliamento, del
linguaggio ha costituito l’elemento caratterizzante di un rapporto complesso
e ambivalente, ma comunque intenso, fra le due sponde dell’Atlantico.
Gli scrittori americani degli anni ’50 erano conosciuti come la
generazione silenziosa,
2
non perché non avessero nulla da dire, o perché
fossero rimasti muti, ma piuttosto perché, in gran parte, esprimevano nelle
loro opere un tacito consenso con le posizione ufficiali dello Stato in campo
politico, morale, sociale. In generale, quindi, la narrativa degli anni ’50
offriva una soluzione piuttosto ottimistica e moralistica ai problemi
contemporanei.
1
A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di Storia, L’età contemporanea, Roma-
Bari, Laterza, p. 696
2
Raymond Federman, La narrativa autoriflessiva, in Storia della civiltà letteraria degli
Stati Uniti, diretta da Emory Elliott, Torino, UTET, 1990, Vol. II, p. 1003
4
Eppure, questo stato di illusione e fiducia era destinato, ben presto, a
venire meno: d’improvviso le cose non erano così positive come
apparivano; d’improvviso gli Americani dubitavano della realtà stessa degli
eventi di cui erano testimoni. E’ nel 1961 che, in narrativa, inizia questa
rivoluzione, con la pubblicazione di Catch-22 di Joseph Heller, romanzo in
cui viene mostrata in tutta la sua violenza l’assurdità della Seconda Guerra
Mondiale, mettendo fine, quindi, alle rappresentazioni piene di ottimismo
che fino ad allora avevano caratterizzato la narrativa. E il 1961 è anche una
data cruciale nella storia americana, in quanto John Fitzgerald Kennedy
viene eletto presidente e su di lui la nazione ripone le speranze di una nuova
era per l’America, contrassegnata da vitalità e dinamismo, dopo gli anni
austeri ed opachi del governo Eisenhower, ma, in realtà, mai come negli
anni ’60 gli USA hanno vissuto una crisi così forte. Proprio nel 1961
avviene l’episodio della Baia dei Porci. Nel 1962 scoppia la crisi dei missili
cubani. Nel 1963, precisamente il 22 novembre, il presidente Kennedy viene
assassinato a Dallas (Texas), episodio che turbò e sconvolse il mondo intero.
Per di più, i Kennedy sixties sono caratterizzati dai violenti esiti della
questione razziale: tra il 1961-65 si susseguono le dimostrazioni in favore
dell’integrazione razziale; hanno luogo vere e proprie ribellioni, che
culminano con la rivolta del ghetto di Watts (Los Angeles). Nel 1965 viene
assassinato Malcom X, uno dei leader dei Musulmani Neri e il 1965 è anche
la data d’inizio della guerra in Vietnam, conflitto che si protrarrà per ben
dieci anni.
Tra il 1967-70, inoltre, scoppiano nuovi tumulti razziali a Chicago,
Detroit, Cleveland ed altri città. Il reverendo Martin Luther King viene
ucciso il 4 aprile 1968 a Memphis (Tennesee) da ignoti sicari. Si intensifica,
nel contempo, l’opposizione alla guerra nel Vietnam: numerosi giovani si
rifiutano di rispondere alla chiamata di leva e si rifugiano in Canada;
grandiose marce per la pace hanno luogo a San Francisco, New York e, in
seguito, a Washington. Nell’autunno del 1969 milioni di persone dimostrano
contro la guerra in Vietam.
5
Tutti questi avvenimenti indicano che gli anni ’60 costituiscono un
periodo davvero turbolento nella storia americana, dove molti punti di
riferimento per la collettività vengono a mancare.
La narrativa non può restare indifferente di fronte a questo senso di
inquietudine, smarrimento, angoscia. I romanzi degli anni ’60 creano una
vera e propria frattura col passato: in prevalenza, continuano a mostrare che
il racconto non può essere del tutto eliminato, ma la narrazione si fa
frammentaria, discontinua ed ironica. Gli eventi della storia ufficiale
vengono mescolati con le avventure picaresche e burlesche dell’individuo,
che vaga senza meta in un mondo privo di qualsiasi certezza, senza, però,
pretendere di dare un senso alla storia, agli eventi di cui è partecipe. Tutti i
periodi della storia americana vengono, ora, rimessi in scena ironicamente
da questi romanzi parodia
3
e sono particolarmente il Secondo Conflitto
Mondiale e la Guerra Fredda a diventare i bersagli principali di questi
romanzi.
La maggior parte dei romanzi degli anni ’50 glorificava la Seconda
Guerra Mondiale come una guerra buona, una guerra necessaria e, perfino,
come una guerra avventurosa, nonostante i suoi aspetti di tragedia. Si pensi,
per esempio, a romanzi come The Young Lions (1948) di Irwin Shaw, The
Naked and the Dead (1948) di Norman Mailer, From Here to Eternity
(1951) di James Jones, The Caine Mutiny (1951) di Herman Wouk e
numerosissimi altri romanzi ispirati alla guerra. Questo tipo di narrativa
viene ora demistificato e minato dalla parodia del nuovo romanzo. Catch-22
è, naturalmente, l’esempio più rimarchevole, ma anche altre opere come V
(1963) di Thomas Pynchon, Mother Night (1961) e, in particolare,
Slaughterhouse-five (1969) di Kurt Vonnegut, Jr. si prendono gioco della
storia americana recente, fino a ridurla ad una farsa assurda.
In questi romanzi si mettono in dubbio le versioni ufficiali degli
avvenimenti storici. Nella maggioranza dei casi sembra che i protagonisti
siano alla ricerca della coerenza smarrita nelle loro azioni e nella loro vita.
3
Ivi, p. 1006
6
Quasi tutti questi autori sono intenti a rivedere le loro posizioni ed opinioni
relativamente agli avvenimenti che essi stessi hanno contribuito a
modellare, e lo fanno in maniera autoriflessiva, nel doppio ruolo di narratori
e protagonisti della loro stessa narrazione.
In Slaughterhouse-five l’autore stesso (col proprio nome, Kurt
Vonnegut), come narratore-protagonista del racconto, ritorna nel luogo dove
aveva partecipato alla guerra (Dresda in questo caso), ma non per ricordare i
fatti, non per rivivere ciò che ha compiuto, non per riprovare il sentimento
della grande avventura, ma per ripensare, riesaminare la propria visione di
quel mondo tragico ed assurdo. In altre parole, Kurt Vonnegut non offre al
lettore momorie o souvenirs di guerra, ma prende il lettore di petto, lo
coinvolge in quelle visioni e revisioni autoriflessive degli eventi ai quali
l’autore aveva partecipato, denunciando, così, sia l’assurdità degli
avvenimenti sia il mezzo attraverso il quale essi erano raccontati. Proprio in
riferimento a questi rinnovamenti che interessano la narrativa americana,
Raymond Federman scrive: “Non è questione di rappresentare o spiegare o
magari giustificare la realtà americana, ma di denunciare quello stesso
veicolo che esprimeva e rappresentava la realtà: il linguaggio discorsivo e
le forme tradizionali del romanzo. In altre parole, gli scrittori della nuova
narrativa affrontano la loro stessa scrittura, si collocano davanti o dentro i
loro stessi testi, in modo da porre in questione l’atto stesso del linguaggio e
della narrativa, anche a rischio di alienarsi i lettori”.
4
Se il romanzo tradizionale continuava a descrivere e spiegare la
realtà nello sforzo di dare a quella realtà un certo ordine morale e spirituale,
fondato sulle vecchie forme del realismo e del naturalismo, la nuova
narrativa cercava di mostrare la forma piuttosto che il contenuto della realtà
americana, cercava di rendere concreti e persino visivi nel linguaggio, nella
sintassi, nella resa tipografica il disordine, il caos, la violenza,
l’incongruenza, ma anche l’energia, la vitalità della realtà americana.
4
Ivi, p. 1010
7
Laddove, inoltre, la letteratura modernista manipolava miti antichi e
simboli consolidati, la nuova narrativa affrontava e demoliva i miti e i cliché
contemporanei: in questo senso si creava una frattura con la tradizione
modernista e ci si avvicinava verso un nuovo orizzonte, quello del Post-
Modernismo.
I.2. Joseph Heller: vita, formazione, opere
E’ possibile ricostruire le tappe della vita di Joseph Heller attraverso
l’autobiografia che pubblicò nel 1998, intitolata Now and Then, From
Coney Island to Here, un memoir scritto con grazia ed umorismo, in cui lo
scrittore si mette a nudo, offrendo particolari della sua infanzia, della sua
istruzione, dei vari mestieri che intraprese e dei momenti creativi che lo
portarono alla composizione di importanti romanzi. Una sezione consistente
dell’opera è dedicata alla rievocazione della fanciullezza, trascorsa a New
York nella zona di Brooklyn, chiamata Coney Island, dove lo scrittore
nacque il 1 maggio 1923.
Heller era figlio di immigranti ebrei che dalla Russia si stabilirono a
New York. Il padre, Isaac Donald Heller, giunse negli Stati Uniti nel 1923,
dove iniziò a lavorare come autotrasportatore. La madre, Lena Heller,
anch’ella immigrata russa, sposò Isaac nel 1919 circa, dopo che Isaac era
rimasto vedovo per la morte della prima moglie, avvenuta nel 1916. Dal
primo matrimonio del padre erano nati due figli, fratellastri, quindi, di Joey
(come lo chiamavano i familiari): Lee, nato in Russia, di quattordici anni
più grande e Sylvia, di sette anni più grande. L’infanzia dello scrittore venne
presto segnata dalla perdita del padre, morto nel 1927 per emorragia interna
sopravvenuta durante un intervento chirurgico a cui dovette sottoporsi per
problemi di ulcera. Del padre Heller ricordava pochissimo e uno dei suoi
maggiori rimpianti fu di non averlo mai praticamente conosciuto. Il
fratellastro Lee, comunque, sostituì in un certo senso la figura paterna, come
apprendiamo da diversi divertenti e allo stesso tempo struggenti aneddoti
raccontati in Now and Then. Ad esempio, in un passo apprendiamo del
8
regalo che diede al fratello per la Festa del Papà e dei sogni in cui la figura
del padre si confondeva con quella del fratello.
5
Heller era, ad ogni modo, legato anche alla sorella e alla madre, che
svolgeva il duro lavoro di stiratrice. In effetti, gli anni ’30 erano anni duri: la
Grande Depressione si era abbattuta su tutti, soprattutto sui poveri
immigrati, che dovevano compiere enormi sacrifici per sbarcare il lunario.
Lo stesso Heller, quando poteva, dava una mano: per racimolare denaro
iniziò a vendere giornali per strada, svolgendo il lavoro di strillone di
pomeriggio, quando tornava da scuola. Frequentava, infatti, la Abraham
Lincoln High School, con buoni risultati. Gli insegnanti apprezzavano la sua
capacità di fantasticare e creare storie o di riuscire a scrivere resoconti
divertenti dei libri letti. Ammette di aver iniziato ad appassionarsi alla
lettura quando un cugino gli regalò una versione dell’Iliade per ragazzi e
sembra che la madre gli abbia trasmesso la passione per la letteratura, in
quanto spesso chiedeva al figlio di recarsi in biblioteca a prendere in prestito
versioni yiddish dei vari romanzi come, ad esempio, Anna Karenina (la
famiglia della madre in Russia gestiva una legatoria e, quindi, la donna
aveva potuto leggere libri di Tolstoj e Dostoevskij). Heller, inoltre, venne
stimolato dalla lettura di The Treasure Island di Robert Louis Stevenson e
del Tom Sawyer di Mark Twain: tutti libri che gli consentivano di spaziare
con la sua immaginazione e dare sfogo alla sua creatività.
Negli anni di scuola compose alcuni racconti che inviò a varie riviste
e fra queste short stories una merita interesse in quanto si tratta di un
racconto di guerra, scritto nel 1939, che ha come spunto l’invasione russa
della Finlandia. Nel breve testo viene descritta la resistenza operata da un
soldato finlandese, che cerca di contrastare l’avanzata russa con
stratagemmi. Inviò lo scritto a varie riviste, quali “Collier’s”, “Daily News”,
“Liberty”, ma il racconto venne respinto.
Si diplomò nel 1941 e scelse di non iscriversi al college, dal
momento che la famiglia non poteva mantenerlo agli studi. Così, iniziò a
5
Joseph Heller, Now and Then, From Coney Island to Here (1998), London, Simon &
Schuster, 1999, p. 14
9
lavorare dapprima come impiegato in una compagnia di assicurazioni e, poi,
come apprendista fabbro al Norfolk Navy Yard, in Virginia. Il 1941 è anche
l’anno di ingresso degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, in seguito al
bombardamento giapponese a Pearl Harbor. Scelse, così, di arruolarsi nel
corpo dell’aeronautica nell’ottobre del 1942, all’età di diciannove anni, e
trascorse due anni di addestramento in una base militare in South Carolina.
In molti partirono volontari e nell’autobiografia Heller spiega i motivi che
spinsero lui e altri giovani americani ad arruolarsi nelle forte armate:
6
L’adolescenza è un’età critica, piena di incertezze, in cui molti valori
vengono messi in discussione e combattere per la patria e per la salvezza
dell’umanità, compiere qualcosa di indiscutibilmente giusto ed eroico, mise
fine alla confusione e alle titubanze della gioventù americana, che, quindi,
aveva un chiaro obiettivo da perseguire. Arruolarsi costituiva anche una
scelta remunerativa dal punto di vista economico: Heller apparteneva alla
generazione che aveva vissuto gli anni della Grande Depressione e,
militando nei corpi armati, era possibile racimolare una discreta somma di
denaro, attraverso le paghe del governo. Questo, rivela in un’intervista,
7
costituisce anche uno dei motivi che spinsero molti Americani ad arruolarsi
durante la Guerra in Vietnam, soprattutto i neri e gli ispanici: l’America era
di certo una nazione ricca e prospera nel periodo del conflitto in Vietnam,
ma vi erano, allo stesso tempo, persone che vivevano in condizioni precarie
nei ghetti e arruolarsi costituì per loro un’occasione di fuga e di
affrancamento da una realtà disagiata e priva di futuro. Potevano viaggiare,
mettere da parte soldi e farsi un’istruzione, grazie alle agevolazioni di cui
usufruivano i soldati.
Heller, tuttavia, non aveva idea di cosa aspettarsi sul campo di
battaglia: era rimasto affascinato dai film di Hollywood sulla guerra, così
eroici e drammatici, ma che non rispecchiavano per nulla la realtà di morte e
distruzione che i soldati avrebbero dovuto affrontare. In un’intervista,
6
Ivi, pp. 173-174
7
cfr. Sam Merril, Playboy Interview: Joseph Heller, in Adam J. Sorkin, Conversations with
Joseph Heller, University Press of Missouri, 1993, pp. 151-152
10
infatti, confessa: “I was just 19 and there were a great many movies being
made about the war; it all seemed so dramatic and heroic (…) I felt like I
was going to Hollywood”.
8
Nel 1944 venne assegnato al trecentoquarantesimo Gruppo di
Bombardamento della quattrocentottantesima Squadriglia di stanza in
Corsica. Compì sessanta missioni di volo sui cieli dell’Italia e della Francia
come bombardiere, su un B-25. Portò a termine le prime missioni con
ingenuità, non ancora del tutto conscio delle ingiustizie e delle assurdità
della guerra, che gli appariva quasi come un film, finché non accadde un
episodio che lo scosse profondamente: nella trentasettesima missione,
avvenuta sui cieli di Avignone, il mitragliere venne gravemente ferito;
Heller gli prestò soccorso e tentò in qualche modo di tamponare l’uscita del
sangue da una gamba, quasi totalmente maciullata, mentre questi si
lamentava e tremava per il freddo. In quel momento si trovò faccia a faccia
con la morte e realizzò che la guerra non era più un divertimento o
un’avventura, ma sofferenza e devastazione.
9
In tutte le missioni successive
iniziò a temere seriamente per la propria vita e per scacciare la paura faceva
ricorso a gesti scaramantici come incrociare le dita al momento del decollo
oppure recitare una preghiera durante il volo.
Durante il conflitto ebbe, comunque, l’opportunità di leggere diversi
romanzi: ai soldati, infatti, venivano distribuiti gratuitamente libri in
edizioni speciali per le forze armate. Stimolato da queste letture, scrisse un
racconto intitolato I Don’t Love You Anymore, che tratta di un soldato il
quale si rende conto di non amare più la moglie e, quindi, di voler porre fine
al matrimonio. Il racconto, per stessa ammissione di Heller, svolge una
tematica convenzionale e riflette l’influsso dei tanti racconti che aveva letto
sotto le armi.
10
8
Ivi, p. 148
9
La missione su Avigone è ampiamente descritta sia nell’autobiografia Now and Then (pp.
185-189) sia in un’intervista (Sam Merril, Playboy Interview: Joseph Heller, in cit.
Conversations with Joseph Heller, pp. 148-149), in cui Heller ammette di essersi ispirato a
quell’esperienza sconvolgente per l’episodio del ferimento di Snowden in Catch-22,
durante una missione analoga.
10
cfr. Joseph Heller, cit. Now and Then, From Coney Island to Here, p. 197
11
Venne congedato nel maggio 1945 e tornò negli USA, a New York.
Nell’ottobre dello stesso anno sposò Shirley Held, da cui si separò nel 1981.
Usufruendo del G.I. Bill of Rights,
11
si iscrisse al college, dapprima alla
University of Southern Carolina, che lasciò nel 1946 per trasferirsi alla New
York University, dove ottenne il B.A.
12
Nel 1948 vennero pubblicati, dopo
tanti rifiuti da parte di case editrici e riviste, quattro racconti, due
sull’”Esquire” e due sull’”Atlantic Monthly” (uno dei due racconti apparsi
in questa rivista, intitolato Castle of Snow, venne inserito in una prestigiosa
antologia contenente i migliori racconti dell’anno, intitolata The Best
American Short Stories 1949). Nel 1949 conseguì l’M.A.
13
alla Columbia
University con una tesi intitolata The Pulitzer Prize Plays: 1917-1935. Lo
stesso anno, assieme alla moglie, si trasferì in Inghilterra, dove studiò come
borsista all’Università di Oxford ed ebbe la possibilità di approfondire la
conoscenza della letteratura inglese. Tornato negli Stati Uniti, divenne
professore d’inglese alla Pennsylvania State University, in cui insegnò
scrittura creativa dal 1950 al 1952. Dal 1952 in poi iniziò a lavorare come
redattore di testi pubblicitari dapprima per il “Time” (1955-58), poi, per il
“Look” (1958-58) e, infine, per il “McCall’s” (1959-62). Fu proprio dal
1953 al 1961 che compose Catch-22, quasi esclusivamente nei momenti
liberi o di sera, di ritorno dal lavoro. L’opera, però, ebbe un periodo di
gestazione di ben 16 anni: dal 1945 al 1953, infatti, riorganizzò i propri
ricordi di guerra e dal 1953 al 1961 tradusse quei ricordi in scrittura,
mettendoli anche in relazione con i problemi dell’America contemporanea.
Il romanzo venne dato alle stampe nel 1961, ma non ricevette molte
attenzioni, fino a che, una volta pubblicato in Inghilterra nel 1962, non
riscosse consensi da parte della critica anglosassone e divenne un vero e
proprio best-seller, tanto che il successo raggiunse gli USA, dove la critica
11
Si tratta di una legge, il Servicemen’s Readjustment Act of 1944, comunemente chiamato
G.I. Bill of Rights, approvata dal presidente Franklin D. Roosevelt il 22 maggio 1944, che
prevedeva il pagamento dell’istruzione ai veterani di guerra. Grazie a questa legge, molti
reduci poterono frequentare gratuitamente il college.
12
B.A. sta per Bachelor of Arts, che corrisponde alla laurea triennale italiana.
13
M.A. sta per Master of Arts, che corrisponde alla laurea specialistica italiana.
12
iniziò a rivedere le proprie posizioni e l’opera cominciò a diffondersi
massicciamente tra i lettori.
Il romanzo affronta la storia del capitano John Yossarian e il suo
tentativo di evitare le missioni di volo, fingendosi pazzo, tentativo che, però,
fallisce a causa della presenza del comma 22, in base al quale può essere
esentato dal combattimento solo chi viene riconosciuto pazzo, ma, perché
ciò avvenga, è necessario una domanda di esonero. Nel momento in cui se
ne fa richiesta, tuttavia, indirettamente viene fuori che non si è matti, in
quanto solo chi è lucido è cosciente dei pericoli della guerra. In questo
modo, il comma 22 dà una speranza ai combattenti, che intravedono una
scappatoia nel farsi riconoscere matti, ma ciò è impossibile, poiché il vero
folle è colui che non è consapevole della propria pazzia. Ecco che per i
soldati non c’è scampo. Inoltre, è pazzo chi certamente si lancia in missioni
di volo aggiuntive, ma, allo stesso tempo, è sano di mente chi, seguendo gli
ordini impartiti, compie altre missioni di volo. Heller descrive il mondo
dove la follia è assennatezza e viceversa, un mondo che, d’altronde,
rispecchia le incertezze e i drammi presenti nell’America post-bellica, in cui
l’uomo si sente costantemente minacciato e privato della propria
individualità e possibilità di scelta, senza potersi opporre al dominio delle
macchine, della scienza e, soprattutto, dei rigidi sistemi politici. Negli USA
Catch-22 ha venduto più di dieci milioni di copie e Mike Nichols ha anche
realizzato un film nel 1970, basandosi appunto sul romanzo, film che, però,
è stato un flop.
Furono compiuti da Heller anche diversi adattamenti teatrali del
romanzo: abbiamo una prima rappresentazione in due atti, We Bombed in
New Haven, scritta a Yale nel 1967 e presentata a Broadway l’anno
seguente, con scarsissimo successo; quindi, abbiamo Catch-22: A
Dramatization, in un solo atto, prodotto al John Drew Theatre ad East
Hampton nel 1971 e Clevinger’s Trial (1973), basato sull’ottavo capitolo di
Catch-22 e prodotto a Londra nel 1974. Gli anni di realizzazione di questi
adattamenti teatrali sono gli anni della guerra nel Vietnam, che Heller
trascorse girando gli Stati Uniti, tenendo conferenze nei college e campus,
13
in cui denunciava l’insensatezza del conflitto. Il critico Adam J. Sorkin,
proprio per questo motivo, collega la figura di Heller a quella di Mark
Twain,
14
in quanto entrambi si schierarono contro l’ipocrisia del potere
politico, attaccando l’imperialismo, in difesa della libertà di pensiero ed
entrambi divennero una presenza dominante nel panorama letterario
americano, anche grazie alle conferenze che permisero loro di trasmettere le
proprie idee al pubblico in maniera diretta.
La guerra in Vietnam portò alla ribalta Catch-22 sulla scena
mondiale e si parlò di vero e proprio Heller’s cult. I ragazzi americani, sia in
patria che sul fronte, leggevano il romanzo,
15
tanto che molte diserzioni dei
soldati americani in Vietnam vennero imputate alla lettura di Catch-22,
dove, alla fine, il protagonista, per sfuggire agli orrori della guerra, diserta.
Inoltre, molti dei pacifisti che marciarono davanti alla Casa Bianca
portavano sul petto spille con lo slogan Yossarian lives. E proprio nel
periodo della guerra in Vietnam una poesia di Mark Twain, intitolata The
War Prayer,
16
divenne il vessillo degli Americani che si opponevano alla
prosecuzione del conflitto (alcune bandiere pacifiste avevano stampata
questa poesia). Il componimento venne scritto quando Twain, ormai vecchio
e disilluso, venne a conoscenza delle stragi che i Belgi commettevano in
Congo contro gli inermi congolesi. La poesia, tuttavia, venne pubblicata
postuma nel 1922, in quanto per Twain i tempi non erano maturi, c’era
ancora troppo ottimismo in America, un componimento del genere non
poteva essere capito. Nella poesia Twain immagina che un plotone di
soldati, prima di partire per la guerra, venga portato in chiesa per ricevere la
benedizione da parte del sacerdote. Questi inizia un sermone, in cui incita i
soldati a tenere alto il nome della patria perché combattono per una causa
giusta.
14
cfr. Adam J. Sorkin, op. cit., p. IX
15
A tal riguardo, in un’intervista rilasciata nel 1981 a Chet Filippo, Heller rivela: «I met
officers who told me that people in Vietnam were carrying copies of Catch-22 and telling
people “If you want to know what this war’s all about, read this”».
16
Poesia consultabile in Anna Maria Palombi Cataldi, Mai più tanta innocenza, Poesie di
guerra fra ‘800 e ‘900, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp. 386-391
14
Tuttavia, mentre è in tatto il sermone, ecco che si fa avanti un
personaggio anziano e vestito di bianco, il quale spiega che la preghiera del
sacerdote è una facciata: in realtà, i soldati andranno in un paese straniero ad
ammazzare, distruggere, venendo così meno agli ideali in base ai quali
erano cresciuti.
Ispirandosi ai lavori d’ufficio che svolse per mantenersi durante gli
anni di composizione di Catch-22, Heller scrisse, in seguito, Something
Happened (1974), il cui protagonista, Bob Slocum, è un uomo di mezz’età,
un fortunato e benestante dirigente di una ditta newyorkese, sposato con una
moglie che tradisce regolarmente e padre di tre figli (una figlia di
quattordici anni, un figlio di nove ed un bambino più piccolo e ritardato).
Bob Slocum è un uomo ordinario, un buon cittadino e la sua vita, eventi
galanti compresi, è assolutamente regolare, gradevole, quotidiana. Tutto qui.
Se non che Bob Slocum riflette, descrive: tutto il libro è costituito da una
instancabile narrazione sotto forma di monologo interiore, che investe,
divora, trapana, scompone e ricompone la vita quotidiana. L’esposizione
degli eventi in prima persona ci consente di conoscere i suoi pensieri, di
ricostruire non solo le tappe delle sua vita, ma anche le sue emozioni e
fobie. Slocum si confessa a noi lettori, come se stesse sul lettino,
raccontando la sua vita attraverso un interminabile flusso di sensazioni e noi
fungiamo da psicologi che, col taccuino in mano, prediamo nota,
ricomponiamo i pensieri e cerchiamo di dare spiegazioni.
17
Il romanzo, inoltre, offre un efficace spaccato dell’America del
tempo, una nazione leader in tutti i campi, in cui ogni individuo può
realizzarsi, fare carriera, diventare una sorta di Bob Slocum, ma il prezzo da
pagare è alto: dietro questa superficie di successi materiali abbiamo un
mondo in cui il lavoro è alienante e stressante; rischia di portare l’uomo
sull’orlo della follia, a causa della sua ripetitività, del ritmo incalzante della
richiesta, dell’atmosfera opprimente che si respira al lavoro.
17
In questo senso, il romanzo si rivela imparentato a Portnoy’s Complaint (1969) d Philip
Roth, in cui l’intera storia di Alex Portnoy è narrata a ritroso in un lungo monologo dal
divano dello psicanalista, il dottor Spielvogel.
15
All’interno dell’opera, infatti, si fa riferimento più volte a gravi
esaurimenti nervosi che colpiscono gli impiegati o, addirittura, a suicidi di
persone esasperare: chi non riesce a stare al passo con le trasformazioni
della società, organizzata in maniera molto rigida, rimane indietro o è
destinato a soccombere.
18
E di questa situazione Heller fa menzione anche
nell’autobiografia, in cui rivela che, durante gli anni di lavoro in aziende
pubblicitarie, molti impiegati si sottoponevano a cure psichiatriche, a causa
di esaurimenti nervosi.
19
Il romanzo inizia proprio facendo riferimento al
senso di frustrazione e alla sensazione di sentirsi intrappolato che coglie il
protagonista e molto spesso compaiono aggettivi quali paralized
(paralizzato), tonguetied (costretto a silenzio), terrified (atterrito), a
testimoniare anche l’assoluta mancanza di dialogo tra di colleghi.
L’incomunicabilità, dunque, è uno dei temi centrali del romanzo, che
presenza, per questo, interessanti analogie con un racconto di Herman
Melville intitolato Bartleby The Scrivener (1853), in cui Melville ci narra la
vicenda di un copista che è costretto a svolgere un lavoro alienante e
ripetitivo in uno studio legale; Heller ci presenta un impiegato d’azienda che
svolge un lavoro d’ufficio ripetitivo e monotono, che si sente intrappolato,
perseguitato.
20
L’analogia tra le due opere raggiunge livelli eccezionali
quando Martha, una dattilografa, si posiziona con la macchina da scrivere di
fronte ad un blank wall
21
e ciò ricorda lo stesso Bartleby che trascorreva le
ore d’ufficio dietro la scrivania, fissando il dead brick wall.
22
L’incomunicabilità, però, non si riscontra soltanto in ambito
lavorativo, ma anche all’interno della famiglia: vivono sotto lo stesso tetto,
ma, praticamente, non si conoscono. Incomunicabilità, ma anche
intercambiabilità tra i personaggi: il mondo di Something Happened è un
mondo senza volto, moglie e figli di Slocum sono senza nome, solo il figlio
18
cfr. Joseph Heller, Something Happened (1974), New York, Ballatine Books, 1979, p. 17
19
cfr. Joseph Heller, cit. Now and Then, From Coney Island to Here, pp. 114-115
20
Anche il titolo del romanzo, come spiega lo stesso Heller, è esemplificativo, in quanto un
titolo ironico: nell’opera, in realtà, non accade nulla (nothing happens), non c’è azione.
21
Joseph Heller, cit. Something Happened, p. 13
22
Herman Melville, Bartleby, The Scrivener/Bartleby lo scrivano, Torino, Einaudi serie
bilingue, 1994, p. 50