INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Oggi la paura della morte è sicuramente considerata, fra le paure, quella più temuta. Nonostante
ciò, abbiamo imparato a conviverci (Cicelely Sunders. 2004. L’assistenza ai malati “incurabili”). Ciò
che spaventa maggiormente diventa la paura di non vivere; nel senso di perdere la propria identità,
con tutto quello che la caratterizza: quello che si è raggiunto, che si possiede, che si è costruito nei
progetti terreni. Un timore, questo, dovuto ad una perdita di prospettiva, che porta a considerare la
paura della morte come paura della vita (o viceversa), ascrivibile anche al conflitto che divide la
personalità tra il mondo sostenuto dall’illusione di un’esistenza senza fine e quello vissuto nella
consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere una vita eterna.
La storia della morte e della medicina in Occidente è fortemente segnata dalla sfida di raggiungere
la vita eterna, responsabile in qualche modo della corruzione di un concetto tradizionale di morte, un
concetto per il quale la morte è “contrario di vita” o “quando la vita non è più”.
Anche il pensiero psicoanalitico si attesta sulla posizione di morte come esperienza che l’essere
umano ha impossibilità o difficoltà a riconoscere come propria e a rappresentare. Sigmund Freud
(Totem e tabù, 1975), afferma l’impossibilità per l’uomo di rappresentare la propria morte (ogni
volta che prova a rappresentarla si accorge che non può esserne spettatore), da cui deriverebbe la
nostra convinzione inconscia di immortalità. Curl Gustav Jung (Anima e morte, sul rinascere.1978.),
da parte sua, parla di una difficoltà della vita psicologica ad adattarsi alla legge naturale della morte:
“L’essere umano è come se cercasse di trattenere la propria infanzia immaginando con questo che il
tempo si arresti.” Non a caso la nostra cultura rispetto alle culture orientali, è caratterizzata, da una
parte, dalla necessità di evitare l’identificazione con il morto attraverso i comportamenti del lutto,
dall’altra, dall’esigenza di disfarsi del cadavere, con la sepoltura.
Tra le malattie a minaccia per la vita, il cancro è identificato come sinonimo di morte,
tradizionalmente associato alla perdita di ogni speranza e rappresenta una triade di sofferenza,
disperazione e morte. La gente, infatti, parla più facilmente di morte che di cancro, che è piuttosto
considerato come una piaga che non fa discriminazioni, che non perdona nessuno, che colpisce
buoni e cattivi, ricchi e poveri; una morte particolarmente terribile: lenta, inevitabile, deturpante,
lucida e dolorosa, a causa di una scarsa tradizione di terapia di dolore e di una limitata
comunicazione dei casi di cancro curabili in Italia.
Il cancro è considerato una malattia della civiltà moderna in riferimento alla tossicità del nostro
ambiente fisico e mentale, da sempre temuto a causa della sua epidemiologia invasiva e fatale.
Alcune caratteristiche del cancro erano note già al tempo di Ippocrate, grande medico greco. La
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parola in greco càrcinos significa “granchio” e sta ad indicare la caratteristica infiltrativa del tumore e
la sua straordinaria capacità di aggressione nei confronti delle strutture circostanti. Egli riconosceva
l’importanza dell’influenza dell’ambiente e dell’ereditarietà nell’occorrenza delle malattie.
Nel Medioevo, il cancro era considerato una punizione divina. Nel Settecento, viene visto come
malattia locale e quindi chirurgica, che evolve a generale, e, quindi medica. L’Ottocento rappresenta
il secolo in cui vengono gettate le fondamenta per una nuova modalità interpretativa della malattia.
Heinroth, internista e psichiatra, nel 1828, introdusse i termini di psicosomatico e somato-psichico;
il primo termine esprimeva la convinzione che passioni sessuali esercitassero un influsso su malattie
quali l’epilessia, il cancro ecc., mentre la seconda definizione riguardava le malattie in cui lo stato
psichico era modificato dal fattore somatico. Verso la fine del ‘900, D’Antona è il primo ad usare in
Italia il termine rapporto psicosomatico, dichiarandosi convinto che la psiche agisce sul corpo.
George Engel ha introdotto il termine di approccio bio-psico-sociale, secondo cui sia l’assistenza
alla persona colpita dal cancro, sia i percorsi di cura devono articolarsi prendendo in considerazione,
in maniera globale, tutte le dimensioni dell’esistenza: fisica, psicologica, spirituale e relazionale, sui
cui si fonda l’unicità dell’essere umano.
A livello fisico, il corpo rappresenta il primo nucleo dell’identità personale che viene colpito. Gli
effetti della malattia e delle terapie, quali le mutilazioni fisiche, il dolore, la nausea, il vomito, la
perdita di capelli, determinano modificazioni violente della propria immagine corporea. Tali
cambiamenti possono comportare difficoltà nella conduzione della propria vita quotidiana, a causa
delle limitazioni del paziente, della sua necessità di aiuto, della perdita della propria autonomia e della
sua conseguente dipendenza dagli altri. L’alimentazione, la sessualità, il lavoro il tempo libero
appaiono improvvisamente difficili, talvolta per sempre modificati.
È evidente che tutto ciò si associ a conseguenze importanti sul piano psicologico, data
l’inscindibilità, come essere umani, della sfera biologica ed emozionale. La perdita della sicurezze, il
senso di instabilità, le limitazioni della propria libertà, le modificazioni delle relazioni con gli altri, il
timore della sofferenza, una cattiva prognosi, sono solo alcune delle molteplici esperienze con cui la
persona colpita da cancro deve confrontarsi giorno per giorno alle quali cerca di reagire con propri
meccanismi di difesa o strategie di coping.
Strettamente correlata alla dimensione psicologica, è la dimensione emozionale che coinvolge le
parti più profonde dell’essere e dell’essenza di ciascuno di noi. Il nostro senso di appartenenza ai
sistemi micro e macro/sociali viene minacciata e colpita dalla diagnosi di cancro.
Il processo di malattia si pone dunque come un evento che interrompe il percorso di vita della
persona, causando spesso disturbi psicopatologici e frammentando tutte le dimensioni sulle quali si
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basa l’esistenza umana. Risulta quindi chiaro come, sia l’assistenza alla persona colpita dal cancro, sia
i percorsi di cura debbano articolarsi prendendo in considerazione, in maniera globale, tutte le
dimensioni dell’esistenza. Lo stato di salute, quindi, è un concetto multidimensionale, che, come
pubblicato dall’OMS, è legato alla valutazione individuale del proprio stato di salute,
indipendentemente dalla presenza di segni e sintomi della malattia, attraverso un bilanciamento tra il
livello di salute riferito e la percezione soggettiva di salute, così come la vive il soggetto. In questo
contesto, va inserito il concetto di Qualità di Vita. Trattandosi di un concetto soggettivo, per poterlo
misurare è, quindi, opportuno individuare, attraverso una metodologia scientifica, le variabili che
realmente incidono sul grado di benessere e che talvolta non corrispondono a quelle che il “buon
senso” o l’intuizione suppongono in modo superficiale. In particolare, il grado di soddisfazione, la
sofferenza fisica e psichica, il senso di controllo della propria vita, la presenza di relazioni
interpersonali significative sono state individuate come variabili realmente incisive sulla Qualità della
Vita, mentre minore rilevanza è stata data ai soli aspetti medici oggettivi legati all’impatto della
malattia.
L’affermarsi della psicologia in medicina è stato favorito dalla necessità di ricostruire un rapporto
di fiducia tra medico e paziente, rispetto a precedenti periodi in cui questi subiva obbedientemente
ciò che il medico decideva e dall’accentuarsi della tendenza a ridurre la malattia ai suoi aspetti
biologici.
L’interesse verso gli aspetti psicologici e sociali, insiti nella patologia oncologica è sfociato nella
nascita di una vera e propria disciplina scientifica denominata Psico-oncologia, attualmente
considerata in diversi Paesi una disciplina specialistica autonoma, che analizza in un’ottica
multidisciplinare l’impatto psicologico e sociale della malattia sul paziente, la sua famiglia e l’equipe
curante e il ruolo dei fattori psicologici e comportamentali nella prevenzione, nella diagnosi precoce
e nella cura delle neoplasie.
Partendo da questi presupposti, la ricerca descritta nel capitolo quinto, condotta nel Dipartimento
di Ematologia del Presidio Ospedaliero dello Spirito Santo in Pescara, è stata finalizzata all’analisi
della Qualità di Vita presente in un campione di 30 pazienti oncologici in fase terminale, mediante la
somministrazione del questionario SF-36, confrontata a quella di un campione rappresentativo della
popolazione italiana.
La permanenza in questo reparto mi ha dato la possibilità di osservare da vicino la personalità dei
pazienti neoplastici, il loro modo di concepire la vita dopo l’avvento della malattia stessa, di
osservare le reazioni alla malattia, ai trattamenti, all’avvicinarsi della morte, mediante strategie di
coping o meccanismi di difesa, descritti nel secondo capitolo. All’interno del reparto, ho anche
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INTRODUZIONE
notato quanto sia importante il supporto sociale prestato dai familiari e quanto ogni paziente cerchi
costantemente dei chiarimenti sul proprio stato di salute da parte del personale curante; una
comunicazione chiara ed obiettiva, infatti, come riportato sempre nel secondo capitolo, può
rappresentare un presupposto per migliorare la Qualità di Vita di tali pazienti.
Come descritto nel terzo capitolo, è molto difficile “giudicare” o misurare la Qualità di Vita, perché
lo stato di salute di una persona non può essere generalizzato in quanto, essendo soggettivo, dipende
da proprie caratteristiche di personalità e dai fattori legati alla malattia.
Questi pazienti, infatti, sono vittime di effetti collaterali causati dai farmaci e dalle terapie intense,
come nausea, vomito, dolore intenso, disturbi della sessualità; presentano, nella maggior parte dei
casi, depressione, disturbi dell’adattamento, e disturbi d’ansia che si ritrovano sempre nel terzo
capitolo.
Nonostante il cancro rappresenti ancora oggi una delle più gravi malattie a minaccia per la vita,
l’approccio bio-psicosociale apre la strada ad un nuovo modello di intervento non più
tradizionalmente legato esclusivamente al corpo, come era il modello medico, ma basato sul
concetto di “persona”. Come descritto nel primo e quarto capitolo, la Psico-oncologia propone,
quindi, nuovi percorsi di cura e assistenza, di cui la terapia del dolore, le psicoterapie, il counselling
psicologico e il supporto familiare risultano essere i principali indicatori di buon adattamento alla
malattia neoplastica.
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CAPITOLO 1
LA PSICO-ONCOLOGIA
CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
1.1 IL PASSATO
Da quando l’uomo ha acquisito la consapevolezza della sua fine, l’immagine della morte ha avuto
un’evoluzione, attraverso quattro periodi storici:
1 un periodo corrispondente alla visione antropocentrica dell’antichità, per la quale l’uomo è al
centro dell’universo e delle sue vicende naturali. È una visione fatalistica caratterizzata
dall’accettazione, anche se tragica della morte.
2 la prospettiva mistico religiosa medievale, con l’immaginario macabro e terrorizzante
rappresentato dal memento mori, le danze macabre, inserito nelle vicende segnate dalle grandi
epidemie e pestilenze.
3 l’estetismo della morte, che caratterizza le immagini delle morti belle e romantiche del 700-800’.
4 il periodo contemporaneo, che vive la morte in modo conflittuale, considerandola ancora come
mistero, ma non più sacro o accettabile, bensì orrido ed irrisolvibile, con una sfida sempre più
aperta ai limiti della condizione umana.
Attualmente, in Occidente, c’è una stretta correlazione fra immagini della morte e malattia, non
solo per le associazioni che la maggior parte delle persone è portata a compiere su morte e malattia,
ma anche per quegli atteggiamenti caratterizzati dai tentativi di aumentare il confine tra la malattia e
la morte. Non a caso la nostra cultura rispetto alle culture orientali è caratterizzata da una parte dalla
necessità di evitare l’identificazione con il morto attraverso i comportamenti del lutto, dall’altra
dall’esigenza di disfarsi del cadavere, con la sepoltura.
Tra le malattie a minaccia per la vita il cancro si pone come evento tra i più traumatici e stressanti
col quale chi ne è colpito deve confrontarsi. Infatti, il vissuto soggettivo del cancro e
l’interpretazione individuale e sociale di questa malattia restano quelli di un processo insidioso e
incontrollabile che invade, trasforma e lentamente porta a morte. Tali significati spaventosi sono
evidenti nelle modalità con cui ci si continua a riferire alla parola cancro, ancora difficilmente
pronunciata e nominata direttamente ma più facilmente definita attraverso i termini di “male
incurabile o inguaribile”. Indubbiamente poche altre malattie hanno così evidenti conseguenze per la
persona ammalata, minacciando e interferendo su tutte le dimensioni su cui si fonda l’unicità
dell’essere umano: la dimensione fisica, la dimensione psicologica, spirituale psicologica e la
dimensione relazionale.
E’opinione abbastanza diffusa che il cancro sia una malattia dell’età moderna, una conseguenza
dello sviluppo della civiltà industriale. C’è molta verità in questo modo di vedere il problema in
quanto le attuali abitudini di vita, l’inquinamento atmosferico, gli additivi chimici usati per la
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CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
conservazione degli alimenti ed altri fattori sono sicuramente le cause principali dell’enorme
incremento di incidenza dei tumori negli ultimi cinquant’anni. Potremmo tuttavia dire che il tumore
ha una storia più antica dell’uomo se si dà credito alla descrizione di un tumore osseo di un
dinosauro. Certo è che fa parte della storia dell’uomo. Alcuni studiosi riferiscono di un osteosarcoma
del femore di una mummia egiziana dell’epoca della V dinastia (3160-2920 a.C.). Il cancro era noto ai
greci ancora prima di Ippocrate. In base ai racconti di Erodono, il medico greco Demedoche, della
corte del re persiano Dario, avrebbe guarito di un tumore mammario la sua sposa Atossa, figlia di
Ciro.
Il termine carcinoma lo si deve ad Ippocrate, grande medico greco: la parola in greco (càrcinos)
significa “granchio” e sta ad indicare la caratteristica infiltrativa del tumore e la sua straordinaria
capacità di aggressione nei confronti delle strutture circostanti. Secondo Ippocrate, il tumore deriva
da accumulo di bile nera. Furono da lui ben descritti i tumori al naso, della gola e della mammella.
Egli riconosceva l’importanza dell’influenza dell’ambiente e dell’ereditarietà nell’occorrenza delle
malattie. In seguito Gendron, Guy e Walsche, avevano riscontrato che le persone con umore
flemmatico tendevano a sviluppare il cancro, più di individui con umore sanguigno. Una
teorizzazione di questo tipo persiste fino al 1700, quando l’innovazione medico-chirurgica e
tecnologica si concentra sempre più sull’aspetto cellulare dello specifico organo colpito dalla
malattia, perdendo di vista la globalità dell’individuo. Nel primo secolo d.C. Aulo Cornelio Celso nel
suo trattato De medicina, per la prima volta accenna al fatto che anche gli organi interni possono
essere colpiti dal cancro. Per i tumori esterni, viene consigliata la distruzione con il ferro ed i cauteri,
o con pomate a base di zolfo, mirra ed incenso. Per la cura dei tumori si aggiungerà l’uso di piante
medicinali e di erbe a diversa azione purgativa, astringente, revulsiva, cicatrizzante. Per lui come poi
per Galeno, il cancro era un a malattia prima generale e poi locale. Avicenna, grande medico arabo,
pensò che l’infiltrazione del tumore nei tessuti circostanti fosse causata dai cosiddetti “umori
corrotti” e pertanto ne consigliava la cura a base di salassi, che avevano lo scopo di eliminare questi
umori.
In linea di massima si può dire che la concezione della patogenesi umorale dei tumori viene
tramandata intatta attraverso il Medioevo, fino all’epoca rinascimentale, quando tutto ciò che veniva
conservato dall’antichità, anche in medicina, venne rivisto criticamente. Si interessò molto di tumori
Gabriel Falloppio che per primo individuò alcuni fattori favorenti lo sviluppo dei tumori nelle
sostanze molto calde o fredde. Il salasso veniva sempre considerato una terapia importante, mentre
da un punto di vista locale veniva consigliata l’escissione chirurgica o l’uso di composti chimici ad
azione caustica o corrosiva a base di sublimato di argento o arsenico.
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CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
Nel Seicento si perfezionano l’anatomia e la fisiologia, nasce l’anatomia microscopica e la biologia
comincia a decollare. Bisogna però arrivare a G.B. Morgagni (1761) e ai suoi studi di anatomia
patologica, per ribaltare la concezione di Celso e Galeno: il tumore viene ora visto come una
malattia locale e quindi chirurgica, che evolve a generale e quindi medica. Comincia a farsi strada il
concetto della necessità di una asportazione tempestiva.
Nel 1775 fu scoperta la prima causa di cancro attribuibile a fattori professionali o ambientali
(cancro dello scroto particolarmente frequente negli spazzacamini tra i quali questo tumore tendeva
a manifestarsi in età giovane). Pur in assenza di metodologie scientifiche appropriate, si giunse alla
conclusione che dovevano esservi fattori particolari e specifici della categoria (esposizione
occupazionale) che determinavano l’insorgenza del cancro dello scroto come ad esempio la
prolungata permanenza di fuliggine nella zona inguinale.
L’Ottocento è dominato dagli studi di Virchow che enuncia i principi della patologia cellulare
secondo cui tutti i tumori nascono dalle cellule dell’organismo. A lui si deve la prima
differenziazione tra sarcomi e carcinomi.Questo secolo segna anche l’inizio della chirurgia
oncologica moderna grazie all’introduzione dell’anestesia generale e dei criteri dell’ antisepsi. Nel
1809 viene asportato un tumore ovarico in America. Nel 1882 Fleming pubblica i suoi studi sulla
divisione cellulare. Dal 1850 al 1880 Billroth esegue la prima gastrectomia, laringectomia ed
esofagectomia.
L’Ottocento rappresenta anche il secolo in cui vengono gettate le fondamenta per una nuova
modalità interpretativa della malattia. Heinroth, internista e psichiatra, nel 1828 introdusse i termini
di psicosomatico e somato-psichico; il primo termine esprimeva la convinzione che passioni sessuali
esercitassero un influsso su malattie quali l’epilessia, il cancro ecc., mentre la seconda definizione
riguardava le malattie in cui lo stato psichico era modificato dal fattore somatico. Grinker definisce
la psicosomatica come un approccio che congloba in una totalità processi integrati di rapporti tra
vari sistemi: somatico, psichico, sociale e culturale. Verso la fine del ‘900 D’Antona è il primo ad
usare in Italia il termine rapporto psicosomatico, dichiarandosi convinto che la psiche agisce sul
corpo. Verso il 1940 Alexander, padre della medicina psicosomatica, spiega le ragioni e le modalità
del fenomeno psicosomatico. G. Engel ha introdotto il termine di approccio bio-psico-sociale,
secondo cui sia l’assistenza alla persona colpita dal cancro, sia i percorsi di cura devono articolarsi
prendendo in considerazione, in maniera globale, tutte le dimensioni dell’esistenza: fisica,
psicologica, spirituale e relazionale, sui cui si fonda l’unicità dell’essere umano.
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CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
1.2 IL PRESENTE
La prospettiva psicosociale in oncologia si sviluppa soprattutto a partire dagli anni ‘50, quando
negli Stati Uniti si costituiscono le prime associazioni di pazienti laringectomizzati, colostomizzati e
di donne operate al seno. L’interesse verso gli aspetti psicologici e sociali insiti nella patologia
oncologica è sfociato nella nascita di una vera e propria disciplina scientifica denominata
Psiconcologia. Essa è attualmente considerata in diversi Paesi una disciplina specialistica autonoma,
con propri modelli di intervento e peculiari obiettivi di ricerca e di applicazione clinica.
Connettendosi da un lato all’oncologia, dall’ altro alla psicologia e alla psichiatria, essa analizza in
un’ottica multidisciplinare due significative dimensioni legate al cancro:
1. l’impatto psicologico e sociale della malattia sul paziente, la sua famiglia e l’équipe curante.
2. Il ruolo dei fattori psicologici e comportamentali nella prevenzione, nella diagnosi precoce e
nella cura delle neoplasie.
Le aree in cui essa agisce, sono:
• Area della prevenzione e della diagnosi precoce, in cui vengono analizzate le variabili
psicologiche e sociali che influenzano l’esposizione a fattori di rischio; le variabili psicosociali
che interferiscono sulla prevenzione e la diagnosi precoce; quelle legate alla compliance
dell’individuo sano e del paziente; le strategie connesse alla realizzazione di campagne
educative efficaci; la psicologia e il counselling genetico.
• Area della valutazione della morbilità psicosociale in oncologia e della sua prevenzione che
analizza la prevalenza dei sintomi di disagio psicologico nei pazienti affetti da neoplasia e
variabili correlate (personalità, struttura familiare, supporto sociale); lo studio e la validazione
di metodi finalizzati alla diagnosi ed al trattamento della sofferenza psichica del paziente
(interventi psicologici e psicofarmacologici).
• Area degli interventi psiconcologici finalizzata allo studio del concetto di Qualità di Vita; ai
metodi di rilevazione della Qualità di Vita nei protocolli di ricerca e nella pratica clinica;
all’efficacia degli interventi psicologici, psicoterapeutici, psicofarmacologici e riabilitativi.
• Area della formazione, che si occupa dell’organizzazione di programmi di training per
psicologi e psichiatri da parte di varie agenzie formative e della supervisione e formazione
permanente degli operatori sanitari in oncologia.
La specificità della Psiconcologia consiste nel rivolgersi ad un paziente il cui disagio psicologico non
dipende primariamente da un disturbo psicopatologico ma è generato dalla situazione traumatizzante
della malattia.
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CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
Ciò implica il riferimento ad alcuni concetti psicologici fondamentali:
• Il concetto di crisi, sia del paziente, sia dei familiari, considerato come momento di
cambiamento, nell’ambito del quale possiamo distinguere tre fasi: la consapevolezza della
propria vulnerabilità e quindi l’esplicitazione di una richiesta di aiuto significativa del fatto che
le circostanze oltrepassano le capacità di autogestione del problema; la mobilitazione della rete
sociale prossima (familiari, curanti ecc); lo sviluppo di un nuovo equilibrio attraverso
l’individuazione di soluzioni adattive e l’accettazione del cambiamento.
• Il concetto di strategia di adattamento o coping, ovvero lo studio delle strategie che un
soggetto sviluppa per gestire o diminuire l’impatto di un evento che costituisce una minaccia
per il suo benessere fisico e/o psichico. Il coping dipende dalla valutazione cognitiva
dell’evento e delle risorse disponibili, dal comportamento che il paziente adotta per far fronte
al problema sia in termini di intervento (attivo) che di evitamento (passivo), dal tipo di
controllo emotivo utilizzato.
• Il concetto di adattamento psicologico plurifattoriale proposto dalla psicologia della salute.
Esso distingue diverse categorie di fattori interdipendenti rispetto all’adeguata gestione della
situazione di malattia, tra cui caratteristiche individuali relativamente stabili del soggetto
(eventi vita, status sociali, costituzione biologica, caratteristiche di personalità ecc) e varibili
inervenienti capaci di influire rispetto all’andamento globale del soggetto alla malattia
medesima (specifiche strategie di adattamento usate dal soggetto nelle situazioni indicate,
caratteristiche personologiche suscettibili di mutare nel tempo ecc.); valuta inoltre l’influenza
esercitata da fattori esterni quali l’organizzazione delle cure e le tecniche terapeutiche utilizzate.
I modelli di comprensione ispirati alle teorie psicoanalitiche ( in particolar per quanto riguarda
l’interpretazione dei meccanismi di difesa ed il contenimento delle angosce), alle teorie sistemiche
(modelli di interazione nel gruppo, stili di comunicazione familiare), alle teorie cognitive
comportamentali (distorsioni cognitive e tecniche per l’apprendimento delle condotte funzionali e/o
l’estinzione di quelle disfunzionali al benessere psicofisico del paziente), all’approccio
fenomenologico-esistenziale. Il loro utilizzo in ambito psiconcologico riveste un’importanza
fondamentale sia per la comprensione delle situazioni di conflitto e di disagio relazionale sia delle
problematiche individuali.
Sebbene già nel 1902 nasca a New York la prima unità di psichiatria all’interno di un ospedale
generale, psichiatri e psicologi non avranno un proprio definito ruolo nello studio e nella cura del
paziente controverso dibattito sulla comunicazione della diagnosi alla persona malata. Tra le ragioni
alla base del lento sviluppo che ha caratterizzato la Psiconcologia possiamo individuare:
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CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
null Lo stigma associato al disagio psicologico ed emozionale nelle persone affette da malattie
fisiche.
null La scarsa disponibilità di finanziamenti indirizzati alla ricerca e alla formazione in tali ambiti.
null Lo scarso numero di clinici e ricercatori con formazione psicosociale nelle strutture
oncologiche dei vari paesi del mondo.
null La necessità di sviluppare validi strumenti di misura per tale disciplina, a lungo considerata
come una “scienza debole”.
null La tendenza dell’oncologia a focalizzare le proprie risorse e la propria attenzione sulle terapie
propriamente curative, a discapito delle problematiche legate al controllo dei sintomi, alla
Qualità di Vita, al benessere generale della persona malata.
Gli anni trenta e quaranta preparano il terreno all’ingresso delle discipline psicologico-psichiatriche
attraverso la fondazione, nel 1937, del National Cancer Institute. Mentre i medici e l’ opinione
pubblica manifestano un atteggiamento pessimistico rispetto ai risultati conseguiti dai primi approcci
terapeutici al cancro, iniziano le prime ricerche sulle caratteristiche di personalità e sugli eventi di vita
correlati all’insorgenza di un tumore e prendono corpo i primi studi scientifici sui sintomi e le cause
del lutto patologico. L’American Cancer Society promuove in questo stesso periodo i primi gruppi di
auto aiuto attraverso il reclutamento e la formazione di pazienti laringectomizzati e colostomizzati: i
chirurghi comprendono presto l’importanza dell’informazione del confronto reciproco tra persone
che hanno vissuto la stessa esperienza di malattia.
Negli anni ‘50 l’introduzione della chemioterapia modifica la prognosi di alcuni tumori
precedentemente fatali (i primi risultati si ottengono nella cura delle leucemie infantili e del linfoma
di Hodgkin) e conseguentemente i problemi psicologici connessi alle prospettive di vita ed ai
trattamenti. Mentre vengono prodotte le prime pubblicazioni scientifiche sull’impatto psicologico
del cancro e degli interventi chirurgici radicali ad esso legati, si sviluppa gradualmente il dibattito
relativo alla comunicazione della diagnosi alla persona malata, dibattito che contribuirà nel ventennio
successivo ad un atteggiamento di graduale apertura dei medici verso i propri pazienti in
concomitanza con l’aumento delle conoscenze circa la malattia da parte dell’opinione pubblica., lo
sviluppo di linee guida per il consenso informato, il crescente successo delle terapie.
Presso il Memorial Sloan-Kettering Center di New York nasce nel 1950, sotto la guida di uno
psichiatra, Sutherland, il primo servizio autonomo finalizzato all’assistenza psicologica del paziente
affetto da cancro.
I più recenti progressi della medicina, la problematica dei trapianti, l’allungamento della vita media,
con un progressivo aumento delle persone anziane, dei malati cronici e conseguentemente della
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CAPITOLO 1 LA PSICO-ONCOLOGIA
possibilità di maggior incidenza di sofferenze, hanno obbligato a una revisione del concetto
“vitalista”, considerando come riferimento non più la conservazione della vita a tutti i costi, ma la
sua “qualità” intesa nel senso pieno del suo valore esistenziale, interpersonale, sociale. Le critiche e la
consapevolezza dell’inutilità dell’accanimento terapeutico, hanno recentemente messo in discussione
l’uso di tecniche rianimatorie o farmacologiche che non abbiano il senso di allungare la vita curando
la malattia primitiva. Ciò ha anche messo in discussione l’assunto oltrazionista secondo cui la
medicina è fatta per guarire e combattere la morte, dimenticando che è suo compito anche curare
(prendersi cura) e rispettare il senso della vita. Il lavoro di una psichiatra, Elisabeth Kubler Ross,
sulle reazioni psicologiche del paziente all’avvicinarsi alla propria morte, ed in particolare la sua
teoria sugli “stadi del morire”, conoscono infatti, una notevole diffusione in Europa e negli Stati
Uniti, ed hanno un profondo impatto sull’opinione pubblica e sui curanti, nella misura in cui si
focalizzano sulla tendenza di questi ultimi ad evitare l’argomento della morte nel rapporto con la
persona malata. Sulla scia di questi nuovi contributi nasce quindi in America il movimento della
tanatologia, finalizzato ad analizzare l’ atteggiamento sociale verso la morte e le modalità per una
buona comunicazione con il paziente oncologico in fase terminale da parte di tutta l’ équipe di cura.
Ad esso fanno seguito lo sviluppo del movimento delle Cure Palliative e quello degli Hospices, il
primo dei quali è fondato a Londra nel 1967 da Cecil Saunders.
La graduale diffusione della “psichiatria di liaison” nei primi anni 70’ influisce indirettamente sulla
cura del paziente oncologico attraverso l’offerta di consulenze allo staff sulla gestione dei casi
problematici. Si costituiscono gruppi di supporto e di discussione di tipo multidisciplinare sul disagio
psicologico del paziente neoplastico, sulle questioni etiche, sullo stress del personale curante;
vengono parallelamente studiati i fattori psicologici e sociali connessi alla prevenzione ed alla
diagnosi precoce dei tumori, così come alla compliance ai trattamenti.
Psichiatri e psicologi contribuiscono ad accrescere con la loro attività le conoscenze sulla Qualità di
Vita del paziente descrivendone le fasi di adattamento alla patologia, le reazioni ai cambiamenti fisici
e funzionali legati ad interventi chirurgici radicali, le principali risposte alla comunicazione della
diagnosi e della prognosi. I gruppi di lavoro in tal senso diventano progressivamente più numerosi e
vari: nel 1970 Feinfeberg fonda all’interno del Karolin Institute di Stoccolma una Divisione di
Psicosomatica la quale introduce la prospettiva psicoanalitica nella cura del paziente oncologico;
l’anno successivo sotto la guida di Greer e Pettinale si costituisce presso il King’s College Hospital di
Londra la Faith Coultaud Unit for Human Studies finalizzata alla ricerca psicologica sui tumori.
Gli anni settanta sono dunque caratterizzati da un crescente interesse per l’approccio psicosociale
da parte di discipline quali l’oncologia, la psicologia , la psichiatria, l’assistenza sociale ed
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