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CAPITOLO 1
IL SESSANTOTTO COME PROBLEMA STORIOGRAFICO
“Quanto tempo è passato da quel giorno d’autunno…..”
1
L’evento Sessantotto in America e in Europa rappresenta, secondo un
giudizio ormai comune e diffuso, una cesura, una svolta, uno spartiacque tra
due epoche, due mondi, due mentalità. Touraine lo ha definito “l’ultima
giornata rivoluzionaria dell’Ottocento”
2
. Origini, contenuti, dinamiche, esiti e
periodizzazioni vengono diversamente valutati dagli esperti: il mondo si è
trovato di fronte ad una rivolta generazionale o ad una potenziale rivoluzione
politica?
Siamo di fronte a domande aperte e i contributi alla storia dei Sessantotto
sono ricchi e problematizzanti; tutti gli autori concordano nell’affermare che
si tratta di un evento portatore di novità tali da non poter essere compreso
“meccanicamente” risalendo a cause determinate; come ricorda Arendt:
una ribellione studentesca quasi esclusivamente ispirata da considerazioni morali è da
annoverarsi certamente tra gli eventi totalmente imprevisti di questo secolo
3
.
Né, per la studiosa, i comportamenti aggressivi sono una componente
essenziale delle proteste degli anni Sessanta, almeno agli inizi.
L’approccio di Flores e De Bernardi
4
intende, invece, evidenziare il processo
che ha portato alla rivolta generazionale, rintracciandone le origini nei
mutamenti profondi del dopoguerra e soprattutto del decennio ‘58-‘68.
Revelli si discosta da una lettura degli eventi di questo tipo, poiché essa
appiattisce il “nuovo”, quasi hegelianamente, integrandolo all’interno di un
1
Francesco Guccini, Stagioni. E’ il primo verso della canzone scritta nel 1968 in occasione
della morte del Che.
2
L’espressione del sociologo francese è riportata in Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’orda
d’oro. 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano,
Sugarco, 1988, pag. 187
3
Hannah Arendt, Sulla violenza, Milano, Arnoldo Mondadori 1971, pag. 38
4
Marcello Flores, Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Bari, Il Mulino, 1998, pag. 8
5
continuum, ed impedisce di cogliere la frattura e l’irriducibile discontinuità
“nelle forme di espressione del politico”
5
.
A proposito della storia delle origini Sessantotto in Italia, sono noti due filoni
interpretativi: Ginsborg attribuisce la protesta alle riforme scolastiche degli
anni Sessanta
6
, che costituirebbero la base materiale della rivolta; Tranfaglia
pone l’accento sulla debolezza dell’opera riformatrice del centro-sinistra
7
.
Ortoleva
8
ci presenta, in modo critico e costruttivo, una lucida analisi dei
tratti comuni, delle contraddizioni interne, delle ambivalenze che il
movimento studentesco sessantottino manifesta a livello mondiale. Con le
stesse intenzioni, ma con uno stile più autobiografico, Passerini “racconta” il
Sessantotto intrecciando esperienze personali a fatti evocati con passione
9
.
Le narrazioni autobiografiche rivalutano, anche nella vivacità espressiva,
tutto quello che nella vita dei gruppi non riguarda esplicitamente la presa del
potere: aspetti sociali, di studio, di viaggio, che riprendono atteggiamenti e
costumi del movimento. Certamente chi ha scritto i migliori saggi sul
Sessantotto, ha anche vissuto quegli anni di giovinezza, di attesa, di progetti.
Il giudizio positivo e a volte nostalgico non pregiudica la chiarezza dell’analisi,
spesso fin troppo critica e autocritica.
Bongiovanni
10
considera il Sessantotto come un movimento nato dalla
reazione al benessere e al consumismo. E’ il paradosso per cui, nel più
grandioso movimento di capitali e uomini della storia, verso la metà degli
anni Sessanta, si percepisce negli strati giovanili una sensazione di staticità. I
giovani della società del consumo rifiutano la “glaciazione consumistica” e
5
Marco Revelli, Movimenti sociali e spazio politico, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. 2,
La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, tomo 2, Istituzioni, movimenti, cultura,
Torino, Einaudi, 1995, pag. 404
6
Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, pag. 404
7
Aldo Agosti, Luisa Passerini, Nicola Tranfaglia, La cultura e i luoghi del ’68, Franco Angeli,
1991, pp. 327-243
8
Peppino Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Roma, Editori
Riuniti, 1988
9
Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo, Firenze, Giunti, 1988
10
Bruno Bongiovanni, Società di massa, mondo giovanile e crisi di valori. La contestazione
del ’68, in Nicola Tranfaglia, Luigi Firpo (a cura di) ,La Storia, vol. 7/2, pp. 671 - 694, Torino,
Utet, 1988
6
sognano una società postmaterialistica in cui i valori liberali si trasformino in
valori libertari. Si tratta, dunque, di un conflitto generazionale e non politico.
Saranno gli intellettuali come Marcuse a trasformare un “pensiero negativo”
in un “pensiero positivo”, in cui un nuovo soggetto rivoluzionario, lo
studente, è indicato come protagonista di una trasformazione radicale
11
.
Altre interpretazioni spiegano l’evoluzione del movimento in senso politico:
Balestrini e Moroni, scrittori underground, in un saggio veramente
interessante, individuano diverse tendenze nella cultura giovanile italiana
degli anni Sessanta, che in una prima fase corrono affiancate per poi
incontrarsi e dare vita alla svolta propriamente politica del Sessantotto
12
. Ne
parleremo ampiamente nel corso della tesi. Il saggio è anche ricco di
documenti dei beat italiani e quindi fonte preziosa per comprendere la rivolta
generazionale e conoscere alcuni fatti “freudianamente” rimossi, come
l’esperienza di “Barbonia City".
Hobsbawn dedica, nella sua famosa opera, poche pagine a quella storia, ma
esprime su di essa una valutazione decisa
13
.
La ragione per cui il 1968 (con il suo prolungamento nel 1969 e nel 1970) non fu una
rivoluzione e non né ebbe mai né poteva averne le caratteristiche fu che gli studenti, per
quanto numerosi e pronti alla mobilitazione, non potevano fare la rivoluzione da soli. La loro
efficacia politica consisteva nel fungere da detonatori e da segnali per strati sociali più ampi,
ma meno facilmente infiammabili.
E’ un giudizio semplice ed efficace che permette di comprendere perché
quegli anni sono ricordati, quasi come un dovere, solo nei decennali, non
ancora razionalizzati e compresi in un quadro più ampio di analisi non solo
storiche ma sociologiche, psicologiche, economiche, culturali. Questi studi,
però, mancano o sono incompleti; è il segno che il ricordo quel periodo
sviluppa emozioni forti: di nostalgia in chi crede che il “mondo nuovo” si
11
Ibidem, pp. 684 e seg.
12
N. Balestrini, P. Moroni, op. cit.
13
Eric J. Hobsbawn, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995, pag. 351
7
sarebbe potuto realizzare, di inquietudine e condanna in chi considera
esclusivamente la deriva del movimento studentesco verso il disordine
sociale e la violenza del terrorismo.
Arendt, già nel 1970
14
, esprime un giudizio sul movimento studentesco nella
prima fase di sviluppo, valutando la natura e i metodi della protesta:
dall’America, alla Francia, alla Germania, l’intenzione originaria delle
rivendicazioni, quando non hanno ancora fatto propri estremismi marxisti
15
,
non è violenta. La generazione nata “sotto lo spettro della bomba atomica”
16
ha un’anima pacifista ed è materialmente disarmata. La ribellione ha un
carattere prevalentemente morale e non trova, di fatto, alleati all’esterno
delle università. Nuovo ed imprevisto è il significato profondo della protesta:
una denuncia contro la manipolazione dei persuasori occulti - televisione,
pubblicità e altri mezzi psicologici della società “libera” - contro “la
glorificazione accademica del sapere e della scienza”
17
, contro la burocrazia
definita come “dominio da parte di Nessuno”
18
.
Il MS italiano, diviso fin dall’inizio da moventi e obiettivi diversi per ogni
ateneo, nonostante le buone intenzioni, non riesce mai ad elaborare una
piattaforma di lotta a livello nazionale. Anche le posizioni riformiste più
avanzate, quelle che considerano la lotta studentesca come autonoma
rispetto a quella operaia, sono superate dopo la “battaglia di Valle Giulia”.
A quarant’anni dall’evento Sessantotto, in maggio, le pubblicazioni
sull’argomento sono veramente scarse nel numero e nella qualità. La rivista
MicroMega ha allegato, al numero di gennaio 2008, uno speciale su quegli
anni
19
. Si tratta di ricordi e memorie di personaggi famosi che hanno vissuto
quella storia inaspettata e indimenticata. Anna Bravo, storica protagonista
14
H. Arendt, op. cit., pag. 25
15
Ibidem, pag. 29 e seg.
16
Ibidem, pag. 22
17
Ibidem, pag. 40
18
Ibidem, pag. 99
19
AAVV, Il Sessantotto tra mito e realtà, Supplemento a MicroMega, n. 1/2008
8
del Sessantotto, ha recentemente pubblicato un testo in cui mette a tema la
percezione che aveva dei fatti la sua generazione
20
.
L’assenza di analisi specifiche e il ricorso ad esperienze soggettive non aiuta
certo la comprensione del fenomeno, anche se può darci qualche
informazione in più. In questo senso utilizzeremo alcune testimonianze.
A parte il concentrato di ideologia rappresentato dal saggio di Veneziani
21
, un
altro testo molto modesto e scontato è quello di Ferrarotti
22
che mette a
tema la cultura e gli interessi dei giovani di oggi, confrontati con gli ideali dei
sessantottini.
Interventi sparsi, di taglio giornalistico, focalizzano l’attenzione sui
Sessantotto, discriminando quelli “veri” da quelli “falsi”
23
. Enzo Bettiza, come
a suo tempo il sociologo Aron, considera la rivolta in occidente come uno
psicodramma borghese, una vacanza utopica, una recita su barricate di
cartapesta; per lo storico- giornalista solo la “primavera di Praga”
rappresenta il vero Sessantotto
24
.
Pur non volendo togliere nulla all’eroismo del popolo ceco, per quanto ci
riguarda, in questo breve saggio, cercheremo di cogliere la novità di quello
che è stato definito “l’ultimo anno in cui qualcosa di buono successe”
25
.
20
Anna Bravo, A colpi di cuore, storie del Sessantotto, Bari, Laterza, 2008
21
Marcello Veneziani, Rovesciare il ’68, Milano, Mondadori 2008
22
Franco Ferrarotti, Il ’68 quarant’anni dopo, Roma, EDUP, 2008
23
Aldo Cazzullo, Il vero ‘68 fu a Praga, Corriere della Sera, 8 maggio 2008
24
Enzo Bettiza, La primavera di Praga, 1968: la rivoluzione dimenticata, Milano, Mondadori,
2008
25
E’ una espressione di Hans Koning, in M. Revelli, op. cit. pag. 385