7
INTRODUZIONE
Spazzatura, tra realtà e simbolo
Rifiuti, scarti, scorie e oggetti abbandonati assediano le nostre vite, nonostante ci si
sforzi di ignorarli, scansarli e nasconderli in quanto cifra scomoda della civiltà e
dell‟esistenza.
La spazzatura è ovunque: invade le strade delle città, i binari della ferrovia, i quartieri
affollati e quelli abbandonati, le zone industriali, i sentieri naturali, le spiagge, i corsi
d‟acqua e il mare. Come se non bastasse, decine di migliaia di rottami orbitano nello
spazio attorno alla terra costituendo rischi per le missioni spaziali e compromettendo
persino la luminosità del firmamento. Non va dimenticato che tutto quello che non è
direttamente percepibile a occhio nudo è ancora più insidioso; è sufficiente considerare
le microparticelle presenti nell‟aria, i veleni che corrompono le falde e i percolati delle
discariche che penetrano nel terreno. Infine ci sono le scorie radioattive, incompatibili
con qualsiasi forma di vita e interrate in aree “lontane da casa”, come se la distanza
bastasse a eliminare un problema che comporta, letteralmente, lunghissimi tempi di
decadimento.
Lo scenario circostante assomiglia sempre più a quello di Leonia, città invisibile –
diventata oggi visibilissima – descritta anzitempo da Italo Calvino. Leonia «rifà se stessa
tutti i giorni» circondandosi di cose «nuove fiammanti» e gettando sui marciapiedi «i
resti d‟ieri» che aspettano di essere portati via, il più distante possibile dagli occhi dei
cittadini, dal carro salvifico dello spazzaturaio. Il risultato è che «più Leonia espelle
roba, più ne accumula», tanto che la sua unica forma possibile è costituita dalle
«spazzature d‟ieri che s‟ammucchiano sulle spazzature dell‟altroieri e di tutti i suoi
giorni, anni, lustri». Il suo pattume invaderebbe il mondo se, fuori dai suoi confini, non
8
premessero le discariche di altre città che respingono a loro volta montagne di rifiuti. È
questo il paradosso, facilmente riscontrabile nella realtà, delle città continue che
inducono a pensare che «forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto di
crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta»
1
.
La letteratura si trova a profetizzare un universo parallelo, vario e multiforme, che non
è altro che il rovescio, il fondo della pattumiera dell‟esistenza odierna, fatta di consumo,
spreco, gesti frettolosi e senza consapevolezza che si accatastano su se stessi fino a
franare. D‟altronde «basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato
rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d‟anni trascorsi,
fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere,
mescolato con quello delle città limitrofe»
2
.
Guido Viale
3
, uno dei ricercatori e degli intellettuali italiani più impegnati nel settore
delle problematiche ambientali, definisce i rifiuti un vero e proprio universo, complesso
e simmetrico a quello delle merci, «un mondo che, dietro lo specchio in cui la civiltà dei
consumi ama riflettersi e prendere coscienza di sé, ci restituisce la natura più vera dei
prodotti che popolano la nostra vita quotidiana»
4
. Gli scarti della società postindustriale
rappresentano in qualche modo il rimosso dei processi di produzione che si fondano
sullo sfruttamento delle risorse della terra: «sono il “buco nero” in cui tutto è destinato a
precipitare, ma sul cui oblio è costruita la falsa coscienza di chi si compiace della
1
ITALO CALVINO, Le città invisibili in ID., Romanzi e racconti, vol. II, ed. dir. da CLAUDIO MILANINI, a
cura di MARIO BARENGHI – BRUNO FALCETTO, Milano, Arnoldo Mondadori, 1992, pp. 456-457.
2
Ibid.
3
Guido Viale da anni svolge la sua attività nel campo della ricerca economica e sociale. Ha studiato
soluzioni per i problemi legati ai rifiuti, collaborando con il Ministero dell‟Ambiente, Comieco, Enea,
Comuni di Torino, Venezia, Reggio Emilia, AMSA di Milano oltre ad aver messo a punto diversi progetti
didattici e formativi.
4
GUIDO VIALE, Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà, Milano, Feltrinelli,
1994, 1995³, p. 7.
9
straordinaria produttività della tecnica moderna, senza mettere in conto i danni che essa
provoca»
5
.
Eppure questi resti hanno la straordinaria capacità di assumere al loro interno una
moltitudine di sfaccettature: se da una parte costituiscono un‟insidia per la
sopravvivenza stessa dell‟umanità, dall‟altra esercitano il fascino di oggetti consunti e
vissuti; sbarazzarsi di loro rende liberi, ma tale condizione è effimera poiché, come gli
abitanti di Leonia, non si finirà mai di buttare materia vecchia per accumularne di nuova;
attraverso la loro scorza si può comprendere la società e in loro vengono identificati
milioni di miserabili “scarti umani”. A seconda delle prospettive, la spazzatura può
essere considerata ripugnante come un escremento o preziosa come l‟oro
6
, la si può
leggere come somma di scarti inutilizzabili o, alternativamente, come risorsa materiale
inaspettata che, sotto l‟apparenza, palesa ancora un senso, magari soltanto affettivo.
Inoltre dal pattume si può ricavare una valida forma di conoscenza, tanto come
moderna archeologia sociale che come utile indagine psicologica e sociale dell‟uomo-
consumatore. È un tipo di sapere frammentato, fatto di pezzi che a volte non
combaciano, parziali, ma proprio questa sua natura induce a compiere uno sforzo
ulteriore per oltrepassare quello che si dà per scontato, per cercare una verità che sta
sempre un po‟ più in là.
John Scanlan, intellettuale anglosassone che si occupa di tematiche ecologiche in
relazione ad arte e letteratura, ammette senza dubbio che «la spazzatura ha a che fare con
l‟ambiguo; non ci dice né una cosa né l‟altra […] si trova laddove una cosa ne diventa
un‟altra, dove oggetti un tempo noti e accertati si trasformano in una massa di parti
5
Ibid.
6
È Freud a considerare lo stretto rapporto tra feci e denaro, l‟ambivalenza degli escrementi, che sono
dapprima dono prezioso per il bambino, destinato poi a diventargli ripugnate col progresso
dell‟educazione (Carattere ed erotismo anale, 1908). Il denaro è paragonabile alla spazzatura per la sua
assenza di forma, per il suo esistere in relazione ma anche al di là del tempo umano e per la sua costante
trasformazione.
10
incompatibili»
7
. Poiché l‟immondizia non si riferisce precisamente a un‟entità, ma è un
guazzabuglio di indeterminatezza, una condizione di disordine, qualcosa che un tempo
era un oggetto, sfugge a una definizione esatta e di conseguenza sovverte l‟ordine
simbolico convenzionale attraverso cui interpretiamo il mondo, essa capovolge «il
dialogo reale-simbolico perché ne possiamo svelare più lati se osserviamo il modo in cui
altre cose, giudizi e stili di vita, ne sono il simbolo»
8
.
Anziché semplicemente costituire la prova dell‟esistenza di un qualche tipo di
problema ecologico contemporaneo, il pattume, nell‟accezione allargata di residuo
separato dalle cose cui attribuiamo valore, invade ogni campo. Guardando più da vicino
i cumuli di robaccia agli angoli delle strade, si scopre una materia ricca di implicazioni,
perché quello che l‟uomo getta, più di quel che si pensi, ha a che fare con quello che egli
è: dalla sua veste più esterna di soggetto sociale, attraverso quella di individuo fino, alla
più profonda dimensione psichica. Chiosando ancora una volta John Scanlan, nella
spazzatura si può leggere «una storia ombra della vita moderna, laddove le condizioni
della sua produzione e i mezzi attraverso i quali viene resa invisibile, le conferiscano un
ruolo di sgradito “doppio” dell‟individuo»
9
.
Avvicinare lo scarto, in tutte le sue accezioni, al linguaggio psicanalitico è inevitabile:
il sommerso, il rimosso lega indissolubilmente mondo, società, individuo e psiche. In
proposito, nel 1978, il filosofo francese Jean Baudrillard dava del “resto” questa
definizione:
7
John Scanlan, docente di Storia dell‟ambiente all‟Università di St. Andrews, in Scozia, affronta in questo
suo volume l‟evoluzione del concetto di rifiuto nella storia della cultura occidentale. Secondo la sua
prospettiva, la questione del degrado ambientale è solo l‟ultimo e tangibile risultato di una serie di scorie
culturali, derivanti dal rapporto tra l‟idea di scarto e la conoscenza, l‟arte, la letteratura, l‟antropologia, la
filosofia, l‟informatica. JOHN SCANLAN, Spazzatura, trad. it. di Marta Monterisi, Roma, Donzelli editore,
2006, pp. 15-16 (London, 2005).
8
Ivi, p. 16.
9
Ivi, p. 41.
11
Il resto è diventato oggi il termine forte. È sul resto che si fonda una nuova intelligibilità.
Fine di una certa logica delle opposizioni distintive in cui il termine debole funzionava
come termine residuale. Oggi tutto si capovolge. La stessa psicoanalisi è la prima grande
teorizzazione sui residui (lapsus, sogni, ecc.). […] Tutta la normalità è rivista oggi alla
luce della follia, che non era che il suo resto insignificante. Privilegio di tutti i resti, in tutti
i campi, del non detto, del femminile, del folle, del marginale, dell‟escremento e del
rifiuto in arte, ecc. Ma questo non è ancora che un sorta di inversione della struttura, di
ritorno del rimosso come tempo forte, di ritorno del resto come sovrappiù di senso, come
eccedenza
10
.
Sotto questa luce, prendere in esame una tale tematica equivale a una totale rivalutazione
del residuale, a una rilettura del contingente attraverso quello che si esclude, cogliendo il
motivo dell‟estromissione nella sua intima scomodità.
Se la spazzatura è l‟ombra che segue le tracce del mondo, allora una delle
concettualizzazioni psicanalitiche a lei più adeguate sembra risiedere nella nozione di
perturbante. Freud, nel suo scritto del 1919 intitolato appunto Il perturbante, all‟interno
di Saggi sull‟arte, la letteratura e il linguaggio, attribuisce questo termine a
quell‟immagine, oggetto, situazione o dinamica inquietante, che in un primo tempo pare
sconosciuta e inconsueta, ma in seguito si rivela velatamente ordinaria e resiste a ogni
tentativo di separazione. «Il perturbante» scrive Freud «non è niente in realtà di nuovo o
estraneo, bensì qualcosa di familiare alla vita psichica fin da tempi antichissimi che è
diventato estraneo soltanto per via del processo di rimozione»
11
. Cosa di più familiare
allora degli avanzi della nostra cena, degli scarti di lavorazione di una fabbrica, del
mucchio delle scarpe consunte stipate in cantina che non vogliamo vedere o toccare?
L‟immondizia acquisisce la capacità di scatenare orrore a causa dei presunti effetti
dannosi che può produrre sul corpo dell‟uomo e su quello dell‟ordine sociale, mettendo
in luce così la loro natura fragile e transitoria.
10
JEAN BAUDRILLARD, Quando si toglie tutto, non resta niente, in «Kainós», rivista online di critica
filosofica, n. 4/5 – Rifiuti, 2004, www.kainos.it (trad. dell‟articolo di Vincenzo Cuomo: Quand on enlève
tout, il ne reste rien, apparso in «Traverses», maggio 1978, 11, pp. 12-15).
11
SIGMUND FREUD, Il Perturbante, in ID., Opere, vol. IX, trad. it. di Silvano Daniele, Torino, Bollati
Boringhieri, 1969, pp. 269-307: 294.
12
È impossibile immaginare oggi una città o uno spazio molto affollato senza la presenza
spettrale di qualcosa che sta diventando niente: che esiste, ma è destinata a non essere
più. Nell‟ottica di una modernità usa-e-getta, il cittadino-consumatore ideale, viene
coinvolto in una continua battaglia psicologica, colma di contraddizioni: deve acquistare
di continuo e alla stesso tempo gettar via con uguale entusiasmo e regolarità. Nei luoghi
dove si celebra il desiderio e il consumo di milioni di nuovi prodotti, la spazzatura
dispersa, presa a calci dai passanti, racimolata dai barboni, è sufficiente a rivelare la
natura perturbante dell‟esistenza umana nella società moderna.
Non essendo né oggetto, né soggetto, secondo la linguista e psicanalista Julia Kristeva,
i rifiuti rappresentano niente meno che l‟abbietto. Questa categoria ha «una sola
caratteristica dell‟oggetto – quella di essere opposto all‟Io […] – ciò che è abbietto, […]
l‟oggetto espulso, è radicalmente escluso e mi indirizza verso un luogo dove il
significato si disintegra»
12
. Tutto quello che viene lasciato da parte, separato, può
richiamare un forte senso del perturbante, come se si trattasse – rispetto a immagini
freudiane – di un arto staccato dal corpo, di una cosa morta che riserva ancora un po‟ di
vita. Sempre Kristeva puntualizza che solo nel caso l‟abbietto venga riesumato a
presenza effettiva può avere un effetto dirompente, se invece resta al margine della non-
esistenza esso diventa una sorta di «sillabario» della cultura
13
e tale sembra essere
appunto il ruolo della spazzatura. Se interiorizzati, i prodotti di consumo conferiscono
protezione e sostegno all‟interno di questa linea di demarcazione, perché non sono solo
pezzi di materia, ma possiedono una funzione, seppur labile, sono oggetti e proiezioni di
desiderio. La pura materia invece non rientra in quella dimensione magica che Karl
Marx chiamava “feticismo dei beni”, perché è priva di forma, si indifferenza sempre più
12
JULIA KRISTEVA, Poteri dell‟orrore: saggio sull‟abiezione, trad. it. di Annalisa Scalco, Milano, Spirali,
1981, p. 30.
13
Ibid.
13
e inoltre ha perso il suo valore d‟uso e di scambio, apparendo alla maggioranza solo
come un ostacolo, fonte d‟intralcio e disgusto.
Il consumatore, e in generale la società, rifugge dalla cosa mortifera e sporca perché
raramente è consapevole della degradazione finale implicita nel mondo dei prodotti,
come non ha coscienza degli impulsi sollecitati dal desiderio. I meccanismi di marketing
portano a una sorta di amnesia sociale che fa sì che si continui a comprare, consumare,
indi distruggere proprio perché si dimentica. Il desiderio in continua espansione,
soddisfatti gli appetiti, ricercando sempre nuove esperienze, genera il vuoto che alla fine
viene colmato niente meno che dalla spazzatura: nullità per eccellenza della vita
contemporanea. Solo quando l‟esperienza diretta porta allo scontro inevitabile con gli
scarti, allora emerge la loro effettiva indistruttibilità. Il rapporto con i residui assomiglia
alla relazione con la morte: il pattume non è eludibile, ha la certezza di un dato di fatto e
l‟unico imperativo salvifico è quello di allontanarla ogni giorno dall‟esistenza.
Per il sociologo Zygmunt Bauman, teorizzatore della modernità liquida
14
, la vita
premoderna era una ripetizione della durata infinita di tutto, tranne che dell‟esperienza
mortale; la vita liquida che caratterizza la modernità è invece un‟incessante ripetizione
della transitorietà universale. Egli ribadisce lucidamente che:
Nulla al mondo è destinato a durare, figuriamoci poi a durare per sempre. Gli oggetti utili
e indispensabili di oggi, con pochissime eccezioni, sono i rifiuti di domani. […] Tutto
nasce con il marchio della morte imminente; tutto esce dalla catena di produzione con
incollata un‟etichetta che indica la data entro la quale va usato […]. Tutte le cose, generate
o prodotte, umane o no, sono “fino a nuovo avviso”, sono “a perdere”. Un fantasma si
aggira fra gli abitanti del mondo liquido-moderno e fra tutte le loro fatiche e creazioni: il
fantasma dell‟esubero
15
.
14
ZYGMUNT BAUMAN, Vite di scarto, trad. it. di Marina Astrologo, Roma-Bari, Laterza, 2007, (Oxford,
2004). Si vedano anche le precedenti pubblicazioni, edite in Italia sempre da Laterza: Modernità liquida,
2002; Amore liquido, 2003; Vita liquida, 2006. Nei suoi lavori, Bauman ha tentato di spiegare la
postmodernità usando i concetti di 'liquidità' e 'solidità'. Egli sostiene che l‟incertezza che attanaglia la
società odierna derivi dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori e legge la
storia della contemporaneità come un lungo processo di liquefazione continua di tutti quei fondamenti
solidi costruiti nel passato.
15
Ivi, p.120.
14
La modernità liquida nella quale siamo immersi è frutto di una civiltà dell‟eccesso, dello
scarto, delle scadenze e della morte. Gettare via è un gesto inevitabile e indispensabile:
da una parte lo impone il sistema produttivo, dall‟altra è l‟unico modo per non venire
soffocati dalla marea montante di residui, permettendo di distinguere ciò che conta, da
ciò che non vale più. Si fa presto a dimostrare che il passato, anche quello più recente, è
roba vecchia e come gli oggetti usati e rovinati, semplicemente impedisce l‟esistenza.
Per questo “buttare la roba” è un sinonimo di liberazione – seppure illusoria – e ha molto
a che fare con la psicologia della stabilità personale, in quanto ritarda il nostro funerale
interiore.
Lo sapeva bene Calvino che, nel suo racconto-saggio autobiografico La poubelle
agréée
16
, descriveva l‟abitudine domestica, ricca di implicazioni sociologiche e
antropologiche, di portar fuori il secchio della pattumiera. In diversi passaggi lo scrittore
celebra quello che egli definisce un «rito di purificazione», perché buttare non significa
altro che abbandono delle scorie di se stessi. Scrive Calvino:
l‟importante è che in questo mio gesto quotidiano io confermi la necessità di separarmi da
una parte di ciò che era mio, la spoglia o crisalide o limone spremuto del vivere, perché ne
resti la sostanza, perché domani io possa identificarmi per completo (senza residui) in ciò
che sono e ho. Soltanto buttando via posso assicurarmi che qualcosa di me non è stato
ancora buttato e forse non è né sarà da buttare
17
.
Il contenuto della poubelle rappresenta la parte di noi che va tolta per poter dare spazio a
nuove forme, nuova vita. Questa catarsi quotidiana diventa anche un modo per
16
Uscito in un primo momento su «Paragone letteratura» (XXVII, 324, febbraio 1977, pp. 3-20), il testo
venne raccolto nella silloge postuma ITALO CALVINO, La strada di San Giovanni (Milano, Mondadori,
1990) accanto a La strada di San Giovanni, Autobiografia di uno spettatore, Ricordo di una battaglia e
Dall‟opaco; il racconto avrebbe dovuto confluire nel volume dal titolo Passaggi obbligati. Cito il testo da
ITALO CALVINO, La poubelle agréée, in ID., Romanzi e racconti. Racconti sparsi e altri scritti
d‟invenzione, vol. III, ed. dir. da CLAUDIO MILANINI, a cura di MARIO BARENGHI – BRUNO FALCETTO,
con una bibliografia degli scritti di Italo Calvino a cura di LUCA BARANELLI, Milano, Arnoldo Mondadori,
1994, pp. 59-79.
17
Ivi, p. 65.
15
esorcizzare la morte, ritardando il più possibile il momento in cui tutti saremo detrito
ultimo, polvere:
Questa quotidiana rappresentazione della discesa sotterranea, questo funerale domestico e
municipale della spazzatura, è inteso in primo luogo ad allontanare il funerale della
persona, a rimandarlo sia pur di poco, a confermarmi che ancora per un giorno sono stato
produttore di scorie e non scoria io stesso
18
.
Una volta estromessi dallo spazio domestico, gli oggetti di scarto sono visti solo come
materia inerte e hanno perso qualsiasi attrattiva per il consumatore. L‟immondizia
sparisce in uno spazio esterno, possibilmente fuori dalla visuale comune, diventando
facilmente invisibile. «La rimozione è un aspetto cruciale nel mondo degli oggetti»,
scrive Scanlan, «dal momento che la spazzatura è vista come esternalità in termini sia
materiali che psicologici»
19
. Tutti i rifiuti vengono ben presto rimpiazzati da altri, i
cumuli passano nell‟indifferenza sotto gli occhi della gente, come se il continuo
ricambio ne impedisse la percezione, eppure la loro presenza è persistente e difficile da
cancellare.
I raccoglitori: vecchi e nuovi scavenger
L‟organizzazione dello smaltimento fa apparire l‟immondizia come un insieme di roba
che non è più identificabile con alcunché, a cui viene negata ogni relazione passata e
presente con i “vivi” diventando competenza esclusiva delle persone che hanno il dovere
di occuparsene.
L‟importanza sociale dei raccoglitori di rifiuti sfugge all‟attenzione dei più, forse
perché della spazzatura è sempre meglio che se ne occupino gli altri, meglio se in tempi
rapidi e in maniera silenziosa. Eppure il loro lavoro è indispensabile per preservare la
18
Ivi, p. 66.
19
JOHN SCANLAN, op. cit., p. 171.
16
nostra identità e non finire sommersi: gli spazzaturai, a Leonia, «sono accolti come
angeli» il loro compito di rimozione è circondato «d‟un rispetto silenzioso, come un rito
che ispira devozione, o forse solo perché buttata via la roba, nessuno vuole averci da
pensare»
20
.
Nella società preindustriale, la distinzione tra rifiuti e risorse era in qualche modo
istituzionalizzata e incorporata nella struttura della gerarchia sociale: non c‟era spreco,
tutto veniva letteralmente consumato fin nelle sue ultime possibilità
21
. Tuttavia non
mancavano alcune figure – spesso schiavi, galeotti, talvolta vere e proprie corporazioni –
destinate alla pulizia delle strade e agli spurghi dei pozzi neri. Solo quando i residui della
produzione hanno cominciato a confluire in quella massa di materiale che viene definita
“rifiuti” – tra la fine del XIX e l‟inizio del XX secolo –, si sono costituite identità
professionali e imprese, pubbliche o private, addette alla raccolta. Tuttavia, oggi come
ieri, un pregiudizio diffuso colloca il mestiere di spazzare le strade tra i gradini più bassi
della piramide sociale e professionale, spesso etichettandolo come lavoro per immigrati
o per chi non ha saputo trovare di meglio
22
. Ma se gli ignari consumatori, come li
descrive Bauman, sono «sintonizzati sul mondo del “pronto all‟uso” e sul mondo della
soddisfazione istantanea», che di fatto «non comprende lo svolgimento di lavori sporchi,
20
ITALO CALVINO, Le città invisibili, cit., p. 456.
21
Guido Viale in Un mondo usa e getta (cit.), osserva come quella attuale sia non una civiltà dei consumi,
se per consumo si intende un‟utilizzazione esaustiva di ciò che è stato prodotto, ma piuttosto dello spreco.
I rifiuti non sarebbero altro che la manifestazione di questa frattura crescente tra quello che produciamo e
quello che consumiamo solo fino ad un certo punto.
22
Così Calvino descriveva gli eboueur (“sfangatori”) nordafricani che operavano a Parigi: «È proprio dei
demoni e degli angeli presentarsi come stranieri, visitatori di un altro mondo. Così gli eboueurs affiorano
dalle nebbie del mattino, i lineamenti che non si distaccano dall‟indistinto: cere terree – i Nordafricani –
un po‟ di baffi, uno zuccotto in capo; o – quelli dell‟Africa nera – solo il bulbo degli occhi che rischiara il
viso perso nel buio; voci che sovrappongono al ronzio smorzato dell‟autocarro suoni inarticolati per i
nostri orecchi, suoni apportatori di sollievo quando trapelano nel sonno della mattina, rassicurandoti che
puoi continuare a dormire ancora un poco perché altri stanno lavorando per te. […] nel sonno senti che
l‟autocarro non macina solo spazzatura ma vite umane e ruoli sociali e privilegi e non si ferma finché non
ha fatto tutto il giro». ITALO CALVINO, La poubelle agréée, cit., p. 68.
17
sfibranti, noiosi o semplicemente non divertenti», allora inevitabilmente «il bisogno di
“spazzaturai” cresce, e il numero delle persone disposte a diventarlo cala»
23
.
Se per alcuni riappropriarsi degli scarti altrui è materia professionale – gli spazzini
appunto, ma anche gli addetti alla raccolta differenziata e i ricercatori ambientali –, per
altri rappresenta una fonte di conoscenza, creatività e a volte anche proprio di
ricchezza
24
.
Il termine inglese «muckraker» (letteralmente “colui che razzola tra i rifiuti”), che si
riferiva nei primi del Novecento a una pratica spregiudicata di giornalismo il cui
obiettivo era fare le pulci a istituzioni e persone influenti per scovare comportamenti
illegali, è stato usato di recente per indicare organizzazioni e studiosi interessati a
servirsi della spazzatura per svolgere indagini sociali o investigare sulle vite private di
personaggi dello spettacolo e della politica
25
. Negli anni Settanta un gruppo di ricercatori
dell‟Università dell‟Arizona diede vita al cosiddetto Garbage Project, con la
convinzione che nei rifiuti si nascondesse la verità sulla società dei consumi e che la
spazzaturologia, vera e propria disciplina nata su basi archeologiche, fosse la scienza
perfetta per decifrare un presente di accumulo e sprechi. L‟obiettivo era studiare la vita
umana partendo dai residui, seguendo principi scientifici come la classificazione degli
scarti in 190 categorie, la mappatura della distribuzione spaziale di certi tipi
d‟immondizia, lo studio psicanalitico della relazione tra l‟interno e l‟esterno delle vite
delle persone alla ricerca del loro fondo psicologico dissepolto e non risolto. D‟altronde,
oggigiorno, nelle organizzazioni di trattamento rifiuti di tipo industriale, gli addetti al
23
ZYGMUNT BAUMAN, Vite di scarto, cit., p. 75.
24
«Una volta che qualcosa che stava dentro viene espulso, quel qualcosa non è più soggetto a controllo e
proprio per questo la necessità stessa del rilascio innesta delle situazioni incontrollabili; perché una volta
fuori, non va semplicemente via; piuttosto, invita a una ri-appropriazione». JOHN SCANLAN, op. cit., p.
190.
25
Famoso negli anni Sessanta-Settanta, in Usa, il caso di A. J. Weberman. Questi, in maniera morbosa e ai
limiti della legalità, si specializzò nella pratica di perquisizione dei sacchetti dell‟immondizia di Bob
Dylan e di altri personaggi famosi, nel tentativo di carpirne la vera personalità, i segreti professionali e la
vita privata.
18
riciclo, attraverso la pratica delle 'carotature' nelle discariche, compiono veri e propri
studi relativi allo stato di decomposizione della materia nei suoi strati successivi e al
grado di pericolosità delle sostanze rilasciate nel terreno.
Quando non è così metodica la pratica di frugare in cave o cassonetti alla ricerca di
qualcosa di utile, assume il doppio volto di hobby originale o tragica strategia di
sopravvivenza. Negli Usa è di moda essere un raccoglitore di mongo, termine con cui,
nello slang newyorkese si indica la spazzatura riciclata: gli oggetti buttati vengono
recuperati dal bordo delle strade da una serie di appassionati collezionisti che
appropriandosene li salvano da una fine certa nella discarica di Fresh Kills, la più grande
al mondo. Il giornalista di origine sudafricana Ted Botha nel suo libro, intitolato appunto
Mongo
26
, riferisce le dinamiche, le pratiche e le manie di questa passione ed elenca i
diversi tipi di raccoglitori: coloro che pigliano tutto senza grandi distinzioni, spinti dalla
frenesia dell‟affare a costo zero; i cacciatori di tesori e preziosi da rivendere (libri rari,
gioielli, oggetti antichi); chi recupera materia prima per restaurare e ammobiliare interi
edifici; gli esteti amanti del vintage e parecchi artisti che con i materiali raccolti si
dedicano al bricolage, creando opere d‟are e vere installazioni
27
.
Infine c‟è chi rovista, con precise accortezze o alla cieca, semplicemente per procurarsi
da vivere. Barboni, clochard, persone ai margini – per scelta o sventura – spesso senza
fissa dimora, si trovano a frugare nei cassonetti, nei cestini del parco, nei sacchi neri
fuori dai ristoranti, alla ricerca di qualsiasi cosa possa tornare loro utile: dai mozziconi di
sigaretta, agli avanzi di cibo e indumenti usati. Si tratta di un variegato campione di
umanità emarginata che contraddistingue sempre più le periferie delle grandi città, ma
26
TED BOTHA, Mongo. Avventure nell‟immondizia, trad. it. di Carlo Torielli, Milano, Isbn edizioni, 2006
(New York, 2004).
27
Anche in Italia, al Mart di Rovereto, nel 1997 si è tenuta una mostra dal titolo «Trash. Quando i rifiuti
diventano arte» dedicata agli artisti che lavorano con la spazzatura. Vedi catalogo: LEA VERGINE (a cura
di), Trash. Quando i rifiuti diventano arte, Milano, Electa, 1997.