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Presentazione
“I am not free while any woman is unfree, even when her shackles
are very different from my own.”
Non sono libera se una qualsiasi altra donna non lo è. Anche se le sue catene
sono molto diverse dalle mie.
Audre Lorde (1934-1992)
Questo lavoro è una ricerca che riguarda una categoria di lavoratrici da tutti
conosciuta e ricordata nella mia città, ossia le operaie della fabbrica
Borsalino di Alessandria. Un lavoro un po’ nostalgico, forse, ma per alcuni
temi trattati – salari, lavoro femminile, maschilismo – decisamente, e
dolorosamente, attuale. Non ricordo esattamente come e perché decisi di
dedicarmi a questo tema mentre mi interrogavo su quale argomento
scegliere per la mia seconda tesi di laurea, ma ricordo distintamente che una
mattina, mentre passeggiavo per le strade della mia città, mi imbattei in
quello che ormai viene chiamato Palazzo Borsalino (la sede dello
stabilimento per più di cinquant’anni), ora sede di alcuni dipartimenti
dell’Università del Piemonte Orientale, e mi ritrovai ad osservare, su quel
Figura 1- fonte: http://www.asmcostruireinsieme.it/
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portone che ogni giorno vedeva passare frotte di operai, questa bellissima e
ormai famosa immagine (fig.1) che ritrae le operaie all’uscita dal lavoro, a
fine giornata, quasi tutte nell’atto di inforcare la bicicletta per tornare a casa.
In quel momento mi sono chiesta: perché no?
Ho deciso dunque di dedicarmi a questa classe operaia, con l’intenzione,
attraverso le testimonianze, di ricostruirne la storia e l’identità. La tesi si
sviluppa a partire dalla storia dello stabilimento in sé, dalle origini fino ai
giorni nostri, e continua, nel secondo capitolo, con una disamina di carattere
generale sul lavoro femminile: la sua evoluzione, i suoi problemi, le
conquiste.
Nel terzo capitolo, dopo un’analisi il più possibile dettagliata relativa ai dati
occupazionali e salariali in mio possesso, ho tracciato una storia sociale delle
“borsaline”, attraverso le testimonianze dirette e indirette che ho raccolto, con
l’aiuto di saggi e articoli scritti da altri studiosi e aggiungendo, ai dati
oggettivi, reminiscenze derivate dai miei studi – specialmente in ambito
antropologico – considerazioni e conclusioni personali.
Nel quarto capitolo ho preso in esame tutte le testimonianze scritte
riguardanti le «borsaline» che ho trovato, specialmente in ambito poetico e
satirico:, forte dei miei studi letterari, ho cercato di analizzarle e commentarle
dettagliatamente. Di ogni considerazione e giudizio (a parte un caso isolato,
del quale nell’andamento del capitolo viene comunque specificato l’autore)
son esclusivamente responsabile.
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Capitolo 1
Borsalino: la storia
1.1. Le origini.
Giuseppe Borsalino nacque il 15 settembre 1834 a Pecetto di Valenza, un
borgo di origine romana di un migliaio di abitanti, basato su un’economia
prevalentemente agricola, situato sulle colline a settentrione di Alessandria, a
poco più di dieci chilometri dalla città. I genitori, Giuseppe Renzo e Rosa
Veglio, si erano sposati nel 1813 e avevano avuto cinque figli: Luigia, Maria,
Giuseppe, Santina e Lazzaro. Di umili origini, Giuseppe si mostrò da subito
vivace, estroverso ed irrequieto, poco studioso ma intelligente. Facile a
saltare le lezioni, la madre soleva ripetergli: «tì at devi bitet a fé el capplé
almen at sbrai cui ié la testa», ovvero: “devi metterti a fare il cappellaio, così
almeno saprai che c’è la testa”. Il piccolo paese natale cominciò ben presto a
stargli stretto; a dodici anni fece fagotto e si avventurò ad Alessandria, dove
si impiegò presso il laboratorio di Sebastiano Camagna, uno degli storici
artigiani cappellai della città. Intraprese e terminò il duro tirocinio, imparando i
rudimenti della professione e della lavorazione che allora avveniva
interamente a mano. A diciassette anni , dopo l’apprendistato e una breve
permanenza nella fabbrica di Intra e poi a Sestri Ponente, Giuseppe
Borsalino prese la via per la Francia, al tempo all’avanguardia per la
produzione di cappelli e nel campo della moda. Osservando le manifatture
francesi, Borsalino si rese conto dell’arretratezza tecnologica e operativa
della lavorazione e degli stessi modelli presentati sul mercato dalle
manifatture italiane. I cappellai hanno sempre avuto vocazione cosmopolita e
si sono sempre mossi tra i vari paesi europei, specialmente in Francia,
promuovendo la circolazione e lo scambio di idee: probabilmente era più
agevole scavalcare l’arco alpino piuttosto che avventurarsi nella miriade di
staterelli dell’Italia preunitaria. Proprio a causa di questo spirito, Borsalino si
presentò subito con tratti originali e densi di suggestioni. Viaggiò una
seconda volta in Francia, per apprendere i segreti dei maestri ed “esportarli”
in Italia; fu prima a Marsiglia, sede di operosi cappellifici, poi a Aix-en-
Provence, che sarebbe diventata famosa per la produzione di attrezzature
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per l’industria del cappello; quindi a Bordeaux e infine a Parigi, dove
completò la sua esperienza nella mitica cappelleria Berteil, che confezionava
cappelli di lusso in pelo di castoro (ovviamente ancora a mano). L’8 dicembre
1856 Borsalino rientrò in Italia, munito di certificato di mestiere rilasciatogli
dai cappellifici francesi, necessario per aprire la propria bottega, e di un ricco
bagaglio esperienziale e tecnico. Era consapevole del proprio valore e
dell’importanza delle nozioni acquisite in Francia; si narra che alla partenza
per Pecetto avesse dimenticato a casa della sorella il fazzoletto di seta che
portava al collo. La settimana seguente ritornò in città e la sorella volle
restituirglielo; egli le disse però: «Tienilo, lo darai fra cento anni ai miei nipoti
che ricordino la data del mio arrivo da Parigi, perché io ho deciso di
cominciare a fare adesso una cosa che fra cento anni ci sarà ancora. »
(riportato in Barberis, 2007). Dalla Francia fece ritorno quindi col proposito di
mettersi a lavorare in proprio. In città viveva il fratello Lazzaro, che faceva il
mediatore; egli nel frattempo si era sposato e aveva una bella cognata,
Angela Prati, che diventerà la moglie dello stesso Giuseppe. Col fratello aprì
la sua prima “follatura” in un cortile di via Schiavina, all’inizio del 1857;
secondo le cronache il primo “Borsalino” venne prodotto il 4 aprile. Nel giro di
qualche mese il laboratorio ospitò una decina di artigiani con una produzione
giornaliera di 35-40 cappelli (Barberis, 2007). Poco dopo abbandonò il cortile
e rilevò una piccola fabbrica di cappelli di un certo signor Primo, in via
Vescovado, quasi in piazzetta Santa Lucia, ed aprì un negozietto per la
vendita in via Maestra, oggi via Milano. L’originalità del modello Borsalino
consisteva nella ricerca e nell’assunzione dei valori professionali come
elemento decisivo per la nascita dell’impresa. Nel settore dei cappellifici era
sufficiente mettere insieme una tecnologia tutto sommato povera e una
manodopera qualificata che l’imprenditore stesso formava e aggiornava sul
lavoro.
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1.2. L’affermazione della Borsalino
La Borsalino dunque si ingrandì con continuità e in misura apprezzabile,
raggiungendo una posizione ragguardevole nel panorama industriale locale;
la produzione annuale di qualche decina di migliaia di cappelli veniva
assorbita senza problemi dal mercato: il livello di benessere stava d’altronde
lentamente migliorando e parevano non esservi vincoli all’offerta. Con
l’unificazione dello Stato, poi, sembrarono cadere anche le barriere regionali,
permettendo così alla fabbrica alessandrina di aprirsi anche verso i mercati
limitrofi. La Camera di Commercio di Alessandria segnalava già negli anni
Settanta dell’Ottocento la supremazia della Borsalino nella fabbricazione di
cappelli, seguita a distanza dalle ditte di Sebastiano Camagna, Francesco
Valizzone, Teresio Germano e tanti altri. Gli inizi furono graduali, ma in poco
tempo gli operai arrivarono ad essere quaranta, nel 1861 toccarono la
sessantina, con una produzione giornaliera di centoventi cappelli, e nel 1867
furono ottanta, con centoottanta cappelli confezionati al giorno. Nello stesso
anno la ditta ottenne la menzione d’onore all’Esposizione Universale di
Parigi, primo dei tanti riconoscimenti che le verranno attribuiti nel corso degli
anni: medaglia di prima classe all’Esposizione dell’Industria di Torino nel
1868 e la menzione onorevole, come espositore fuori concorso,
all’Esposizione Generale Italiana a Torino nel 1884 (Barberis, 2007). Ben
presto la ditta dovette fare i conti con la mancanza di spazio e la necessità di
una rilocalizzazione: nel 1871, quando ormai gli operai erano centotrenta e
producevano trecento cappelli al giorno, la Borsalino trasferì gli impianti in via
dell’Orto (attualmente via Tripoli), nel cantone della Carrarola, in un gruppo di
edifici disposti su 3.500 metri quadrati di superficie, con quattro corpi di
fabbrica e sei cortili. Il complesso si trovava a ridosso della circonvallazione e
del canale Carlo Alberto. Il trasferimento permise di assecondare la tendenza
espansiva della fabbrica e l’aumento del personale (centoottanta unità per
quattrocentodieci cappelli prodotti al giorno nel 1876) insieme all’introduzione
dei primi procedimenti meccanici. Nel decennio 1861-71 la produttività era
incrementata grandemente (Barberis, 2007).
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Gli affari cominciarono da subito a funzionare bene: aprì una fabbrica per
cappelli a cilindro e cappelli di tipo “duro” a Genova, che gestì dal 1874 al
1883, e un’altra a Verona nel 1880 per la lavorazione di un cappello più
comune destinato all’esportazione. Questa esperienza segnala l’ingresso
stabile della Borsalino nei mercati mondiali: già all’inizio degli anni Settanta
dell’Ottocento, infatti, la ditta collocava annualmente all’estero circa 5.000
cappelli, che alla fine del decennio toccarono le 10.000 unità e nel 1888 i
50.000 pezzi esportati, un terzo circa della produzione totale (Barberis,
2007). Queste due fabbriche, poi, in seguito all’esplorazione del mercato,
vennero spostate in Alessandria e divennero il cuore pulsante di tutta
l’attività; fu lì che, formandosi una buona maestranza che andava
gradatamente aumentando e scegliendo con cura i propri capi tecnici, la
Borsalino gettò le basi della sua futura fortuna. Le deposizioni di Giuseppe
Borsalino per l’inchiesta industriale del 1870-74 forniscono uno spaccato
conoscitivo dello stabilimento alessandrino: dei centoottanta operai quaranta
erano donne e venti fanciulli e lavoravano 10-11 ore al giorno, spesso anche
durante le festività, sia per cappelleria di lusso che comune. La materia prima
si importava da Francia e Inghilterra: pelo di coniglio selvatico, castoro, nutria
e lepre, con lavorazione eseguita soprattutto a mano ma anche a macchina
per gli articoli ordinari. Veniva dichiarato che le esportazioni avvenivano in
Egitto, Grecia e Stati Uniti, mentre per il mercato interno la ditta subiva la
concorrenza inglese e francese. Per fare un confronto, nello stesso periodo il
cappellificio Camagna occupava 40 operai, produceva cappelli comuni ed
esportava pochissimo in America. Giuseppe Borsalino si inserì nel coro
protezionistico promotore di un’inchiesta che sarebbe poi sfociata nel varo
delle tariffe doganali. La crescita di produzione del cappellificio, che si stava
avvicinando ai 100.000 cappelli all’anno, non presentava particolari ostacoli
da rimuovere per via amministrativa; la ditta approfittava della crescita della
domanda interna riducendo allo stesso tempo la quota detenuta dai
produttori stranieri, molto poco danneggiata dai dazi ad valorem sull’entrata.
Le prime conquiste nel ramo dell’esportazione avrebbero però capovolto la
tendenza della Borsalino dal protezionismo ad un più convinto liberismo in
materia di traffici. Borsalino fu comunque il primo ad esportare in Germania,