Da quei tempi la natura del conflitto armato è molto cambiata. Se una volta
l’impiego dei bambini-soldato
1
rappresentava l’eccezione, nei conflitti armati odierni
l’eccezione consiste nel loro mancato arruolamento.
Trecentomila. Questo è il numero dei bambini-soldato sparsi in tutto il mondo
secondo le recenti stime del Rappresentante dei Bambini e Conflitti Armati del
Segretario Generale delle Nazioni Unite. Due milioni, invece, è il numero di bambini
che negli ultimi dieci anni hanno perso la vita a causa del coinvolgimento diretto o
indiretto in un conflitto armato. A milioni si contano per lo stesso motivo i piccoli
sfollati, gli orfani, i mutilati, i violentati. Numeri spaventosi di un fenomeno che non
dovrebbe nemmeno esistere. La decima parte di questa tragica realtà riguarda la
Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Sul fronte politico, le organizzazione specializzate e i mezzi d’informazione
parlano da decenni di crisi di stato-nazione, una crisi che sembra non avere fine
sebbene recentemente nel paese si sia avviata un’effettiva democratizzazione. Martin
Bell, ex corrispondente di guerra ed ex parlamentare britannico, oggi ambasciatore
dell’UNICEF, in una sua recente pubblicazione denuncia la situazione in Congo:
“Dalla leva militare a Cipro alla visita per conto dell’UNICEF nel 2006, ho trascorso
quasi mezzo secolo negli angoli irrequieti del mondo, comprendenti 99 paesi e 13 zone
di guerra. Quello nella RDC è stato il più scioccante, seppur per certi aspetti il più
ispiratore, di tutti questi incarichi”
2
.
Sul fronte storiografico, una miriade di opere sono state scritte da esperti
africanisti sui più diversi argomenti, tralasciando o non curandosi abbastanza del
terribile fenomeno dei bambini-soldato. Come ebbe a dire George Rupp, presidente
dell’organizzazione umanitaria International Rescue Committee, questa è “una
catastrofe umanitaria di orribili e scioccanti proporzioni. Le peggiori previsioni di
1
Nel presente lavoro utilizzeremo la locuzione «bambino-soldato» per riferirci ad ogni persona avente
meno di 18 anni che fa parte di qualsiasi tipo di gruppo o forza armata regolare o irregolare, a qualsiasi
titolo, indipendentemente dal fatto di portare con sé armi o meno. Quindi, per esempio, anche cuochi,
portatori, messaggeri, spie, così come le bambine o le adolescenti reclutate a fini sessuali o in vista di
un matrimonio forzato. Tale definizione corrisponde a quella formulata in occasione del simposio
tenutosi a Città del Capo (Sudafrica), nell’aprile del 1997 e formalizzata nei “Cape Town principles
and best practice on the prevention of recruitment of children into the armed forces and on
demobilization and social reintegration of child soldiers in Africa”. Fonte:
http://www.unicef.org/emerg/files/Cape_Town_Principles(1).pdf
2
M. Bell, Child alert. Democratic Republic of Congo, UNICEF, luglio 2006, p.7.
4
mortalità nel caso di una lunga guerra in Irak e i caduti di tutte le recenti guerre nei
Balcani non ci si avvicinano nemmeno. Eppure la crisi ha ricevuto scarsa attenzione
dai donatori internazionali e dai mezzi d’informazione”
3
.
Scopo del presente lavoro è riportare l’attenzione su un’atrocità locale che si
consuma silenziosamente da almeno dieci anni a causa di sciagurati giochi di potere
nazionali ed internazionali. Le ragioni che stanno a monte sono tante, complesse e
risalgono al secolo scorso. Per una migliore comprensione, perciò, cercheremo di
sviscerarne alcune all’inizio.
Quello che ci preme di più, invece, è evidenziare il fatto che nell’occhio del
ciclone ci sono ragazzi ed adolescenti costretti a vivere in condizioni disumane –
soggetti indifesi sottoposti ad inenarrabili violazioni dei diritti dell’infanzia. Ma, forse,
la cosa che più colpisce è che sono indottrinati ed indotti a partecipare ad una guerra di
cui, di norma, ignorano le cause e il senso.
Per stemperare tanta brutalità, conservando allo stesso tempo l’autenticità e la
crudezza dell’argomento, ci permettiamo di approcciare la vita dei protagonisti
ricorrendo al componimento di una poetessa franco-belga.
3
Fonte:
http://www.theirc.org/news/conflict_in_congo_deadliest_since_world_war_ii_says_the_irc.html
5
POESIA
Enfants-soldats
Sous le soleil brûlant de l’éternelle Afrique
Il est un fauve-roi au manteau de lumière
Qui promène en son flanc une ardeur meurtrière
Tapi dans le désert ou au fond d’une crique.
Sous les feux de midi lorsque tout semble mort
Lors même que tout dort dans la chaleur safrane
Ce guerrier guette encore au coeur de la savane
Avec une lueur dans sa pupille d’or.
Soudain le fauve clair en un saut fantastique
S’élance dans les airs et bondit sur sa proie
D’une pulsion mortelle il l’abat et la broie
La tue en un éclair, par sa force magique.
Moi je sais d’autres rois sous le ciel africain
A qui l’on a volé l’espoir et le royaume
Des guerriers trop menus, sans armure et sans heaume
Déguenillés, pieds nus, à peau de maroquin.
Nomades sans merci, au détour d’un chemin
- Car le sort est inscrit au fond de leurs yeux sombres
Comme dans une crypte où flotteraient des ombres -
Ils vont semer la mort, la grenade à la main.
Voilà l’enfant-soldat, l’enfant qu’on assassine
En bataillons épars sous le soleil brûlant
Pour le diamant, l’ivoire, et l’or noir et l’or blanc!
Un crayon dans la main, c’est la mort qu’il dessine.
Et sous son front têtu casqué de boucles noires
Les souvenirs venus du temps de l’innocence
- Ce baume répandu du flacon de l’enfance -
Sont un fil si ténu qu’il en perd la mémoire.
Au milieu des combats, rien et nul ne l’arrête
Plus tout-à-fait enfant, pas tout-à-fait un homme
Il est dieu, il est roi, déjà adulte en somme
Et se croit immortel, du meurtre plein la tête.
6
Bambini-soldato
Sotto il sole cocente dell’Africa eterna
C’è un feroce sovrano dal pelo brillante
Che cela nel cuore un ardore omicida
Nascosto nel deserto o in fondo a una grotta.
Sotto le fiamme del mezzodì quando tutto sembra morto
Quando tutto dorme nella calura di zafferano
Questo guerriero scruta il cuore della savana
Con un bagliore nella sua pupilla dorata.
Improvvisamente il fulvo con un salto straordinario
Si lancia nell’aria e balza sulla sua preda
Con una pulsione mortale l’abbatte e la stritola
La uccide in un lampo, con la sua magica forza.
Ma so di altri re sotto i cieli africani
Ai quali hanno rubato la speranza e il regno
Guerrieri troppo minuti, senza armatura né elmo
Cenciosi, a piedi nudi, dalla pelle di cuoio.
Nomadi senza pietà, sulla curva di un sentiero
(Poiché la sorte è scritta in fondo ai loro occhi scuri
Come in una cripta dove fluttuano ombre)
Seminano morte con la granata in mano.
Ecco il bambino-soldato, il bambino che uccidono
A battaglioni sparsi sotto il solo cocente:
Per i diamanti, l’avorio, l’oro nero e l’oro bianco!
Con la matita in mano disegna la morte.
E sotto la sua testa caparbia ricoperta di ricci neri
I ricordi venuti dall’età dell’innocenza
(Un balsamo sparso dal flacone dell’infanzia)
Sono un filo così tenue da perderne la memoria.
Nel mezzo dei combattimenti, niente e nessuno lo ferma
Poco più che bambino, non ancora uomo
Egli è dio, egli è re, in breve già adulto
E si crede immortale, e la sua testa trabocca di morte.
7
A la fin des combats, assis dedans la cendre,
De son fusil poisseux de sueur ou de sang
Il torture un grillon teinté d’or et d’argent,
Ecrase un scarabée ou une salamandre.
Que voit-il renversé sur un sac de cartouches
Dans ses yeux grand ouverts, le guerrier endormi
Qu’entend-il quand il meurt sous le feu ennemi,
Dans le tir des mortiers et sous le vol des mouches?
Drogué, intoxiqué, écrasé de soleil
Rêve-t’il d’un lagon et d’une source claire,
Reçoit-il sur son front le baiser de sa mère
A quoi peut-il rêver dans son dernier sommeil?
Pardonnez-moi, Seigneur, quand l’Afrique meurtrie
Pense à panser sa plaie et que renaît l’espoir
D’une éternelle paix sur le continent noir
Quand brillent les autels à l’heure où l’on Vous prie,
Quand on promet la paix, et la paix l’on célèbre,
Dans les constellations brillant au firmament
Je crois voir malgré moi un lion de diamant
Aux yeux de dieu païen riant dans les ténèbres.
I. Balot
8
Alla fine dei combattimenti, seduto sulla cenere,
Col suo fucile impiastricciato di sudore o di sangue
Tortura un grillo dipinto di oro o d’argento,
Schiaccia uno scarabeo o una salamandra.
Cosa vede rovesciato su un sacco di cartucce
Nei suoi grandi occhi aperti, il guerriero addormentato?
Cosa ode quando muore sotto il fuoco nemico,
Tra i colpi dei mortai e sotto il volo delle mosche?
Drogato, intossicato, cotto dal sole
Sogna forse un laghetto e una sorgente limpida?
Riceve sulla fronte il bacio di sua madre?
Cosa potrà sognare nel suo ultimo sonno?
Perdonami, Signore, quando l’Africa straziata
Pensa a medicare la sua ferita e che rinasca la speranza
Di una pace eterna sul continente nero
Quando brillano gli altari nell’ora in cui Ti preghiamo,
Quando promettiamo la pace, e la pace celebriamo,
Nelle costellazioni brillanti del firmamento
Credo di vedere mio malgrado un leone di diamanti
Con gli occhi di un dio pagano che ride nelle tenebre.
I. Balot
9
CARTINA RDC
10
INTRODUZIONE
Crediamo che l’amore e il rispetto per i bambini sono la chiave del progresso politico ed
umanitario. Molte delle più inestricabili dispute odierne, per quanto possano acquisire un
carattere etnico e religioso, sono nella sostanza lotte per le risorse e per la sopravvivenza. Il
problema della povertà e della violenza di oggi non diminuiranno a meno che non
investiamo nello sviluppo fisico, mentale e emotivo della prossima generazione.
UNICEF, The State of the World’s Children, 1996
Se c’è una lezione che dobbiamo trarre dall’esperienza del decennio
passato, è che l’uso di bambini-soldato è ben più di una questione
umanitaria, che il suo impatto va oltre il tempo del conflitto e che le
dimensioni del problema sono enormemente superiori al numero di
bambini direttamente coinvolti
4
.
Queste sono le parole che l’ex Segretario generale ONU Kofi Annan pronunciò
in un memorabile discorso all’Assemblea Generale durante la Sessione Speciale
sull’Infanzia tenutasi in via straordinaria nel maggio 2002. Da allora, la drammatica
situazione in cui versano decine di migliaia di giovani coinvolti nei conflitti
dell’Africa sub-sahariana non accenna a cambiare. Tuttavia, grazie agli sforzi di
persone celebri come Kofi Annan e meno celebri come Olara Otunnu e Radhika
Coomaraswamy, i governi di tutto il mondo e l’opinione pubblica sono stati
4
Fonte: http://www.child-soldiers.org/library/newletters?root_id=173&directory_id=189
11
rispettivamente sollecitati e venuti a conoscenza di un fenomeno semisconosciuto. Un
fenomeno sociale che non dovrebbe neppure esistere perché inconcepibile.
Dopo un’iniziale panoramica storico-sociale del paese, nel Capitolo I
comprenderemo come complesse dinamiche sociali, economiche e geopolitiche
abbiano portato il Kivu a trasformarsi nella polveriera della regione dei Grandi Laghi.
Ingenti interessi economici locali allacciatisi ai traffici internazionali di materie prime
e minerali preziosi; l’affaire della cittadinanza congolese – vera e propria risorsa –,
gestita strumentalmente durante trent’anni di dittatura e avviluppatasi alla storia di
popoli emigrati in Kivu decenni prima alla ricerca di terre coltivabili; e, infine, la
gestione clientelare della cosa pubblica con la connivenza di governi “amici” africani
ed extra-africani, hanno gettato le basi di un conflitto su larga scala indubbiamente
inevitabile, ma non per questo degno di una gestione rigorosa e virtuosa da parte della
comunità internazionale – Consiglio di Sicurezza in primis – che non c’è stata.
Nel Capitolo II forniremo al lettore un quadro generale del tema centrale, quello
dei bambini-soldato, ma lo collocheremo preventivamente in un’ottica ampia perché, a
oggi, è ancora oggetto di studio e al centro di diversi dibattiti. Data però la recente
espansione e la continua evoluzione della pratica dell’arruolamento minorile in Africa,
abbiamo circoscritto il tema alle due province del Kivu, che merita grande attenzione
per almeno due ragioni: perché lì sono proliferati vasti campi d’addestramento e
perché la ricchezza del sottosuolo e la collocazione geostrategica non potevano che
suscitare la bramosia di personaggi dediti alla gestione d’immensi traffici illeciti
internazionali.
Nel Capitolo III, infine, focalizzeremo l’attenzione su un popolo di guerrieri
tribali provenienti per lo più dalle campagne, i Mayi-mayi, che hanno fatto dei principi
nazionalisti la propria bandiera e la ragione d’orgoglio sia militare che civile. Benché
ricorra a curiose pratiche magiche e mistiche tradizionali che garantiscono al
contempo invulnerabilità e invincibilità ai combattenti, questo movimento non ha
saputo resistere ai richiami (e alle tentazioni) dello stile di vita moderno. In via
conclusiva, scenderemo più in dettaglio soffermandoci sul caso di un giovane generale
idolatrato dalle popolazioni locali in quanto incarnazione dello spirito della nazione.
12
I
CENNI STORICO-SOCIALI DALL’INDIPENDENZA A OGGI
La mente dell’uomo
è capace di qualunque cosa -
perché in essa c'è qualsiasi cosa,
tutto il passato come tutto il futuro.
J. Konrad, Cuore di tenebra
Raccontare la storia recente di uno stato, seppur per sommi capi, è una
questione complessa. Raccontare adeguatamente quella della Repubblica Democratica
del Congo, soffermandosi anche soltanto sulle più recenti vicende di natura politica o
sociale, è impresa pressoché impossibile tanto ingarbugliata e multidimensionale si
presenta la realtà. È una realtà che risente innanzitutto di una secolare eredità coloniale
e di ciò che ne è conseguito: destrutturazione sociale; svilimento di milioni di
coscienze; sottomissione delle masse popolari; violenti movimenti indipendentisti e
nazionalisti; fino ad arrivare ad un principio di democrazia post-indipendenza morta
però sul nascere. È una realtà che, dopo quasi trent’anni di dominio ininterrotto da
parte di Mobutu Sese Seko, ha visto il passaggio del testimone alla famiglia Kabila che
13
ha tentato – almeno in apparenza – di riempire il vuoto politico e morale lasciatole in
eredità, ma che invece ha lasciato un segno negativo indelebile nelle menti dei
congolesi. È una realtà fatta di una sequela di lotte dagli interessi contrapposti: lotte
per il conseguimento del potere politico ad ogni livello (locale, nazionale, regionale,
internazionale); lotte per il mantenimento di privilegi economici, sociali e politici; lotte
per l’accesso alle risorse (terre coltivabili, giacimenti minerari, legname); lotte per
l’ottenimento di diritti civili, politici, economici – in breve, di una democrazia; lotte,
infine, dove i veri protagonisti non sono più due o tre, come accadeva prima della
caduta del Muro di Berlino, quando sostanzialmente gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica
e il regime di Mobutu con il suo ristretto entourage dominavano la scena nazionale.
Oggi i protagonisti e i portatori d’interessi si sono moltiplicati, ed agiscono tanto
all’interno quanto all’esterno dei confini nazionali. Il conflitto dei Grandi Laghi ne è
l’esempio più eclatante: otto stati africani coinvolti direttamente; numerosi stati extra-
africani coinvolti indirettamente o comunque fortemente sospettati di esserlo; una
dozzina tra eserciti informali, milizie irregolari, movimenti guerriglieri che controllano
con la forza immense aree del paese; l’ONU, nelle vesti di forza di interposizione e di
pace creata ad hoc – la MONUC. Epicentro di tale conflitto è la regione del Kivu, in
Congo orientale.
In questo marasma sociale, prima ancora che politico o economico, si sono
inseriti migliaia di giovani, protagonisti o comunque testimoni di una guerra che non
dà tregua. Il 1996 è l’anno in cui appare ufficialmente nel panorama nazionale un
fenomeno fino ad allora sconosciuto, quello dell’inserimento di bambini ed adolescenti
nelle file dell’esercito regolare o dei gruppi armati d’opposizione. È l’anno dell’ascesa
al potere di Laurent-Désiré Kabila.
Ma andiamo per ordine e introduciamo innanzitutto il paese parlando della sua
storia recente. Dati i fini del presente lavoro, ci soffermeremo lo stretto necessario sul
fenomeno della decolonizzazione, riservando invece maggior spazio ai presupposti
storico-sociali che determinarono l’apparizione del fenomeno dei bambini-soldato,
vale a dire il trentennio della dittatura mobutista e il suo rovesciamento da parte dei
movimenti ribelli.
14
I.1 Il Paese
Innanzitutto, possiamo ragionevolmente affermare che la politica e l’economia
nella RDC sono sempre state definite sulla base dello sfruttamento delle sue immense
risorse naturali. Potere politico e potere economico hanno sempre viaggiato sullo
stesso binario, quasi formassero un tutt’uno. In epoca coloniale, praticamente tutti gli
interessi economici del Belgio ruotavano attorno al processo di estrazione e
lavorazione delle materie prime provenienti dall’enorme colonia, ove milioni di
autoctoni ridotti in schiavitù furono sottoposti per almeno un sessantennio a uno dei
più sanguinari regimi coloniali della storia
5
.
Quando il ciclo della gomma – il caoutchou –, raggiunto l’apice a cavallo tra il
XIX e il XX secolo, stava concludendosi, un minerale – il rame – avrebbe
rappresentato da lì in poi il filo conduttore dell’economia del paese. Così, tra gli anni
’20 e gli anni ’90 del Novecento, il metallo divenne la principale merce di scambio con
i mercati esteri, nonché la maggior fonte di entrate per il governo. Sarà questo modello
di dipendenza da poche materie prime, abbinato all’assenza di un regime responsabile
e democratico nel post-indipendenza, a costituire la causa principale
dell’indebolimento e della frammentazione dello stato zairese
6
.
I.1.1 L’indipendenza e il regime di Mobutu
L’indipendenza viene concessa dal sovrano belga Baldovino I il 30 giugno
1960, ma di lì a poco sarebbero emersi problemi di ogni sorta che covavano da tempo.
Le fondamenta dello stato si mostrarono in tutta la loro evanescenza, sebbene
parallelamente stava procedendo il processo di democratizzazione che vide l’elezione
a Presidente Joseph Kasa-Vubu e a Primo Ministro Patrice Lumumba. Uno spiraglio di
democrazia poteva far ben sperare, ma i venti secessionisti provenienti dalla regione
5
Per un approfondimento: A. Hochschild, Gli spettri del Congo. Re Leopoldo II del Belgio e
l’olocausto dimenticato, Milano, RCS Libri, 2001, p. 436. Traduzione dall’Inglese: King Leopold’s
Ghost: A Story of Greed, Terror, and Heroism in Colonial Africa, Boston, Houghton Mifflin, 1998.
6
M. Nest, The Democratic Republic of Congo. Economic dimensions of War and Peace, Londra,
Lynne Rienner Publishers, Inc., 2006, p. 17.
15
del Katanga misero a dura prova dal 1960 al 1963 il già fragile apparato statale e il
controllo del suo territorio. Il movimento secessionista era il prodotto diretto della
collusione tra i portatori degli interessi minerari del rame, il governo belga e gli attori
politici locali, tutti interessati a che le multinazionali straniere mantenessero il
monopolio delle miniere katanghesi.
La perdita del controllo dell’ordine interno da parte della polizia e dell’esercito
congolese all’indomani dell’indipendenza, indusse il governo belga a inviare
nuovamente le proprie truppe con lo scopo di proteggere i coloni e le loro proprietà.
Ciò nonostante, con l’omicidio di Lumumba il 17 gennaio 1961 il suo insediamento
democratico, la legittimità e la tenuta del nascente stato congolese furono
irrimediabilmente compromesse.
Un certo grado di stabilità fu raggiunto con l’ascesa al potere di Joseph-Désiré
Mobutu, allora comandante in capo dell’Esercito, che, con un colpo di stato alla fine
del 1965, si autoproclamò presidente. Nel 1970 Mobutu aveva già stabilito un fitta rete
clientelare in tutto il paese – strategia che gli avrebbe garantito da quel momento una
salda e lunga presa sul potere politico. L’Esercito fu la carta che giocò più spesso,
come nel caso della repressione dei suddetti movimenti secessionisti o del
soffocamento dell’opposizione politica. Un apparato coercitivo così efficace e pronto
ad intervenire non si sarebbe più visto.
Mobutu consolidò la propria supremazia mediante un’accurata strategia che
numerosi esperti africanisti definiscono di tipo patrimonialista (cfr. I.2.1.a), mirante a
soddisfare gli interessi privati dei leader politici locali e a comprare l’appoggio della
sua ristretta cerchia di fedelissimi. Il sistema funzionò, ma ebbe come conseguenza
una dilagante corruzione in ogni settore della burocrazia statale, mentre sul versante
economico gli indici di ricchezza del paese segnavano i minimi storici. Per questo
motivo, per contrastare la tendenza all’indebolimento in atto, il Presidente si orientò
verso il settore trainante dell’economia, quello minerario in mano straniera, tentando
di riguadagnare indipendenza politica. Dapprima, aumentò la tassazione sulle loro
estrazioni; in seguito, nazionalizzò l’intera compagnia mineraria del rame, ribattezzata
Gécamines, nel 1967 e quella diamantifera, la Miba, nel 1973. In questo stesso anno,
promulgò la tanto famosa quanto dannosa legge Bakajika, con la quale nazionalizzò
16
tutte le piantagioni, stravolgendo il diritto alla proprietà e alla successione della terra in
vigore da secoli. Tale legge avrebbe altresì spogliato i “non-congolesi” di gran parte
delle loro proprietà (che il dittatore avrebbe ceduto ai suoi più stretti collaboratori),
attizzando così il fuoco del risentimento “etnico” e dell’opposizione ai Banyarwanda
(cfr. I.2.1.a).
Mediante le nazionalizzazioni, però, il governo si sarebbe assunto tutti i rischi
connessi al libero mercato, tra cui una maggiore esposizione alle fluttuazioni dei prezzi
delle materie prime. Cosa che si verificò nel 1975 in seguito alla caduta del prezzo del
rame. Le ripercussioni a livello economico e sociale non si fecero attendere, e i primi
ad essere colpiti furono gli impiegati del settore pubblico che videro diminuire o
perfino sospendere il pagamento del salario. Il paese era già entrato in una spirale che
lo costrinse a ridurre progressivamente la spesa pubblica, ingenerando però una crisi
nell’amministrazione statale e una situazione di stallo nel settore degli investimenti
pubblici. Mobutu ignorò la situazione di crisi finanziaria e per tutto il decennio
successivo continuò invece ad incanalare larga parte delle entrate fiscali per mantenere
integro il sistema di governo patrimonialista e per aumentare le proprie ricchezze.
All’inizio degli anni ’90 lo Zaire
7
era uno stato politicamente frammentato, con
un’economia in ginocchio e con vuoti di potere presenti in larghe zone del paese. Ma il
peggio doveva ancora arrivare.
Nel mese di settembre del 1990, la produzione del rame collassò allorquando si
verificò una gigantesca frana nel sito più importante delle Gécamines, la miniera di
Kamoto. Tre anni dopo, la produzione nazionale si era ridotta del 90%, complice
anche il summenzionato approccio del governo che non fece nulla per rimediare alla
recessione. Parallelamente, e in seguito alla caduta del Muro di Berlino, Stati Uniti ed
ex-Unione Sovietica si mostrarono meno interessati alle vicende che si stavano
consumando nell’Africa sub-sahariana, per cui cominciarono a rivedere a fondo le
relazioni instaurate con i vari regimi autoritari della regione dei Grandi Laghi. Come
prima azione ridussero drasticamente gli aiuti finanziari e l’appoggio diplomatico a
gran parte di essi. Sottoposto a un crescendo di pressioni interne e internazionali
7
Ricordiamo che il paese fu ribattezzato “Zaire” nel 1971, così chiamato per “il ritorno all’autenticità”
fortemente voluto da Mobutu. Mantenne questo nome fino al 1997, anno dell’ascesa al potere di
Laurent-Désiré Kabila.
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