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trance all’insegna di un sapere critico e laico, mentre la convergenza di
interessi fra scienza, cultura e società consente a questi studi di costituirsi
come avanguardia scientifica e legittimazione di un intero movimento di
contestazione.
Tutto questo si colloca in un periodo storico di grandi trasformazioni,
iniziato dal secondo dopoguerra e tuttora in atto, caratterizzato da
un'accelerazione vertiginosa del sistema produttivo occidentale e da nuove
forme di sfruttamento delle risorse, con la conquista e la spartizione di
mercati sempre più vasti. Senza entrare troppo nel merito, diremo che si è
assistito ad un rinnovamento epistemologico che ha coinvolto le diverse
forme del sapere occidentale, e tra queste, la disciplina antropologica viene
sottoposta ad una profonda revisione nella teoria e nei metodi: crollano i
paradigmi sull’oggettività del lavoro di ricerca, si afferma un’etica fondata
sul relativismo come valore imprescindibile, ed una nuova coscienza di
limiti e ruoli ridisegna la professione, tracciando linee di indagine sempre
più approfondite.
Ed è stata soprattutto la nuova realtà geopolitica a determinare strategie
diverse nell’approccio antropologico: l’espansione economica e le dinamiche
acculturative imposte dall’occidente stavano infatti sollecitando, in maniera
invasiva e conflittuale, quelle stesse società oggetto di indagine, innescando
dinamiche in forte contraddizione con le loro strutture tradizionali.
Impegnati in prima linea nei tortuosi processi di decolonizzazione, gli
antropologi saranno mediatori di conflitti interculturali, emissari loro
malgrado di un interesse e di una logica che travalica e deforma il ruolo
stesso dell’antropologo; sapranno tuttavia cogliere, a partire proprio da un
diverso coinvolgimento umano e professionale, l’aspetto problematico ed
essenziale dell’identità come diversità di valori. Capaci di riformulare il
problema dell’altro, misurandosi coi limiti del linguaggio e degli schemi
propri della cultura di appartenenza, consapevoli dei rischi insiti in ogni
interpretazione dei fatti culturali, ma soprattutto dei reali rapporti di forza
tra osservatore ed osservato, gli antropologi moderni rinnovano ed ampliano
la conoscenza delle società umane. Diffondono una nuova sensibilità nei
confronti della diversità culturale, facendo della professione un impegno
morale ed etico, e allo stesso tempo, un’esperienza vissuta di un’umanità
altra, fatta di individui che percepiscono e concepiscono la realtà in modo
diverso dal nostro.
La specializzazione degli interessi e l’eterogeneità delle scelte e dei
modelli teorici spingono l’antropologia a studi sempre più specifici sulle
culture: dalle forme di produzione alle dinamiche del cambiamento,
spingendosi fino all’analisi delle strutture profonde, non manifeste della
realtà osservata, e cioè nel mondo del linguaggio e della comunicazione
simbolica. L’antropologia sarà terreno per importanti sviluppi
interdisciplinari, attraverso i quali realtà prima trascurate o distorte
vengono sottoposte a nuove analisi: si riesaminano i fenomeni legati alla
trance, alla luce delle esperienze cliniche sugli S.M.C. e delle recenti
acquisizioni scientifiche della psicologia e della psichiatria transculturale, o
etnopsichiatria. Possessione, stregoneria e sciamanesimo, bersagli
tradizionali di categorie mediche, assumono significati totalmente diversi se
debitamente contestualizzati, offrendo nuovi elementi alla comprensione
dell’uomo e allo studio delle sue capacità di adattamento.
Inserita dunque, in una fase di rinnovamento generale degli studi
scientifici, la trance viene considerata una delle nuove frontiere della ricerca
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scientifica, ed è attraverso di essa che si è giunti ad una migliore
comprensione delle istituzioni culturali e dei rituali incentrati sulla
cosiddetta possessione.
La possessione prevede che un’entità, più o meno personificata, oggetto
di credenze di un dato gruppo, s’incarni temporaneamente in un individuo,
e dia prova della sua presenza attraverso il corpo e le azioni del posseduto,
il suo involucro corporeo. Questi entra in una fase di S.M.C., durante la
quale tutta una serie di parametri biofisiologici si alterano: percepisce un
“altro da sé”, sente una personalità estranea e potente invadere la sua
realtà mentale e fisica; una sequenza codificata di sintomi e comportamenti
segnerà l’ingresso della divinità nel posseduto. L'io e la coscienza sono come
dissolti, prede di tutta una serie di automatismi caratteristici della
possessione. Da quel momento l’individuo sarà tutt’uno con l’entità che “lo
abita”. La trance associata alla possessione sarà idonea dunque a
rappresentare lo stato psicofisico di chi viene posseduto.
L’istituto culturale della possessione tuttavia, prevede uno status sociale
che si estende ben al di fuori del rito, mentre la trance dev’essere indotta al
suo interno; si può essere cioè posseduti senza per questo manifestare una
trance, distinguendo con questo una condizione sociale da uno stato di
alterazione transitorio. Il trattamento rituale destinato al posseduto prevede
diversi itinerari possibili, ma che contemplano tutti uno stesso processo:
l’identificazione con l’entità. L'osservazione antropologica ci ricorda che si
tratta in genere di stabilire dei legami permanenti tra l’individuo ed un
essere mitico che, se opportunamente trattato, si rivelerà un protettore ed
un alleato autorevole, dispensatore di poteri e di prerogative sociali. A tale
scopo viene previsto un apprendistato progressivo, durante il quale
s’istruisce l’adepto sulle modalità rituali di utilizzo della trance, sulle facoltà
che verrà acquisendo e sulla sacralità del vincolo venutosi a creare con il
dio, al quale sa di dover dedicare un vero e proprio culto.
Nel caso in cui a possedere siano entità malvagie, il trattamento rituale
previsto è l’esorcismo, termine che impiego nel suo significato più ampio di
modalità rituale di espulsione dello spirito o demone che sia. Ma anche in
questo caso resta fermo il principio dell’immedesimazione, a prescindere dal
quale non si può parlare di possessione. Durante l’esorcismo cattolico, ad
esempio, il posseduto dovrà imparare anzitutto a comportarsi da diavolo, il
che implica un apprendimento di modi e atteggiamenti caratteristici,
sollecitati e “guidati” dal sacerdote nel corso delle varie sedute. Nella
prospettiva del sacerdote si tratta di far uscire Satana allo scoperto,
spingerlo a manifestarsi per poi attaccarlo frontalmente, scatenando tutta
la potenza delle preghiere e degli atti efficaci che Dio ha trasmesso alla
Chiesa.
Se per la demonologia cattolica l’unica forma di possessione riconosciuta
è quella diabolica, prodotto dell’attività “straordinaria” del demonio, allora è
sempre e soltanto l’esorcismo l’unico trattamento riservato ai posseduti. È il
momento in cui si affrontano due poteri, quello della Chiesa e quello di
Satana, due realtà di una stessa teologia; e l’esorcismo consiste nella
battaglia (rituale) che la comunità dei battezzati sferra contro il Nemico
della religione. L’importanza del rituale esorcistico, come momento
inseparabile dalla stessa realtà “ontologica” della possessione, si spiega con
la reale portata della venuta di Cristo, che è quella di sconfiggere le opere di
Satana (1Gv.3,8).
4
Una centralità che scompare nel panorama antropologico, dove
l'esorcismo assume un ruolo del tutto secondario nella possessione,
riducendosi a formule e invocazioni con cui si patteggia e si scende a
compromessi con entità certamente pericolose, ma che in qualche modo si
lasceranno conquistare da rituali od offerte opportune, elargendo benefiche
contropartite. Si tratta cioè di esseri ambivalenti, capaci al contempo di
violente punizioni e di collere inarrestabili, ma anche di premurosi e
tempestivi soccorsi. La negatività irriducibile dell’essere che possiede, è
infatti una prerogativa quasi esclusiva del monoteismo giudaico-cristiano
(Bastide, 1976 p.123).
Dunque, che sia oggetto di un culto o che venga vissuto come evento
indesiderato e sconvolgente, tale da richiedere un esorcismo, la possessione
avrà sempre il suo momento centrale nell’identificazione con la potenza,
condizione sine qua non anche per procedere al trattamento esorcistico. Prima
di espellere il Maligno bisogna che questi si sia manifestato pienamente; in
altre parole, il posseduto dovrà interpretare, rappresentare, immedesimarsi
nell’entità diabolica, secondo forme e contenuti fissati dalla tradizione. Il
demone avrà un nome ed un’identità ben determinata, che gli conferiscono
un potere mitico perverso, contro il quale il sacerdote opporrà quello divino
ed incorruttibile di Cristo.
Ma come vedremo, anche se molti aspetti della possessione rimandano
proprio ai concetti di maschera, di travestimento o di personificazione, non
si tratterà mai di teatro tout court, proprio perché la possessione, così come
non è una forma di isteria, non è neanche una semplice recita. In realtà,
essa agisce come catalizzatore di processi “endogeni”, per lo più ancora
sconosciuti, di autoguarigione; attiva meccanismi e risorse latenti che
ristabiliscono equilibri interiori alterati, facendo appello alla forza dei
simboli e ai processi di socializzazione. Integrata nel sistema di pensiero e
controllata, la trance da possessione è allo stesso tempo performance
rituale e terapia, linguaggio corporeo e tecnica di imbrigliamento del
sovrannaturale. È la nostra complessità psichica che utilizza il linguaggio e
i segni di un sistema di comunicazione e di pensiero carico di valori: un
potere ed un mistero messo a disposizione di tutti.
La diffusione e la persistenza storica dell'istituto culturale della
possessione, rimandano a quelle che sono le sue proprietà intrinseche,
definite di volta in volta come funzione "terapeutica", "catartica" o
"compensativa". Attraverso la possessione infatti, vengono manifestate
istanze soggettive più o meno latenti: momenti critici dell’esistenza, disagi,
sensi di colpa o malattie hanno la possibilità di essere socializzati e
reinterpretati secondo moduli e schemi culturalmente accettati. A partire da
crisi iniziali di carattere psicomotorio, la possessione rituale elabora forme
di comportamento stereotipate, traducendo stimoli inconsci o repressi in un
linguaggio gestuale e verbale. Il posseduto esprime così quelli che sono i
suoi bisogni, i suoi conflitti interni e le sue insoddisfazioni, le tensioni
accumulate nei confronti degli altri, delle norme o delle gerarchie. Rivestito
il ruolo mitico dello spirito che possiede, il posseduto può esprimere,
seppure entro tempi e codici prestabiliti, comportamenti altrimenti riprovati
dalla collettività, protetto dall'immunità che il nuovo status gli garantisce
durante e fuori del rito. Non solo, ma si tratta spesso di uno statuto
privilegiato, che consente l'esercizio di funzioni sociali e liturgiche
importanti per la comunità, e in questo senso la possessione costituisce
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uno strumento di mobilità sociale per chi non possiede altre forme
istituzionali di rivendicazione.
Lo scopo del presente lavoro, che abbiamo diviso in due parti, è di
impostare un discorso sulla possessione diabolica, la forma prevista cioè
dal cattolicesimo nella sua teologia, partendo da alcuni testi ormai classici
sulla “antropologia della trance” e dallo studio sull’esorcismo cattolico
condotto, sempre in prospettiva antropologica, da A.Talamonti. Esaminerò
poi, le testimonianze bibliografiche di esorcisti e laici che hanno preso parte
al rituale esorcistico.
Nella prima parte mi occuperò delle teorie dell’antropologia moderna sui
fenomeni mistici e sulle varie forme culturali della trance. Nella seconda
parte cercherò di inquadrare il trattamento della possessione nella Chiesa
cattolica - finalizzato esclusivamente all’espulsione dell’entità maligna - nel
quadro dei concetti, delle classificazioni e degli schemi interpretativi
ricavati. Un contributo determinante e un punto di raccordo in tal senso, è
offerto dallo studio di Adelina Talamonti su possessione diabolica ed
esorcismo. L'autrice considera il rito esorcistico come un dispositivo
simbolico che opera la messa in scena di una rappresentazione del male,
attraverso l'apprendimento e l'impersonazione di ruoli ben definiti e
stereotipati. Ne evidenzia la sua struttura a fasi, attraverso cui si procede
alla costruzione del “corpo diabolico”, simbolicamente e realmente
manipolato. Oggetto di diagnosi e di indagini, il corpo esercita una forte
polarità all’interno del rito, viene caricato di significati pregnanti e di
allusività, ribadendo di fatto il suo carattere di elemento imprescindibile per
ogni discorso teologico e salvifico sull’anima.
Integrando le linee di ricerca elaborate, me ne servirò per affrontare
un’analisi della letteratura recente sulla possessione, di carattere spesso
dottrinale, nella quale figurano per lo più sacerdoti o laici cattolici
impegnati nella lotta contro Satana. Emergerà la figura di Milingo, il
vescovo africano al centro di una polemica molto accesa, rispetto alle
modalità da lui adottate nel Ministero di Guarigione e di Liberazione. Uomo
carismatico e tenace ma di grande umiltà, il suo successo tra i fedeli
sembra derivare dalla “trasversalità” di alcune scelte liturgiche e dottrinarie,
debitrici di una tradizione africana che presenta molti punti in comune con
l'ideologia demonologica popolare. La sua rilettura enfatica del male
persegue il medesimo obiettivo rilevato dalla Talamonti negli esorcismi
ufficiali: costruire quella personalità diabolica che si intende poi eliminare.
Se gli esorcismi pubblici di Milingo creano non poco imbarazzo nel clero più
tradizionale, persuadono tuttavia quest'ultimo alla tolleranza proprio in
virtù del grande richiamo pastorale esercitato dal vescovo anche in Italia.
Non è la formale aderenza alle Scritture, da cui Milingo attinge le premesse
dei suoi "carismi", tantomeno le continue dichiarazioni di ossequio e
sottomissione all'autorità, a mitigare gli atteggiamenti complessivi della
Chiesa nei suoi confronti. In realtà, la sua capacità di mobilitare grandi
masse di persone e di corrisponderne i sentimenti e le aspettative,
contribuisce non poco ad un'immagine della Chiesa vicina ai bisogni della
gente.
A parte il "caso" Milingo, che tuttavia si può accostare al più vasto
fenomeno dei movimenti carismatici, il quadro complessivo delle pratiche
esorcistiche da noi esaminato resta comunque invariato. Le tecniche e i
presupposti adottati si presentano infatti sostanzialmente omologhi tra loro,
nonostante permangano alcune divergenze di opinione, ad esempio, circa la
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possibilità che i defunti possano incarnarsi temporaneamente nel corpo dei
vivi. Oltretutto, al di là delle norme e i divieti riportati su quell'irrinunciabile
testo esorcistico che è il Rituale Romano, viene lasciato ai sacerdoti ampio
margine di scelta, confidando nelle doti di discernimento e di esperienza,
insieme ovviamente ad una provata purezza d'animo e all’umiltà.
Nella disamina si alterneranno diverse figure, più o meno istituzionali,
che creano, descrivono e parlano per i posseduti; questi ultimi, saranno i
protagonisti muti di narrazioni spesso univoche e strumentali; i loro corpi
saranno scandagliati e scrutati dall’occhio severo dell’autorità spirituale,
alla costante ricerca di segni rivelatori del "male" al quale vanno sottratti,
per essere ricollocati sotto la tutela della Chiesa. Addestrati a creare e
sostenere il ruolo drammatico dell’alterità, i posseduti diranno e faranno
sempre ciò che è pertinenza del demonio. E in veste di demoni saranno
costretti a rivelare verità di dogma e di fede, divenendo loro malgrado latori
di messaggi dal cielo e monitori per chi è schiavo del peccato. Un ruolo
soltanto in apparenza contraddittorio, che può invece essere visto come un
ulteriore sviluppo del processo identificativo tra posseduto e demone,
caratterizzato dalla subordinazione e sottomissione di quest'ultimo al potere
di Dio. Riconoscere ed accettare la superiorità delle forze che guidano il
sacerdote orienterebbe il demonio verso la sua futura dipartita.
L'interrogatorio, insomma, ha il fine di manipolare e imbrigliare
l'alterazione entro un modello comportamentale precostituito, ponendosi al
contempo come momento di un processo a lungo termine di legittimazione
teologica della dottrina ufficiale e del potere sacerdotale.
Evidenzieremo l'obiettivo principale dell'esorcismo, che è quello di
liberare i posseduti, inquadrandolo tuttavia all'interno del più vasto
processo di recupero delle coscienze, intrapreso dalla chiesa cattolica con il
ministero di liberazione. Una volta cacciato il demone dal corpo del
posseduto, il che non è detto che si verifichi sempre, l'esorcista ammonisce
quest'ultimo perché intraprenda un vero e proprio cammino di fede,
all'insegna di un autentico rinnovamento spirituale. La Chiesa infatti mette
a disposizione gruppi di preghiera alla cui adesione è bene non sottrarsi,
per preservare l’anima da possibili ricadute nel peccato ed evitare con ciò il
rischio di un nuovo dramma, cui sarebbe molto più difficile porre fine.
Attorno al posseduto verrà attivato un contesto comunitario di sostegno
psicologico, di relazioni sociali e di partecipazione al credo, che lo
accompagneranno nel suo itinerario di riscoperta della fede. In questo senso
dunque, l'esorcismo assume un valore propriamente iniziatico: si sottrae
l'individuo al suo "disordine" e si rifonda la sua identità lacerata a partire
da nuovi principi morali e religiosi. Ora l'esorcizzato appartiene a Cristo, e il
cambiamento radicale dello stile di vita impostogli, realizza appunto quella
che è la sua nuova identità. Ciò può avvenire con l'ingresso in un gruppo di
culto o attraverso l'accostamento e la frequenza alle preghiere e ai
sacramenti.
Vedremo come le diverse cause della possessione si inseriscono in questo
progetto di recupero delle anime; emergeranno, seppure a fatica, i trascorsi
magici ed occulti dei posseduti, ritratti di uomini e donne che ricercano e si
affidano a un sapere tradizionale o alternativo a quello ufficiale. Le
avventure nello spiritismo e nella magia, o peggio, la frequentazione di sette
esoteriche, fanno spesso parte dell’anamnesi di vita dei posseduti; una
carriera dagli esiti scontati, incentrata su una visione del mondo in chiara
opposizione con l’etica cattolica. Ritroviamo il medesimo riferimento alla
7
sottocultura magica quando il sacerdote scopre un maleficio all'origine della
possessione (per qualcuno la causa più frequente). Rancori, invidie e gelosie
si concretizzano nelle maledizioni e nelle fatture, per colpire le vittime nella
salute, negli affetti o negli affari. Espedienti che richiamano quelle stesse
forze diaboliche che, secondo il pensiero teologico, presiedono sempre e
comunque i riti di stregoneria e magia nera. E come se non bastasse, la
vittima ricorre ad altri maghi per sciogliere l'incantesimo e allontanare le
"negatività", attivando di fatto quella spirale distruttiva cui rimandano
puntualmente gli esorcisti.
Ma la magia, l'esoterismo e l'occultismo costituiscono ancor oggi un
terreno di esperienze coltivate e condivise da molti. Costituiscono la fonte
privilegiata di un soprannaturale ed un sacro immediati e plasmabili, dai
quali trarre soluzioni ai problemi più urgenti e a cui richiedere protezione e
rassicurazione. Ma costituiscono anche un complesso di strategie di
"attacco mistico" (Lewis, 1972), un'opzione alternativa entro cui convogliare
l'aggressività umana. In questo, la stregoneria risulta un linguaggio tuttora
praticato anche nel nostro paese, tanto nei contesti urbanizzati e semi-
agricoli del meridione quanto nelle ricche province del centro-nord.
I continui rimandi al mondo dell'occulto e ai pericoli della superstizione,
ottengono un indubbio guadagno in termini di esaltazione della fede, così
come avviene con la scoperta delle cause, con le risposte dei demoni
all'interrogatorio e con il cambiamento di vita imposto al posseduto. Ma, al
di là delle sue funzioni di attestazione di valori e princìpi morali, siamo di
fronte ad una prassi mitico-rituale che offre al disagio un percorso
terapeutico di reintegrazione psichica e sociale, una forma tradizionale di
psicoterapia. È un percorso istituzionale, laddove la possessione viene
coltivata, ma alternativo a quello ufficiale nella nostra società, dove
l’incapacità e la latitanza del sistema medico e terapeutico crea un vuoto,
che soltanto un ascolto spirituale all’interno del culto cattolico potrà
colmare. E il rito dell'esorcismo si pone ancora oggi come il solo itinerario di
guarigione per un malessere, nei confronti del quale ogni approccio
razionalmente fondato sembra rivelarsi fallimentare. Tra l'altro, chi si
rivolge ad un esorcista non necessariamente condivide le premesse
teologiche del rito, tantomeno è detto che creda al demonio: queste non
sono semplici opinioni personali, ma constatazioni cui sono giunto dopo
aver esaminato diversi testi, ed in seguito all'incontro personale con un
giovane implicato in una vicenda di tormenti diabolici, ateo per educazione
e col “pallino” dell’esoterismo e della magia
3
.
Inquadrato nella sua giusta dimensione culturale, il problema della
possessione diabolica diventa certamente più complesso, ma allo stesso
tempo acquista una fisionomia ben più articolata, nella quale si
rintracciano esperienze, tradizioni e scelte di vita diverse tra loro. Una
3
Dalla registrazione su nastro magnetico dell’incontro con C. di Roma, tenuto dallo
scrivente il 17 novembre 2000. La pessima qualità dell'audio non ha reso possibile il suo
utilizzo come materiale di spoglio. Diremo solo che il ragazzo è stato sottoposto ad alcune
“preghiere di liberazione”, in quanto il sacerdote che lo ha preso in cura non ha giudicato
necessario un vero intervento esorcistico. Il trattamento si è infatti limitato ad alcune
benedizioni e a preghiere di liberazione, terminando con dei colloqui dai toni “paterni” e
con il consiglio di partecipare ad un gruppo di preghiera. L’unico elemento di interesse mi è
sembrato quel “salto di qualità” che l’intervistato, ateo per educazione, ha compiuto nel suo
sistema di vita e di pensiero. Rompendo definitivamente con un certo modo di pensare il
mondo, ha scelto di condividere nuovi ideali esistenziali, all’insegna di una testimonianza e
un impegno in termini religiosi.
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prospettiva più ampia e feconda arricchirà di molto la visione cattolica della
possessione, drammatica e spesso così angusta, nella quale pare riflettersi
chi, sacerdote o laico, ha vissuto in prima persona esperienze di
possessione ed esorcismo.
Constatata l’impossibilità di accedere direttamente alle interviste di
persone esorcizzate, in considerazione soprattutto del forte riserbo che
circonda le loro esperienze, il lavoro si è limitato alla raccolta e all’analisi di
testi sull’argomento. In essi, la narrazione dei singoli “casi” ci fornisce
materia per una discussione sulle strategie adottate dal sacerdote durante e
dopo il rituale. Tra il materiale non bibliografico che ho potuto raccogliere,
vi è una videocassetta acquistata in una libreria specializzata, che presenta
l’esperienza e il lavoro del famoso esorcista paolino, don Gabriele Amorth.
Esponente di spicco di una chiesa attiva e radicata nella società, Amorth è
presente da tempo nei canali mediatici e partecipa spesso a vari incontri e
all’attuale dibattito sui fenomeni religiosi
4
. È la registrazione di una
trasmissione con pubblico e conduttore, anch'egli sacerdote, il quale pone
domande ad Amorth sulla possessione e gli esorcismi. La videocassetta non
presenta nulla di particolarmente significativo: non si è trattato di un
dibattito ma di un lungo intervento di Amorth sulla possessione diabolica e
il rito esorcistico, sulle cause e i sintomi del male, e infine, sui presupposti
teologici che giustificano la realtà dei demoni. Un breve filmato riprende poi
alcuni momenti di un esorcismo compiuto in Francia, dove si mostra lo
stato di trance del posseduto e alcune fasi del trattamento.
La scelta dell’argomento riflette un interesse personale che è nato dalla
necessità di chiarire ad un livello riflessivo e teorico, ciò che si è sempre
presentato (almeno per lo scrivente) in termini emotivi ed immaginifici,
scaturiti in parte da un’esperienza cinematografica. Mi riferisco alla visione
di quello che è stato il film capostipite dell'horror cosiddetto metafisico:
“L’esorcista” (1973) di W.Friedkin. È stato un film davvero discusso,
suggestivo e potente come pochi nel suo genere; ha avuto un enorme
successo di pubblico ed ha aperto la strada ad un vero e proprio filone
cinematografico.
Fedele trasposizione del libro di W.P.Blatty, che ne ha curato la
sceneggiatura, il film non ha certo grossi meriti artistici, né li ha pretesi lo
stesso libro di Blatty; quel che entrambi volevano suscitare è il sentimento
di paura, e in questo il film indubbiamente ci è riuscito benissimo. Una
sceneggiatura scarna, quasi primitiva fa da sfondo all'elemento centrale del
film, preparandone la sua lenta emersione: è la presenza reale del Maligno,
la sua incarnazione spaventevole e deformante, resa visibile da potenti
effetti speciali come il trucco, e fatta presentire mediante un sonoro
abilmente costruito ed una musica assai appropriata. E la riuscita del film è
proprio nella sua essenzialità: la resa perfetta della presenza sensibile del
Male, alla cui imminente irruzione si preparano gli uomini di scienza e di
4
È interessante notare come lo stesso Amorth sia presente anche su Internet (sito
“miriam@ miriam.net”), firmando e pubblicando alcuni documenti sul rito esorcistico e
sulle concezioni cattoliche in merito all’attività di Satana. Questo fa dell'esorcista modenese
uno dei portavoce privilegiati della Chiesa in materia di possessione, la cui notorietà viene
eguagliata soltanto da padre Milingo, interessato di recente da polemiche circa il suo
atteggiamento, non solo dottrinario ma anche privato.
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fede. Ma alla fine sarà uno scontro tra entità sovrumane, posto
nell'apparente dislivello di forze: da un lato, un Maligno concreto, perverso e
smisurato, dall'altro il potere astratto e lontano di Dio. E ad esso fanno
appello uomini umili e devoti alla fede cattolica, una fede forte ma provata
quella di Merrin, incerta e cosparsa di dubbi quella del giovane prete-
psichiatra Karras.
Le azioni e i dialoghi tra i sacerdoti e la posseduta, offrono tra l'altro un
esempio abbastanza verosimile di esorcismo cattolico: sulla scena vengono
riprodotti gesti rituali e preghiere contenuti effettivamente nel Rituale
Romano, essendosi il regista avvalso della consulenza di un teologo gesuita.
Le dialettiche sviluppate dal film sono semplicemente quelle tra fede e
scienza, qui risoltesi in favore della prima, e tra il visibile e l'invisibile,
realizzate come emergenza di un incubo sepolto dalla veglia della ragione, il
materializzarsi di un'entità distruttiva e potente. È il Male che affiora tra le
pieghe dell’innocente e serena esistenza dell'adolescente Regan, la cui vita
borghese somiglia troppo alla nostra per non riprodurre un “noi”,
inconsapevoli ed incolpevoli ricettacoli di un Male che si credeva estraneo e
lontano. Un'oscura e nascosta intelligenza ci assale oltre la nostra
modernità, laica e demitizzata, oltre le nostre certezze e il nostro senso
comune. Penetra nel corpo e vi si insedia subdolamente, deformandolo e
gonfiandolo fino all’inverosimile, agitandolo e percuotendolo con rabbia
ferina. Una volontà “altra” generatrice di cieca perversione, affiora dall'oblio
e consuma le sembianze e la vita di un'innocente. Di fronte ad una simile
irruzione del caos, la consapevolezza del nostro esserci, come individui
agenti nel tempo storico, produttori di beni e di sapere, si dissolve. Al
cospetto di un'esperienza traumatica e spaventevole, rarissima ed
inspiegabile come la possessione diabolica, la nostra modernità si ritira nel
proprio passato, ripescando da un’epoca che dava per conchiusa, quelle
assolutezze dogmatiche necessarie a sfidare la potenza maligna. Ed è
proprio nel ricorso alla fede, il Deus ex-machina del film.
Il film provoca un sentimento di autentica paura, profonda ed
ineliminabile, nei confronti di qualcosa che sembra essere sempre lì,
sospeso nell’indeterminatezza, in un “oltre” di sovrumana negatività,
prossimo a noi più di quanto non si pensi, e animato da potenze capaci di
annichilire la nostra stessa possibilità di esistere. Satana è forse la nostra
tenebra innata, nascosta nei territori inesplorati della psiche, nelle province
del nostro irrazionale. Il nostro istinto di morte e distruzione; un territorio
liminale, una realtà non identificata dai sistemi razionali né decifrata dal
linguaggio moderno.
La risposta commerciale e mass-mediatica rispetto al fenomeno
possessione ha subito una decisa impennata a partire dagli anni ottanta e
per tutto il decennio successivo: trattato come un “mistero”, un evento
“inspiegabile” e in quanto tale, oggetto di forte interesse da parte
dell’opinione pubblica. Negli ultimi dieci o quindici anni sono stati
trasmessi diversi programmi di argomento soprannaturale, con interviste
agli esorcisti, narrazioni di esperienze di possessione, filmati e documenti
inediti. Un'assiduità che riflette e rilancia l’attenzione nei confronti di
questioni che restano tuttora ingiudicate, aperte ai pareri dei teologici come
degli scienziati. Magia, arcano e paranormale scatenano curiosità, paure ed
attrazioni, perché rompono gli schemi ordinari di un ‘sapere’ e di un ‘fare’
normalizzati. La chiesa stessa sollecita ed organizza incontri e seminari,
rilanciando il suo ruolo e la sua presenza anche sui nuovi mezzi di
10
comunicazione come Internet, attraverso la creazione di nuovi siti, molti dei
quali curati da varie associazioni cattoliche. Vi si riportano recensioni e
pubblicità di libri, commenti vari e dibattiti on-line. Gli stessi esorcisti
escono dal silenzio per collaborare a giornali, riviste e libri di ampia lettura,
scritti con un linguaggio che vuole rivolgersi a tutti, presiedendo ed
intervenendo nei convegni periodici in tema di religione e nuovi movimenti.
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PARTE 1°: ANTROPOLOGIA DELLA POSSESSIONE
TRANCE, POSSESSIONE ED ANTROPOLOGIA
1. Gli S.M.C. e la Trance
Gli Stati Modificati di Coscienza sono alla base di numerose esperienze
profane e religiose, tra cui, appunto, la possessione; sono modificazioni
dello stato di coscienza di veglia, e si caratterizzano per un cambiamento
qualitativo della coscienza ordinaria, della percezione dello spazio e del
tempo, dell’immagine del corpo e dell’identità personale (Lapassade, 1996
p.21). Tale modificazione è di ordine psichico e fisico, utilizzata e conosciuta
da sempre, in quanto inerente alla struttura stessa dell’essere umano.
Gli S.M.C. possono verificarsi spontaneamente, come nel caso del
passaggio dal sonno alla veglia e viceversa, durante la nascita o negli stati
di prossimità alla morte, in alcune fasi dell’atto sessuale, nel cosiddetto
“sogno lucido”, ecc. Possono invece essere indotti intenzionalmente
attraverso dispositivi naturali, come l’ipnosi o l’induzione mistica, o
artificiali, come nel caso delle droghe. Gli induttori di S.M.C. agiscono
secondo cinque tipologie di alterazione:
1) riduzione delle stimolazioni esterne e/o dell’attività motrice: rientrano qui
gli stati di deprivazione sensoriale, come la reclusione prolungata e il
digiuno, e ancora l’ipnosi da autostrada o il sonnambulismo;
2) intensificazione delle stimolazioni esterne e/o dell’attività motrice: gli
stati causati dalla tortura, il panico, il contagio collettivo, la conversione
religiosa, le trance sciamaniche, quelle orgiastiche e dionisiache, le trance
di musica e danza e quelle da possessione;
3) riduzione della vigilanza e/o delle facoltà critiche: la sonnolenza, le
trance autoipnotiche o medianiche, le estasi mistiche e la meditazione, la
trance musicali e poetiche, e quelle dei veggenti;
4) intensificazione della vigilanza e/o delle facoltà critiche: sono gli stati
indotti da una preghiera fervente e prolungata, da un coinvolgimento
profondo in un compito, dalla concentrazione intensa nell’ascolto di un
brano, o lo svolgimento assorbente di un film;
5) gli stati indotti da fattori psicosomatici, alterazioni chimiche o
neurologiche: l’assunzione di vari tipi di droghe, disfunzioni alla tiroide,
l’ipoglicemia, la disidratazione, l’iperventilazione, l’insonnia, ecc. (Ludwig,
1968, cit. in Lapassade, pp.40-41).
Alterazioni del pensiero, disturbi del senso del tempo, perdita di
controllo, cambiamenti nell’espressione delle emozioni e nell’immagine del
corpo, distorsioni percettive, cambiamento di significato e dell’importanza
attribuita a esperienze o percezioni, un senso dell’ineffabile,
ipersuggestionabilità, sono gli elementi comuni ai vari stati (Ludwig, id., cit.
in Bourguignon, 1976 p.301).
Diversi autori tuttavia, tra i quali Rouget (1986), invitano alla chiarezza
sulle terminologie impiegate in antropologia: il concetto stesso di S.M.C.
lascia allo studioso francese molti dubbi sulla sua validità, se è vero che
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rientrano nella classificazione fenomeni tra loro diversissimi, come l’ipnosi
da autostrada, il sogno o la possessione; eventi spontanei, individuali e
socializzati vengono accostati in maniera arbitraria. Altri propongono di
suddividere ulteriormente ogni gruppo in: stati individuali, in cui la
dimensione socioculturale ha importanza secondaria, e trance
istituzionalizzate e culturalmente determinate. Queste ultime andrebbero
poi suddivise in trance profane e trance religiose (Lapassade, pp.41-42).
La trance, come si è detto nella presentazione del lavoro, è uno stato
modificato di coscienza culturalmente elaborato, l’utilizzo che un sistema
culturale fa di una predisposizione insita nell’essere umano. Può essere
dotata di valenze sacre, oppure avere carattere profano, come nel “tarab”
arabo, stato di commozione e di agitazione esclusivamente legato alla
musica (Rouget, p.343), o nel caso dei Samburu del Kenya, dove una classe
di guerrieri celibi coltiva una trance non religiosa (I.M.Lewis, 1972 p.32);
ma si tratta di casi minori e abbastanza rari nella realtà storica ed
etnologica. Certamente più diffusa e ricca di implicazioni, la trance religiosa
si articola in un’ampia varietà di forme e di rappresentazioni culturali. Per
riferirsi a questo tipo di trance, alcuni antropologi utilizzano ampiamente il
concetto di “mistico”, intendendo sottolineare il carattere sensibile
dell’esperienza del sacro. La possessione, lo sciamanesimo o l’estasi
religiosa sono fenomeni mistici proprio perché si ha a che fare con potenze
extraumane con le quali l’individuo può immedesimarsi, comunicare oppure
utilizzare, come avviene nella magia o nella stregoneria.
L’accezione moderna del termine “trance” deriva dallo spiritismo, col
quale si indicava lo stato del medium spersonalizzato, come se lo spirito
evocato avesse preso il suo corpo. È uno stato psico-fisiologico in cui
l’esperienza ordinaria, che per noi è quella di veglia, scandita dal tempo del
lavoro, dalle attività quotidiane e dalle consuetudini sociali, viene sospesa. I
normali parametri percettivi e riflessivi vengono destrutturati per far posto
ad un nuovo modo di sentire, di essere e di agire, prima di ritornare alla
normalità.
Ciò che distingue la trance da uno S.M.C. è la sua stretta correlazione
con il contesto culturale che la prevede: per essere tale, cioè, la trance
necessita di un linguaggio espressivo che la qualifichi e ne caratterizzi
forma e contenuti. È così che, a partire dalle sue diverse rappresentazioni, è
possibile individuare i vari modi culturali di intendere la trance e
rintracciare i presupposti mitico-rituali che la sorreggono.
Nella trance si presentano due categorie di segni: i sintomi, cioè
l’espressione bruta e non elaborata di un cambiamento, percepito al livello
puramente sensibile (tremare, svenire, provare terrore, essere preda di
convulsioni, avere lo sguardo fisso, essere paralizzato negli arti, provare
insensibilità al dolore, avere tic, disturbi termici, ecc.). Si è perduta ogni
forma di coscienza riflessiva, ed in genere non si ha ricordo alcuno
dell’esperienza. I comportamenti invece, non sono semplici reazioni, ma
atti carichi di valore simbolico, espressione comunque di una cultura e di
una società. Si compiono azioni sorprendenti, che denotano sempre un
superamento di limiti e barriere, come camminare sulle braci senza provare
dolore, trafiggersi il corpo o maneggiare armi ed animali pericolosi. C’è chi
piega oggetti e compie gesti acrobatici impossibili nello stato normale, chi
guarisce le malattie o vede il futuro, chi incarna una divinità o entra in
contatto con i morti. Nella trance si viaggia nel paese degli dei, si parlano
lingue sconosciute, o infine, si balla per ore intere o si canta per giorni e
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notti senza interruzioni. La trance cioè, si presenta sempre come
un’esaltazione del proprio io, un intensificarsi di una disposizione fisica e
mentale, esprimendosi quasi sempre con un superamento di certi limiti
umani (Rouget, 1986 p.26). Si può dire che i sintomi rimandano agli S.M.C.,
mentre i comportamenti, alla loro elaborazione culturale.
Il soggetto in trance si riconosce per il fatto che: 1 ) non è nel suo stato
abituale; 2) è alterata la sua relazione con quanto lo circonda; 3) è in preda
a certi disturbi neurofisiologici; 4) le sue facoltà sono realmente o
immaginariamente accresciute; 5) tale incremento si manifesta attraverso
azioni o comportamenti osservabili all’esterno (Rouget, p.27). Lo stato
modificato di coscienza, quindi, diviene trance effettiva quando una società
promuove una determinata modificazione, a scopo sacro o profano che sia,
investendola di implicazioni sociali significative. Da qui avremo le
esperienze sciamaniche, la possessione, le tecniche estatiche o le cerimonie
di trance con musica e danza.
I fenomeni di trance rimandano sempre ad aspetti diversi della realtà
esperita, interdipendenti tra loro: la natura umana, con le sue doti di
flessibilità e di adattamento, le strategie culturali di selezione e
socializzazione delle esperienze umane, i sistemi mitico-rituali che
istituzionalizzano e sanzionano certi comportamenti. Questo insieme di
fattori rende i fenomeni di trance assai complessi, ragion per cui diviene
necessaria una prospettiva che non si riduca ad un solo aspetto del
problema, quale può essere ad esempio, la fenomenologia psichica. Se
infatti è forte la tentazione di molti studiosi ad assimilare, per esempio,
trance e isteria, come nel caso classico dello sciamanesimo, resta il fatto
che un approccio puramente medico può solo descrivere certi sintomi dal
punto di vista bio-fisiologico, ma non potrà mai cogliere la dimensione totale
dell’esperienza della trance, che deve la sua fondatezza a certi assunti
culturali, e che attiva processi psichici e biodinamici estremamente
complessi di autoguarigione, in gran parte ancora sconosciuti. La trance
permette di socializzare il vissuto mediante una drammatizzazione dei
comportamenti stereotipata e riconosciuta.
È comunque significativo il fatto che non esista ancora una teoria
generale della trance, impresa ostacolata dalla complessità delle relazioni
che legano la psiche, alla natura da un lato, e alla cultura dall’altro; non
cessano, infatti, i dibattiti e le polemiche tra chi considera la trance un
fenomeno normale, e chi lo considera di natura patologica (Rouget, p.29).
Per dare la giusta collocazione allo stato di trance occorre, quindi, un
approccio interdisciplinare che tenga conto degli obiettivi e delle diverse
prospettive con cui le singole discipline affrontano lo stesso oggetto.
L’analisi antropologica si rende tuttavia insostituibile, laddove si ha a che
fare con culture diverse dalla nostra, che prevedono strategie di controllo
sociale, sistemi simbolici e modi rituali diversi dai nostri.
Se è vero, come abbiamo già detto, che molte società di interesse
etnologico fanno un uso culturale, quando non religioso, di stati alterati
mediante induttori come le droghe (peyote, ayahuasca o datura nell’America
centro-sud), oppure con la danza e la musica, e se è vero che a partire da
tali stati vengono significati aspetti fondamentali della vita e si conformano
princìpi normativi, atteggiamenti e decisioni collettive, allora vuol dire che
“la trance è cultura”, nel senso che ad essa soggiace, ed in essa trova la sua
piena giustificazione.
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Tra i dispositivi induttori di trance, rientrano tecniche antichissime e
conosciute ovunque. La meditazione è una pratica che fa ricorso a
riduzioni della tensione e della percezione del corpo, attraverso la
concentrazione su un solo oggetto, esterno a sé (un simbolo o
un’immagine), oppure su una sensazione interna, come il proprio respiro. Il
buddismo, il Tantra tibetano o lo yoga, sono alcune tra le tecniche religiose
che fanno uso della meditazione allo scopo di raggiungere una conoscenza
più autentica e profonda della realtà (Lapassade, 1996 pp.52-55).
L’ipnosi è una tecnica di induzione che fa leva anch’essa sulla riduzione
della vigilanza e/o delle facoltà critiche e delle stimolazioni esterne e/o
dell’attività motrice, per indurre quel “transfert” grazie al quale
l’ipnotizzatore presiede all'io del paziente. Secondo F.Granone, la trance
ipnotica si realizza per suggestione auto o eteroindotta, ed è caratterizzata
dalla presenza di un “monoideismo” affettivo molto forte. Con la suggestione
si introduce, si coltiva e si rafforza nella mente del soggetto un’idea, risolta
poi in immagini e sensazioni. (Granone, 1983).
Negli stati ipnotici vengono distinte due forme (Lapassade, p.59): la
prima, in cui il soggetto è immobilizzato, inerte e catalettico (trance
immobile e letargica) ed una seconda, nella quale il soggetto diventa attivo
(trance sonnambolica, animata). Tale distinzione in trance attive e passive
la ritroveremo nello sciamanesimo, dove vengono osservati due
comportamenti opposti: la trance "catalettica", che accompagna la sortita
dell'anima nel mondo degli spiriti, durante la quale il corpo giace inerte,
vuoto e rigido, e la trance "drammatica", in cui lo sciamano descrive quel
che vede nel suo viaggio
5
(É.Lot-Falk, 1973, cit.in Rouget, p.179). Ancora,
troviamo un’opposizione analoga nella possessione, quando si parlerà delle
fasi di letargia, che a volte si alternano alle fasi di trance sonnambolica,
come accade nei riti iniziatici dei culti di possessione.
Un posto importante occupano le droghe, il cui uso per indurre S.M.C.,
ed eventualmente trance, chiarirà ad esempio la differenza sostanziale tra lo
stato modificato di coscienza e la sua codificazione culturale. Laddove il loro
utilizzo si inserisce in un sistema tradizionale di legittimazione e consensi,
le alterazioni prodotte dall’uso di sostanze psicoattive vengono rielaborate e
trasformate in trance: visioni o viaggi sciamanici ad esempio, sono diventati
ormai un cliché del nostro immaginario amerindiano. Al contrario, il
fallimento della cultura psichedelica in occidente, o almeno delle sue
istanze di rinnovamento radicale del pensiero, testimonia proprio
l’evanescenza dei presupposti pseudo-religiosi che presiedevano alle
esperienze di S.M.C. L’incapacità di convertire tali esperienze in un sistema
di valori condivisi ha ridotto l’uso delle droghe psicotrope ad una moda
culturale; l’approccio ludico alla loro sintomatologia, la sopravvalutazione
degli aspetti immediatamente percepibili del loro uso e la tendenza ad
esperirli all’interno delle proprie vicende interiori, sono tutti fattori che
amputeranno il potenziale innovativo degli S.M.C. La massificazione dei
comportamenti, le strumentalizzazioni e l’isolamento sociale di cultori e
consumatori, sono altrettanti elementi che contribuiscono a fare dell’uso
delle droghe in occidente, un fenomeno sociale e niente più. Senza un
consenso che valichi i confini dell’appartenenza socio-politica, ed una
5
Secondo Lapassade, la trance attiva è associata alle ascensioni celesti (Eliade, 1988, cit.
in Lapassade, p.61), mentre nelle discese agli inferi, prevarrebbe un comportamento
passivo e catalettico, almeno fino a quando l’anima non farà ritorno, e lo sciamano potrà
raccontare la sua esperienza (Lapassade, id.).
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tradizione che leghi tali esperienze ad una storia culturale, quella che
avrebbe potuto e voluto essere una rivoluzione sociale e culturale, rimane
ancora oggi, una semplice pratica collettiva, coi suoi ritualismi e le sue
filosofie.
In ambito etnologico si possono incontrare numerose forme di trance,
ognuna delle quali soggiace al tipo di S.M.C. utilizzato. Dall’istituto
culturale della visione alla possessione, che sembrano costituire due poli di
un'opposizione ormai classica, si hanno tutta una serie di trance:
medianica, divinatoria, iniziatica, mistica, ecc.
6
La trance iniziatica accompagna diversi riti di passaggio che segnano
l’entrata nella vita adulta o l’accesso ad un gruppo religioso. L’iniziazione
comporta stati simbolici di morte rituale e di resurrezione, rappresentati
spesso da una trance letargica o catalettica che mima la morte (Lapassade,
1996 p.167). I diversi culti di possessione, che tratteremo più avanti,
prevedono quasi sempre un periodo di iniziazione nel quale i novizi
impareranno a conoscere tutto ciò che occorre per rendere un culto
adeguato alle divinità.
Dall’Africa alle Antille, al di là delle dirette influenze culturali, le
iniziazioni ai culti di possessione si somigliano ovunque per struttura e
funzione: sono anzitutto riti di passaggio coi quali si conferisce un’identità
nuova e diversa, rispetto ad un passato dal quale ci si separa
definitivamente. Nello specifico delle iniziazioni ai culti di possesso, celebrati
sotto la guida di un sacerdote (un ex posseduto, un medium o un
guaritore), il compito del rito è di assicurare la protezione dello spirito,
creando un vincolo fra questi e l’aspirante posseduto. Per tutto il periodo
dell’iniziazione l’officiante impartisce la conoscenza delle “cose sacre”, quali
la divinazione, la magia, la medicina e i suoi segreti; il sacerdote istruisce
l'iniziando sulla vita, il potere e le caratteristiche degli spiriti, nonché sulle
tecniche del corpo necessarie a provocare la trance (Schott-Billmann, 1977).
Attraverso l’iniziazione i futuri ricettacoli si preparano ad accogliere e
servire gli dei, sperimentando trance di “depossessione” (Rouget, 1986
p.72), “semi-trance” (Bastide, 1976 p.108) o “semipossessione” (Herskovitz,
1943, cit. in Rouget, p.71), e chiamate «stato di éré» tra gli adepti del culto
degli Orisha nel Benin e in Nigeria e del Candomblé in Brasile. Sono stati
alterati che non prevedono possessione: esprimono atteggiamenti e modi dal
carattere genericamente infantile, e precedono o succedono sempre la
trance di possessione, quando il futuro adepto “svuota” la sua mente,
spersonalizzandosi
7
(Rouget, pp.74-75).
La visione è il contenuto di una trance nel corso della quale il soggetto
sperimenta un mondo immaginario che per lui ha valore di realtà; immagini
figurate che rendono visibile l’invisibile. La credenza in un mondo
sovrannaturale popolato di spiriti che possono intervenire nel mondo dei
viventi e la possibilità reale di un incontro con essi, all’interno di rituali
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Non entrerò troppo nel dettaglio dei vari tipi di trance, soprattutto perché le classificazioni
e le diverse interpretazioni risultano eterogenee e fondate su punti di vista assai diversi tra
loro. Ho seguito quelle di Rouget, Lapassade e Bourguignon, cercando di integrarle in
funzione del mio discorso, incentrato sulla possessione e non sulla trance.
7
Il termine “depossessione” viene diversamente usato da Lewis per indicare lo stato di
assenza temporanea dell’anima (“perdita dell’anima”), laddove la possessione è intesa come
intrusione di una potenza esterna. Più o meno incompatibili fra loro, le due concezioni
possono anche coesistere entro una stessa cultura, cosicché la persona “deposseduta”
viene a sua volta posseduta dallo spirito, ma si tratta fondamentalmente di due diverse
spiegazioni della trance mistica (Lewis, 1972 p.23).