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CENNI DI BIODIVERSITA’
Facendo qualche cenno alla biodiversità potremmo intanto definirla come l’insieme di
tutte le forme viventi del nostro pianeta e relative interazioni tra loro.
Nei periodi di forti cambiamenti ambientali alcune specie non adatte al cambiamento
si estinguono lasciando spazio a quelle che invece si riescono ad adattare, ciò è
possibile grazie appunto alla diversità delle varie specie, se venisse meno la diversità
questo naturale processo verrebbe precluso e si andrebbe verso l’estinzione di molte
specie (Lorenzetti, 1994). Questi principi riguardanti l’ecosistema e la biodiversità, che
continuamente assicurano la conservazione delle specie o la sostituzione di quelle
estinte sono il risultato di milioni di anni di evoluzione e garantiscono la continuità del
sistema (Porceddu, 1996).
A causa poi della promozione di progetti di miglioramento genetico, di monocolture,
di massimizzazione delle rese, di selezione specifica e genetica delle colture più
redditizie, con l’effetto poi di veder scomparire le specie tipiche e tradizionali, gli
apoidei si sono trovati a fronteggiare una situazione non adatta alle loro necessità di
nidificazione, nutrimento, così da allontanarsi (Pitzalis et al., 1996).
Qui subentra il ruolo del Parco, infatti tra le finalità istituzionali dello stesso, oltre alla
tutela e al mantenimento della naturalità dei luoghi, vi è l’incentivazione e la
promozione delle attività agricole e zootecniche che mirano alla conservazione
dell’ambiente naturale, dell’ecosistema e, più in generale, finalizzate al mantenimento
della biodiversità. L’apicoltura è riconosciuta dalla legislazione italiana come attività
di interesse nazionale utile per la conservazione dell’ambiente naturale,
dell’ecosistema e dell’agricoltura e finalizzata a garantire l’impollinazione naturale e
la biodiversità di specie apistiche; questa concorre indirettamente alla conservazione e
valorizzazione del patrimonio ambientale poiché i prodotti apistici sono strettamente
dipendenti dalla qualità dell’ambiente.
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CAPITOLO I
IL MIELE NELLA STORIA
1.1. Il miele nella storia e la sua divina considerazione
Le api producevano miele già da tempi infiniti, non per nulla l’uomo primitivo
conosceva questo prodotto, andando alla ricerca degli alveari proprio come qualsiasi
altro cibo idoneo alla sussistenza. Presso le più antiche e grandi civiltà il miele era
considerato un prodotto di pregio e assai raro tanto che unitamente all’ape che lo
produceva, era ritenuto di origine sacra. Si credeva che il miele fosse un Dono del cielo
e che fosse mandato da Dio agli uomini tramite le api. La sua considerazione divina
non proveniva solo dal fatto che l’idromele (bevanda alcolica ottenuta dalla
macerazione dei favi in acqua, scoperta antecedentemente al vino) fosse inebriante, ma
anche dal fatto che il miele in sé, senza alcun processo o cambiamento fosse comunque
un alimento energizzante e psicoattivo.
Nel tempo ai cacciatori improvvisati vennero a sostituirsi i raccoglitori veri e propri,
degli specialisti molto abili, detentori di un mestiere antichissimo che rimase inalterato
fino verso la metà del secolo scorso, quando, con la diffusione del processo industriale,
anche la raccolta del miele assunse dimensioni e connotazioni che potremmo definire
“moderne”. Oggi come allora le colonie di Apis Mellifera potevano rifugiarsi in una
infinità di luoghi naturali: l’incavo di un albero, la frattura di una roccia, un buco nel
terreno; allora come oggi le colonie immagazzinavano polline, raccoglievano nettare e
accumulavano miele in sovrappiù.
1.2. Metodi di raccolta e allevamento degli alveari nel mondo
Alcuni graffiti boscimani incisi sulle rocce delle lande desolate del Sud Africa
mostrano alveari, favi ed api dove in alcuni compaiono anche delle scale, usate anche
per raggiungere gli alveari più alti e nascosti, in altri è visibile l’utilizzo del fumo per
allontanare la colonia dal nido, un altro graffito rinvenuto in Spagna mostra un uomo
con un cesto di vimini prossimo alla raccolta dei favi colmi di miele. I sistemi di
allevamento e le tecniche di approvvigionamento rimasero per almeno quattromila anni
invariate. Le colonie venivano allevate all’interno di vari materiali i quali potevano
essere cesti da campagna in vimini, otri, contenitori d’acqua, ciocchi di radice o di
tronchi di alberi, creta, miscuglio di paglia, fango e gusci d’uovo, generalmente tutti di
forma rettangolare con una piccola apertura frontale. Logicamente le arnie venivano
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costruite con il materiale che metteva a disposizione la natura in ciascuna zona
geografica.
(Fig. 1.1. arnie costruite con vari materiali)
Il passaggio della “caccia al miele” all’allevamento delle api per ottenerne il prodotto
accadde per vie diverse con delle caratteristiche specifiche per ogni località. Il concetto
che chi possedeva degli alberi in cui sciami di api nidificavano fosse anche padrone
degli stessi era condiviso da tutti senza problemi. Esempi di questo ci pervengono
dall’Africa, dall’Asia e dall’Europa, soprattutto in epoca medioevale.
Un esempio fantastico, proveniente dall’isola di Bali in Indonesia, ci mostra un
incredibile alveare – realizzato interamente con conchiglie, foglie e parti di noci di
cocco; mentre in Messico e Brasile si ricorre volentieri all’uso di zucche vuote.
Per la raccolta del miele, che avveniva una volta l’anno, i processi erano
fondamentalmente due, l’utilizzo del fumo per l’allontanamento della famiglia, il
soffocamento, oppure venivano annegate immergendo la loro dimora in acqua. I favi
venivano quindi tagliati e staccati, posti in un contenitore e accuratamente ripuliti con
una stoffa o degli appositi bastoncini. Ciò che restava veniva messo a macerare in acqua
per fare idromele, mentre la cera veniva utilizzata per trarre candele, per la pulizia o
per unguenti e pomate. Nei tropici era uso lasciare l’alveare razziato sul posto affinchè
altri sciami di piccole abitatrici ne prendessero presto possesso.
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1.3. Leggi e Testamenti
Era assoluto divieto l’abbattimento di alberi in cui alloggiassero sciami o anche se
questi ultimi fossero andati via in quanto la stessa cavità sarebbe potuta servire anche
ad altre future famiglie.
(Fig.1.2.cacciatore di miele)
In Inghilterra allevare alveari nella New Forest comportava non soltanto pericoli pratici
ma anche pericoli legislativi in quanto il suddetto parco era un possedimento della
Corona e ciò rendeva il gesto illegittimo. Per non dare nell’occhio, gli allevatori, erano
soliti adombrare le aperture nei tronchi con camuffamenti di erbe e cortecce.
Dalla lettura di antichi documenti come, ad esempio, i testamenti, ci si può fare un’idea
di quanto nel Medioevo il miele fosse considerato una sostanza preziosa.
Alcuni esempi :
-1570: dal testamento di un certo signor Empsall di Romford: “…ed alla mia signora
lascio lo sciame d’api che posseggo sulla colline di Noak”.
-1593: dal testamento del signor Roger Huen: “lascio tutti i miei allevamenti di api a
mio figlio, meno 12 che spettano a mia moglie”.
Altre testimonianze parlano di 9 gruppi di api, 4 canestri o alveari pieni d’api, 4 alveari
ed uno sciame (lasciati alla vedova e ad amici cari), e poi ancora di “una giara di miele
e un alveare pieno di api”
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Nel Medioevo era cosa comune lasciare in eredità i propri alveari ad una chiesa,
affinchè potesse trarne tutta la cera necessaria per il suo fabbisogno di candele.
(dal testo “Dottor Miele” di Eva Crane).
CAPITOLO II
LA RACCOLTA DEL POLLINE
2.1. Il ruolo del polline nell’alveare
Il polline riveste un ruolo fondamentale per la nutrizione della colonia delle api
condizionandone in gran parte la biologia: esso viene infatti viene impiegato
nell’alimentazione delle larve e delle api nutrici. Questo oltre a contribuire al
completamento dello sviluppo corporeo in generale, è fondamentale per lo sviluppo e
la funzionalità di alcuni organi, quali il tessuto adiposo e le ghiandole ipofaringee che
svolgono l’importante funzione di secernere la “pappa reale”, nutrimento delle larve
nei primi tre giorni di vita e della regina durante tutto il periodo della sua vita.
2.2. La raccolta del polline da parte delle api
La prima fase consiste nella raccolta del polline dal fiore, effettuata con modalità
diverse a seconda della forma del fiore stesso.
Nella seconda fase l’ape, ricoperta di polline, abbandona il fiore e, mantenendosi in
volo al di sopra di esso, comincia ad eseguire in rapida successione una complessa serie
di movimenti che portano al confezionamento delle pallottole. Questa operazione viene
effettuata principalmente dalle zampe posteriori, il polline umettato in precedenza
(ormai non più germinabile) da miele rigurgidato dalla borsa melaria che l’ape ha
riempito nell’alveare prima di iniziare il volo diventando in tal modo utile
all’agglomeramento. Una volta arrivate in alveare, la bottinatrice si libera del polline
agglomerato lasciandolo alle api più giovani le quali provvederanno a stiparlo nelle
cellette dopo averlo umettato di nuovo di miele. (testo “Flora apistica italiana” di
G.Ricciardelli D’Albore)
In generale le api, una volta scelta una fioritura in atto, continuano a bottinarla finchè
questa non è esaurita, o finchè non ne compaiono altre più appetibili.