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1. LA COMUNICAZIONE SPECIALISTICA
Già da anni ormai, il tema dei linguaggi usati per comunicare nei diversi ambiti
di ricerca delle diverse discipline ha ottenuto particolare attenzione, soprattutto
nella formazione universitaria: lo scopo è quello di creare figure professionali che
grazie ad un’alfabetizzazione più o meno approfondita nei diversi settori di
conoscenza siano in grado di realizzare una comunicazione chiara, precisa e
condivisa; tale chiarezza e precisione derivano dalla possibilità di utilizzare il
linguaggio appropriato alla circostanza, all’interlocutore, all’argomento di cui si
tratta. Oggi più che mai, inoltre, con la costante e rapida diffusione del sapere
grazie ad una rapida, quasi istantanea comunicazione tra le varie comunità di
esperti di uno stesso settore, e anche fra i diversi settori della conoscenza, i
linguaggi specialistici costituiscono parte integrante della comunicazione
moderna, avendo assunto un ruolo predominante rispetto alla lingua letteraria,
acquisendone il prestigio e in alcuni settori sostituendola come modello per una
buona comunicazione.
Sono i linguaggi specialistici, oggi, i rappresentanti della lingua alta, di
prestigio, dalla loro conoscenza dipende la capacità di comunicare correttamente
nella società: la comunicazione specialistica rappresenta oggi la comunicazione
moderna.
1.1. Il paradosso della definizione
Utilizzare un termine condiviso dalla comunità di parlanti con cui ci si deve
confrontare facilita la comunicazione: questo costituisce il requisito fondamentale
della comunicazione specialistica; in realtà, in quanto disciplina dai confini ancora
incerti, essa mostra dubbi già nella scelta dei termini usati per definirla:
soprattutto in Italia vi sono almeno otto termini che permettono di identificare i
diversi linguaggi usati per comunicare nei diversi ambiti di conoscenza: Lingua
speciale, Microlingua, Linguaggi settoriali, Lingue di specializzazione, Linguaggi
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speciali, Lingue per scopi speciali o Sottocodici, Linguaggi specialistici,
Comunicazione specialistica.
Si tratta di un’incertezza linguistica che ne nasconde una contenutistica: la
scelta di adottare uno o l’altro termine ricalca la provenienza scientifica
dell’autore, ciò che egli vuole sottolineare, quali sono i suoi destinatari; ad ogni
modo, la differenza tra Lingua e Linguaggio è netta: in linguistica: per
Linguaggio s’intende lo strumento di comunicazione, un sistema all’interno del
quale si realizzano le lingue come espressione di una cultura, di una tradizione e
di una comunità specifiche; tuttavia se si parla di linguaggi specialistici si
presuppone una predominanza della lingua, intesa come l’insieme dei vari
linguaggi: quello della medicina, quello giuridico sono parte dell’insieme che
compongono la lingua storico-naturale, a sua volta figlia del sistema di
comunicazione costituito dal linguaggio umano.
Per quanto concerne la “specificità”, Beccaria distingue tra Linguaggi settoriali
e Linguaggi speciali: tra i primi include quello giornalistico, della critica e della
politica, nei quali l’univocità dei termini è garantita soltanto dal contesto in cui
esso viene utilizzato: il valore connotativo di espressioni della lingua comune
viene perso all’interno del linguaggio settoriale, e assume un puro significato
denotativo: fase di stallo, candidato civetta, la rosa dei candidati, guerra fredda
sono alcuni degli esempi che l’autore riporta per dimostrare che riguardo i
linguaggi settoriali:
Qualsiasi metafora del codice, istituzionalizzata a livello del
sottocodice, vi attecchisce a patto di sminuire la più intensa
connotazione di partenza e si convenzionalizza in tecnicismo, in
parola appropriata nella misura in cui è utile, corrisponde al pensiero
indirizzato ad “addetti ai lavori”[…]1
I Linguaggi speciali sono quelli tecnici nel senso corretto dell’accezione,
costituiti cioè da un complesso organico di termini univoci, e utilizzati solo da
coloro che operano in quel particolare ambito, come il linguaggio giuridico,
medico, matematico ed altri.
1
G. L. Beccaria, I linguaggi settoriali in Italia, Milano, Bompiani, 1973, p. 30.
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Una categoria a parte è quella del gergo, che si distingue, sempre secondo
Beccaria,
2
dai linguaggi settoriali-speciali non tanto per ragioni linguistiche, ma
per ragioni sociali: ciò che caratterizza il gergante è la volontà di parlare di cose
comuni usando parole oscure, in funzione di unione e distinzione del gruppo
rispetto all’esterno, come nei casi del gergo militaresco o in quelli di mestiere,
oppure di isolamento e di difesa, come il gergo della malavita. In altre parole,
mentre lo scienziato non ha alternativa, e non è capito da tutti perché non parla di
cose che tutti conoscono, il gergante si caratterizza per la volontà sociale di
unione, differenza, difesa.
Riprendendo la classificazione di Beccaria e aldilà di plausibili differenze
terminologiche, si ritiene di poter distinguere tre livelli di classificazione
all’interno della comunicazione specialistica: le lingue speciali in senso stretto,
cioè le lingue caratterizzate da lessico e morfosintassi caratteristica, che
propriamente realizzano la comunicazione tra gli addetti ai lavori di un
determinato settore: si tratta di discipline come la medicina, la fisica,
l’informatica, le scienze, il diritto e la linguistica; le lingue speciali in senso lato,
legate cioè a particolari aree d’uso e a alle situazioni comunicative, con un minor
grado di specializzazione rispetto alle prime: ad esempio la lingua della
pubblicità, della politica, il linguaggio burocratico; infine il gergo, caratterizzato
da un lessico particolare senza però carattere di nomenclatura.
Nei prossimi paragrafi ci si riferirà all’espressione Linguaggi specialistici per
indicarne tutte le tipologie, per descriverne le caratteristiche, le dimensioni,
l’interazione con la lingua comune e le problematiche ad essi legate; tale scelta è
dovuta alla condivisione della riflessione di Cavagnoli, per la quale, riferendosi ai
Linguaggi specialistici si utilizza il termine che maggiormente è legato alla
dimensione pragmatica che gli esperti fanno del linguaggio per riferirsi alla loro
realtà specialistica, scegliendo così di analizzare l’argomento dalla prospettiva di
coloro che tale linguaggio utilizzano.
3
2
Ivi, p. 34.
3
S. Cavagnoli, La Comunicazione specialistica, Roma, Carocci, 2007, p. 16.
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1. 2. I linguaggi specialistici
Il linguaggio specialistico è il linguaggio utilizzato per comunicare i dati di un
dominio linguistico particolare; i domini linguistici corrispondono ai vari settori
della conoscenza e sono dei sottoinsiemi della lingua: ogni linguaggio
specialistico è espressione di una determinata disciplina e applicazione alla lingua
di determinate formule, abitudini testuali e categorie tipiche. Lo scopo dell’uso di
tale linguaggio è quello di eliminare l’ambiguità che caratterizza la lingua
comune, di regolarizzarla al fine di garantire precisione, univocità e concisione.
Il linguaggio specialistico può essere considerato come una varietà della lingua
comune utilizzata da un gruppo ristretto di persone, ovvero gli specialisti di un
particolare settore, o ambito della conoscenza. Tra questi esiste una sorta di
“accordo” nel riconoscere e definire lo status di particolari termini che vengono
originati dall’ambito dell’uso in quel determinato settore tecnico-scientifico: essi
entrano a far parte di quel lessico specialistico e vengono definiti lessemi tecnico-
scientifici. Per usare le parole di Cortellazzo:
4
Una lingua speciale è una varietà funzionale di una lingua naturale,
dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici,
utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della
totalità dei parlanti la lingua di cui quella specie è una varietà, per soddisfare
i bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore
specialistico.
Analizzando la definizione sopra citata, appare utile chiarire il concetto di
“lingua naturale” : definita anche “lingua storico-naturale” essa indica una
possibile realizzazione del linguaggio umano, specifica di una comunità, che
viene appresa in modo naturale e spontaneo, e costituisce il prodotto di
un’evoluzione attraverso il tempo ed è strettamente legata alla comunità
linguistica che le usa.
5
Il linguaggio specialistico costituisce una “varietà funzionale” della lingua
naturale. Ciò che differenzia tale varietà è proprio un’esigenza comunicativa
diversa, la necessità di regolarizzare la lingua naturale in certi ambiti del dominio,
con lo scopo di eliminare tutte le caratteristiche della lingua naturale che causano
4
M. A. Cortellazzo, Fachsprachen/lingue speciali, Niemeyer, Tubingen, 1988, p. 246.
5
G. Basile et al, Linguistica Generale, Roma, Carocci, 2010.
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problemi di comunicazione: l’ambiguità data dalla polisemia delle parole vuole
essere evitata.
Le variazioni della lingua naturale che danno origine ai diversi linguaggi
specialistici appartengono ad una dimensione orizzontale nella quale è possibile
rintracciare le diverse discipline e sottodiscipline, stratificate in base
all’argomento: da una parte le scienze e i settori tecnologici, dall’altro le
discipline umanistiche; le differenze tra i due gruppi riguardano la natura dei
fenomeni analizzati, la verifica empirica del fenomeno analizzato, il grado di
certezza del risultato. L’esigenza di organizzazione lessicale a livello
intralinguistico in ciascun settore è stimolata anche da organi ed enti
internazionali riconosciuti a livello governativo nei singoli ambiti nazionali, come
l’ISO (International Organization for Standardisation)
6
, che attraverso le attività di
normalizzazione e armonizzazione terminologica mirano a semplificare la
comunicazione internazionale nei singoli ambiti specialistici attraverso la
definizione univoca di termini e l’unificazione dei concetti in un particolare
ambito. Le variazioni della dimensione orizzontale aumentano sia
quantitativamente, per il moltiplicarsi del numero dei linguaggi specialistici, che
qualitativamente, per una crescente specializzazione di quelli esistenti, o meglio
delle discipline a cui fanno riferimento: quest’ultimo è un processo molto più
veloce rispetto al passato, la necessità di specializzazioni, suddivisioni, limitazioni
di campo è maggiore, quindi la possibilità di una comunicazione tra esperti e non
esperti è sempre più remota. Inoltre va notato che le variazioni orizzontali della
lingua, che generano vari linguaggi specialistici speculari alle varie discipline, non
costituiscono contenitori linguistici “chiusi”. Mai come oggi si registra anche una
crescente interdipendenza fra le varie discipline, che provoca l’interdipendenza
terminologica di un termine collegabile a diversi settori: ciò rende ancora più
impellente la necessità di disporre di termini monosemici per una comunicazione
efficiente a non ambigua.
Ma variazioni della lingua naturale sono rintracciabili anche su una dimensione
verticale, come varietà diafasiche, all’interno della quale si trovano gli attori della
comunicazione, che si distinguono in base alla situazione, al contesto e al ruolo
che assumono. Nella classificazione relativa all’asse verticale non c’è accordo tra
gli studiosi dei linguaggi specialistici: a seconda del punto di riferimento
6
L’ISO è il principale ente di normalizzazione internazionale, una federazione mondiale
di organismi normativi cui aderiscono più di 100 Paesi, creata nel 1946 e suddivisa in
diversi comitati tecnici specializzati in settori specifici.
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dell’analisi si ha una classificazione. Il presente contributo sceglie di proporre
l’approccio sociolinguistico che prevede, affinché si parli di comunicazione
specialistica, la presenza di una tipologia di situazione comunicativa che rifletta
una delle seguenti:
Comunicazione tra esperti: è la comunicazione specialistica in senso proprio, c’è
una totale condivisione del dominio, la finalità è la comunicazione di conoscenze,
il linguaggio è altamente specializzato, il codice è condiviso dagli interlocutori, i
termini sono pre-definiti a meno che non si introduca un nuovo concetto o non lo
si voglia rideterminare. Tale comunicazione è presente in riviste specialistiche,
testi accademici, ricerche scientifiche, documenti ecc.
Comunicazione tra esperto e semiesperto: è la comunicazione didattica, il fine è
la comunicazione della conoscenza affinché il semiesperto raggiunga la
competenza dell’esperto, c’è parziale condivisione del dominio, la maggior parte
dei termini sono pre-definiti, ma vi sono spiegazioni e definizioni di alcuni
termini man mano che si introducono. Tale comunicazione è presente in libri di
testo specializzati per alcuni lettori, come studenti di livello avanzato.
Comunicazione tra esperto e non esperto: è la comunicazione divulgativa, il fine
è l’acquisizione della conoscenza fondamentale del dominio che non è condiviso,
e della relativa terminologia, oltre al linguaggio specialistico si utilizza la lingua
comune, per fornire spiegazioni e definizioni. Comunicazione tipica di libri di
testo introduttivi di un dominio e manuali.
Infine è possibile descrivere anche un quarto tipo di comunicazione specialistica:
quella tra relativamente esperti e non esperti: ad esempio, un giornalista che scrive
di economia ma non è un economista, mira ad informare in modo chiaro il
destinatario, che è un pubblico adulto ma privo di conoscenze specialistiche,
utilizzerà prevalentemente la lingua comune, e il testo presenterà una bassa
densità terminologica.
1. 3. Il linguaggio specialistico e la lingua comune
Con “lingua comune” Berruto indica:
Una varietà della lingua naturale in cui siano sovrapposte le nozioni di
lingua neutra, (non marcata su nessuna dimensione di variazione),
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normativa, (accettata come corretta e “buona”) e normale (statisticamente la
più diffusa tra i parlanti colti)”.
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Dalla definizione di Berruto si evince che a livello teorico anche la lingua
comune può essere considerata una varietà della lingua naturale (vedi § 1. 2.),
tuttavia ne costituisce la varietà più rappresentativa, al punto che trattando dei
linguaggi specialistici le due espressioni possono essere considerate sinonimiche.
Riferendoci alla definizione di Cortellazzo (vedi § 1. 2.), il fatto che un
linguaggio specialistico costituisca una varietà della lingua naturale lascia
riflettere sulla dipendenza di questo rispetto ad essa: in realtà, posto che la lingua
naturale è lo strumento che rende possibile la comunicazione, potremmo dire che
è la “base” di ogni linguaggio specialistico, essa costituisce uno strumento
linguistico indispensabile ma non sufficiente alla realizzazione della
comunicazione: sono i linguaggi specialistici che permettono la realizzazione del
pensiero nei vari ambiti della conoscenza.
Ciò che caratterizza il linguaggio specialistico è il concetto di termine, che si vuole
distinguere da quello di parola, intesa come unità linguistica della lingua comune. Il
termine può essere costituito da un’unità lessicale oppure da una collocazione,
cioè l’insieme di due o più parole che si presentano spesso come sintagma o
formula fissa; attraverso i termini si trasferisce il sapere disciplinare all’interno di
un determinato settore; la differenza tra un termine e una parola sta nei loro
confini di significato: l’ambiguità semantica è maggiore nelle parole che nei
termini, essendoci nel termine un rapporto biunivoco tra significante (cioè il
referente, la rappresentazione formale), non necessariamente presente nella
parola; il termine è monosemico, denota il referente senza l’interferenza di
connotazione ed emotività, caratteristiche proprie di molte parole.
Tra i due contenitori linguistici, insieme lingua comune e sottoinsieme
linguaggio specialistico, non è facile definire un confine netto, in quanto tra i due
esiste un rapporto osmotico, un passaggio continuo di parole e significati dall’uno
all’altra e viceversa, un continuo morire e nascere di parole: un dinamismo che
garantisce alla lingua quella vivacità fondamentale per la sua evoluzione. La
frequenza d’uso di un determinato termine, insieme con l’informazione che si ha
intorno ad esso, costituisce gli strumenti che regolano i flussi di passaggio dallo
7
G. Berruto, Introduzione all’Italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Bari,
Laterza, 1993, p. 84.
14
status di termine, cioè appartenente ad un linguaggio specialistico a quello di
parola: nel trattare l’imporsi nell’italiano comune di parole con origine regionale e
dialettale, Beccaria descriveva, più di trent’anni fa, l’importante ruolo
dell’industria e del commercio, fiorenti nella regione lombarda, i quali hanno fatto
sì che uno dei tanti regionalismi esistenti all’epoca per indicare un oggetto, quello
della regione lombarda appunto, s’imponesse sugli altri delle altre regioni, e
quindi diventasse la parola condivisa dall’intero Paese: così vasca è prevalso su
bagnarola o tinozza, lavello ha soppiantato lavabo o acquaio ed ha affiancato
lavandino nella lingua comune e così via; parallelamente, Beccaria descrive il
ruolo fondamentale che ha avuto la pubblicità, la quale, con l’avvento dei mezzi di
comunicazione di massa, ha fatto sì che un particolare prodotto, proveniente da
zone remote della penisola, venisse conosciuto a livello nazionale con lo stesso
termine di origine, il quale è diventato ben presto la parola comune indicante tale
prodotto: fra tutti il caso di sambuca, la grappa dei butteri che è uscita dalla
campagna romana e, grazie alla commercializzazione su tutto il territorio
nazionale si è affermata come parola comune indicante il liquore all’anice;
Beccaria riconosce dunque alla lingua dell’industria, del commercio e della
pubblicità il merito di aver risolto con facilità le lotte tra sinonimi regionali,
contribuendo in maniera rilevante all’unificazione linguistica nel nostro Paese.
8
Tuttavia, alcuni autori sostengono l’ipotesi che questo tipo di passaggio, dalla
microlingua, alla lingua comune, sia soltanto un’illusione, non trattandosi di un
vero e proprio passaggio, ma di un uso traslato e di una risemantizzazione
dell’elemento in questione, che spesso acquisisce un valore metaforico: optional,
nato come termine del linguaggio legato alla produzione e commercializzazione
dell’auto dove indicava “accessorio per automobile fornito su richiesta”, ha
acquisito, entrando nella lingua comune, quello di “possibilità supplementare, non
essenziale”;
9
Beccaria fa notare a proposito, come pur diventando, certi termini,
parole comuni, essi conservino pur sempre il fascino ed il prestigio della
specializzazione tecnica d’origine, conferendo al discorso del parlante comune
che li utilizza un tono evocativo ed attraente: dal linguaggio automobilistico,
sterzata è ormai di dominio non solo comune, ma viene spesso utilizzato in molti
altri ambiti specialistici dove conserva l’elemento metaforico straordinariamente
8
G. L. Beccaria, I linguaggi settoriali in Italia, cit. p. 8.
9
R. Bombi, Lingue speciali e interferenza, Roma, Il Calamo, 1995.
15
eloquente
10
. Ad ogni modo, è con sicurezza che si può affermare la straordinaria
produttività di questo tipo di passaggio: ad oggi, lo straordinario e rapido sviluppo
della comunicazione porta con sé la divulgazione della massa terminologica della
maggior parte dei domini linguistici, che diventa così di dominio comune.
Trattando invece il secondo passaggio, ovvero quello di una parola nella lingua
comune, che diventa un termine utilizzato in domini linguistici particolari, si può
dire che esso dipende sostanzialmente dalla tendenza di utilizzare un termine già
esistente per definire qualcosa di nuovo, facendo una scelta più economica
rispetto alla coniazione di un nuovo termine: anche un bambino oggigiorno è in
grado di distinguere il significato primario del verbo navigare da quello che
assume lo stesso verbo quando si parla di Internet; Beccaria, a proposito di questo
tipo di “slittamento semantico”, parla di una volgarizzazione della scienza e della
tecnica in favore della crescente necessità di divulgazione: si tenderebbe dunque a
semplificare i linguaggi specialistici con la scelta di termini e strutture semplici,
appartenenti alla lingua comune, nel tentativo di raggiungere la maggior parte di
lettori; allo stesso tempo l’autore afferma che, nel diventare espressione di un
linguaggio specialistico, una parola perde l’accezione connotativa che aveva in
partenza e diventa un tecnicismo col puro valore denotativo: tra gli esempi
riportati dall’autore: lievitazione (dei prezzi), rastrellamento(delle azioni),
scrematura ecc... tutti termini che in questo caso all’interno del linguaggio della
finanza assumono un significato tecnico, ben preciso, che poco assomiglia a
quello connotativo col quale vengono utilizzati nella lingua comune.
11
In definitiva, i flussi di passaggio dall’uno all’altro contenitore sono peculiari
nei diversi linguaggi specialistici, così come peculiari sono le modalità e le
ragioni a monte di tali passaggi: ciò che vale per tutti però, è l’esistenza stessa di
questo rapporto osmotico con la lingua comune, e il fatto che nonostante nascano
come mezzi per permettere una comunicazione chiara, rigida e univoca, i termini
stessi non siano strumenti statici, che nascono e rimangono per sempre indicatori
di oggetti specifici. Anche i termini in realtà seguono i cambiamenti della visione
del mondo, risentono delle mode e dei cambiamenti della società, riflettendone,
insieme con la lingua comune, tutte le peculiarità.
10
G. L. Beccaria, I linguaggi settoriali in Italia, cit. p. 18.
11
Ivi, p. 30.